In quell'aria d'agosto
mulinella una polvere pazza,
un carretto trainato al galoppo
sopra il ponte di mezzo.
Urla forte ragazzo,
carrettiere di fosso e di strada,
urla e sveglia l'intera contrada
"I fascisti! I fascisti!"
Sono dieci, son venti,
centinaia di militi armati
arroganti sui carri, nei prati
polverosi di Parma.
Ma non farli passare
è la forte risposta dei tanti;
i moschetti riprendano i fanti,
al Naviglio si vada,
Oltre il Parma, oltre il fiume
per colpirli nel fondo degli occhi;
devon creder che il borgo trabocchi
di un milione di armati.
Primi colpi il due agosto:
santabarbara, elmetti e fucili,
chi di guardia, chi dentro i cortili
o coi banchi di chiesa:
Tutto fa barricata.
Sopra i tetti la rossa bandiera
mentre in strada si muore e si spera
"Se Picelli vincesse...!"
E si fa una trincea
come fu sul Pasubio o sul Carso;
all'attacco, ma in ordine sparso
per non farsi ammazzare.
E' una guerra d'eroi:
uno a cento le forze sul campo,
non c'è storia, non c'è via di scampo
"Se vincesse Picelli...!"
Comunisti sbandati,
socialisti ed arditi di guerra,
tutti per quattro palmi di terra
rosso sangue e d'amore;
Popolari in battaglia
tra un anarchico e un padre che impreca
mentre un oste in bestemmie si spreca
ed il prete si segna;
Tante fedi diverse
mescolate in un fatale amplesso:
come allora il nemico è lo stesso
nero come il carbone.
Nella piazza assolata
dieci donne in camicie di stracci
fanno bende per i poveracci
con la testa bucata.
Un bagliore di fiamma:
cade a morte Giuseppe Mussini,
si telefona a Mussolini
come va la battaglia.
Qui si lotta e si muore
là si brucia del borgo il giornale:
arde "il Piccolo", il rogo infernale
entusiasma la ciurma.
Balbo scrive sul diario:
"se vincesse Picelli domani
l'altra Italia alzerebbe le mani
e sarebbe la prova
Che le squadre dei rossi
se si armano unite all'attacco
posson mettere i fasci nel sacco
e sarebbe la fine"
E noi oggi diciamo:
se l'Italia vi avesse ascoltato
altra storia, altra gente, altro Stato
forse oggi saremmo.
Cento volte il nemico
tenta di scardinare l'ingresso
ogni metro, ogni soffio, ogni accesso
è sbarrato col cuore;
Ogni attacco dei neri
è respinto tra urla e fucili
non c'è posto per deboli e vili
nella tana del borgo.
Poi la svolta improvvisa:
dai comignoli si sono visti
dar la mano agli antifascisti
i notabili regi.
"Rose e vino ai soldati
all'esercito regio, ai fratelli!!"
così ha detto il compagno Picelli,
"li si accolga coi baci
Delle donne di Parma
belle, giovani, piene d'amore!"
Non importa s'è un po' adulatore
ogni sguardo e saluto.
E l'esercito allora
resta come basìto, di sasso
mentre un primo tenore ed un basso
improvvisano un Gloria.
Umiliato e furioso
Balbo tenta un attacco, è respinto
la mattina del cinque ed è vinto
dalla ferma risposta.
Sì, l'esercito allora
non si diede alla canaglia nera;
cinque agosto, alle sette di sera
se ne vanno i fascisti.
Impazzito di gioia
tutto un popolo esplode e fa festa
e lavora e rimuove e non resta
più nessuna trincea.
Nella bassa la rabbia
di un'ignobile specie di coorte
ha lasciato una striscia di morte
nei casali isolati;
Han bruciato e distrutto
a S.Prospero, Sissa a Torrile
non potevano che in modo vile
vomitare la schiuma.
Pur se sogno d'estate
la battaglia di Parma rimane
una sfida perenne all'infame
d'ogni luogo e stagione.
In quell'aria d'agosto
mulinella una polvere pazza,
ha rubato l'anello una gazza
nera come il carbone...
mulinella una polvere pazza,
un carretto trainato al galoppo
sopra il ponte di mezzo.
Urla forte ragazzo,
carrettiere di fosso e di strada,
urla e sveglia l'intera contrada
"I fascisti! I fascisti!"
Sono dieci, son venti,
centinaia di militi armati
arroganti sui carri, nei prati
polverosi di Parma.
Ma non farli passare
è la forte risposta dei tanti;
i moschetti riprendano i fanti,
al Naviglio si vada,
Oltre il Parma, oltre il fiume
per colpirli nel fondo degli occhi;
devon creder che il borgo trabocchi
di un milione di armati.
Primi colpi il due agosto:
santabarbara, elmetti e fucili,
chi di guardia, chi dentro i cortili
o coi banchi di chiesa:
Tutto fa barricata.
Sopra i tetti la rossa bandiera
mentre in strada si muore e si spera
"Se Picelli vincesse...!"
E si fa una trincea
come fu sul Pasubio o sul Carso;
all'attacco, ma in ordine sparso
per non farsi ammazzare.
E' una guerra d'eroi:
uno a cento le forze sul campo,
non c'è storia, non c'è via di scampo
"Se vincesse Picelli...!"
Comunisti sbandati,
socialisti ed arditi di guerra,
tutti per quattro palmi di terra
rosso sangue e d'amore;
Popolari in battaglia
tra un anarchico e un padre che impreca
mentre un oste in bestemmie si spreca
ed il prete si segna;
Tante fedi diverse
mescolate in un fatale amplesso:
come allora il nemico è lo stesso
nero come il carbone.
Nella piazza assolata
dieci donne in camicie di stracci
fanno bende per i poveracci
con la testa bucata.
Un bagliore di fiamma:
cade a morte Giuseppe Mussini,
si telefona a Mussolini
come va la battaglia.
Qui si lotta e si muore
là si brucia del borgo il giornale:
arde "il Piccolo", il rogo infernale
entusiasma la ciurma.
Balbo scrive sul diario:
"se vincesse Picelli domani
l'altra Italia alzerebbe le mani
e sarebbe la prova
Che le squadre dei rossi
se si armano unite all'attacco
posson mettere i fasci nel sacco
e sarebbe la fine"
E noi oggi diciamo:
se l'Italia vi avesse ascoltato
altra storia, altra gente, altro Stato
forse oggi saremmo.
Cento volte il nemico
tenta di scardinare l'ingresso
ogni metro, ogni soffio, ogni accesso
è sbarrato col cuore;
Ogni attacco dei neri
è respinto tra urla e fucili
non c'è posto per deboli e vili
nella tana del borgo.
Poi la svolta improvvisa:
dai comignoli si sono visti
dar la mano agli antifascisti
i notabili regi.
"Rose e vino ai soldati
all'esercito regio, ai fratelli!!"
così ha detto il compagno Picelli,
"li si accolga coi baci
Delle donne di Parma
belle, giovani, piene d'amore!"
Non importa s'è un po' adulatore
ogni sguardo e saluto.
E l'esercito allora
resta come basìto, di sasso
mentre un primo tenore ed un basso
improvvisano un Gloria.
Umiliato e furioso
Balbo tenta un attacco, è respinto
la mattina del cinque ed è vinto
dalla ferma risposta.
Sì, l'esercito allora
non si diede alla canaglia nera;
cinque agosto, alle sette di sera
se ne vanno i fascisti.
Impazzito di gioia
tutto un popolo esplode e fa festa
e lavora e rimuove e non resta
più nessuna trincea.
Nella bassa la rabbia
di un'ignobile specie di coorte
ha lasciato una striscia di morte
nei casali isolati;
Han bruciato e distrutto
a S.Prospero, Sissa a Torrile
non potevano che in modo vile
vomitare la schiuma.
Pur se sogno d'estate
la battaglia di Parma rimane
una sfida perenne all'infame
d'ogni luogo e stagione.
In quell'aria d'agosto
mulinella una polvere pazza,
ha rubato l'anello una gazza
nera come il carbone...
inviata da Dead End - 26/7/2012 - 09:01
Versi del poeta parmense Attilio Bertolucci, padre dei registi Bernardo Bertolucci e Giuseppe Bertolucci
da Barricate a Parma
da Barricate a Parma
RICORDANDO IL ’22 A PARMA
Si erano vestiti dalla festa
per una vittoria impossibile
nel corso fangoso della Storia.
Stavano di vedetta armati
con vecchi fucili novantuno
a difesa della libertà conquistata
da loro per la piccola patria
tenendosi svegli nelle notti afose
dell'agosto con i cori
della nostra musica
con il vino fosco
della nostra terra.
Vincenti per qualche giorno
vincenti per tutta la vita.
Si erano vestiti dalla festa
per una vittoria impossibile
nel corso fangoso della Storia.
Stavano di vedetta armati
con vecchi fucili novantuno
a difesa della libertà conquistata
da loro per la piccola patria
tenendosi svegli nelle notti afose
dell'agosto con i cori
della nostra musica
con il vino fosco
della nostra terra.
Vincenti per qualche giorno
vincenti per tutta la vita.
Dead End - 26/7/2012 - 10:51
Chi ha scritto questa canzone, Alfonso Borghi, è l'autore delle musiche di molte delle prime canzoni di Pierangelo Bertoli, a cominciare dalla splendida Eppure soffia del 1976...
Dead End - 26/7/2012 - 15:49
Sulla resistenza antifascista dei parmensi nel 1922, oltre a Il comandante Picelli, si veda anche L'Oltretorrente...
Dead End - 27/7/2012 - 08:38
×
Album “900 nero 900 rosso 900 amore in blu”
Parole e musica di Alfonso Borghi
Con Alfonso Borghi (voce, cori, chitarra acustica), Giorgio Terenziani (basso, programmazione, chitarra acustica solista) ed Elisa Gior.
Picelli, “se l'Italia ti avesse ascoltato, altra storia, altra gente, altro Stato forse oggi saremmo…”
Su Picelli e la resistenza parmense del 1922 si veda anche Il comandante Picelli
Il primo agosto di novant'anni fa la città emiliana sconfisse e cacciò gli squadristi inviati da Mussolini. Fu il più importante episodio di opposizione armata al fascismo pre-Resistenza. Dietro le barricate uomini e donne, anarchici e cattolici Comandati da un guerrigliero pacifista che avrebbe voluto fare l'attore
di Giancarlo Bocchi, autore del recente documentario intitolato Il ribelle – Guido Picelli, un eroe scomodo
da La Repubblica di Parma del 22 luglio 2012
Nell'estate del 1922 ha trentatré anni. È alto, occhi cerulei, luminosi e magnetici, baffi "all'americana". Veste quasi sempre di scuro, portamento elegante, modi garbati. Da ragazzo Guido Picelli non pensava alla rivoluzione, inseguiva sogni d'artista: recitava sui palcoscenici di provincia, girava l'Italia, a fianco di Ermete Zacconi partecipò a uno dei primi film del cinema muto italiano- si legge nell'articolo che Bocchi ha scritto per edizione cartacea di repubblica-. Ora invece si ritrova capopopolo, uno poco incline ai dibattiti teorici ma che sa combattere con coraggio. Per il pane, il lavoro, la giustizia sociale. E che da tempo ha in testa una parola sola, "unità": "La salvezza del proletariato sta solamente nella valorizzazione delle sue forze effettive, nell'unità" scrive.
Quando arriva il momento di mettere in pratica le sue convinzioni Picelli è pronto. Mussolini ha appena inviato diecimila fascisti alla volta della sua città, Parma, con l'ordine di "metterla a ferro e fuoco". In poco tempo Picelli fa il miracolo. Coalizza forze da sempre antagoniste - socialisti, comunisti, anarchici, popolari e repubblicani - in un fronte unico, gli "Arditi del popolo". La battaglia durerà cinque giorni, dall'1 al 6 agosto, sarà il più importante episodio di opposizione armata al fascismo prima della Resistenza, dimostrerà che il fascismo si poteva fermare militarmente.
Picelli era un pacifista convinto. Allo scoppio della Grande guerra si arruola come volontario nella Croce Rossa, meritando due medaglie al valore. Ma è proprio l'aver assistito all'"inutile massacro del proletariato" che lo spinge a fare il corso ufficiali all'Accademia di Modena: vuole imparare a combattere per una società più giusta. Tornato a Parma fonda "Le Guardie rosse", una formazione di autodifesa proletaria. Nel 1920 viene imprigionato per aver impedito la partenza di un treno militare, ma nella primavera del 1921 è il popolo a tirarlo fuori di galera: con ventimila preferenze è eletto deputato per il Partito socialista (che poi abbandonerà) e esce dal carcere. Sulla scheda di accettazione, alla voce "impieghi all'epoca dell'elezione", scrive beffardo: "Carcerato".
La notte del primo agosto 1922 le forze squadriste si sono raggruppate alla Stazione di Parma. I carabinieri e le guardie regie sono state ritirate dalle due caserme dell'Oltretorrente, una sorta di via libera ai fascisti. All'alba Picelli decide di mobilitare i suoi. Comandante della spedizione punitiva fascista, almeno diecimila uomini armati con mitragliatrici, bombe e fucili, è Italo Balbo. Picelli può contare su trecento "Arditi", fucili modello 1891, moschetti, pistole. Ma dalla sua parte ha anche, come ricorderà nei suoi scritti, "la popolazione operaia scesa per le strade, impetuosa come le acque di un fiume che straripi, con picconi, badili, spranghe ed ogni sorta di arnesi". Come un Che Guevara d'altri tempi e latitudini, mette in atto un piano di guerriglia urbana mai attuato prima. Fortifica l'Oltretorrente, e i rioni Naviglio e Saffi, con tre-quattro linee di barricate per ogni strada, intervallate da reticolati percorsi da corrente elettrica e da sbarramenti per le autoblindo protetti da mine. Ottavio Pastore, inviato per L'Ordine Nuovo di Gramsci, scrive: "Le donne avevano preparato l'acqua e l'olio bollente... perfino delle boccette di vetriolo".
I fascisti attaccano in forze, vengono respinti. Nel rione Naviglio difeso dal vice di Picelli, l'anarchico Antonio Cieri, gli scontri più duri. Colpito da un cecchino cade il più giovane degli Arditi, la vedetta Gino Gazzola, quattordici anni. Anche i comunisti si sono schierati con gli Arditi, ignorando i diktat di Bordiga. E nell'Oltretorrente muore, in mano il suo fuciletto da caccia, Ulisse Corazza, consigliere comunale per il Partito Popolare. Costretti alla fuga, i fascisti non cantano più "Quando in un cantone ci sta un certo Picelli, lo manderemo in Russia, a colpi di bastone". Muti, impauriti. Hanno avuto 39 morti e 150 feriti. Sono allo sbando. "Se Picelli dovesse vincere - annotava Balbo nel suo diario - i sovversivi di tutta Italia rialzerebbero la testa. Sarebbe dimostrato che armando e organizzando le squadre rosse si neutralizza ogni offensiva fascista".
Il quinto giorno Picelli ha vinto e entra nella leggenda, ma capisce che non c'è tempo per festeggiare. Il nodo politico-militare dell'estate-autunno del 1922 è cruciale. La battaglia da difensiva deve diventare offensiva. Dalle colonne del suo giornale, L'Ardito del popolo, lancia appelli all'unità delle forze antifasciste: "Tutti in piedi come un sol uomo, pronti alla riscossa!". Gira il Nord per costituire "l'Esercito rosso", ma il suo piano trova una forte opposizione nei partiti della sinistra. Dopo che Mussolini diventa capo del governo, Picelli scioglie gli Arditi per fondare "I soldati del popolo", un'organizzazione segreta insurrezionale. Viene pedinato, spiato, arrestato. Nel 1923 i fascisti gli tendono un agguato a Parma. Sfugge anche a un complotto per eliminarlo. Il sicario pentito, Vincenzo Tonti, fa i nomi dei mandanti: il generale Agostini, il generale Sacco, il vicequestore Angelucci. E Italo Balbo. Nel 1924 viene rieletto deputato come indipendente nelle liste del Partito comunista: il Primo maggio entra in Parlamento. Lo fa a modo suo, issando sul pennone di Montecitorio una grande bandiera rossa.
Si avvicina sempre di più a Gramsci. Viaggia per organizzare la struttura insurrezionale clandestina del Partito comunista. In un documento segreto del PCd'I viene indicato, insieme a Fortichiari dell'ufficio "I" del Partito, come responsabile delle questioni militari. L'8 novembre del 1926 viene arrestato insieme a tutti i maggiori leader antifascisti. Dopo cinque anni di confino e di galera nel 1932 fugge in Francia, poi in Belgio, infine Mosca. Qui le sue speranze si scontrano con la dura realtà: viene emarginato, perseguitato, processato in una "cista" sulla base di false e futili accuse. L'Nkvd, la polizia segreta, indaga su di lui e solo grazie all'intervento del potente Dimitri Manuilski, che conosce Picelli come grande combattente antifascista, accantona la pratica. Scampato al gulag Picelli parte alla volta della Spagna per combattere i franchisti. Abbandona i comunisti italiani ed entra in contatto con il Poum, il Partito comunista antistalinista spagnolo. A Barcellona Andreu Nin, leader del Poum ed ex segretario di Trotsky, gli propone il comando di un battaglione. Ma alla fine Picelli accetta, pur consapevole dei rischi di una vendetta stalinista, un comando delle Brigate internazionali.
Il primo gennaio è al comando del Battaglione Garibaldi. Attacca e conquista Mirabueno, la prima vittoria repubblicana sul Fronte di Madrid. La fine arriva pochi giorni dopo, il 5 gennaio 1937, sull'altura del San Cristobal. "La pallottola che l'ha fulminato, l'ha colpito alle spalle, all'altezza del cuore" scrive l'amico Braccialarghe che è andato a recuperare il corpo abbandonato sul posto. A Picelli vengono tributati tre funerali di Stato. A Madrid, Valencia e Barcellona. A quest'ultimo partecipano più di centomila persone. Sulla lapide, che due anni più tardi i franchisti faranno a pezzi insieme al corpo di Picelli, sta scritto: "All'eroe delle barricate di Parma". A un anno dalla sua morte alti ufficiali degli "Internazionali" propongono di conferire alla sua memoria "l'Ordine di Lenin", la più alta onorificenza sovietica. Alcuni funzionari comunisti italiani, però, stilano un rapporto segreto al Comintern sui contatti tra Picelli e il Poum che di fatto blocca tutto. Non sarà l'ultimo tentativo di far cadere nell'oblio la vita straordinaria del "Che" Guevara italiano.
Le Barricate raccontate dall'autore di "Oltretorrente", pubblicato dalla Feltrinelli nel 2003
di Pino Cacucci (scrittore ribelle che nel 2003 ha dedicato un libro alla resistenza antifascista a Parma nel 1922)
da La Repubblica di Parma del 22 luglio 2012
A Parma il 25 agosto 1972 un gruppo di neofascisti aggredisce e uccide a pugnalate Mario Lupo, giovane militante di Lotta Continua. L'omicidio a freddo, davanti al cinema Roma di viale Tanara, segna il culmine di uno stillicidio di provocazioni e violenze che hanno instaurato in città un clima di forte tensione. E qui, all'inizio degli anni Settanta, la memoria storica delle barricate e degli Arditi del popolo sta vivendo un ritorno di fiamma che fa dell'antifascismo militante un dovere politico e morale. Tutto ciò accade quarant'anni fa, a mezzo secolo dall'insurrezione che vide l'Oltretorrente resistere e respingere migliaia di squadristi in armi capeggiati da Italo Balbo.
La voce corre nelle strade e scatena una reazione inarrestabile: la sede dell'Msi, da cui partivano le incursioni neofasciste, viene devastata da una folla infuriata, lo stesso questore ordina alle forze di polizia di non intervenire: "Se proviamo a fermarli, qua si rischia una carneficina ". Il ricordo di cosa era accaduto a Parma nel 1922 sembra riaccendere le braci mai del tutto spente nell'Oltretorrente. Il poeta Attilio Bertolucci aveva contribuito a ravvivarle con versi memorabili: "Si eran vestiti dalla festa /per una vittoria impossibile /nel corso fangoso della Storia /(...) Vincenti per qualche giorno / vincenti per tutta la vita". E proprio Lotta Continua, l'organizzazione in cui militava Mario Lupo, portava impressa sulla testata un'elaborazione grafica di una barricata di Parma nel 1922.
Sempre negli anni Settanta, i cortei della sinistra "extraparlamentare" marciavano cantando Siam del popolo gli arditi, e molti di noi credevano che fosse davvero l'inno dei reduci della Grande guerra passati dai reparti d'assalto alla resistenza armata contro le orde di Mussolini. In realtà, quella canzone che in tanti sapevamo a memoria era stata scritta e musicata da Leoncarlo Settimelli, operaio e poi giornalista dell'Unità (nonché autore di biografie per la Rai di Pavarotti, Modugno, Gabriella Ferri), che aveva ripreso alcune strofe dell'inno di battaglia originale, ormai andato perduto.
Per la mia generazione, la memoria di quegli eventi era un emblema di dignità, quella che i lavoratori parmigiani difesero strenuamente. Qualcuno a distanza di mezzo secolo aveva rinfrescato la scritta sul muraglione dell'argine: Balbo, t'è pasé l'Atlantic, mo miga la Perma. Fu la frase a caratteri cubitali che accolse Italo Balbo tornato sul luogo del misfatto per prendersi la rivincita, tronfio delle imprese di trasvolatore oceanico. Era riuscito a passare dall'altra parte dell'Atlantico ma non a superare le barricate dell'Oltretorrente.