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L'amore rubato‎

Luca Barbarossa
Lingua: Italiano


Luca Barbarossa

Lista delle versioni e commenti


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Franca Rame: Lo stupro.
(GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG)
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(Mara Cantoni)
Ballade vom Paragraphen 218
(Bertolt Brecht)


‎[1988]
Testo e musica di Luca Barbarossa.‎

l amore rubato

Nel 1988 Barbarossa partecipa a Sanremo, per la terza volta consecutiva, con una canzone che ‎affronta il tema della violenza sessuale, “L'amore rubato”: il brano ha successo, classificandosi al ‎terzo posto, e durante la serata finale il cantautore riceve in diretta televisiva i complimenti da ‎Franca Rame (che nel 1973 venne rapita e stuprata da appartenenti all’estrema destra su mandato di ‎alti esponenti delle “forze dell’ordine” di allora, e dell’Arma dei Carabinieri in particolare) e ‎‎Dario Fo che gli mandano un telegramma. (it.wikipedia)
La ragazza non immaginava
che anche quello fosse l’amore
in mezzo all’erba lei tremava
sentiva addosso ancora l’odore

‎“Chissà chi era cosa voleva
perché ha ucciso i miei pensieri
chissà se un giorno potrò scordare
e ritornare quella di ieri”

La ragazza non immaginava
che così forte fosse il dolore
passava il vento e lei pregava
che non tornassero quelle parole

‎“Adesso muoviti fammi godere
se non ti piace puoi anche gridare
tanto nessuno potrà sentire
tanto nessuno ti potrà salvare”

E lei sognava una musica dolce
e labbra morbide da accarezzare
chiari di luna e onde del mare
piccole frasi da sussurrare
e lei sognava un amore profondo
unico e grande più grande del mondo
come un fiore che è stato spezzato
così l’amore le avevan rubato

La ragazza non immaginava
che così lento fosse il dolore
stesa nel prato lei piangeva
sulle sue lacrime nasceva il sole

E lei sognava una musica dolce
e labbra morbide da accarezzare
chiari di luna e onde del mare
piccole frasi da sussurrare
e lei sognava un amore profondo
unico e grande più grande del mondo
ma il vento adesso le aveva lasciato
solo il ricordo di un amore rubato

Come un fiore che è stato spezzato
così l’amore le avevan rubato

inviata da Bartleby - 14/12/2011 - 14:45


Lo stupro, monologo scritto da Franca Rame nel 1975 e incluso nei recital “Tutta casa, letto e ‎chiesa” del 1979 e "Sesso? Grazie, tanto per gradire" del 1994/96.‎


Bartleby - 14/12/2011 - 14:46


Lo stupro

Locandina dell’edizione inglese di “Tutta casa, letto e chiesa”

Al centro dello spazio scenico vuoto, una sedia. ‎

Prologo ‎
‎ ‎
FRANCA: Ancora oggi, proprio per l’imbecille mentalità corrente, una donna convince veramente ‎di aver subito violenza carnale contro la sua volontà, se ha la “fortuna” di presentarsi alle autorità ‎competenti pestata e sanguinante, se si presenta morta è meglio! Un cadavere con segni di stupro e ‎sevizie dà più garanzie. Nell’ultima settimana sono arrivate al tribunale di Roma sette denunce di ‎violenza carnale.‎
‎ Studentesse aggredite mentre andavano a scuola, un’ammalata aggredita in ospedale, mogli ‎separate sopraffatte dai mariti, certi dei loro buoni diritti. Ma il fatto più osceno è il rito terroristico ‎a cui poliziotti, medici, giudici, avvocati di parte avversa sottopongono una donna, vittima di ‎stupro, quando questa si presenta nei luoghi competenti per chiedere giustizia, con l’illusione di ‎poterla ottenere. Questa che vi leggo è la trascrizione del verbale di un interrogatorio durante un ‎processo per stupro, è tutto un lurido e sghignazzante rito di dileggio.‎

MEDICO: Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un ‎certo piacere... una inconscia soddisfazione?‎
POLIZIOTTO: Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la ‎desiderassero tanto, con così dura passione?‎
GIUDICE: È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?‎
MEDICO: Si è sentita eccitata? Coinvolta?‎
AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI: Si è sentita umida?‎
GIUDICE: Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi ‎come espressioni di godimento?‎
POLIZIOTTO: Lei ha goduto? ‎
MEDICO: Ha raggiunto l’orgasmo? ‎
AVVOCATO: Se sì, quante volte?‎
‎ ‎
‎ Il brano che ora reciterò è stato ricavato da una testimonianza apparsa sul “Quotidiano Donna”, ‎testimonianza che vi riporto testualmente.‎
‎ ‎
‎ Si siede sull’unica sedia posta nel centro del palcoscenico.‎
‎ ‎
FRANCA: C’è una radio che suona... ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo ‎conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore... ‎amore... ‎
Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena... come se chi mi sta dietro tenesse l’altro ‎appoggiato per terra... con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in ‎particolare.‎
Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi ‎sta capitando.‎
Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce... la parola. Prendo coscienza ‎delle cose, con incredibile lentezza... Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? ‎Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi ‎di peso?‎
Non lo so.‎
È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare... è il male alla mano ‎sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento ‎nessun movimento. Sono come congelata.‎
Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena... s’è seduto ‎comodo... e mi tiene tra le sue gambe... fortemente... dal di dietro... come si faceva anni fa, quando ‎si toglievano le tonsille ai bambini.‎
L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, ‎sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la ‎musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.‎
Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce... né gran spazio... ‎forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno ‎accendendo una sigaretta.‎
Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?‎
Sta per succedere qualche cosa, lo sento... Respiro a fondo... due, tre volte. Non, non mi snebbio... ‎Ho solo paura... ‎
Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle ‎sigarette. Stanno aspirando profondamente.‎
Sono vicinissimi.‎
Sì, sta per succedere qualche cosa... lo sento.‎
Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli... li sento intorno al mio corpo. Non ha ‎aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che ‎si era mosso, mi si mette tra le gambe... in ginocchio... divaricandomele. È un movimento preciso, ‎che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai ‎miei a bloccarmi.‎
Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi ‎nuda!‎
Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo... un calore, prima tenue ‎e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.‎
Una punta di bruciore. Le sigarette... sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.‎
Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare ‎niente, né a parlare né a piangere... Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, ‎costretta a guardare qualche cosa di orribile.‎
Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta ‎tra le gambe. Si consumano presto.‎
Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, ‎per il lungo... mi tagliano anche il reggiseno... mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia ‎medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i ‎seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature... ‎
Ora... mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, ‎una gamba sola.‎
Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.‎
Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.‎
Devo stare calma, calma.‎
‎ “Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta ‎spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna ‎parola... non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.‎
‎ “Muoviti puttana fammi godere”.‎
Sono di pietra.‎
Ora è il turno del secondo... i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.‎
‎ “Muoviti puttana fammi godere”.‎
La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o ‎no.‎
‎ “Muoviti, puttana. Fammi godere”.‎
Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.‎
È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.‎
‎ “Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.‎
Ci credono, non ci credono, si litigano.‎
‎ “Facciamola scendere. No... sì...” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul ‎collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.‎
Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi ‎riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto ‎l’amore... pardon... l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. ‎Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma ‎per il tempo di farmi scendere... e se ne va.‎
Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi ‎sento male... nel senso che mi sento svenire... non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per ‎lo schifo... per l’umiliazione... per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello... per lo sperma che ‎mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero... mi fanno male anche i capelli... me li tiravano per ‎tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia... è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.‎
Cammino... cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.‎
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che ‎dovrei affrontare se entrassi ora... Sento le loro domande. Vedo le loro facce... i loro mezzi sorrisi... ‎Penso e ci ripenso... Poi mi decido... ‎
Torno a casa... torno a casa... Li denuncerò domani.‎

Buio.

Bartleby - 14/12/2011 - 14:47


Un articolo da La Repubblica sullo stupro subìto da Franca Rame nel 1973.‎

‎"La notizia dello stupro della Rame in caserma fu accolta con euforia, il comandante era festante ‎come se avesse fatto una bella operazione di servizio. Anzi, di più...". Sono passati venticinque ‎anni, ma l' uomo è di quelli che hanno la memoria buona. Nicolò Bozzo oggi è un generale dei ‎carabinieri che si gode la pensione nella sua Genova, dopo una carriera ad altissimo livello: ‎soprattutto nella fase più lunga e più dura, quella al fianco di Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta ‎al terrorismo.

Ma quel 9 marzo 1973 il giovane Bozzo era un capitano in servizio a Milano, all'Ufficio Operazioni ‎del comando della Divisione Pastrengo, il reparto più importante dell'Arma nell'Italia del nord-‎ovest. Quel giorno l'attrice Franca Rame - moglie di Dario Fo, una delle voci più in vista della ‎‎"nuova sinistra" - venne sequestrata e stuprata da un gruppo di neofascisti. Dai verbali dell'inchiesta ‎su quegli anni condotta dal giudice Salvini, ora si scopre che la banda degli stupratori aveva agito - ‎secondo un testimone - su indicazioni di "alcuni carabinieri della divisione Pastrengo". Ma i ricordi ‎di Bozzo rendono quel che sta venendo a galla ancora più sconvolgente.

Luca Fazzo - Generale, lei quel giorno era lì, al comando della Pastrengo. Cosa ricorda?

Gen. Nicolò Bozzo - "Io lavoravo all'ufficio operazioni, al piano inferiore. Ma quando il mio ‎superiore era in licenza salivo di sopra, dove c'erano lo stato maggiore e il comando di divisione. ‎Quello era uno di quei giorni.
Arrivò la notizia del sequestro e dello stupro di Franca Rame. Per me fu un colpo, lo vissi come una ‎sconfitta della giustizia. Ma tra i miei superiori ci fu chi reagì in modo esattamente opposto. Era ‎tutto contento. "Era ora", diceva".

LF - Può fare il nome di quell'ufficiale?

Gen. NB - "Certo. Era il più alto in grado: il comandante della "Pastrengo", il generale Giovanni ‎Battista Palumbo".

LF - Lei racconta un fatto di una gravità eccezionale. Perché lo fa ora, dopo venticinque anni?

Gen. NB - "Perché allora io vissi quella reazione di Palumbo solo come una manifestazione di ‎cattivo gusto. Credevo che il generale fosse piacevolmente sorpreso della notizia, nulla di più. ‎D'altronde Palumbo era un personaggio particolare, era stato nella Repubblica Sociale, poi era ‎passato con i partigiani appena prima della Liberazione. Non faceva mistero delle sue idee di destra. ‎E alla "Pastrengo", sotto il suo comando, circolavano personaggi dell'estrema destra, erano di casa ‎quelli della "maggioranza silenziosa" come l'avvocato Degli Occhi".

LF - Poi il nome di Palumbo saltò fuori negli elenchi della P2.

Gen. NB - "Lui, e altri due ufficiali importanti dell'Arma a Milano. E io il 24 aprile 1981 mi ‎presentai dai giudici Colombo e Turone per raccontare cosa avevo capito dei disegni di quella ‎gente. Una testimonianza che ho pagato con procedimenti disciplinari, trasferimenti, ritardi nella ‎carriera. Ma del fatto di Franca Rame ai giudici non parlai, perché mai avrei pensato che fosse ‎qualcosa di più di una manifestazione di gioia, del tutto in linea con il modo di pensare del mio ‎comandante. Ma ieri ho letto quello che ha scoperto il giudice Salvini, ed è stato un po' come se ‎tutto andasse a posto".

LF - È possibile che a Milano l' Arma fosse comandata da gente simile, e a Roma i vertici non ‎sapessero nulla?

Gen. NB - "Il comandante generale era il generale Mino. Basta leggere la relazione di maggioranza ‎della commissione d'inchiesta sulla P2 per capire perché non si accorgesse di nulla. Lui non era ‎negli elenchi, ma la commissione lo dava come organico". ‎

‎(Luca Fazzo, La Repubblica dell’11 febbraio 1998)

Bartleby - 14/12/2011 - 14:47




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