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Σαν πεθάνω στο καράβι

Diamanda Galás


Diamanda Galás

Lista delle versioni e commenti


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Todesfuge
(Diamanda Galás)
The Dance [Պարը] - Ter Vogormia [Տէր Ողորմյա]
(Diamanda Galás)
Je rame
(Diamanda Galás)


San petháno sto karávi
Tradizionale / Traditional
Παραδοσιακό

album: Defixiones Will and Testament

SONGS OF EXILE is concerned with the poet/musician/composer living in exile, away from his homeland and speaks of those who have had to live as outlaws, as they were treated as outlaws; and for those who have had to create houses out of rock.
The performance, with songs performed over five languages, is a concert for piano and voice which includes Ms. Galás' own transcendent compositions set on the words of exiled poets from around the world.

SONGS OF EXILE (“Canzoni di Esilio”) tratta del poeta, del musicista e del compositore che vive in esilio, lontano dalla sua terra, e parla di coloro che hanno dovuto vivere fuori dalla legge, come se fossero banditi, e creare case dai sassi.

La composizione, con canzoni interpretate in cinque lingue, è un concerto per piano e voce comprendente le composizioni trascendenti di Diamanda Galás adattate alle parole di poeti esiliati di tutto il mondo.

SONGS OF EXILE (“Chansons d'Éxile”) parle du poète, du musicien et du compositeur vivant en éxile, éloigné de sa terre, et de ceux qui ont dû vivre hors de la loi, comme s'il étaient des bandits, et bâtir des maisons à partir de la pierre.

La composition, avec des chansons interprétées en cinq langues, est un concert pour piano et voix comprenant les compositions transcendentes de m.me Galás qui ont été adaptées aux paroles de poètes éxilés du monde entier.



DEFIXIONES WILL AND TESTAMENT


defixiones


At the center of "Defixiones, Will and Testament" lies the Armenian, Anatolian, Hellenic, and Greek genocide which took place, for the most part, under the cloak of the First World War (1914-1917). The Ottoman Empire, now the Republic of Turkey, used various means of destruction to enact an ethnic cleansing policy. The goal was not to simply kill, but to erase all cultural evidence of these people's existance.

"Defixiones Will and Testament" è incentrato sul genocidio armeno, anatolico e greco che ebbe luogo, per la maggior parte, con il pretesto della Prima guerra mondiale (1914-1917). L'Impero Ottomano, ora Repubblica Turca, usò vari mezzi di distruzione per mettere in pratica una politica di pulizia etnica. Lo scopo non era soltanto quello di uccidere, ma di cancellare ogni traccia culturale dell'esistenza di questi popoli.

"Defixiones, Will and Testament" se centre sur le génocide armenien, anatolique et grec qui a eu lieu, pour la plupart, sous le prétexte de la Première guerre mondiale (1914-1917). L'Empire Ottoman, à présent République de Turquie, a employé de nombreux moyens de destruction pour mettre en acte une politique de nettoyage éthnique. Le but n'était pas seulement de tuer, mais d'effacer et anéantir toute trace de l'existence même de ces peuples.


DISC A
THE DANCE:

1. The Dance [Պարը] - Ter Vogormia [Տէր Ողորմյա]
2. The Desert [الصحراء] Part I
3. The Desert [الصحراء] Part II
4. Sevda zinciri
5. Holokaftoma [Ολοκαύτωμα; Holocaust, Olocausto]
6. Ter Vogormia [Տէր Ողորմյա] (reprise)
7. The Eagle Of Tkhuma [ݎܸܫܒ݅ܐ ܒܼܬܚܗܼܡܹܐ]
8. The Orders From the Dead

DISC B
SONGS OF EXILE:

1. Hastayım yaşıyorum
2. Σαν πεθάνω στο καράβι
3. Je rame
4. Epístola a los transeúntes
5. Birds Of Death
6. Άνοιξε, άνοιξε
7. Todesfuge
8. Artémis
9. See That My Grave Is Kept Clean

Άντε, σαν πεθάνω τι θα πούνε; Πέθανε κάποιο παιδί
Πέθανε κι ένας λεβέντης που γλεντούσε τη ζωή άμαν!άμαν!

Άντε, σαν πεθάνω στο καράβι, ρίξτε με μες στο γιαλό
Να με φάνε τα μαύρα τα ψάρια και το αρμυρό νερό άμαν! άμαν!

inviata da DonQuijote82 - 15/10/2011 - 16:58




Lingua: Inglese

Versione inglese
IF I DIE ON A BOAT

Ah, if I die, What will they say? Some fellow died
A fellow who loved life and enjoyed himself. Aman! Aman!

Ah, if I die on the boat, throw me into the sea,
So that the black fish and the salt water can eat me. Aman! Aman!

19/10/2011 - 22:33




Lingua: Italiano

Gian Piero Testa.
Gian Piero Testa.

Versione italiana di Gian Piero Testa

Canzone smirneica tradizionale: un cavallo di battaglia della grande rebétissa Sotirìa Bellou (ce la troverà il nostro Yorgos?). "Amàn amàn" vale il nostro "ahimé" e contraddistingue quello specifico genere musicale e così pure i caffé dove lo si eseguiva: i famosi Caffé Amàn di Smirne. Al traduttore inglese va detto che "san" non è "if", ma "when". Il "levendis" lo sa che sui bastimenti prima o poi si muore. (gpt)
QUANDO MORIRÒ SUL BASTIMENTO

Eh, quando morirò sul bastimento che si dirà? E' morto un ragazzo
È morto anche un bel ragazzo che si godeva la vita amen, amen!

Eh, quando morirò sul bastimento, gettatemi nel mare
Che mi divorino i neri pesci e l'acqua salmastra amen, amen !

inviata da Gian Piero Testa - 20/10/2011 - 22:38




Lingua: Tedesco

Deutsche Übersetzung von Riccardo Venturi
18. November 2011
WENN ICH AM SCHIFF STERBE

Ach, wenn ich am Schiff sterbe, was wird man sagen? Ein Junge starb,
ein hübscher Junge starb, der das Leben genoß, Amen, Amen!

Ach, wenn ich am Schiff sterbe, werft mich ins Meer
so daß mich die schwarze Fische und das Salzwasser fressen, Amen, Amen!

18/11/2011 - 15:17


La traduzione inglese è quella che si trova sul sito ufficiale della Galas

DonQuijote82 - 22/10/2011 - 10:55


Allora glielo concediamo. Il fatto è che i Greci hanno già raggiunto quello che i Romani (nel senso dei Romaneschi) si sforzano con tutti i mezzi di imporre al resto del Paese: il dileguamento del Congiuntivo. Chi scrive(va) in "katharévusa", cioè nella lingua colta, può (poteva) rispettare la differenza tra i due modi, la quale, tuttavia, non giunge all'orecchio, essendo perfettamente uguali le due pronunce. Intendendo "pethano"come un congiuntivo, il senso sarebbe: "quando muoia, quando dovessi morire" e si giustificherebbe, allora, la traduzione con l'ipotetica. Se invece lo si sente come come indicativo, allora vale "quando morirò". La scelta, a questo punto, è di chi, come me, preferisce pensare che il navigante sia rassegnato a un tragico destino, o di chi invece lo immagina arrovellarsi nel dubbio. Ma aspettiamo cosa sentenzierà Riccardo.

Gian Piero Testa - 22/10/2011 - 17:48


Nell'attesa di occuparmi meglio di questa pagina (ho intrapreso l'epico compito di rimettere tutte le "Defixiones" di Διαμάντα Γαλᾶς in ordine, anche coi loro bravi testi armeni, turchi e siriaci), mi permetto di dissentire un po' da Gian Piero. Avverto che è un commento "tecnico" incomprensibile per chi non sa il greco, e me ne scuso in anticipo.

E' pur vero che, al presente, la differenza tra indicativo e congiuntivo si è annullata da tempo immemore, e che basta mettere un bel να; ma perlomeno nella grafia, fino almeno agli anni '50 anche nella δημοτικἠ si scriveva παίρνεις all'indicativo ma να παίρνης al congiuntivo. Addirittura, nella famosa "Grammatica Neoellenica" di Nicola Catone (1967), si insegna a dire φέρνομε (con φέρνουμε come variante volgare!) all'indicativo, e να φέρωμε (con να φέρουμε sempre come variante volgare, "seppur più usata" -sic-) al congiuntivo. Tutto, ovviamente, si pronunciava allo stesso modo; ma all'aoristo i due modi sono restati ben distinti a causa della differenza dei temi.

La forma σαν πεθάνω è comunque diversa dall'indicativo πεθαίνω, anche nella pronuncia. Si può scrivere σαν πεθάνεις o σαν πεθάνης, ma le forme restano comunque distinte dall'indicativo πεθαίνεις. E questo accade in tutti i verbi: ad esempio, al presente να φέρνεις, να παίρνεις, να γράφεις, ma al congiuntivo aoristo να φέρεις, να πάρεις, να γράψεις. Insomma, dire che il congiuntivo sia stato eliminato in greco, mi sembra esagerato. Al presente si è totalmente fuso morfologicamente con l'indicativo, ma all'aoristo proprio per nulla. Forse però, Gian Piero, bisognerebbe anche dire al malcapitato che si è addentrato in questo commento che il verbo greco "funzia" in modo del tutto diverso da quello italiano, con le sue differenze di aspetto dell'azione (durativa, momentanea e compiuta) che noi non abbiamo. In greco, dire "ora scrivi!" (azione momentanea) è un imperativo aoristo (γράψε) mentre "scrivi per due ore!" è un imperativo presente (γράφε); e lo stesso vale per il congiuntivo. Una cosa è dire θέλω να γράψεις τώρα "voglio che tu scriva ora" e un'altra è θέλω να γράφεις όλη τη μέρα "voglio che tu scriva tutto il giorno". Forme distinte e aspetti diversi. Credo che il romanesco, in entrambi i casi, dica "vojo che scrivi, ahò!"

In ultimo vorrei far notare che almeno in una lingua neolatina questa distinzione aspettuale esiste eccome: lo spagnolo. Il greco σαν πεθάνω si rende con "cuando muera", con il congiuntivo presente (che nei paesi latinoamericani oramai ha preso comunemente il posto del futuro indicativo). In spagnolo di Spagna, "cuando moriré" vuol dire "quando sarò morto di sicuro", mente "cuando muera" vuol dire "quando eventualmente morirò" (proprio come il σαν πεθάνω greco).

Questo serve a far capire una cosa fondamentale: i greci "sentono" l'azione verbale in modo diverso dal nostro (e non per niente, il "ponte degli asini" per la conoscenza del greco è non padellare gli aspetti verbali a ripetizione). A mio parere, a parte la differenza morfologica, σαν πεθάνω non puà affatto voler dire "quando morirò di sicuro" ma soltanto "quando morirò eventualmente". Usando il futuro, il durativo θα πεθαίνω (composto col presente) vuol dire "morirò = continuerò a morire (d'amore, di paura ecc.)" mentre il momentaneo θα πεθάνω (composto con il congiuntivo aoristo vuol dire "morirò (ora, in un dato momento)" e il compiuto θα έχω πεθάνει (composto con il perfetto) vuol dire "sarò morto". Un greco non può sentire σαν πεθάνω come un indicativo, modo della certezza; lo sente come υποτακτικός, modo del pensiero indiretto e dell'incertezza. Insomma, a mio parere il congiuntivo greco è vivo e vegeto e lotta insieme a noi; senza contare che, all'interno dell'aoristo stesso, ben diverse sono le forme morfologiche dell'indicativo (πήρα, έφερες, βρἠκε) da quelle del congiuntivo (να πάρω, να φέρεις, να βρει).

Riccardo Venturi - 2/11/2011 - 01:35


Direi che Riccardo ha messo ogni cosa - me compreso- al suo posto. Veramente da par suo. E' un peccato che l'ostacolo della lingua non permetta a tutti di apprezzare quanto questa pagina, chiusa all'una e mezza della notte, sia informata, ragionata e limpidamente esposta. Che dire? Grazie.

Gian Piero Testa - 2/11/2011 - 08:10


Un'aggiunta: in generale i greci "sentono" la differenza aspettuale, ma se qualcuno chiede loro di spiegarla cominciano a balbettare "mah...forse...boh...non so". Per i greci è una cosa talmente naturale e normale da non rendersene probabilmente nemmeno conto. Ed è una cosa plurimillenaria: dal greco omerico fino ad oggi si è mantenuta assolutamente intatta. Provare a chiedere a un greco come mai in certi casi si dice γράφε, να γράφω e in certi altri γράψε, να γράψω è un'impresa epica; ci provai una volta con un giovane conoscente nella penisola Calcidica, e la risposta, assai decisa, fu "perché è così". Però lo stesso greco ti riprende se sente che hai toppato l'aspettino malefico; uno straniero che parla una lingua dove la differenza morfologica aspettuale non esiste (come un italiano, un tedesco, un inglese) si trova spesso a malpartito e deve ogni volta fare mente locale (vale a dire pensare se "baciami" è un imperativo aoristo (= dammi un bacio adesso, e uno solo) oppure un imperativo presente (= continua a baciarmi per mezz'ora); oppure se "scriverò" è un futuro momentaneo (= ora scriverò qualcosa) o durativo (= mi metterò a scrivere qualcosa e ci metterò un certo tempo"). Facilitati da questo punto di vista sono i parlanti delle lingue slave: loro l'aspetto ce l'hanno eccome, addirittura con verbi distinti per l'aspetto momentaneo e durativo ("imperfettivi" e "perfettivi"). In russo "scrivere" è pisat' se vuol dire "mettersi a scrivere" e napisat' se vuol dire "scrivere continuativamente" (o "scrivere finché non si è finito").

Riccardo Venturi - 2/11/2011 - 10:50


Ho fatto anch'io la stessa esperienza. Nei primi tempi, quando avevo deciso di imparare il greco, gli amici erano incaricati di correggermi gli errori che via via commettessi: e puntualmente, se usavo il tema dell'aoristo mi contrapponevano quello del presente e viceversa. Quando, spazientito, ne chiedevo ragione, facevano spallucce: che ne sacc'io, così si dice... Alla fine mi sono arrangiato da solo, e, guardando a come gli scrittori maneggiano gli aspetti verbali, non mi sembra di sbagliare troppo. Un altro bel pasticcio, che il Greco comune non sa spiegare ma sa - un po' meno, però - maneggiare d'istinto, è quello della differenza tra aoristo e perfetto come tempi storici. D'altra parte, neppure gli Italiani se la cavano tanto bene con il passato remoto e il passato prossimo.

Gian Piero Testa - 2/11/2011 - 11:35


La differenza tra aoristo e perfetto è, in greco come in italiano, aspettuale. Dico "in italiano" usandolo come in Toscana: qui ancora il passato remoto è vivo nel parlato e indica un'azione momentanea nel passato ("vidi" = vidi in un dato momento e basta) oppure non specificata quanto a durata ("Manzoni scrisse i Promessi Sposi" = li scrisse genericamente e stop). Il perfetto, o passato prossimo (meglio sarebbe chiamarlo "passato composto"!), indica invece un'azione compiuta nel passato, cioè già terminata ma i cui effetti perdurano ancora nel presente: "stamani ho visto mio padre", "ieri ho scritto una lettera" (e l'ho portata a termine), "Manzoni ha scritto i Promessi Sposi" (e li ha finiti di scrivere). In linea di massima, anche in greco funziona così, e questo fa vedere anche che l'aspetto verbale è presente anche in italiano, se lo si va a cercare e ci si ragiona sopra un momento; tra l'altro, sia l'italiano che il greco hanno l'imperfetto, che indica sì un'azione passata, ma durativa (vista nel suo svolgersi: "mentre scriveva i Promessi Sposi, Manzoni mangiava fish and chips"). Altra precisa differenza aspettuale. E ancora in italiano: una cosa è dire "scrivo" (azione durativa generica nel presente), e un'altra "sto scrivendo" (azione durativa e continuativa nel presente). Certo, in vaste zone d'Italia il problema è stato risolto alla radice: al Nord si usa solo il passato prossimo, e al sud solo il passato remoto. Restiamo solo noi in Toscana a usare i due tempi, e ovviamente non ce ne rendiamo minimamente conto. Quando stavo in Svizzera con una ragazza ticinese, tutti e due parlavamo "italiano" all'inizio; ma quando parlavo lei mi guardava come se fossi un alieno, coi miei "vidi" e "disse"; una volta le chiesi di "passarmi la granata" (in toscano: scopa) e lei mi guardò preoccupata pensando che volessi una bomba a mano. Lo stesso effetto mi faceva lei coi suoi passati prossimi, il suo "Natel" e i suoi "medicamenti". Alla fine s'attaccò a parlare in francese; lingua nella quale il passato remoto esiste oramai solo nell'uso letterario ed è scomparso dalla lingua parlata. Però, ai miei occhi di toscano, fa impressione leggere qualcosa del tipo "Napoléon est né en 1769 et mort en 1821", come se fosse nato e morto ieri mattina. Il tedesco ha una situazione ancora più particolare. Nella lingua scritta esistono sia il passato semplice, o remoto ("ich kaufte") e il passato composto ("ich habe gekauft"): ma non c'è nessuna differenza tra di loro. Usare uno o l'altro tempo è solo una questione stilistica. Nel parlato, il passato semplice è kaputt, e non esiste più da secoli nei dialetti (e nello yiddish, e persino nel Pennsylvania Dutch).

Riccardo Venturi - 4/11/2011 - 13:27


Perfetta la lezione. Hai citato il Manzoni. Lo sai che, tornato dai lavacri in Arno (a proposito, come va costì con codesti diluvj? Ora si piange a Genova, ma se arrivano anche alle vostre parti, Fiorenza non gode), il Manzoni strapazzava la servitù, perché non ammetteva che in casa sua (via Girolamo Morone, Milano) i fagiolini venissero chiamati "cornetti"? Avendo contratto anch'io il mio lessico familiare, ricordo che un giorno mi infilai in un buffo equivoco con una ragazzina romana, per la qualei cornetti altro non erano che i "croîssant". E poi il Manzoni rifilò a una figlia Giuseppe Giusti come sposo, perché parlava un toscano coi fiocchi: come altri diventano suoceri dei medici, perché non si sa mai, da vecchi.

Gian Piero Testa - 4/11/2011 - 17:02




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