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Ανεπίδοτα γράμματα

Mihalis Grigoriou / Μιχάλης Γρηγορίου


Mihalis Grigoriou / Μιχάλης Γρηγορίου

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1) Anepidota Grammata


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Στίχοι: Άρης Αλεξάνδρου
Μουσική: Μιχάλης Γρηγορίου
Πρώτη εκτέλεση: Αφροδίτη Μάνου & Σάκης Μπουλάς ( Ντουέτο )
LP: Ανεπίδοτα γράμματα - 1977

Anepìdota gràmmata
Testo di Aris Alexandrou
Musica di Mihalis Grigorìou
Prima esecuzione di Afroditi Manou con Sakis Boulàs
LP: "Anepìdota gràmmata/Lettere non recapitate" - 1977

Tra il poeta e il compositore cui si deve la traduzione musicale di questa poesia - la quale risale agli anni degli internamenti nelle isole aride dell'Egeo - corre quasi per intero una generazione.

Mihalis Grigorìou (vedi la nota biografica) è un musicista nato nel 1947 che si annovera tra gli autori internazionali di musica contemporanea, ma che ritorna a intervalli alla canzone "popolare" come se, di tanto in tanto, avvertisse il bisogno di rivisitare le radici identitarie. Sono ritorni, tuttavia, che vengono mediati dalla poesia alta che la Grecia ha saputo produrre nel secolo scorso.

Aris Alexandrou (1922 - 1978) appartenne invece alla generazione che conobbe il fuoco delle guerre e il ferro delle prigioni. La sua biografia lo collega alle lotte e alle sofferenze di chi si oppose, in successione, alla dittatura di Metaxas, all'occupazione italotedesca, alla restaurazione monarchica con la guerra civile che ne seguì, e infine alla Giunta di Papadopoulos: ma, rispetto ai coetanei, Aris dovette doppiamente penare, perché la sua indipendenza di giudizio e una rettitudine a tutta prova non ne fecero solo un perseguitato dei fascisti, ma lo isolarono dai suoi stessi compagni di lotte, che si atteggiarono clericalmente nei suoi confronti.

Anche se la sua figura è sufficientemente nota in Italia, grazie alla traduzione del suo unico romanzo "Το Κιβώτιο/La cassa" (edito da Crocetti, Milano nel 2005 con il titolo " L'interrogatorio"), vale forse la pena di rievocarla rapidamente qui, sia per rendere al poeta e all'uomo l'onore che pienamente merita, sia per penetrare meglio il senso di queste canzoni, nate come poesie dai campi di deportazione.

Aris Alexandrou nacque nel 1922, con il nome di Aristotélis Vassiliadis, a Leningrado (San Pietroburgo) da madre estone e padre greco. Nel 1928 la famiglia si stabilì in Grecia, prima a Salonicco e poi ad Atene, dove il ragazzo, frequentato il liceo, si iscrisse a Economia e Commercio. Lasciò gli studi economici per farsi traduttore, approdando nel 1941 alla casa editrice Govosti, la stessa che aveva dato lavoro a Yannis Ritsos.
Già durante la dittatura di Metaxas, Aris si avvicinò con pochi amici al marxismo, dando vita a un piccolo gruppo poi confluito, con l'Occupazione del 1941, nelle organizzazioni comuniste. Ma solo un anno dopo se ne distaccava, pur senza abbandonare l'attività antifascista. Pagò questo atto con l'isolamento che gli riservò la principale forza animatrice della Resistenza e quando, nel 1944, arrivò per lui il primo internamento (in Africa Settentrionale) per mano inglese, dovette affrontare in quasi totale solitudine, pur non avendo partecipato alla guerra civile, un quindicennio di prigionie e di confini, gli stessi che subirono i compagni rimasti organizzati: Limnos, Makronisso, Ai Stratis ecc. Da loro non ebbe solidarietà, se non da pochi, come il poeta Yannis Ritsos. Eppure Alexandrou non si piegò ai tentativi di estorsione della lettera di pentimento (la "dìlosi metànias") che si praticavano con ogni mezzo a Makronissos (vai a: Καντάτα για τη Μακρόνησο), anche se, come emerge anche da una delle canzoni, non si erigeva a giudice di chi per paura o per sfinimento si risolveva a firmarla. Nel 1952, quando gli altri prigionieri e deportati cominciavano ad essere rilasciati, per le pressioni internazionali sul governo greco, Alexandrou fu di nuovo imprigionato e condannato a dieci anni di reclusione come "irriducibile"... in rapporto ai periodi in cui era stato deportato. Trascorse così altri sette anni nelle carceri "Averof" di Atene, e di deportazione nelle isole di Salamina e di Yaros, prima che una revisione del processo interrompesse l'infernale persecuzione.

Finalmente liberato, alla fine degli anni Cinquanta, riprende intensamente il suo lavoro di traduttore, grazie al quale i suoi connazionali conoscono, insieme a molti altri scrittori russi, Majakovskij e la Akmatova, ma anche molti romanzieri e poeti francesi, inglesi e americani. Continua la produzione poetica, iniziata negli anni Quaranta e, come poeta che conosce i poeti, raggiunge una discreta notorietà. Sposa anche una poetessa, quella Keti Drossou (Καίτη Δρώσου) che aiutava a distanza i confinati della guerra civile e con la quale Yannis Ritsos aveva tenuto una quasi amorosa corrispondenza condensata nelle dieci righe consentite dal regolamento, o, di nascosto, sulla carta dei pacchetti di sigarette (vai alla nota biografica).

Quando nell'aprile del 1967 in Grecia ritorna la dittatura, Aris riesce a riparare in Francia con la moglie. A Parigi l'esule viene evitato dalla "colonia" dei fuoriusciti, che non gli perdonano l'assoluta e orgogliosa indipendenza (“Δεν ανήκω σε κανένα κόμμα και σε καμιά πολιτική οργάνωση. Δεν είμαι μέλος καμιάς εκκλησίας. Δεν είμαι οπαδός καμιάς θρησκείας…: Non appartengo ad alcun partito, né ad alcuna organizzazione politica. Non sono membro di nessuna chiesa. Non sono zelatore di nessuna religione.”). Le personali interpretazioni della condotta politica e la carica ironica, finanche sarcastica, con la quale ha maltrattato le ipocrisie e le mene personali dei dirigenti politici, nonché l'approdo inumano della rivoluzione sovietica, lo mettono al bando. Tra i rifugiati, taluni non sarebbero tanto ligi al partito da evitare l' "appestato", se si fosse in condizioni normali: ma qualche convenienza e il classico ricatto, per cui le critiche interne, aiutando il nemico preponderante, hanno odore di tradimento, fanno sì che la coppia Alexandrou- Drossou attraversi anni terribili di miseria, solitudine e delusione. Per guadagnarsi da vivere, Aris fa il garzone nei grandi magazzini, lo spazzino, la guardia notturna, il facchino e, quando gli capita, anche il traduttore. Ma continua a scrivere, strappando le ore al sonno e alla fatica del vivere.

Alla fine della dittatura un altro "passo falso", cioè la pubblicazione avvenuta nel 1975 del romanzo "L'interrogatorio", composto nelle condizioni sopra descritte, allarga il vuoto intorno a lui, al punto da farlo decidere a non rimpatriare. Nell' "Interrogatorio" infatti si svolge un racconto metaforico di cruda e kafkiana evidenza, che infastidisce i fedeli del partito: siamo nel 1949, verso la fine della guerra civile. Una task force - come si dice adesso - di quaranta provati combattenti dell'esercito democratico è incaricata di trasferire una preziosa cassa, di cui è loro ignoto il contenuto. Solo il comandante sa dove la debbono portare, ma nemmeno lui conosce che cosa contenga. Dopo due mesi di peripezie durante le quali, come l'equipaggio di Ulisse, tutti i subordinati si sacrificano e cadono, la cassa viene recapitata a chi di dovere dal comandante superstite. Si constata che essa era perfettamente vuota. Sospettato, il comandante viene imprigionato e obbligato a scrivere la cronaca dell'impresa, la quale coincide con il romanzo stesso.

Aris Alexandrou sopravvisse solo tre anni all'uscita del suo romanzo, una delle più significative opere della narrativa neogreca postbellica, e si spense a Parigi per crisi cardiaca all'età di 56 anni.

Pur senza troppo discostarsene, i testi musicati non rispecchiano filologicamente quelli del poeta: c'è qualche fusione di componimenti separati, qualche elisione, e l'inserimento di due liriche che in senso stretto non appartengono al gruppo "Lettere non recapitate". (gpt)

1) Ανεπίδοτα γράμματα

Επιταγές και δέματα
Τα κανονίζεις όπως όπως
Τριάντα τα εκατό πενήντα τα εκατό
Μα ποιος θα πάρει την μισή μου ξενιτειά;
Ποιος θα δεχτεί να πάρει
Τριάντα τα εκατό απ’ τη μισή μου ξενιτειά

Πλάι στη θάλασσα μαζί σου
Είχα μπορέσει να πετάξω
Δυο βότσαλα στην άκρη του γιαλού
Και μας πιτσίλισαν λιακάδα

Δεν ξέρω αν διαβάζεις ανάμεσα στις δέκα μου αράδες
Πόσο πολύ μου λείπει το βορινό παράθυρο κλειστό
Μην τύχει και κρυώσει
Ένα φλιτζάνι τσάι που αχνίζει
Τα περιστέρια των χεριών σου

Λέω να κλείσω τα παντζούρια
Μήπως και μείνει τίποτα απ’ το σούρσιμο της χτένας
Στα μαλλιά σου
Λέω ν’ ανεβάσω το φιτίλι
Μη μου χαθεί η φωνή σου


2) Σύντροφε κοιμάσαι;

Σύντροφε κοιμάσαι;
Ήθελα να μου πεις, ξέρεις καμιά σελίδα μαρξισμού
Που να βουλιάζουνε οι λέξεις στο χαρτί
Σαν τη σιωπή μου
Στις κόρες των ματιών της;
Ο Πέτρος που κοιμάται στο τσιμέντο
Δίχως φόδρα στο σακάκι
Κάθε πρωί μου έκανε τράκα μια καλημέρα στα κλεφτά
Γιατί τον είχαν για προδότη

Βάλαμε τις στάμνες
Εκεί που έστρωνε την τρύπα κουρελού
Μιλάμε για την δήλωση
Τις ώρες που έμενε σκυφτός
Διαβάζοντας μια περσινή εφημερίδα

Τότε θα’πρεπε να’ταν που μας έπιασε βροχή
Ανάβοντας τσιγάρο είδα το πρόσωπό σου
Στο τζάμι της βιτρίνας
Κάτι ψιχάλες πέσανε στα μαλλιά σου και το σβήσανε

Δίπλα στις στάμνες που κρυώνουν το νερό
Βλέπω πως αν ήταν να διαλέξω
Θα γύριζα κοντά σου
Αν τα κατάφερνα να βρω το σπίτι μου
Θα σε έπαιρνα μαζί μου

Στο θάλαμο κρυώνουν
Με τα πόδια στις κουβέρτες
Με το παλτό στην πλάτη
Θέλω να σου γράψω
Μα τι σε νοιάζει εσένα η σιωπή του
Κάτω από τη βροχή;


3) Άννα

Όλο μιλάω για γραμμές επίπεδα και πέτρες
Για να μην τύχει και προσέξεις
Πόσο διστάζω να σε αγγίξω
Σαν τον κατάδικο που στέκει μες στη νύχτα
Διστάζοντας να βάλει το απολυτήριο στη τσέπη
Γιατί το ξέρει
Πως τόσο φως δεν θα το αντέξει

Είχα πάντα έτοιμο
Ένα μικρό μπουκάλι πού’ριχνα στη θάλασσα
Βόρειο πλάτος – αλλάζει κάθε μέρα
Μεσημβρινός – αλλάξει κάθε νύχτα
Στίγμα – οι χειροπέδες μου
Δεν το’ριξα ποτέ
Φαίνεται πως πάντοτε υπήρχες
Όσο υπάρχεις
Ταξιδεύω
Θα σε βρω
Όπου πατάς
Πέφτουν πράσινα φύλλα

Ίσως και να’ναι πρόφαση
Όπως προφασίζουμε τα φύλλα
Κι έχω κατά νου μου το νερό
Όπως μιλάω για γεράνια
Και βλέπω εκεί που αγγίξανε
Τα χείλη σου το φως

Τις νύχτες σκάβαμε κρυφά
Μια υπόγεια σήραγγα
Μ΄ένα σουγιά μ΄ένα πιρούνι με τα νύχια
Σκάβαμε τις πέτρες
Ξέροντας πως θα φτάσουμε το πολύ ως τη θάλασσα
Κι όμως μας ήταν ανάγκη
να βλέπουμε τα χέρια μας να ζούνε
μου ήτανε ανάγκη
να βλέπω πως κοντεύω πόντο – πόντο
να σε φτάσω


4) Με τι μάτια τώρα πια

Εσύ το ξέρεις πως δεν έφυγα φαντάρος
Εγώ το ξέρω πως ποτέ δεν θα γυρίσω
Το έμαθα προχτές
Οι πεθαμένες μάνες
Δεν έχουνε παιδιά

Βιάστηκες μητέρα να πεθάνεις
Δεν λέω – είχες αρρωστήσει από φασισμό
Κι ήταν λίγο το ψωμί, έλειπα κι εγώ στην εξορία
Ήτανε λίγος ο ύπνος κι ατέλειωτες οι νύχτες
Μα πάλι ποιος ο λόγος να απελπιστείς προτού να κλείσεις
Τα εξηντατέσσερα
Μπορούσες να’σφιγγες τα δόντια
Έστω κι αυτά τα ψεύτικα τα χρυσά σου δόντια
Μπορούσες να αρπαζόσουνα από ένα φύλλο πράσινο
Απ’ τα γυμνά κλαδιά
Απ’ τον κορμό
Μα ναι το ξέρω
Γλιστράν τα χέρια και ο κορμός του χρόνου δεν έχει φλούδα
Να πιαστείς
Όμως εσύ να τα’μπηγες τα νύχια
Και να τραβούσες έτσι πεντεξι – δέκα χρόνια
Σαν τους μισοπνιγμένους που τους τραβάει ο χείμαρρος
Κολλημένους στο δοκάρι του γκρεμισμένου τους σπιτιού
Τι βαραίνουν δέκα χρόνια για να με ξαναδείς
Να ξαναδείς ειρηνικότερες ημέρες και να πας
Στο παιδικό σου σπίτι με τον φράχτη πνιγμένον στα λουλούδια
Να ζήσεις μες στη δίκαιη γαλήνη
Ακούγοντας τον πόλεμο
Σαν τον απόμακρο αχό του καταρράχτη
Να’χεις μια στέγη σίγουρη σαν άστρο
Να χωράει το σπίτι μας την καρδιά των ανθρώπων
Κι από τη μέσα κάμαρα
Όμως εσύ μητέρα βιάστηκες πολύ
Και τώρα με τι χέρια να’ρθείς και να μ’αγγίξεις
Μες από τη σήτα
Με τι πόδια να ζυγώσεις εδώ που’χω
Τριγύρω μου τις πέτρες
Σιγουρεμένες σαν ντουβάρια φυλακής
Με τι μάτια τώρα πια να δεις πως μέσα δω χωράει
Όλη η καρδιά του αυριανού μας κόσμου
Τσαλαπατημένη
Κι από το δίπλα θάλαμο ποτίζει η θλίψη
Σαν υγρασία σάπιου χόρτου


5) Ήθελε να ζήσει

Μας παίρνουν τον Κωστή για το στρατοδικείο
Τα δάχτυλά του
Μπερδεύονται και δένονται στους κόμπους
Δε λέει ακόμα να αποχωριστεί τις δύο κουβέρτες
Δεν το αποφάσισε ακόμα
Να μας αφήσει τα άχερα
Ένιωσα τη βέρα στο μεσιανό του δάχτυλο
Πρώτη φορά μου παίρνανε
Τόσο χρυσάφι μέσα από τα χέρια

Ήθελε να ζήσει
Όσο θέλουμε κι εμείς
Κι όμως τον σκοτώσαμε
Είχε ένα χαμόγελο
Σαν τη στιγμή που στρίβω τη γωνιά
Και βλέπω φως
Στο παράθυρό σου
Κι όμως τον σκοτώσανε
Μπόρεσε και δέχτηκε πως θα τον ξεχάσουμε
Όπως ξεχνάς μια πέτρα που κρατάει το σπίτι σου
Κι όμως τον σκοτώσανε

Κοίτα να πας στην ξαδέρφη του Κωστή
Μόνο πρόσεξε μην κλάψεις
Όπως βουρκώνουνε τα μάτια των ποιητών
Που έχουν έτοιμο το δάκρυ
Σαν τους σοφέρ το κλάξον μες στη πολυκοσμία

Να κάτσεις να τα πείτε
Όπως μιλάνε οι ζωντανοί
Να θυμηθείτε τα μάτια που σκοπεύουν
Μια ντροπή πιο κάτω από τον ώμο
Τα μάτια που κοιτάνε
Μια τελευταία φορά πιο πάνω από τις στέγες
Μα πριν απ’ όλα μην ξεχάσεις
Πως απ’ τους δέκα που τον ρίξαν
Οι εφτά
Ήταν άλλοτε δικοί μας
Απ’ τους εφτά
Οι τρεις
Εσείς οι δυο που δεν πιστέψατε ακόμα
Πως ένα μπλε σακάκι
Ξεμαθαίνει να αγκαλιάζει
Μόλις κλείνει κρεμασμένο στο ντουλάπι δυο λεφτά
Κι εγώ
Που τάχα θα προστάξω
Τα χάρτινα στήθη των στίχων
Να σώσω τον Κωστή
Απ’ την ανωνυμία


6) Παραλλαγή

Σου δίνουμε τον όρκο μας
Να σε θυμόμαστε τις νύχτες που νυχτώνει
Σου δίνουμε τον λόγο μας
Να σηκώνουμε τα πέτα του παλτού
Κάθε που θα λέμε συνωμοτικά
Σα να’χει ψύχρα απόψε

Ήξερες πως θα’ρθουνε
Κι ήρθαν
Το στήθος σου μένει σπασμένο
Σαν μπαρουτοβάρελο
Άδειο
Δίχως στεφάνια

Η βρεγμένη στάχτη
Χύνεται απ’ το στόμα
Στ’αξούριστα πηγούνια μας

Τον πήρανε νύχτα
Πολύ νύχτα
Κάτω στα μαγειρεία
Τ’αναμμένα στουπιά κι ο καπνός
Γυαλίσανε τα μάτια του
Μ’ ακάθαρτο πετρέλαιο
«μηδέν και δεκαπέντε»
ποτέ δε θα προφτάσουμε
ο κάθε λόγος εξοστρακίζεται
ματώνοντας τα μούτρα των παιδιών
σαν μια χιονόμπαλα που κρύβει
κοφτερά χαλίκια

Τον ρίξαν απ’ τη βάρκα
Το κύμα καταλάγιασε
Όσοι δεν αφήσατε να σπάσουν
Τ’ακουστικά σας τύμπανα
Στις επινίκιες παρελάσεις
Αφουγκραστείτε
Τα κουπιά σοβαντίζουν
Όλες τις χαραμάδες
Μυστρίζοντάς τες
Μ’ άρμη και βροχή


7) Επιστροφή

Έτσι που γυρίσαμε
Γυαλίζουνε οι ράγες στο σκοτάδι
Απ’ την πολλή σιωπή
Έτσι που γυρίσαμε
Βρήκαμε τους εισπράκτορες σφαγμένους
Και το πεντακοσάρικο για το εισιτήριο
Θα μας περισσεύει
Και τα τέσσερα χρόνια
Γι’ αυτό που λέγαμε ζωή μας
Θα μας λείπουν
Έτσι που γυρίσαμε κι οι δρόμοι προχωράνε
Τετραγωνίζοντας την άδεια πολιτεία
Σε πένθιμους φακέλους
Κι αυτός ο αστυφύλακας περνάει και χασμουριέται
Θεέ μου! Ας μίλαγε τουλάχιστον αυτός
Κι ας μου ζητούσε
Την ταυτότητά μου.

inviata da Gian Piero Testa - 19/9/2011 - 22:06



Lingua: Italiano

Versione italiana di Gian Piero Testa
1) LETTERE NON RECAPITATE

Vaglia e pacchetti
Li gestisci un po' alla buona
Trenta per cento cinquanta per cento
Ma chi prenderà la metà del mio esilio?
Chi accetterà di prendere
Un trenta per cento della metà del mio esilio?

Vicino al mare accanto a te
Ero riuscito a scagliare
Due ciottoli nella risacca
E sbruffarono la luce del sole

Non so se leggi dentro le mie dieci righe
Quanto mi manchi la finestra a nord chiusa
Casomai non si raffreddi
La tazza di té che scotta di vapore
Le colombe delle tue mani

Voglio chiudere le imposte
Chissà che qualcosa resti del pettine passato
Sopra i tuoi capelli
Voglio alzare lo stoppino
Che la tua voce non si perda


2) DORMI, COMPAGNO?

Dormi, compagno?
Volevo mi dicessi, la sai una pagina almeno del marxismo
Dove le parole sprofondino nella carta
Come il mio silenzio
Nelle sclere degli occhi di lei?
Petros che dorme sul cemento
Senza imbottitura nella giacca
Ogni mattina mi scroccava un buongiorno di soppiatto
Perché lo consideravano un traditore

Posammo le brocche
Là dove stendeva il suo patchwork bucato
Parliamo della dichiarazione di pentimento
Nelle ore in cui stava rannicchiato
A leggere un giornale dell'anno prima

Allora fu come ci sorprendesse una pioggia
Accendendo una sigaretta vidi il tuo viso
Nel cristallo della vetrina
Ti caddero alcune gocce sui capelli e la spensero

Accanto alle brocche che rinfrescano l'acqua
Vedo che se potessi scegliere
Tornerei accanto a te
Se riuscissi a trovare casa mia
Ti prenderei con me

In camerata hanno freddo
Con le gambe nelle coperte
Con il paltò sulle spalle
Voglio scriverti
Ma che importa a te il suo silenzio
Sotto la pioggia?


3) ANNA

Mi ostino a parlare di linee piani e pietre
Perché non ti capiti di accorgerti
Quanto io esiti a sfiorarti
Come il condannato che nella notte sta
Dubbioso se intascare il foglio di scarcerazione
Perché lo sa
Di non sopportare tutta quella luce

Tenevo sempre pronta
Una bottiglietta da buttare in mare
Latitudine nord - cambia ogni giorno
Il meridiano - si sposta ogni giorno
Il punto - le mie manette
Non l'ho mai buttata
E' come se tu esistessi da sempre
Così come esisti
Io viaggio
Ti troverò
Là dove posi il piede
Cadono foglie verdi

Chissà che tu sia un pretesto
Come a pretesto prendo le foglie
E mi si pianta in mente l'acqua
Appena parlo di gerani
E vedo il punto in cui le tue labbra
Toccarono la luce

Scavavamo di notte di nascosto
Un passaggio sotto terra
Con un temperino con una forchetta con le unghie
Scavavamo le pietre
Sapendo che al massimo saremmo giunti al mare
E tuttavia per noi era necessario
Vedere vivere le nostre mani
Per me era necessario
Vedere che un centimetro alla volta
Io ti stavo raggiungendo


4) CON CHE OCCHI ADESSO ORMAI

Tu lo sai che non sono partito soldato
Io lo so che non ritornerò più
L'ho saputo l'altrieri
Le madri morte
Non hanno figli
Troppa fretta ci hai messo a morire, madre
Non dico - il fascismo ti aveva fatta ammalare
E il pane era poco, e io non c'ero ero deportato
Era scarso il sonno e interminabili le notti
Ma per quale motivo disperarsi prima di compiere
Sessantaquattro anni
Potevi stringere i denti
Sì, anche quei tuoi denti d'oro finti
Potevi lasciarti afferrare da una foglia verde
Dai rami spogli
Dal tronco
Ma sì, lo so
Le mani scivolano e il corpo del tempo non ha corteccia
Cui fare presa
Ma tu potevi conficcarvi le unghie
E tirare avanti così cinque, sei - dieci anni
Come i semiasfissiati che il torrente trascina
Avvinghiati alla trave della loro casa crollata
Che cosa mai sono dieci anni per rivedermi
Per rivedere giorni con un po' più di pace e andare
Alla tua casa di bambina con la cinta sommersa dai fiori
A vivere nella pace e nella giustizia
Ascoltando la guerra
Come un rombo lontano di cascata
Ad avere un tetto sicuro come una stella
La nostra casa che contiene il cuore degli uomini
Fin dalla camera più interna
Ma tu madre ci hai messo troppa fretta
E ora con quali mani mi puoi venire a sfiorare
Attraverso l'inferriata
Con quali piedi puoi venirmi vicino qui dove intorno
Ho queste pietre munite come muraglie di prigione
Con che occhi adesso ormai puoi vedere che qui dentro riesce a stare
Tutto il cuore del nostro mondo di domani
Calpestato
Mentre dalla camerata accanto la tristezza affiora
Come l' umidità dall'erba imputridita


5) VOLEVA VIVERE

Ci prelevano Kostìs per il tribunale militare
Le sue dita
Si confondono e si avvinghiano nelle strette
Non dice ancora che si separerà dalle sue due coperte
Non l'ha deciso ancora
Di lasciarci i pagliericci
Ho sentito la vera nel suo dito medio
Non era mai accaduto che mi rubassero
Tanto oro da dentro le mie mani

Voleva vivere
Come pure noi vogliamo
Eppure l'abbiamo ucciso
Aveva un sorriso
Come il mio nell'istante di girar l'angolo
E vedo una luce
Alla tua finestra
Eppure l'hanno ucciso
Ha saputo accettare che lo dimentichiamo
Come dimentichi una pietra che sostiene la tua casa
Eppure l'hanno ucciso

Mi raccomando va' dalla cugina di Kostìs
Sta' solo attenta a non piangere
Nel modo in cui si gonfiano gli occhi dei poeti
Che hanno la lacrima facile
Come l'autista il clackson in mezzo al traffico
Siediti e state parlare
Come parlano i vivi
Rievocate gli occhi che scrutano
Una vergogna al di sotto della spalla
Gli occhi che guardano
Per l'ultima volta al di sopra dei tetti
Ma soprattutto non dimenticare
Che dei dieci che gli hanno sparato
Sette
Erano un tempo dei nostri
Di questi sette
Tre
Voi due che ancora non credete
Che una casacca blu
Fa sì che si disimpari ad abbracciare
Nei due minuti da che è appesa nell'armadio
Ed io
Che forse protenderò
Il petto di carta dei miei versi
Per salvare Kostìs
Dall'anonimato


6) VARIAZIONE

Ti diamo il nostro giuramento
Di ricordarti ogni notte appena scende
Ti diamo la nostra parola
Di alzare il bavero del paltò
Ogni volta che parleremo da cospiratori
Come se di sera facesse freddo

Sapevi che sarebbero venuti
E sono venuti
Il tuo petto sta lì fracassato
Come un barile di polvere
Vuoto
Privo di cerchi

La cenere bagnata
Si versa dalla bocca
Sui nostri menti non rasati

Lo presero di notte
Notte fonda
Giù nelle cucine
Le stoppie accese e il fumo
Gli fecero brillare gli occhi
Con questo petrolio grezzo
«Zero punto quindici»
Mai faremo in tempo
E ogni parola è ostracizzata
E insanguina il muso dei ragazzi
Come una palla di neve che nasconda
Ciottoli taglienti

Lo gettarono dalla barca
L'onda si calmò
Quanti voi siete che non vi spaccaste
Le membrane dell'udito
Nelle sfilate di vittoria
Porgete orecchio
I remi ingessano
Tutte le crepe
Ripassandole di pioggia e di salsedine
Come cazzuole

7) RITORNO

Così al nostro ritorno
Luccicano nella notte i trolley
Per il troppo silenzio
Così al nostro ritorno
Abbiamo trovato sgozzati i controllori
E il biglietto da cinquecento dracme
Ci avanzerà
E i quattro anni
Di quella che chiamavamo la nostra vita
Ci mancheranno
Così al nostro ritorno anche le strade camminano
Disegnando un quadrato intorno alla città vuota
Dentro involti luttuosi
E questa guardia di città passa e sbadiglia
Dio mio! Almeno parlasse questo qui
E mi chiedesse
La carta d'identità

inviata da Gian Piero Testa - 19/9/2011 - 22:07




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