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Lu vecchiu Palermu di la Feravecchia

anonimo
Lingua: Italiano


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La statua del vecchio "Palermo" in piazza della Fieravecchia, intorno alla quale si riunivano i palermitani durante le rivoluzioni, era diventata il simbolo della protesta popolare dopo che il governo borbonico l'aveva fatta rimuovere. Questo sonetto fu stampato nella città siciliana non appena, il 7 giugno 1860, venne riposta nella piazza dal governo garibaldino.
Fonte :Regione Sicilia


La statua del vecchio Palermo, nella piazza della Fieravecchia, rappresenta un re che si lascia rodere il petto da un grosso serpente: intorno a questa statua, come a un luogo di ritrovo consueto, già fin dal ‘700 solevano raccogliersi i palermitani.
Ad essas il popolo attribuiva la funzione di commentare gli avvenimenti più significativi della vita cittadina. Durante i tumulti contro il Vicerè Fogliani (sett. 1773), la statua venne rivestita degli attributi della sovranità, parrucca, giamberga [vestito di gala, ndr], nicchio [probabilmente s’intende quella conchiglia o mezza luna metallica lavorata che veniva portata appesa al collo, cadente sul petto, facente parte delle alte uniformi, ndr] e spada la fianco.
A testimonianza dello sdegno popolare per gli eccidi perpetrati dai governi negli ultimi decenni succedutisi, essa venne più volte rivestta di gramaglie; imbrattata nel collo e nelle vesti di pane e pasta quando fame e miseria diventavano insopportabili; o ancora bersagliata dai fichi quando si voleva additare al disprezzo universale inerzia e passività con la quale i palermitani pativano soprusi e angherie.
Questo sonetto fu stampato nella capitale siciliana non appena la statua, che era stata fatta rimuovere dal governo borbonico [e rinchiusa nei magazzini dello Spasimo, per questo “mi sippillisti vivu, o gran tirannu”, ndr], e che tanta poesia colta e popolare aveva ispirato, fu riposta nella piazza della Fieravecchia il 7 giugno 1860.
La poesia fa allusione all’atteggiamento della statua, che il popolo diceva fosse in atto di orinare: “pisciu e rapisciu arreri tuttu l'annu”. […]”

(dall’introduzione di Antonino Uccello sul suo “Risorgimento e società nei canti popolari siciliani)

(Bartleby)
Nisciva arreri 'mmenzu, o Ciccu Bumma
Cu fascia e cu bannera a tri culuri;
comu d'Italia risunau la trumma,
ti detti un càuciu 'n culu, tradituri.

Su’ vecchiu, ma mi pènninu li giumma
li corna ti li fici, e cu valuri,
una vota pri sempri sugnu 'nzumma:
di ccà un mi smovu, o mortu o vincituri.

Tò patri era cchiù 'nfami di tò nannu,
ma tu fusti cchiù vili e mulacciuni,
mi sippillisti vivu, o gran tirannu.

Mi niscìu Garibaldi di la gnuni,
pisciu e ripisciu arreri tuttu l'annu
sta razza mmaliritta di Borbuni.

inviata da adriana - 17/8/2011 - 15:13



Lingua: Italiano

Versione italiana reperita in questa pagina
IL VECCHIO PALERMO ALLA FIERAVECCHIA

Son tornato alla luce, o Cecco Bomba,
con fascia e con bandiera tricolore;
appena d'Italia risuonò la tromba,
ti ho dato un calcio in culo, o traditore.

Son vecchio,ma mi pendono i "fiocchi"
Le corna te le ho fatte, e con valore,
una volta per sempre ho preso il sopravvento:
di qua non mi muovo, o morto o vincitore.

Tuo padre era più infame di tuo nonno
Ma tu fosti più vile e ancor più falso
Mi seppellisti vivo, o gran tiranno.

Dall'angolo m'ha tratto Garibaldi
Piscio e ripiscio di nuovo tutto l'anno
Su questa maledetta stirpe di Borboni.

inviata da adriana - 17/8/2011 - 15:16


Correzioni al testo siciliano:

Seconda strofa:
“Su’ vecchiu, ma mi pènninu li giumma”, dove giumma, letteralmente fiocchi, sta qui per testicoli.

Quarta strofa:
“pisciu e ripisciu arreri tuttu l'annu”, e alla fine Borbuni e non Borboni

Bartleby - 18/8/2011 - 09:15




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