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Ιδανικοί αυτόχειρες

Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης


Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης

Lista delle versioni e commenti


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(Ohra Speirohaiti / Ωχρά Σπειροχαίτη)


Idanikoí aftóheires
[1980]
Στίχοι: Κώστας Καρυωτάκης
Μουσική 1: Λουκάς Θάνος
Μουσική 2: Δήμος Μούτσης
Πρώτη εκτέλεση: Χρήστος Λεττονός [1980]
Νίκος Ξυλούρης: Σάλπισμα, 1980

Versi di Kostas Karyotakis
Musica 1: Loukas Thanos
Musica 2: Dimos Moutsis
Primo interprete: Christos Lettonós [1980]
Nikos Xylouris: in Σάλπισμα, 1980

xylsal
Autoritratto a penna di Kostas Karyotakis.
Autoritratto a penna di Kostas Karyotakis.
Come "secondo atto" del mio ritorno sul sito, ecco il greco. E, ovviamente, non poteva essere altro che il "mio" Xylouris; ma con una canzone inusuale, ironica, intrisa di humour nero e della propria vita. Karyotakis, insomma. È tratta dall'album Σάλπισμα, che il drammaturgo e scenografo teatrale Loukas Thanou realizzò a partire da poesie, oltre che di Kostas Karyotakis, di Kostas Varnalis, Aris Alexandrou e D. Thanos (è, tra l'altro, lo stesso album da cui è tratta Η μπαλάντα του Kυρ-Μέντιου). Un album dalla genesi complicatissima, iniziato nel 1972, già pronto nel 1976 ma pubblicato soltanto nel 1980; un album interamente affidato alla voce di Xylouris. E quando si affidava qualcosa alla voce di Psaronikos, fosse pure l'elenco del telefono di Iraklion, tutto diventava qualcosa d'indimenticabile.

Mesi d'assenza, però senza rinunciare alle mie "fissazioni"; e questa canzone lo è diventata presto perché mi tocca nel profondo. Continuavo a ripetermi: "Non appena torno sul sito, ce la metto immediatamente"; eccola qua. Una canzoncina di cui sostengo la terrificanza, perché si addentra in un territorio arduo: quello del suicidio. Canzoni che parlano di suicidi ce ne sono non poche, e si pensi solo alla Preghiera in Gennaio di De André; e ci sono anche canzoni che invitano a non farla finita (il Breve invito a rinviare il suicidio di Battiato e Sgalambro, Everybody Hurts dei REM...); ma questa è una canzone che prende atrocemente per i fondelli i tanti aspiranti suicidi che preparano tutta quanta la scena (verrebbe da dire: il rituale) sapendo già perfettamente che si guarderanno bene dal dar seguito all'insano proposito.

Mi tocca sí, questa canzone; tocca tutti coloro che, almeno una volta nella vita, hanno compiuto lo stesso rituale. Molti anni fa, oramai non so più nemmeno per quale motivo; in riva a un fiume, la lettera già scritta, in un'appropriata sera d'inverno buia e fredda. Mi tolgo le scarpe e i calzini e metto un piede nell'acquaccia lurida dell'Arno: lurida e diàccia da fare schifo. Ritraggo il piede e c'infilo l'altro: stessa scena. Al che, mi metto a sedere su un sasso con la testa tra le mani, e comincio a ridere. A sghignazzare. A crepapelle! Quell'episodio mi è bastato per impedirmi non solo di ritentarci, ma anche di pensarci ancora. Tuttora, quando intendo prendermi ferocemente per il culo da solo, ci rivado con la mente; e mi rimetto a ridere.

Ma c'è, probabilmente, anche dell'altro in questa canzone dei "Suicidi ideali". Ad esempio, i finti suicidi di tanti maneggioni, faccendieri, politicanti in galera; mentre quelli che, in carcere, si suicidano davvero (e a decine) sono i derelitti, gli immigrati, coloro che autenticamente non hanno e non sentono più una speranza. Si suicida chi perde il lavoro, chi viene licenziato in tronco per un furto di dieci euro, chi non sa più come andare avanti. Senza scrivere niente e senza rituali. Forse, in questo caso, sarebbe meglio parlare di omicidi di stato, sociopolitici.

C'è, infine, la fine. Kostas Karyotakis fu praticamente colui che introdusse il surrealismo in Grecia; surrealmente, o forse no, l'autore di questi versi contro i finti suicidi, si suicidò davvero. Il 21 luglio 1928, il poeta uscì di casa sua, a Preveza, e andò alla spiaggia di Monolithi dove tentò inutilmente, per dieci ore di fila, di annegarsi in mare. Non essendovi riuscito, con una scena che immagino surreale e comica (uno che prova per dieci ore a affogarsi, ve lo immaginate? Farebbe ridere anche Jorge da Burgos!), riscrisse la sua "ultima lettera" dove spiegava di essere un nuotatore provetto e che invece di morire gli veniva di fare bracciate su bracciate. La mattina dopo, uscì di nuovo di casa, andò a comprarsi una rivoltella e poi in un piccolo caffè, dove stette a fumare sigarette per tre ore, una dietro l'altra. Poi andò a un'altra spiaggia, Agios Spyridon (San Spiridione), e si sparò nel cuore sotto un albero di eucalipto. [RV]
Γυρίζουν το κλειδί στην πόρτα, παίρνουν
τα παλιά, φυλαγμένα γράμματά τους,
διαβάζουν ήσυχα, κι έπειτα σέρνουν
για τελευταία φορά τα βήματά τους.

Ήταν η ζωή τους, λένε, τραγωδία.
Θεέ μου, το φρικτό γέλιο των ανθρώπων,
τα δάκρυα, ο ίδρως, η νοσταλγία
των ουρανών, η ερημιά των τόπων.

Στέκονται στο παράθυρο, κοιτάνε
τα δέντρα, τα παιδιά, πέρα τη φύση,
τους μαρμαράδες που σφυροκοπάνε,
τον ήλιο που για πάντα θέλει δύσει.

Tους μαρμαράδες που σφυροκοπάνε,
τον ήλιο που για πάντα θέλει δύσει.

Όλα τελείωσαν. Το σημείωμα να το,
σύντομο, απλό, βαθύ, καθώς ταιριάζει,
αδιαφορία, συγχώρηση γεμάτο
για κείνον που θα κλαίει και θα διαβάζει.

Βλέπουν τον καθρέφτη, βλέπουν την ώρα,
ρωτούν αν είναι τρέλα τάχα ή λάθος,
«όλα τελείωσαν» ψιθυρίζουν «τώρα»,
πως θ' αναβάλουν βέβαιοι κατά βάθος.

«όλα τελείωσαν» ψιθυρίζουν «τώρα»,
πως θ' αναβάλουν βέβαιοι κατά βάθος.

inviata da Riccardo Venturi - 29/3/2011 - 00:23




Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
29 marzo 2011
SUICIDI IDEALI

Girano la chiave nella porta, prendono
le vecchie lettere che avevano serbato;
leggono calmi, per trascinare poi
i loro passi per un'ultima volta.

La loro vita, dicono, è stata una tragedia,
Dio mio, le risa orripilanti della gente,
le lacrime, il sudore, la nostalgia
dei cieli, i luoghi abbandonati

Si mettono alla finestra, guardano
gli alberi, i bimbi e, oltre, la natura;
guardano i marmisti che martellano
e il sole che tramonterà per sempre.

Guardano i marmisti che martellano
e il sole che tramonterà per sempre.

Tutto è finito. Ecco l'ultima lettera,
breve, scarna, profonda; così s'addice.
Piena d'indifferenza e di perdono
per chi, nel leggerla, certo piangerà.

Si guardano allo specchio e vedon l'ora,
si chiedono se sia follia o un errore;
mormorano tra sé: “Tutto è finito”,
arcisicuri che ci ripenseranno.

Mormorano tra sé: “Tutto è finito”,
arcisicuri che ci ripenseranno.

29/3/2011 - 00:46




Lingua: Inglese

English translation by Riccardo Venturi
July 8, 2016

St. Spyridon (Preveza), Greece, July 21, 1928. Kostas Karyotakis' corpse after suicide.
St. Spyridon (Preveza), Greece, July 21, 1928. Kostas Karyotakis' corpse after suicide.
WANNA-BE SUICIDES

They turn the key in the door lock,
Take out their old, well-hidden letters;
They read them quietly, and then drag
Their steps for a very last time.

They claim their life has been so tragic,
My God, how frightful is people's laughter,
The tears, the sweat and the longing
For skies, the wasteness of landscapes.

And then they gaze by the window
At the trees, the children, all of nature;
At the marble cutters hammering away,
At the sun going to set forever.

At the marble cutter hammering away,
At the sun going to set forever.

Now it's all over. Here's the last note,
Short, simple, profound as suitable.
Full of indifference and forgiveness
For whoever's going to read it, crying.

They look in the mirror, time has come,
They wonder if it's madness or a mistake;
“Now it's all over”, they mutter to themselves,
Well, just while they are changing their mind.

“Now it's all over”, they mutter to themselves,
Just while they are changing their mind. Of course!

8/7/2016 - 20:13




Lingua: Francese

Version française – SUICIDES IDÉAUX – Marco Valdo M.I. – 2019
d’après la version italienne – SUICIDI IDEALI – de Riccardo Venturi – 2011
D’une chanson grecque Ιδανικοί αυτόχειρες – Νíκος Ξυλούρης – 1980
Texte poétique de Κώστας Καρυωτάκης – Kostas Karyotakis

KOSTAS KARYOTAKIS


Comme « second acte » de mon retour sur le site, voilà le grec. Et, évidemment, il ne pouvait pas être autre que « mon » Xylouris ; mais avec une chanson inusuelle, ironique, imprégnée d’humour noir et de sa vie. Karyotakis, en somme. Elle est tirée de l’album Σάλπισμα, que le dramaturge et le décorateur théâtral Loukas Thanou réalisa à partir de poésies, en plus de Kostas Karyotakis, de Kostas Varnalis, Aris Alexandrou et D. Thanos (c’est, entre autre, le même album dont est tiré Η μπαλάντα του Kυρ-Μέντιου). Un album à la genèse très compliquée, commencé en 1972, déjà terminé en 1976, mais publié seulement en 1980 ; un album entièrement confié à la voix de Xylouris. Et quand on confiait quelque chose à la voix de Psaronikos, même le bottin du téléphone d’Iraklion, tout devenait quelque chose d’inoubliable.
Des mois d’absence, cependant sans renoncer à mes « fixations » ; et cette chanson l’est devenue vite, car elle me touche profondément. Je continuais à me répéter : « Dès que je retourne sur le site, je l’insère immédiatement » ; la voici. Une chanson dont je soutiens la terreur, car on pénètre dans un territoire ardu : celui du suicide. Des chansons qui parlent de suicides ne sont pas peu, et qu’on pense seulement à la Preghiera in Gennaio de De André ; et il y a même des chansons qui invitent à ne pas arrêter (la Brève invitation à renvoyer le suicide – Breve invito a rinviare il suicidio – de Battiato et de Sgalambro, Everybody Hurts de REM…); mais celle-ci est une chanson qui se moque de ces d’aspirants au suicide qui préparent toute la scène (on dirait : le rituel) en sachant déjà parfaitement qu’ils se garderont bien de donner suite à leur insane intention.

Oui, elle m’émeut cette chanson ; elle touche tous ceux qui, au moins une fois dans leur vie, ont accompli le même rituel. Il y a déjà de nombreuses années, je ne sais maintenant plus pour quel motif, sur la rive d’un fleuve, la lettre déjà écrite, dans la soirée propice d’un hiver sombre et froide. J’enlève les chaussures et les socquettes et je mets un pied dans l’eau dégoûtante de l’Arno : dégoûtante et glaciale à décourager. Je retire le pied et j’y enfile l’autre : même scène. À ce moment, je m’assieds sur une pierre avec la tête entre les mains, et je commence à rire. À ricaner. Aux éclats ! Cet épisode m’a suffi pour m’empêcher non seulement de retenter le coup, mais même de y repenser encore. Encore maintenant, quand j’ai l’intention de me critiquer férocement tout seul, j’y retourne par l’esprit ; et je me remets à rire.

Mais il y a, probablement, aussi autre chose dans cette chanson des « Suicides idéaux ». Par exemple, les faux suicides de tant de manipulateurs, magouilleurs, politiciens en prison ; pendant que ceux qui, en prison, se suicident vraiment (et par dizaines) sont les abandonnés, les immigrés, qui n’ont et ne ressentent plus aucun espoir. Se suicide celui qui perd son travail, qui est licencié sans préavis pour un vol de dix euros, qui ne sait pas plus comme continuer à vivre. Sans rien écrire et sans rituels. Peut-être, dans ce cas, il faudrait parler d’homicides d’état, d’assassinats socio-politiques.

Enfin, à la fin, il y a la fin. Kostas Karyotakis fut pratiquement celui qui introduisit le surréalisme en Grèce ; surréellement, ou peut-être pas, l’auteur de ces vers contre les faux suicides, se suicida vraiment. Le 21 juillet 1928, le poète sortit de sa maison à Preveza et alla à la plage de Monolithi où il tenta inutilement, pendant dix heures d’affilée, de se noyer en mer. N’ayant pas réussi, avec une scène que j’imagine surréelle et comique (quelqu’un qui essaye pendant dix heures de se noyer, vous l’imaginez ? Ça ferait rire même Jorge de Burgos, le bibliothécaire aveugle du Nom de la Rose !), réécrivit sa « dernière lettre » où il expliquait qu’il était un nageur chevronné et qu’au lieu de mourir, il venait de faire brasses sur brasses. Le lendemain matin, il sortit à nouveau de sa maison, alla s’acheter un revolver et se rendit ensuite dans un petit café, où pendant trois heures, il fuma des cigarettes l’une derrière l’autre. Ensuite, il alla à sur autre plage, Agios Spyridon (Saint Spiridon), et il se tira une balle dans le cœur sous un eucalyptus. [RV]
SUICIDES IDÉAUX

Ils tournent la clé dans la porte, prennent
Les vieilles lettres qu’ils avaient laissées ;
Ils lisent calmes, pour traîner ensuite
Leurs pas pour une dernière fois.

Leur vie, disent-ils, fut une tragédie,
Mon Dieu, les rires horripilants des gens,
Les larmes, la sueur, la nostalgie
Des ciels, les lieux abandonnés.

Ils se mettent à la fenêtre, ils regardent
Les arbres, les enfants et, au-delà de, la nature ;
Ils regardent les marbriers qui martèlent
Et le soleil qui va se coucher pour toujours.

Ils regardent les marbriers qui martèlent
Et le soleil qui va se coucher pour toujours.

Tout est fini. Voici la dernière lettre,
Brève, mince, profonde, ainsi c’est bien.
Plein d’indifférence et de pardon
Pour celui qui, la lisant, certainement pleurera.

Ils se regardent dans le miroir et ils voient l’heure,
Ils se demandent si c’est folie ou erreur ;
Ils murmurent en eux : « Tout est fini »,
Très convaincus qu’ils y repenseront.

Ils murmurent en eux : « Tout est fini »,
Très convaincus qu’ils y repenseront.

inviata da Marco Valdo M.I. - 21/2/2019 - 11:16




Lingua: Tedesco

Versione tedesca di Riccardo Venturi
Deutsche Übersetzung von Riccardo Venturi
4.11.2011
PERFEKTE SELBSTMORDE

Sie drehn den Schlüssel in die Tür um und nehmen
die alte Briefe, die sie aufbewahrt haben;
sie lesen ruhig, und dann sie schleppen
ihre Schritte für ein letztes Mal dort.

Ihr Leben war, sagen sie, eine Tragödie,
mein Gott, das schreckliche Lachen der Leute,
die Tränen, der Schweiß, die Nostalgie
der Himmel, alles das sie verlassen haben.

Sie zeigen sich am Fenster und schauen
die Bäume, die Kinder, und weiter die Natur;
die Marmorschleifer, die mit Hämmern schlagen,
die Sonne, die für immer untergehn wird.

Die Marmorschleifer, die mit Hämmern schlagen,
die Sonne, die für immer untergehn wird.

Alles ist aus, hier ist das letzte Brief,
kurz, schmucklos, tief wie es sich gehört,
so voll Verzeihung und Gleichgültigkeit
für wen, bei dem Lesen, sicher weihn wird.

Sie betrachten sich im Spiegel, sehn die Stunde,
sie fragen sich, ob dies Wahnsinn oder Fehler ist;
sie murmeln vor sich hin, “Alles ist aus nun”
aber ganz sicher, dass sie's sich überlegn werden

Sie murmeln vor sich hin, “Alles ist aus nun
aber ganz sicher, dass sie's sich überlegn werden.

4/11/2011 - 18:25




Lingua: Russo

Traduzione russa / Русский перевод / Russian translation / Traduction russe / Venäjänkielinen käännös [1]: Junna Moric/Юнна Мориц
ИДЕАЛЬНЫЕ САМОУБИЙЦЫ [1]

Дверь заперта на ключ, собранье писем
читается бесстрастно, в неком трансе,
затем — влачась к своим предсмертным высям,
в последний раз шаги звучат в пространстве.

Да, говорят, вся жизнь была кошмаром.
О, смех людей, достойный отвращенья,
их слезы, пот, тоска по небу, — нет, недаром
цепная пустота сомкнула звенья!

Стоят и смотрят в окна мертвецами —
на скверы, на детей, чья жизнь беспечна,
на мраморщиков, бьющих в твердь резцами,
на солнце — ведь закатится навечно.

Конец. Вот краткая записка на прощанье,
глубокая, без вычур — все, как надо,
в ней — безразличье к жизни и прощенье
тому, кто будет плакать до упада.

Взгляд в зеркало, на стрелки часовые,
вопрос: не зря ли? а здоров ли разум?
и шепот: кончено! сейчас! — и, как впервые,
в душе уверенность, что — следующим разом...

и шепот: кончено! сейчас! — и, как впервые,
в душе уверенность, что — следующим разом...
[1] IDEALNYE SAMOUBIJCY

Dveŕ zaperta na ključ, sobrańe pisem
čitaetsja besstrastno, v nekom transe,
zatem – vlačaś k svoim predsmertnym vysjam,
v poslednij raz šagi zvučat v prostranstve.

Da, govorjat, vsja žizń była košmarom.
O, smex ljudej, dostojnyj otvrašćeńa,
ix slezy, pot, toska po nebu, - net, nedarom
šćepnaja pustota somknuła zveńja!

Stojat i smotrjat v okna mertvešćami -
na skvery, na detej, ćja žizń bespečna,
na mramoršćikov, b'jušćix v tverď rezcami,
na sołnce – veď zakatitsja navečno.

Konec. Vot kratkaja zapiska na prošćańe,
głubokaja, bez vyčur – vse, kak nado,
v nej, kto budet płakať do upada.

Vzgljad v zerkało, na strełki časovye,
vopros: ne zrja li? A zdorov li razum?
I šepot: končeno! Sejčas! - i, kak vpervye,
v duše uverennosť, čto – sledujušćim razom...

I šepot: končeno! Sejčas! - i, kak vpervye,
v duše uverennosť, čto – sledujušćim razom...

inviata da Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 19/4/2018 - 18:39




Lingua: Russo

Traduzione russa / Русский перевод / Russian translation / Traduction russe / Venäjänkielinen käännös [2]: Jurij Žarkoj
ИДЕАЛЬНЫЕ САМОУБИЙЦЫ

Дверь машинально ключом открывают.
Последний раз по паркету прошаркав,
Долго и вдумчиво письма читают,
Достав их из ящика старого шкафа.

Жизнь свою называют адом.
В ней слёзы, и пот, и небес ностальгия.
И никого нет близкого рядом,
И ранят так больно насмешки людские.

В окно на детей, на деревьев кроны,
На грустный ландшафт глядят исподлобья.
И видят рабочих, что гладко и ровно
Из мраморных плит высекают надгробья.

Кончено, нет у судьбы продолженья.
Останется только записка простая.
В ней равнодушие и прощенье
Того, кто заплачет, записку читая.

Может ошибка, безумие, спросят,
Может быть что-то изменится всё же?
Взгляд на часы и на зеркало бросят
И лишь ненадолго уход свой отложат.

inviata da Riccardo Venturi - 11/2/2020 - 06:43


In primo luogo, un bentornato a Riccardo e un bravo per la sua parodia leopardiana (io amo le parodie, e ogni tanto mi diverto a farne anch'io qualcuna). Poi, leggendo e ascoltando la bella canzone greca, che non conoscevo, mi viene da fare una considerazione generale sulle ristrettezze che sempre di più vengono imposte ai siti che rinviano a materiali protetti da diritto d'autore. Io non credo che sempre ciò si risolva in un danno per gli autori, i quali ovviamente meritano di campare del loro lavoro. Per esempio, stamattina, scoperta grazie a Riccardo la bella canzone cantata da Nikos Xylouris, ho acquistato l'intero album, "Sàlpisma" (che significa più o meno, "squillo di tromba") e ora me lo sto ascoltando. Anzi, mi ero già buttato sull'ultima canzone, attratto dal titolo "Statua della libertà", per contribuire, dal canto mio, ad AWS. Ma mi sono fermato, un po' mogio. Il testo di Kariotakis (un poeta che dominò il periodo tra la tragedia di Smirne e la svolta surrealistica greca) che esprime disgusto per la mercificazione dell'uomo indotta dall'egemonia capitalistica, mi sembra anche fin troppo condizionato dal luogo comune - in auge negli anni Trenta - della congiura demo-pluto - giudaica cosicché, dando un po' addosso agli Americani, non risparmia neppure gli Ebrei i quali, come tutti sanno, non erano automaticamente identificabili con i Rotschild, e anzi rappresentavano uno degli strati più miserandi dell'Europa. Che poi, anche tra i Sefarditi balcanici, ce ne fossero di agiati mercanti e gente d'affari, in questo non si distinguevano troppo né dai Greci né dagli Armeni. Mi è spiaciuto, ma non sono riuscito ad insistere nel tentativo di tradurre il testo della canzone per diffonderlo attraverso questo nobile sito.

Gian Piero Testa - 29/3/2011 - 12:44


Purtroppo il commento inserito per questa canzone è solo la parte iniziale di quello che avevo scritto: essendomi...disabituato un po' al sito, e scrivendo direttamente sulla pagina, mi ero dimenticato della sua "scadenza" e ho perso tutto quanto. Pazienza; lo reinserirò.

Riccardo Venturi - 29/3/2011 - 16:53


Ecco, più o meno ho ricostruito a memoria il commento che avevo scritto ieri notte; ma non c'è davvero nulla da fare, e lo dico al Webmaster, per impedire che la pagina "scada" dopo un po'...?

Riccardo Venturi - 29/3/2011 - 18:34


non è normale ma se mentre si modifica il testo si perde la connessione.... sempre meglio salvare spesso o usare un editor esterno

Lorenzo - 29/3/2011 - 19:05


Bella canzone Riccardo,
non la conoscevo neppure io. Mi sembra che apra un'altra prospettiva sull'articolato mondo degli aspiranti suicidi e dei presunti disperati. Purtroppo però non si può fare a meno di notare come la satira con cui il poeta tratta l'argomento, non sia stata sufficiente a farlo desistere dal suo proposito suicida, anche se nella scelta scenografica sembra che abbia voluto conservare una estrema autoironia, come dici tu, quasi comica. E' difficile cogliere a volte, quando si tratta di questi delicati argomenti, fino a che punto si scrive per denuncia e fino a che punto sono invece dei segnali di preavviso, o di richiesta di aiuto. Forse chi è comprensivo con i suicidi, poi è in realtà molto legato alla vita, e chi lo nega o lo tratteggia in maniera negativa o ironica, a volte lo fa.

30/3/2011 - 00:06


Non la conoscevo nemmeno io, Gian Piero, fino a un mesetto fa circa. Una sera mi sono messo a cercare canzoni "nuove" di Xylouris su YouTube; una mia attività per cui ho creato un verbo apposito, ξυλουρίζω. Mentre ξυλούριζα, giustappunto, mi ci sono imbattuto; ed è stata, credimi, una specie di scossa. Hai messo benissimo in luce, con le tue considerazioni, un aspetto della disperazione autentica, quella "di dentro": quello di farne oggetto di autoironia. Non so bene se per resistere, per chiedere aiuto o per attaccarsi alla vita; forse per tutte e tre le cose. Proprio per questo tendo a credere che questa poesia/canzone riporti precisamente un tentativo di suicidio dello stesso autore; troppo precisa, troppo minuziosa. La denuncia (che a mio parere comunque c'è) è quindi anche una sorta di autodenuncia, una constatazione della propria vigliaccheria. Ma si può parlare di vigliaccheria per un suicidio? Domande non semplici; nel frattempo, ξαναξυλουρίζω.

Riccardo Venturi - 30/3/2011 - 00:30


Si caro Riccardo, solo per aggiungere che il commento di prima, forse per una mia distrazione, non riporta la mia firma, e per ribadire come in effetti, quando si parla di questi argomenti, tutto diventa così ineffabile e difficile.
Comunque io, che ce l'ho un po con i suicidi, penso che non si possa parlare di vigliaccheria, semmai molto spesso si tratta di un gesto estremo di egoismo e a volte di vendetta, raramente di vera disperazione.


PS: .... mi sono accorto che rifaccio spesso lo stesso errore, mi firmo nello spazio email (invisibile)

Raf - 30/3/2011 - 00:47


Ecco solo per dire che sono incappato anch'io nel problema del refresh dell'editor, inoltre volevo aggiungere che nel commento precedente non è apparsa la mia firma, credo per colpa mia. Ritornando nel merito del discorso invece, caro Riccardo, devo dire che parlare di queste tematiche è in effetti molto difficile data la loro ineffabilità, delicatezza e a volte ambiguità. Hai ragione non si può parlare di vigliaccheria, tuttavia, io che ce l'ho un po' con i suicidi, penso che spesso si tratti di un gesto di estremo egoismo e talvolta di bieca vendetta (tutti dovranno soffrire nel loro ricordo).

PS: ....mi sono accorto che rifaccio spesso lo stesso errore, firmo nello spazio email- non visibile

Raf - 30/3/2011 - 01:41


in piu scrivo i commenti due volte, che schifo, sono proprio un imbranato!!!

Raf - 30/3/2011 - 01:42


Caro Riccardo, nulla di male, ma hai indirizzato a me la risposta all'anonimo che mi ha seguito. Io parlavo della canzone "La statua della libertà", che mi ero messo a tradurre per poi interrompermi con un vago fastidio. In "Sàlpisma", comunque, si trovano assai belle canzoni, tra le quali ti segnalo questa, il cui titolo coincide con il primo verso. Certamente la mente di Kostas Kariotakis era arrovellata dal pensiero del suicidio; e forse l'attrazione del mare come suo strumento e suo scenario doveva essergli dominante. Ma il poeta nuotava come un Byron, e assai meglio di Shelley...Gli aspiranti suicidi spesso ascrivono a vigliaccheria quell'ultima voglia di vita che residua e che impedisce loro di concludere. Sono anch'io d'accordo che nella canzone si senta un'amara autoironia per un probabile tentativo fallito.
Ecco il testo dell'altra canzone (che in stixoi.info è, sembra, erroneamente attribuita anche a Theodorakis. Theodorakis musicò liriche di Kariotakis, ma non questa):

Κι αν έσβησε σαν ίσκιος τ' όνειρό μου,
κι αν έχασα για πάντα τη χαρά,
κι αν σέρνομαι στ' ακάθαρτα του δρόμου,
πουλάκι με σπασμένα τα φτερά

Κι αν έχει, πριν ανοίξει, το λουλούδι
στον κήπο της καρδιάς μου μαραθεί,
το λεύτερο που εσκέφτηκα τραγούδι
κι αν ξέρω πως ποτέ δε θα ειπωθεί

Κι αν έθαψα την ίδια τη ζωή μου
βαθιά μέσα στον πόνο που πονώ-
καθάραιια πως ταράζεται η ψυχή μου
σα βλέπω το μεγάλο ουρανό,

Η θάλασσα σαν έρχεται μεγάλη,
και ογραίνοντας την άμμο το πρωί,
μου λέει για κάποιο γνώριμο ακρογιάλι,
μου λέει για κάποια που 'ζησα ζωή!

Gian Piero Testa - 30/3/2011 - 06:06


Ah, eri tu Raf, l'anonimo. Bene, siamo in ottima "paréa".

Gian Piero Testa - 30/3/2011 - 06:09


Scusate se abbasso ancora il livello della discussione, ma a proposito dei problemi tecnici:

- Raf, cosa intendi per refresh dell'editor? In quanto non amministratore, non hai nessun editor ma solo un campo per aggiungere commenti o traduzioni.

- Per gli amministratori: può succedere che la sessione scada (penso dopo alcune ore dopo essersi loggati) e per questo la modifica non vada a buon fine.

Semmai riportatemi i problemi tecnici ad antiwarsongs@gmail.com o a lorenzo.masetti@gmail.com, è inutile annoiare i visitatori con questo tipo di commenti.

Lorenzo - 30/3/2011 - 08:09


Mi scuso anch'io per tutti i...casini, sia con Gian Piero e Raf (un ottimamente ritrovato anche a lui!), sia con Lorenzo; anche se, in un certo senso, questa commistione tra il suicidio e l'informatica ha decisamente qualcosa di surrealista che non sarebbe spiaciuta a Karyotakis! Si aggiunga inoltre che potremmo essere di fronte a una sorta di...suicidio di certe pagine :-)

Riccardo Venturi - 30/3/2011 - 09:30


Non so se avete letto "Piccoli suicidi tra amici" del finlandese Arto Paasilinna. E' un bel racconto su un nutrito gruppo di persone che decidono di "rimandare il suicidio"...

Lorenzo - 30/3/2011 - 10:57


Alla mia età non ho ancora imparato a trattenere la penna, e a pensarci prima di scrivere. Senza controllare, ho preso per buono il commento di un visitatore di stixoi.info che con sicumera nega l'attribuzione anche a Theodorakis della canzone "Ki ésvise san iskio t'ònirò mou" e così in questa pagina sta ora scritto, e per mano mia, che Mikis musicò liriche di Karyotakis, ma non quella. Errore. Il piccolo ma ostinato tarlo che mi abita - e che spero riesca a campare più di me - mi ha spinto poco fa a rispolverare il cd "Karyotakis" di Theodorakis. La settima canzone è proprio questa. E siccome il testo è molto bello (per quanto c'entri poco con AWS, ma, in questo periodo con il carissimo Riccardo) e io merito un penso, ne do anche la traduzione e il link a you tube: link a YouTube. Il tarlo però continua scontento a menarla, perché vuole che scopra cosa c'entri Dimos Moutsis, e se abbia anche lui musicato lo stesso testo, ovvero (ma mi sembra improbabile) se i due grandi musicisti greci abbiano lavorato a quattro mani. La lirica ci fa capire che non ci si può suicidare in un giorno luminoso nuotando fino allo sfinimento in un mare greco. E' il mare stesso che tu vuoi che ti aiuti a morire a darti l'ultimo argomento per continuare a vivere: finché ci sarà lui qualcosa di buono per cui vivere non verrà mai meno. Se proprio si sceglie questo mezzo, allora lo si faccia di notte, come Martin Eden. E ci si vada a buttare in un oceano.

Anche se il mio sogno si è spento come un'ombra
anche se ho perso per sempre la gioia
anche se mi trascino nel luridume della strada
uccellino dalle ali spezzate

Anche se il fiore, prima di schiudersi
mi è appassito nel giardino del cuore
anche se so bene che mai sarà recitata
l'ultima libera poesia che ho nella mente

Anche se ho sepolto la mia stessa vita
nelle profondità del dolore dove soffro -
come limpida si agita la mia anima
quando vedo l'immenso cielo,

Il mare quando giunge immenso
bagnando la sabbia alla mattina
mi parla di qualche sponda conosciuta
mi parla di una vita che ho vissuta!

Gian Piero Testa - 31/3/2011 - 10:02


Ecco, gli stessi versi, musicati da Dimos Moutsis glieli faccio cantare, a Riccardo, dal "suo" Nikos Xylouris. E così tutti tarli, i suoi e i miei, ora dormono contenti.

Gian Piero Testa - 31/3/2011 - 11:54


@ Lorenzo: In effetti ho citato impropriamente editor il campo per i commenti, chiedo venia.
Il sito, devo dire, funziona benissimo ed è molto ben moderato, ricco di argomenti interessanti e soprattutto di confronto su temi che aiutano a riflettere ed arricchiscono i partecipanti. Almeno per me è così. Un grazie a tutti di cuore!!!

Raf - 1/4/2011 - 00:00


Segnalo un'altra musicazione della poesia di Karyotakis da parte di Δήμος Μούτσης ed interpretata da Χρήστος Λεττονός:

Jacopo Capurri - 9/6/2013 - 20:58


E ancora un video sulla versione di Nikos Xylouris e Loukas Thanos, assai suggestivo:

Riccardo Venturi - 22/7/2014 - 19:04


IL NUOTATORE
di Riccardo Venturi, 20 novembre 2011

optimism


Una bella e caldissima mattinata d'estate su una spiaggia semideserta; è il 19 luglio 1928. Al lido di Monolithi, vicino a Preveza in Grecia, arriva un uomo da solo. È di corporatura minuta e ha l'aspetto ordinario; si spoglia alla bell'e meglio e si tuffa in acqua. Un bagnante. Chiunque lo avesse visto non avrebbe pensato altro; invece era un uomo che intendeva darsi la morte.

Era stato, fino ad allora, uno dei poeti più misconosciuti del suo paese; si chiamava Kostas Karyotakis. Era nato il 30 ottobre 1896 in una delle tante Tripoli sparse per il Mediterraneo; la sua era nel Peloponneso. Una vita ordinaria; una grossa delusione d'amore nell'adolescenza, di quelle che segnano per tutta la vita; un lavoro da avvocaticchio alla prefettura di Preveza, dove si occupava delle assegnazioni di terre e immobili ai profughi greci dell'Asia Minore. Uno stipendio da fame e un aspetto da piccolo ometto senza storia; la condizione perfetta per diventare un poeta. La poesia è quella cosa che riempie i cassetti dei grigi; usualmente, è in forma lirica. Le infelicità, gli slanci, le rabbie e le delusioni di ognuno di noi potrebbero riempire la Biblioteca di Babele. Kostas Karyotakis, però, aveva preso un'altra strada. Ancora più impervia, se si vuole.

In mezzo al suo disgusto totale per lo Stato e per la burocrazia, ad un certo punto decise di averne abbastanza della realtà; volle salire un po' sopra a osservare. Kostas Karyotakis è considerato unanimemente come il fondatore del surrealismo in lingua greca, e la cosa non è di poco conto anche per motivi strettamente linguistici. Con la sua struttura ingabbiata da declinazioni e parole di andamento solenne, anche la lingua neogreca demotica è poco adatta alle acrobazie e alle slegature semantiche proprie del surrealismo; si aggiunga che, lavorando in un ufficio statale, Karyotakis doveva avere a che fare ogni giorno con il "burocratese" di quei tempi, la terribile katharevousa basata sul greco classico che rimase sola lingua ufficiale in Grecia fino alla caduta della dittatura, nel 1974. Piegare il greco al surrealismo è impresa titanica e folle; Karyotakis vi riuscì. E, essendovi riuscito fin dalla sua prima raccolta, intitolata Ὁ πόνος τοῦ ἀνθρώπου καὶ τῶν πραμάτων ("La pena degli uomini e delle cose"), divenne immediatamente oggetto di scherno e di disprezzo. Con la seconda raccolta, Νηπενθῆ, il disprezzo e lo scherno si trasformarono da un lato in totale indifferenza da parte dell'ambiente letterario, mentre quei pochi che non lo ignoravano si occupavano però di stroncarlo senza pietà. La aveva intitolata, quella raccolta, alla nepente, la "droga dell'oblio"; c'è una poesia che si chiama Ωχρά Σπειροχαίτη, vale a dire il Treponema pallidum, il batterio responsabile della sifilide; in seguito, la poesia divenne nota come "Canzone della pazzia". Karyotakis aveva probabilmente contratto quella malattia, ed è facile immaginare come.

A Preveza si sentiva disperato e non aveva letteralmente di che vivere; la sua famiglia si offrì di pagargli un soggiorno a Parigi, ma fu costretto a rifiutare perché sapeva che sarebbe stato un sacrificio economico troppo grosso per i suoi. Così si arriva a quella mattina del 19 luglio 1928, e allo spettacolo che Kostas Karyotakis volle concedere a se stesso, in solitario.

Arriva alla spiaggia di Monolithi e si spoglia; si getta in acqua e comincia a andare al largo, nuotando come un pesce. La sua intenzione era, ad un certo punto, quella di lasciarsi andare e farsi trasportare dalle onde; ma non ce la faceva a smettere di nuotare. Vagava per il mare senza fermarsi, sperando che le forze lo abbandonassero; ma non c'era assolutamente verso. Nuotava e basta. Un astante che fosse stato là ad osservarlo si sarebbe detto che era un atleta che si allenava per le Olimpiadi; ogni tanto tornava a riva, aspettava due minuti e poi si ributtava in acqua per cercare ancora di affogarsi. E ricominciava a nuotare senza sosta; vi rimase dieci ore di fila, arrendendosi alla fine. Non alla morte, ma al mare che gli aveva giocato quello scherzetto, quasi a volergli dire che non sarebbe stato responsabile della sua morte. Una scena quasi comica, con un tizio basso e bruttino che, alla fine, si riveste, prende l'ultima lettera del suicida dalla giacca, la appallottola e la butta via incazzato a morte.

Torna a casa, e si mette subito al tavolo; scrive un'altra lettera, dove spiega razionalmente di essere un nuotatore provetto e di essersi fatto trascinare dal piacere di filare nel mare come un treno, senza pensare a niente. E dire che, poco prima, aveva scritto una poesia al vetriolo contro chi minaccia di suicidarsi a ogni piè sospinto, prepara tutto quanto il rituale e alla fine, regolarmente, ci ripensa. S'intitola, quella poesia, Suicidi ideali:

Girano la chiave nella porta,
prendono le vecchie lettere che avevano serbato;
leggono calmi, per trascinare poi
i loro passi per un'ultima volta.

La loro vita, dicono, è stata una tragedia,
Dio mio, le risa orripilanti della gente,
le lacrime, il sudore, la nostalgia
dei cieli, i luoghi abbandonati

Si mettono alla finestra, guardano
gli alberi, i bimbi e, oltre, la natura;
guardano i marmisti che martellano
e il sole che tramonterà per sempre.

Tutto è finito. Ecco l'ultima lettera,
breve, scarna, profonda; così s'addice.
Piena d'indifferenza e di perdono
per chi, nel leggerla, certo piangerà.

Si guardano allo specchio e vedono l'ora,
si chiedono se sia follia o un errore;
mormorano tra sé: “Tutto è finito”,
arcisicuri che ci ripenseranno.


Gli stava, forse, accadendo la stessa cosa. Dopo la nuotata infinita. Andò a dormire dopo aver riscritto la sua lettera, dove prendeva in giro ferocemente se stesso. La stessa cosa che aveva fatto nella sua poesia, prevedendo forse come sarebbe andata.

Il giorno dopo, il 20 luglio, si alzò a un'ora antelucana; ma non per nuotare. Andò prima a un piccolo caffè del porto, che era già aperto perché in Grecia, d'estate, tutto è già aperto prestissimo, prima che sia troppo caldo per fare qualsiasi cosa. Erano le quattro e mezzo del mattino; si sedette a un tavolo e cominciò a ordinare un caffè dietro un altro, e a fumare come un disperato. Un caffè e una sigaretta, una sigaretta e un caffè, un caffè insieme alla sigaretta, una sigaretta insieme al caffè. Vi rimase tre ore, poi si alzò, pagò tutto quanto e se ne andò.; il piccolo caffè si chiamava Ουράνιος Κήπος, cioè "Giardino Celeste" e, in definitiva, "Eden, Paradiso". Si diresse poi a un'armeria, e vi acquistò una pistola Pieper Bayard da nove millimetri; con quella in tasca andò ad un'altra spiaggia della zona, chiamata Agios Spyridon, San Spiridione. Era famosa, quella spiaggia, per un gigantesco albero di eucalipto che vi cresceva; sotto quell'albero Karyotakis si mise, in piedi, e si sparò un colpo solo, nel cuore. Lo trovarono là con l'ultima lettera, quella buona, in tasca. Quella in cui raccontava della nuotata del giorno prima. Era vestito di tutto punto e con la magiostrina in testa, come usava allora; nessuno, anche in piena estate, sarebbe mai uscito a capo scoperto. Sotto il suo ultimo albero, la polizia gli scattò la foto come da prassi.

St. Spyridon (Preveza), Greece, July 21, 1928. Kostas Karyotakis' corpse after suicide.


Naturalmente, pochi mesi dopo i critici si accorsero della sua grandezza e della sua innovatività; i poeti sono coloro che hanno bisogno di morire in qualche modo, per diventare grandi. Della loro morte in vita non si occupa generalmente nessuno, e si direbbe quasi che il disprezzo e l'indifferenza siano fabbricati ad arte per costringerli prima a levarsi dai coglioni, e poi a glorificarli. La poesia manoscritta riprodotta nell'immagine sotto il titolo si intitola Ottimismo. Ora Kostas Karyotakis è uno dei più grandi nomi della letteratura greca del XX secolo. Sul muro dove abitava a Preveza c'è una lapide; la Pieper Bayard con cui si uccise è custodita al museo Benaki di Atene. In Grecia, prima o poi tutto diventa una canzone; Suicidi ideali fu affidata a uno dei più importanti, il cretese Nikos Xylouris, colui che il 17 novembre 1973, mentre i militari schiacciavano nel sangue la rivolta del Politecnico, aveva preso la sua lira e era andato a cantare e suonare in mezzo ai ragazzi che venivano massacrati. Il mare, la morte, la musica. Chissà che faccia avrebbero fatto quelle signore che qualche giorno fa, in coda all'Esselunga, mi sentivano cantarla in greco, se avessero saputo di che cosa parla.

19/2/2019 - 11:07




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