Nelle tue miserie
Riconoscerai
Il significato
Di un arbeit macht frei.
Tetra economia
Quotidiana umiltà
Ti spingono sempre
Verso arbeit macht frei.
Consapevolezza
Ogni volta di più
Ti farà vedere
Cos'è arbeit macht frei.
(Demetrio Stratos Area)
I calcoli matematici sono freddi, generalmente non hanno un'anima.
Statistiche, proiezioni, raffronti, percentuali.
Sono operazioni svolte da uomini ma distanti dalla vita delle persone.
Sono numeri sommati, moltiplicati, sottratti, poi divisi, ancora sommati, divisi, risommati, sottratti di nuovo, e ancora moltiplicati, divisi, che alla fine compiono un totale.
Sono colonne di numeri messi in fila, pronti per essere proiettati, interpretati, magari manipolati, travisati.
Naturalmente dagli uomini, per conto di altri uomini, spesso contro altri uomini ancora.
Solo quando vengono associati a un soggetto, quei numeri fanno capire molto di più di qualsiasi analisi, rapporto, editoriale di un quotidiano, rilievo di un ricercatore.
I numeri associati ad un soggetto raccontano una storia e ne descrivono il senso compiuto.
Se ti dicessi 874.940, così, senza spiegarti il motivo, tu non capiresti proprio nulla.
Di cosa stiamo parlando, mi diresti.
874.940.
Si, va bene, ma di cosa?
874.940.
Persone...uomini...donne....vecchi...ragazzi....bambini...neonati...
874.940.
Di cosa?
Scuole...studenti...insegnati...presidi...bidelli.....
Fabbriche...operai...impiegati...dirigenti....
874.940.
Di cosa?
Letti così quei numeri non si capiscono.
874.940.
Se ti dicessi invece operai, impiegati, muratori, carpentieri, attrezzisti, elettricisti, carrozzieri, meccanici, falegnami, contadini italiani portati in ospedale in una giornata di ordinario lavoro.
Se ti dicessi che molti di loro sono immigrati con regolare permesso di soggiorno che in un anno subiscono un infortunio sul lavoro.
Allora capiresti tutto.
E se mi venisse fuori un altro numero?
1120.
Sono gli incidenti mortali sul lavoro in un anno.
A questo punto ti potesti perfino incazzare.
Perché …..perché non si può morire mentre si lavora.
1120 persone.
Potresti chiudere gli occhi e immaginare tutte le loro storie.
1120 uomini e donne uccisi da macchinari, caduti da impalcature traballanti e gru non a norma nei cantieri edili, fulminati da cavi di alta tensione, bruciati dentro silos, ustionati da esplosioni di altiforni, investiti da autovetture o camion su strade e autostrade del nostro paese, morti mentre prestavano soccorso sopra elicotteri, travolti da pale meccaniche, trattori, attrezzi di ogni genere, intossicati da sostanze chimiche.
Storie di uomini e donne colpiti in un momento normale della vita, intenti a compiere uno dei normali movimenti del lavoro quotidiano.
Storie di uomini e donne rimasti uccisi da regole non rispettate e da leggi mai applicate.
Regole, patti tra persone.
Io presto un'opera di ingegno, magari intellettuale.
Offro un servizio, un contributo tecnico specializzato oppure di tipo impiegatizio, o soltanto di mera manovalanza.
Chiedo uno stipendio equilibrato, una paga giusta.
Lavoro le ore previste dal contratto, quello che tu datore di lavoro hai concordato con il mio sindacato.
Se lavoro più ore, tu imprenditore mi metti in busta paga gli straordinari.
Non ti dimentichi di fare manutenzione quotidiana agli impianti, applichi le leggi sulla sicurezza nei posti di lavoro comma dopo comma e mi eviti infortuni.
Io rispetto i doveri, chiedo diritti.
Tu rispetti le regole, i patti tra persone.
Detto così sarebbe perfetto.
Tutto funzionerebbe bene, sarebbe un paese normale.
Ma l’Italia, un paese normale purtroppo non è.
Ecco i numeri.
Prendo un rapporto dell'Inail che contabilizza gli infortuni sul lavoro.
Il tono è da burocrati dello Stato.
Tic...tic...tic
Tic...tic...tic...tic...tic...tic….tic...tic...tic
Nel 2008 il numero di morti sul lavoro è sceso ai livelli minimi dal dopoguerra.
L'anno si è chiuso con 874.940 infortuni sul lavoro e 1.120 incidenti mortali.
Un bilancio infortunistico che pur nella drammaticità dei numeri segna un incoraggiante record storico.
Il numero di infortuni mortali è infatti sceso, per la prima volta dal 1951, al di sotto dei 1.200 casi l'anno.
Nel 2008, i morti sul lavoro sono diminuiti del 7,2% rispetto ai 1.207 dell'anno precedente.
Il 2008 non fa che confermare una tendenza che, con l'unica eccezione del 2006, è in corso ormai da molti anni: da un punto di vista statistico l'andamento storico del fenomeno degli infortuni mortali appare ridotto ad un quarto rispetto ai primi anni Sessanta.
In circa quaranta anni, infatti, si è passati dal tragico record storico di 4.664 morti sul lavoro del 1963, apice del boom economico, ai poco più di 1.500 di inizio millennio.
Tale trend decrescente è poi proseguito negli anni Duemila: tra il 2001 e il 2008 gli infortuni mortali sono diminuiti di circa il 28% in valori assoluti e di oltre il 33% se il dato è rapportato agli occupati, che nello stesso periodo di tempo sono aumentati dell'8,3%.
Il calo è stato continuo e sostenuto dal 2001 (1.546 infortuni mortali) al 2005 (1.280 casi), ma si è interrotto nel nel 2006, con un improvviso rialzo (1.341 decessi).
I dati 2007 (1.207) e 2008 (1.120) hanno tuttavia segnato di nuovo una decisa riduzione degli eventi mortali.
Riduzione degli eventi mortali?
Numero dei morti sul lavoro scesi ai livelli minimi dal dopoguerra?
Un bilancio che segna un incoraggiante record storico?
Ehi, funzionario dello Stato, ma come parli?
Metti in fila i numeri, sfoderi percentuali e tendenze, ma non spieghi che dietro a quelle cifre ci sono persone, con le loro famiglie, i figli da mantenere, uomini e donne che avevano speranze e sogni ancora tutti da realizzare.
Dietro a quei freddi numeri che tu funzionario dello Stato metti in colonna e che contabilizzi come fossero merci, ci sono esseri umani che hanno attraversato deserti, sono sfuggiti a guerra, cavalcato onde di mari agitati e in tempesta con motoscafi di altura, pagato 5mila dollari a spietati trafficanti.
Gente scappata dalla fame che si è ritrovata in un cantiere di una grande città del nord a costruire belle case da 300 – 400 mila euro, in quartieri nuovi, residenziali, con parco giochi per bambini e garage per automobili di lusso.
Uomini e donne pagati 700 euro al mese, quando va bene, senza libretti, senza pensione, né assicurazione, permesso di soggiorno che alla fine trovano la morte perché i loro datori di lavoro non rispettano le pur minime norme di sicurezza.
Ecco ancora i numeri.
I funzionari dello Stato sono instancabili con le loro statistiche, puntuali, precise, che non raccontano niente, che non dicono niente.
Perché pur associando i numeri ad un soggetto, pur moltiplicando, sommando, sottraendo e dividendo, non c'è anima.
Tic...tic...tic
Tic...tic...tic...tic...tic...tic.tic...tic...tic
Infortuni sul lavoro- Infortuni denunciati: 874.940 (-4,1% rispetto 2007)
Ripartizione per gestione: 790.214 nell'industria e servizi (90,3%); 53.278 nell'agricoltura (6,1%); 31.448 fra i dipendenti dello Stato (3,6%) . Oltre il 61% degli infortuni è concentrato nel Nord industrializzato: in particolare Lombardia (150mila casi), Emilia Romagna (124mila casi) e Veneto (104mila casi) assommano oltre il 43% del denunciato nel Paese.L'Umbria si conferma al primo posto per indice di frequenza infortunistica, seguita da Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia.
Infortuni nel periodo 2001-2008: -14,5% .
Infortuni lavoratori stranieri: 143mila (+2% rispetto 2007). I lavoratori stranieri hanno un'incidenza infortunistica più elevata rispetto a quella degli italiani (44 infortuni denunciati ogni 1.000 occupati contro i 39 degli italiani)
Infortuni mortali sul lavoro nel 2008: 1.120 (-7,2% rispetto 2007).
Record storico: per la prima volta dal 1951 (anno a partire dal quale si dispone di statistiche attendibili e strutturate) il numero dei morti per infortunio sul lavoro in Italia è sceso al di sotto dei 1.200 casi/anno.
Ripartizione dei casi mortali per gestione: 121 nell'agricoltura (+15,2%); 554 nell'industria (-9,3%); 445 nei servizi (-9,4%). Sono 611 gli incidenti mortali causati, in generale, dalla circolazione stradale (più del 54%): di cui 276 (-9,2%) casi in itinere e 335 occorsi sulla strada a lavoratori che operano in questo particolare ambiente. I casi mortali che hanno riguardato lavoratori stranieri sono stati 176.
Dunque, a questo punto c'e' proprio bisogno di un traduttore.
Tu funzionario parli una lingua che noi persone comuni non capiamo, parli a una casta di mandarini, ad un gruppo ristretto di ricercatori.
Per te la morte di un uomo e' pura statistica.
C'e bisogno di un salto logico, qualcosa che la fantasia di un funzionario non può descrivere.
Gli infortuni sul lavoro sono concentrati nel comparto industriale e nel settore dei servizi.
In particolare, i problemi di sicurezza sembrano interessare le fabbriche del ricco nord dove, tra Lombardia e Veneto, e' concentrato il maggior numero del prodotto interno lordo, cioè lo strumento economico che misura la nostra ricchezza nazionale.
Molti sono stranieri e immigrati, che trovano impiego in piccole aziende artigiane, gestite in modo familiare.
Lavoratori impegnati in mestieri che gli italiani non intendono realizzare.
Per capire ciò che accade nel nostro paese, dobbiamo compiere un passo indietro.
E un cuntista a questo punto cosa fa?
Un cuntista racconta storie.
Andrea Sigona - La fabbrica
Dov’è finita l'altra Milano?
Dove è finita la città che non ha mai creduto alla poesia degli spot e del conto in banca, che non si è mai riconosciuta nei falsi messaggi della moda e negli slogan bugiardi sulla "capitale europea"?
L’altra Milano ha perso la voce, si è rinchiusa in quello che si chiamava "privato".
Ma c’è ancora al sua memoria.
Questa storia ha un titolo, “la tuta di Celentano” e un protagonista, Ubaldo Urso.
E’ una piccola grande storia italiana, una vicenda esemplare di emigrazione da sud al nord.
Ubaldo Urso nasce a Casoria.
Inizia a lavorare fin da ragazzino.
Conduce una vita dura, grama come minatore a San Cataldo, paese di mafia.
Poi affronta il lungo viaggio verso Milano, una città che negli anni Sessanta accoglie i frutti del sottoproletariato meridionale.
Così, privo di coscienza sindacale e di spirito di classe, Ubaldo viene assunto all'Innocenti e fa il crumiro.
I suoi colleghi operai lo chiamano Celentano, proprio come il cantante.
Ubaldo e' un tipo gioviale, allegro, un pazzariello che lavora e canta canzoni di Celentano.
Suona la chitarra, utilizza gli stessi stratagemmi e balla come il supermolleggiato.
La Innocenti, la mitica fabbrica della Lambretta, del sogno del boom economico, viene acquistata dalla britannica Leyland.
Passano gli anni e la Leyland vende tutto alla Maserati.
A Lambrate si producono sempre macchine, ma questa volta non utilitarie ma automobili di lusso.
E che lusso.
Alejandro Maserati sposta a Milano alcuni comparti produttivi e si fa pagare dallo stato il peso economico di alcune ristrutturazioni.
Ma un giorno decide di smantellare, tutti a casa, tempo pochi mesi.
1046 lavoratori in mobilità.
Il sindacato organizza l'occupazione dei cancelli, una lotta disperata, già perdente, ma che si deve fare per affermare la dignità.
Dopo lunghi mesi di battaglie e lotte, la facciata della fabbrica ha un aspetto antico, sembra uscita dal museo delle industrie, mentre di quasi tutti i capannoni resta solo lo scheletro.
Quella che era una fabbrica gioiello sembra già un' area dismessa.
Perché la Maserati ha ormai le ore contate.
Un giorno Celentano non ce la fa più.
Con la lettera di licenziamento in tasca, Ubaldo sale sulla grande torre al centro della fabbrica, quella del serbatoio dell’acqua, e minaccia di lanciarsi da settanta metri.
Dalla torre Celentano non scende, neanche quando arrivano i suoi compagni, i colleghi, gli amici di sempre, nemmeno quando le volanti della polizia e i mezzi dei vigili del fuoco con le sirene spiegate convergono tutte su Lambrate.
Solo dopo una lunga trattativa Ubaldo Urso detto Celentano scende dalla torre.
Perché Celentano non ha più nulla da perdere.
Perché ormai il suo posto di lavoro non c'è più, e' morto.
Non c'è più la fabbrica, se la sono venduta, smantellata, dopo aver incassato le sovvenzioni dello stato.
Nella Milano da bere degli anni novanta, Celentano rischia la vita per far uscire dall'anonimato le lotte dei lavoratori della Maserati e occupare cosi le cronache dei giornali.
Come anni dopo avverrà alla Innse di Milano, e in centinaia di piccole, medie e grandi fabbriche italiane travolte dalla crisi economica, dalla cattiva gestione del credito alle imprese da parte delle banche, da qualche imprenditore furbacchione, da governi sordi e compiacenti.
Andrea Sigona - Celentano
Lo sai cos'è una fibra di amianto?
Polvere, polvere invisibile.
Una fibra di amianto è 1300 volte più sottile di un capello umano.
L'amianto serve come isolante di edifici, tetti, navi.
Viene impiegato come materiale per l'edilizia (tegole, pavimenti, tubazioni, vernici, canne fumarie), nelle tute dei vigili del fuoco, nelle auto (vernici, parti meccaniche), ma anche per la fabbricazione di corde, plastica e cartoni.
Lo sai cosa può provocare il contatto con l'amianto?
L'inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali come il carcinoma polmonare.
In Italia, nel tuo bel paese, oltre 9mila persone si sono ammalati di questi tumori.
Almeno 7 mila di loro hanno contratto la malattia nei luoghi di lavoro.
Sono dati ufficiali, mica frottole.
Sono dati censiti nel Registro nazionale dal 1993 al 2004.
Gran parte di quelle persone vivono in Piemonte, Liguria, Emilia, Veneto, Lombardia, Sicilia.
In particolare a Monfalcone, Casale Monferrato, La Spezia, Massa, Carrara, Taranto, Siracusa, Broni.
9 mila persone che vivono.....o forse hanno già vissuto.
2 mila morti l'anno che continueranno purtroppo nel futuro.
Perché la fibra dell'amianto è come un tarlo che entra nel tuo organismo, un minuscolo ed impercettibile pulviscolo che lentamente ma inesorabilmente ti porta alla morte.
Negli anni, dopo interminabili sofferenze.
L'impiego dell'amianto è fuorilegge in Italia dal 1992.
La legge 257 stabilisce la dismissione e la bonifica degli impianti, riconosce una rivalutazione contributiva per fini pensionistici, obbliga l'Inail a realizzare le mappe a rischio.
Tutto bene direte voi..
C'è la legge, esistono i riconoscimenti,
Ma le leggi per essere effettive devono essere applicate.
Ad oggi per un lavoratore è ancora difficile dimostrare l'esposizione all'amianto.
O meglio, come in molti altri casi, è difficile stabilire un nesso di causalità tra malattia ed esposizione alla fibra.
E i responsabili di quelle morti?
Dove li mettiamo?
Ci sono voluti 17 anni dalla legge del 1992.
Nel frattempo tu sei diventato grande, ha messo su famiglia, comprato casa, fatto figli, dato a loro un avvenire.
Nel frattempo ogni giorno, ogni ora, minuto, secondo, tu hai respirato la fibra di amianto che come un tarlo ti ha ipotecato una morte certa.
Nell’aprile 2009 si è finalmente aperto, presso il Palazzo di giustizia di Torino, il processo a carico dei responsabili della società Eternit S.p.A., gestore degli stabilimenti di Cavagnolo (To), Casale Monferrato (Al), Bagnoli (Na) e Rubiera (Re), per i danni prodotti alla salute degli operai nelle lavorazioni da amianto, ritenuta responsabile della morte e della malattia di centinaia di persone.
In migliaia si sono costituiti parte civile al processo contro i due proprietari della Eternit - lo svizzero Schmidheiny e il barone belga De Cartier De Marchienne - imputati di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro colposo.
Per le decine di morti di amianto alla Fibronit di Broni, la Procura di Voghera ha messo sotto indagine tre dirigenti dell'azienda.
A Monfalcone, in provincia di Gorizia la magistratura ha aperto almeno 600 fascicoli riconducibili all'esposizione da amianto. Molti sono stati archiviati, altri si sono trasformati in processi.
Andrea Sigona - Per lo stesso sentiero
Lo sai cos'è una fibra di amianto?
Polvere, polvere invisibile.
Una fibra di amianto è 1300 volte più sottile di un capello umano.
L'inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali come il carcinoma polmonare.
Per questo tutte quelle persone morte in silenzio chiedono solo due cose.
Verità e giustizia.
Dimmi chi e' stato?
Se lo sai, dimmi allora chi e' stato a farmi sparire dalla tv Rai 1?
Perché al suo posto ora vedo il tg di Italia 1 Studio Aperto dove la cronaca, dicono, e' una scienza esatta.
E allora?
Ti hanno rubato la ruota del tuo motorino che tenevi incatenato in strada?
E' stato un albanese, un rom oppure.....un rumeno.
Ti e' sparito il taglia erba dal tuo bel giardino?
E' stata senza dubbio la rumena che frequenta tuo figlio e che ha invitato a casa tua quella settimana, ti ricordi, quando eri andato a Cuba.
Non trovi più il trinciapollo che hai lasciato sul davanzale?
E' stato quel rumeno della porta accanto.......il rumeno della porta accanto......
... solo per farti dispetto.
Chi ti ha fregato i soldi della pensione che avevi appena ritirato in posta e che tenevi chiusi dentro il tuo borsellino in finta pelle rossa?
Il rumeno mal vestito che parlava una lingua strana oppure quel giovane riccioluto che ti aveva accompagnato con garbo all'uscita?
Non c'è dubbio e' stato il rumeno.
Troppo odio nei suoi occhi.
Perché come direbbero certi padani non c'e niente da fare, ci sono popoli nati per delinquere.
Ma sarà proprio così?
E' accaduto a Gallarate, nella ricca e opulenta Lombardia, non lontano dall'autostrada che collega Milano a Varese, quella costeggiata da migliaia di capannoni.
L’uomo si chiama Ion Cazacu.
Ha 40 anni, é un ingegnere rumeno che però è impiegato come piastrellista in una piccola impresa edile, in nero, senza la pur minima assicurazione, una paga ridicola.
Una sera Cazacu e altri colleghi si recano nell’abitazione del proprietario dell’azienda, Cosimo Iannece.
Cazacu é stufo di lavorare senza contratto e chiede di essere assunto.
A quel punto scoppia una mezza rissa.
Così il suo padrone lo cosparge di benzina e gli da fuoco.
Cazacu lotta per ore tra la vita e la morte, ma il 16 aprile 2000 chiude per sempre i suoi occhi.
Muore all'ospedale di Genova, devastato dalle ustioni per il novanta per cento del corpo.
Come è andata a finire sul piano giudiziario?
Secondo la Corte di Cassazione, Cosimo Iannece uccide Ion Cazacu, ma non per motivi abietti.
Ehi giudice, dove è finita la giustizia?
Cosa vuol dire uccidere ma non per motivi abietti?
Sotto terra è finita al giustizia, perché quando uccidi compi sempre un gesto abietto, e tu giudice questo dovresti saperlo.
Il tuo è solo un modo per giustificare la condanna a 16 anni di carcere.
Iannece avrebbe ecceduto nel difendere i propri diritti sentendosi minacciato dalle rivendicazioni del rumeno.
Così ha stabilito un tribunale dello stato italiano.
In memoria di Jon Cazacu partito da lontane e povere terre europee in cerca di un’occupazione che trovò la morte per mano italiana nella ricca e opulenta Lombardia.
Andrea Sigona -Saluta il Senegal
Sfruttati.
Sottopagati.
Alloggiati in luridi tuguri.
Massacrati di botte se protestano.
Uccisi e i loro corpi spariti, mai più ritrovati.
Sono i braccianti stranieri che lavorano e muoiono nella provincia di Foggia, anche a causa del nostro silenzio.
Sono almeno cinquemila, solo nel periodo della raccolta dei pomodori.
Nessuno ha mai fatto un censimento preciso.
Tutti stranieri.
Tutti sfruttati in nero.
Rumeni con e senza permesso di soggiorno.
E poi bulgari e polacchi.
E africani.
Vengono da Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea.
Alcuni sono sbarcati da pochi giorni, la maggior parte ha percorso la rotta libica.
I loro padroni portano la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate.
Sono pugliesi, si fanno accompagnare da guardaspalle, da caporali spesso maghrebini che gli garantiscono ordine e sicurezza nei campi.
Non c'è limite alla vergogna nel triangolo degli schiavi.
E' un triangolo senza legge che copre quasi tutta la provincia di Foggia, da Cerignola a Candela e su, più a Nord, fin oltre San Severo.
Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: sono italiani, arabi, europei dell'Est.
Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire.
Senza acqua, né luce, né igiene.
Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera.
E li pagano, quando pagano, venti euro al giorno.
Chi si presenta tardi, una volta al campo viene punito a pugni.
Chi non va a lavorare deve versare al caporale la multa.
Anche se si ammala.
Sono venti euro, praticamente un giorno di lavoro gratis.
Chi protesta viene zittito a colpi di spranga.
C'è chi riesce a scappare.
Così i caporali iniziano la caccia all'uomo.
Li cercano tutta notte.
Qualcuno viene raggiunto, picchiato e riportato nei campi di pomodoro.
Qualcun altro viene ucciso.
E il suo corpo mai più ritrovato.
Sono passati tre anni dall'inchiesta di Fabrizio Gatti del settimanale l'Espresso.
Dopo l'indignazione espressa dalla società civile il primo mese, tutto e' ormai passato sotto silenzio.
Lo stesso che non ci ha fatto scendere a Rosarno per difendere gli immigrati dagli spari dei boss della n'drangheta.
Un silenzio.
Il nostro fragoroso silenzio.
Prima gli allarmi, poi le promesse dei politici su nuove norme legislative contro gli incidenti sul lavoro, e ancora gli imprenditori che assicurano il miglioramento degli standard di sicurezza.
Andrea Sigona - Quelli della Thyssen Krupp
Poi c'è il giorno in cui le notizie sulle morti sul lavoro occupano le prime pagine dei giornali.
Tutti parlano: vertici delle istituzioni, politici, sindacato e aziende.
Tutto sembra trovare una soluzione ma poi tutto torna di nuovo sotto silenzio, e nell'ombra i nemici della nostra sicurezza possono ancora ricominciare a delinquere.
Ma quando la speranza di un cambiamento reale sembra allontanarsi, resta viva la memoria di quelli che non vi sono più e che queste storie non possono raccontare.
E’ la memoria dei sette operai della Thyssenkrupp di Torino, morti in fabbrica dopo terribili sofferenze.
Per tutti a Torino, la Thyssenkrupp è la fabbrica dei tedeschi.
Ci lavorano migliaia di persone.
E’ un luogo di lavoro dove più volte gli operai hanno denunciato condizioni sotto i livelli standard di sicurezza.
6 dicembre 2007.
Siamo nella linea 5, reparto di trattamento termico e decapaggio dove i laminati di acciaio sono portati ad alta temperatura e poi raffreddati in bagni d'olio.
All’una e mezza di notte, si spezza uno dei tubi flessibili.
contiene olio in abbondanza.
L’incendio divampa.
Il tubo diventa una sorta di lanciafiamme che inonda macchine e persone.
Qualche operaio prova a spegnere il fuoco, ma gli estintori sono scarichi, dunque non servono.
Quella sera, e nei giorni successivi, perdono la vita Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi.
Cosa si è scoperto?
La linea 5 funzionava in violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto ‘ ad esempio – in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi.
La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.
La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico.
I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano raccomandato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilevante di incendio.
La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. La sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa.
Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costituite da personale che non aveva completato l’addestramento previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza era violava le prescrizioni di legge.
Gli operai della linea 5 dovevano intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure.
In caso di incendio di ‘grave entità’ la procedura prevedeva la sola composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio. Non era previsto l’immediato appello dei Vigili del Fuoco.
Non vi era alcuna prescrizione che indicasse quando un incendio era di ‘grave entità’. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme.
Si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione.
I sistemi individuali di spegnimento, gli estintori erano scarichi o inutilizzabili.
Nessuno aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità.
Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi
Questo si è scoperto alla Thyssenkrupp.
La fabbrica dei tedeschi.
La fabbrica in cui ......apparentemente ....tutto funzionava alla perfezione.
Apparentemente.....soltanto apparantemente.
Cosa può raccontare uno spettacolo di teatro civile?
Uno spettacolo di teatro civile non può migliorare le condizioni di salute dei lavoratori.
Uno spettacolo di teatro civile non può ridare la vita agli operai uccisi alla Thyssenkrupp, a quelli morti al Petrolchimico di Porto Marghera, all'Ilva di Taranto, negli stabilimenti della Stoppani di Genova, della Montedison di Massa, a Gela, a Manfredonia, a quei lavoratori colpiti da mesotelioma pleurico dopo anni di servizio agli stabilimenti Eternit di Casale Monferrato, Bagnoli, Siracusa, alle miniere di Emarese e Balangiero, alla Fibronit di Broni.
Uno spettacolo di teatro civile non può imporre lo Stato la tutela e la sicurezza nelle fabbriche, neppure incriminare e stabilire pene per i responsabili delle morti sul lavoro.
Uno spettacolo di teatro civile può soltanto smuovere le coscienze, creare emozione, provocare indignazione.
Nulla di più.
Perché non si debba più morire in un giorno normale di lavoro, mentre si guadagna il pane per vivere.
Andrea Sigona - Perché Fausto e Iaio
Riconoscerai
Il significato
Di un arbeit macht frei.
Tetra economia
Quotidiana umiltà
Ti spingono sempre
Verso arbeit macht frei.
Consapevolezza
Ogni volta di più
Ti farà vedere
Cos'è arbeit macht frei.
(Demetrio Stratos Area)
I calcoli matematici sono freddi, generalmente non hanno un'anima.
Statistiche, proiezioni, raffronti, percentuali.
Sono operazioni svolte da uomini ma distanti dalla vita delle persone.
Sono numeri sommati, moltiplicati, sottratti, poi divisi, ancora sommati, divisi, risommati, sottratti di nuovo, e ancora moltiplicati, divisi, che alla fine compiono un totale.
Sono colonne di numeri messi in fila, pronti per essere proiettati, interpretati, magari manipolati, travisati.
Naturalmente dagli uomini, per conto di altri uomini, spesso contro altri uomini ancora.
Solo quando vengono associati a un soggetto, quei numeri fanno capire molto di più di qualsiasi analisi, rapporto, editoriale di un quotidiano, rilievo di un ricercatore.
I numeri associati ad un soggetto raccontano una storia e ne descrivono il senso compiuto.
Se ti dicessi 874.940, così, senza spiegarti il motivo, tu non capiresti proprio nulla.
Di cosa stiamo parlando, mi diresti.
874.940.
Si, va bene, ma di cosa?
874.940.
Persone...uomini...donne....vecchi...ragazzi....bambini...neonati...
874.940.
Di cosa?
Scuole...studenti...insegnati...presidi...bidelli.....
Fabbriche...operai...impiegati...dirigenti....
874.940.
Di cosa?
Letti così quei numeri non si capiscono.
874.940.
Se ti dicessi invece operai, impiegati, muratori, carpentieri, attrezzisti, elettricisti, carrozzieri, meccanici, falegnami, contadini italiani portati in ospedale in una giornata di ordinario lavoro.
Se ti dicessi che molti di loro sono immigrati con regolare permesso di soggiorno che in un anno subiscono un infortunio sul lavoro.
Allora capiresti tutto.
E se mi venisse fuori un altro numero?
1120.
Sono gli incidenti mortali sul lavoro in un anno.
A questo punto ti potesti perfino incazzare.
Perché …..perché non si può morire mentre si lavora.
1120 persone.
Potresti chiudere gli occhi e immaginare tutte le loro storie.
1120 uomini e donne uccisi da macchinari, caduti da impalcature traballanti e gru non a norma nei cantieri edili, fulminati da cavi di alta tensione, bruciati dentro silos, ustionati da esplosioni di altiforni, investiti da autovetture o camion su strade e autostrade del nostro paese, morti mentre prestavano soccorso sopra elicotteri, travolti da pale meccaniche, trattori, attrezzi di ogni genere, intossicati da sostanze chimiche.
Storie di uomini e donne colpiti in un momento normale della vita, intenti a compiere uno dei normali movimenti del lavoro quotidiano.
Storie di uomini e donne rimasti uccisi da regole non rispettate e da leggi mai applicate.
Regole, patti tra persone.
Io presto un'opera di ingegno, magari intellettuale.
Offro un servizio, un contributo tecnico specializzato oppure di tipo impiegatizio, o soltanto di mera manovalanza.
Chiedo uno stipendio equilibrato, una paga giusta.
Lavoro le ore previste dal contratto, quello che tu datore di lavoro hai concordato con il mio sindacato.
Se lavoro più ore, tu imprenditore mi metti in busta paga gli straordinari.
Non ti dimentichi di fare manutenzione quotidiana agli impianti, applichi le leggi sulla sicurezza nei posti di lavoro comma dopo comma e mi eviti infortuni.
Io rispetto i doveri, chiedo diritti.
Tu rispetti le regole, i patti tra persone.
Detto così sarebbe perfetto.
Tutto funzionerebbe bene, sarebbe un paese normale.
Ma l’Italia, un paese normale purtroppo non è.
Ecco i numeri.
Prendo un rapporto dell'Inail che contabilizza gli infortuni sul lavoro.
Il tono è da burocrati dello Stato.
Tic...tic...tic
Tic...tic...tic...tic...tic...tic….tic...tic...tic
Nel 2008 il numero di morti sul lavoro è sceso ai livelli minimi dal dopoguerra.
L'anno si è chiuso con 874.940 infortuni sul lavoro e 1.120 incidenti mortali.
Un bilancio infortunistico che pur nella drammaticità dei numeri segna un incoraggiante record storico.
Il numero di infortuni mortali è infatti sceso, per la prima volta dal 1951, al di sotto dei 1.200 casi l'anno.
Nel 2008, i morti sul lavoro sono diminuiti del 7,2% rispetto ai 1.207 dell'anno precedente.
Il 2008 non fa che confermare una tendenza che, con l'unica eccezione del 2006, è in corso ormai da molti anni: da un punto di vista statistico l'andamento storico del fenomeno degli infortuni mortali appare ridotto ad un quarto rispetto ai primi anni Sessanta.
In circa quaranta anni, infatti, si è passati dal tragico record storico di 4.664 morti sul lavoro del 1963, apice del boom economico, ai poco più di 1.500 di inizio millennio.
Tale trend decrescente è poi proseguito negli anni Duemila: tra il 2001 e il 2008 gli infortuni mortali sono diminuiti di circa il 28% in valori assoluti e di oltre il 33% se il dato è rapportato agli occupati, che nello stesso periodo di tempo sono aumentati dell'8,3%.
Il calo è stato continuo e sostenuto dal 2001 (1.546 infortuni mortali) al 2005 (1.280 casi), ma si è interrotto nel nel 2006, con un improvviso rialzo (1.341 decessi).
I dati 2007 (1.207) e 2008 (1.120) hanno tuttavia segnato di nuovo una decisa riduzione degli eventi mortali.
Riduzione degli eventi mortali?
Numero dei morti sul lavoro scesi ai livelli minimi dal dopoguerra?
Un bilancio che segna un incoraggiante record storico?
Ehi, funzionario dello Stato, ma come parli?
Metti in fila i numeri, sfoderi percentuali e tendenze, ma non spieghi che dietro a quelle cifre ci sono persone, con le loro famiglie, i figli da mantenere, uomini e donne che avevano speranze e sogni ancora tutti da realizzare.
Dietro a quei freddi numeri che tu funzionario dello Stato metti in colonna e che contabilizzi come fossero merci, ci sono esseri umani che hanno attraversato deserti, sono sfuggiti a guerra, cavalcato onde di mari agitati e in tempesta con motoscafi di altura, pagato 5mila dollari a spietati trafficanti.
Gente scappata dalla fame che si è ritrovata in un cantiere di una grande città del nord a costruire belle case da 300 – 400 mila euro, in quartieri nuovi, residenziali, con parco giochi per bambini e garage per automobili di lusso.
Uomini e donne pagati 700 euro al mese, quando va bene, senza libretti, senza pensione, né assicurazione, permesso di soggiorno che alla fine trovano la morte perché i loro datori di lavoro non rispettano le pur minime norme di sicurezza.
Ecco ancora i numeri.
I funzionari dello Stato sono instancabili con le loro statistiche, puntuali, precise, che non raccontano niente, che non dicono niente.
Perché pur associando i numeri ad un soggetto, pur moltiplicando, sommando, sottraendo e dividendo, non c'è anima.
Tic...tic...tic
Tic...tic...tic...tic...tic...tic.tic...tic...tic
Infortuni sul lavoro- Infortuni denunciati: 874.940 (-4,1% rispetto 2007)
Ripartizione per gestione: 790.214 nell'industria e servizi (90,3%); 53.278 nell'agricoltura (6,1%); 31.448 fra i dipendenti dello Stato (3,6%) . Oltre il 61% degli infortuni è concentrato nel Nord industrializzato: in particolare Lombardia (150mila casi), Emilia Romagna (124mila casi) e Veneto (104mila casi) assommano oltre il 43% del denunciato nel Paese.L'Umbria si conferma al primo posto per indice di frequenza infortunistica, seguita da Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia.
Infortuni nel periodo 2001-2008: -14,5% .
Infortuni lavoratori stranieri: 143mila (+2% rispetto 2007). I lavoratori stranieri hanno un'incidenza infortunistica più elevata rispetto a quella degli italiani (44 infortuni denunciati ogni 1.000 occupati contro i 39 degli italiani)
Infortuni mortali sul lavoro nel 2008: 1.120 (-7,2% rispetto 2007).
Record storico: per la prima volta dal 1951 (anno a partire dal quale si dispone di statistiche attendibili e strutturate) il numero dei morti per infortunio sul lavoro in Italia è sceso al di sotto dei 1.200 casi/anno.
Ripartizione dei casi mortali per gestione: 121 nell'agricoltura (+15,2%); 554 nell'industria (-9,3%); 445 nei servizi (-9,4%). Sono 611 gli incidenti mortali causati, in generale, dalla circolazione stradale (più del 54%): di cui 276 (-9,2%) casi in itinere e 335 occorsi sulla strada a lavoratori che operano in questo particolare ambiente. I casi mortali che hanno riguardato lavoratori stranieri sono stati 176.
Dunque, a questo punto c'e' proprio bisogno di un traduttore.
Tu funzionario parli una lingua che noi persone comuni non capiamo, parli a una casta di mandarini, ad un gruppo ristretto di ricercatori.
Per te la morte di un uomo e' pura statistica.
C'e bisogno di un salto logico, qualcosa che la fantasia di un funzionario non può descrivere.
Gli infortuni sul lavoro sono concentrati nel comparto industriale e nel settore dei servizi.
In particolare, i problemi di sicurezza sembrano interessare le fabbriche del ricco nord dove, tra Lombardia e Veneto, e' concentrato il maggior numero del prodotto interno lordo, cioè lo strumento economico che misura la nostra ricchezza nazionale.
Molti sono stranieri e immigrati, che trovano impiego in piccole aziende artigiane, gestite in modo familiare.
Lavoratori impegnati in mestieri che gli italiani non intendono realizzare.
Per capire ciò che accade nel nostro paese, dobbiamo compiere un passo indietro.
E un cuntista a questo punto cosa fa?
Un cuntista racconta storie.
Andrea Sigona - La fabbrica
Dov’è finita l'altra Milano?
Dove è finita la città che non ha mai creduto alla poesia degli spot e del conto in banca, che non si è mai riconosciuta nei falsi messaggi della moda e negli slogan bugiardi sulla "capitale europea"?
L’altra Milano ha perso la voce, si è rinchiusa in quello che si chiamava "privato".
Ma c’è ancora al sua memoria.
Questa storia ha un titolo, “la tuta di Celentano” e un protagonista, Ubaldo Urso.
E’ una piccola grande storia italiana, una vicenda esemplare di emigrazione da sud al nord.
Ubaldo Urso nasce a Casoria.
Inizia a lavorare fin da ragazzino.
Conduce una vita dura, grama come minatore a San Cataldo, paese di mafia.
Poi affronta il lungo viaggio verso Milano, una città che negli anni Sessanta accoglie i frutti del sottoproletariato meridionale.
Così, privo di coscienza sindacale e di spirito di classe, Ubaldo viene assunto all'Innocenti e fa il crumiro.
I suoi colleghi operai lo chiamano Celentano, proprio come il cantante.
Ubaldo e' un tipo gioviale, allegro, un pazzariello che lavora e canta canzoni di Celentano.
Suona la chitarra, utilizza gli stessi stratagemmi e balla come il supermolleggiato.
La Innocenti, la mitica fabbrica della Lambretta, del sogno del boom economico, viene acquistata dalla britannica Leyland.
Passano gli anni e la Leyland vende tutto alla Maserati.
A Lambrate si producono sempre macchine, ma questa volta non utilitarie ma automobili di lusso.
E che lusso.
Alejandro Maserati sposta a Milano alcuni comparti produttivi e si fa pagare dallo stato il peso economico di alcune ristrutturazioni.
Ma un giorno decide di smantellare, tutti a casa, tempo pochi mesi.
1046 lavoratori in mobilità.
Il sindacato organizza l'occupazione dei cancelli, una lotta disperata, già perdente, ma che si deve fare per affermare la dignità.
Dopo lunghi mesi di battaglie e lotte, la facciata della fabbrica ha un aspetto antico, sembra uscita dal museo delle industrie, mentre di quasi tutti i capannoni resta solo lo scheletro.
Quella che era una fabbrica gioiello sembra già un' area dismessa.
Perché la Maserati ha ormai le ore contate.
Un giorno Celentano non ce la fa più.
Con la lettera di licenziamento in tasca, Ubaldo sale sulla grande torre al centro della fabbrica, quella del serbatoio dell’acqua, e minaccia di lanciarsi da settanta metri.
Dalla torre Celentano non scende, neanche quando arrivano i suoi compagni, i colleghi, gli amici di sempre, nemmeno quando le volanti della polizia e i mezzi dei vigili del fuoco con le sirene spiegate convergono tutte su Lambrate.
Solo dopo una lunga trattativa Ubaldo Urso detto Celentano scende dalla torre.
Perché Celentano non ha più nulla da perdere.
Perché ormai il suo posto di lavoro non c'è più, e' morto.
Non c'è più la fabbrica, se la sono venduta, smantellata, dopo aver incassato le sovvenzioni dello stato.
Nella Milano da bere degli anni novanta, Celentano rischia la vita per far uscire dall'anonimato le lotte dei lavoratori della Maserati e occupare cosi le cronache dei giornali.
Come anni dopo avverrà alla Innse di Milano, e in centinaia di piccole, medie e grandi fabbriche italiane travolte dalla crisi economica, dalla cattiva gestione del credito alle imprese da parte delle banche, da qualche imprenditore furbacchione, da governi sordi e compiacenti.
Andrea Sigona - Celentano
Lo sai cos'è una fibra di amianto?
Polvere, polvere invisibile.
Una fibra di amianto è 1300 volte più sottile di un capello umano.
L'amianto serve come isolante di edifici, tetti, navi.
Viene impiegato come materiale per l'edilizia (tegole, pavimenti, tubazioni, vernici, canne fumarie), nelle tute dei vigili del fuoco, nelle auto (vernici, parti meccaniche), ma anche per la fabbricazione di corde, plastica e cartoni.
Lo sai cosa può provocare il contatto con l'amianto?
L'inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali come il carcinoma polmonare.
In Italia, nel tuo bel paese, oltre 9mila persone si sono ammalati di questi tumori.
Almeno 7 mila di loro hanno contratto la malattia nei luoghi di lavoro.
Sono dati ufficiali, mica frottole.
Sono dati censiti nel Registro nazionale dal 1993 al 2004.
Gran parte di quelle persone vivono in Piemonte, Liguria, Emilia, Veneto, Lombardia, Sicilia.
In particolare a Monfalcone, Casale Monferrato, La Spezia, Massa, Carrara, Taranto, Siracusa, Broni.
9 mila persone che vivono.....o forse hanno già vissuto.
2 mila morti l'anno che continueranno purtroppo nel futuro.
Perché la fibra dell'amianto è come un tarlo che entra nel tuo organismo, un minuscolo ed impercettibile pulviscolo che lentamente ma inesorabilmente ti porta alla morte.
Negli anni, dopo interminabili sofferenze.
L'impiego dell'amianto è fuorilegge in Italia dal 1992.
La legge 257 stabilisce la dismissione e la bonifica degli impianti, riconosce una rivalutazione contributiva per fini pensionistici, obbliga l'Inail a realizzare le mappe a rischio.
Tutto bene direte voi..
C'è la legge, esistono i riconoscimenti,
Ma le leggi per essere effettive devono essere applicate.
Ad oggi per un lavoratore è ancora difficile dimostrare l'esposizione all'amianto.
O meglio, come in molti altri casi, è difficile stabilire un nesso di causalità tra malattia ed esposizione alla fibra.
E i responsabili di quelle morti?
Dove li mettiamo?
Ci sono voluti 17 anni dalla legge del 1992.
Nel frattempo tu sei diventato grande, ha messo su famiglia, comprato casa, fatto figli, dato a loro un avvenire.
Nel frattempo ogni giorno, ogni ora, minuto, secondo, tu hai respirato la fibra di amianto che come un tarlo ti ha ipotecato una morte certa.
Nell’aprile 2009 si è finalmente aperto, presso il Palazzo di giustizia di Torino, il processo a carico dei responsabili della società Eternit S.p.A., gestore degli stabilimenti di Cavagnolo (To), Casale Monferrato (Al), Bagnoli (Na) e Rubiera (Re), per i danni prodotti alla salute degli operai nelle lavorazioni da amianto, ritenuta responsabile della morte e della malattia di centinaia di persone.
In migliaia si sono costituiti parte civile al processo contro i due proprietari della Eternit - lo svizzero Schmidheiny e il barone belga De Cartier De Marchienne - imputati di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro colposo.
Per le decine di morti di amianto alla Fibronit di Broni, la Procura di Voghera ha messo sotto indagine tre dirigenti dell'azienda.
A Monfalcone, in provincia di Gorizia la magistratura ha aperto almeno 600 fascicoli riconducibili all'esposizione da amianto. Molti sono stati archiviati, altri si sono trasformati in processi.
Andrea Sigona - Per lo stesso sentiero
Lo sai cos'è una fibra di amianto?
Polvere, polvere invisibile.
Una fibra di amianto è 1300 volte più sottile di un capello umano.
L'inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali come il carcinoma polmonare.
Per questo tutte quelle persone morte in silenzio chiedono solo due cose.
Verità e giustizia.
Dimmi chi e' stato?
Se lo sai, dimmi allora chi e' stato a farmi sparire dalla tv Rai 1?
Perché al suo posto ora vedo il tg di Italia 1 Studio Aperto dove la cronaca, dicono, e' una scienza esatta.
E allora?
Ti hanno rubato la ruota del tuo motorino che tenevi incatenato in strada?
E' stato un albanese, un rom oppure.....un rumeno.
Ti e' sparito il taglia erba dal tuo bel giardino?
E' stata senza dubbio la rumena che frequenta tuo figlio e che ha invitato a casa tua quella settimana, ti ricordi, quando eri andato a Cuba.
Non trovi più il trinciapollo che hai lasciato sul davanzale?
E' stato quel rumeno della porta accanto.......il rumeno della porta accanto......
... solo per farti dispetto.
Chi ti ha fregato i soldi della pensione che avevi appena ritirato in posta e che tenevi chiusi dentro il tuo borsellino in finta pelle rossa?
Il rumeno mal vestito che parlava una lingua strana oppure quel giovane riccioluto che ti aveva accompagnato con garbo all'uscita?
Non c'è dubbio e' stato il rumeno.
Troppo odio nei suoi occhi.
Perché come direbbero certi padani non c'e niente da fare, ci sono popoli nati per delinquere.
Ma sarà proprio così?
E' accaduto a Gallarate, nella ricca e opulenta Lombardia, non lontano dall'autostrada che collega Milano a Varese, quella costeggiata da migliaia di capannoni.
L’uomo si chiama Ion Cazacu.
Ha 40 anni, é un ingegnere rumeno che però è impiegato come piastrellista in una piccola impresa edile, in nero, senza la pur minima assicurazione, una paga ridicola.
Una sera Cazacu e altri colleghi si recano nell’abitazione del proprietario dell’azienda, Cosimo Iannece.
Cazacu é stufo di lavorare senza contratto e chiede di essere assunto.
A quel punto scoppia una mezza rissa.
Così il suo padrone lo cosparge di benzina e gli da fuoco.
Cazacu lotta per ore tra la vita e la morte, ma il 16 aprile 2000 chiude per sempre i suoi occhi.
Muore all'ospedale di Genova, devastato dalle ustioni per il novanta per cento del corpo.
Come è andata a finire sul piano giudiziario?
Secondo la Corte di Cassazione, Cosimo Iannece uccide Ion Cazacu, ma non per motivi abietti.
Ehi giudice, dove è finita la giustizia?
Cosa vuol dire uccidere ma non per motivi abietti?
Sotto terra è finita al giustizia, perché quando uccidi compi sempre un gesto abietto, e tu giudice questo dovresti saperlo.
Il tuo è solo un modo per giustificare la condanna a 16 anni di carcere.
Iannece avrebbe ecceduto nel difendere i propri diritti sentendosi minacciato dalle rivendicazioni del rumeno.
Così ha stabilito un tribunale dello stato italiano.
In memoria di Jon Cazacu partito da lontane e povere terre europee in cerca di un’occupazione che trovò la morte per mano italiana nella ricca e opulenta Lombardia.
Andrea Sigona -Saluta il Senegal
Sfruttati.
Sottopagati.
Alloggiati in luridi tuguri.
Massacrati di botte se protestano.
Uccisi e i loro corpi spariti, mai più ritrovati.
Sono i braccianti stranieri che lavorano e muoiono nella provincia di Foggia, anche a causa del nostro silenzio.
Sono almeno cinquemila, solo nel periodo della raccolta dei pomodori.
Nessuno ha mai fatto un censimento preciso.
Tutti stranieri.
Tutti sfruttati in nero.
Rumeni con e senza permesso di soggiorno.
E poi bulgari e polacchi.
E africani.
Vengono da Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea.
Alcuni sono sbarcati da pochi giorni, la maggior parte ha percorso la rotta libica.
I loro padroni portano la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate.
Sono pugliesi, si fanno accompagnare da guardaspalle, da caporali spesso maghrebini che gli garantiscono ordine e sicurezza nei campi.
Non c'è limite alla vergogna nel triangolo degli schiavi.
E' un triangolo senza legge che copre quasi tutta la provincia di Foggia, da Cerignola a Candela e su, più a Nord, fin oltre San Severo.
Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: sono italiani, arabi, europei dell'Est.
Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire.
Senza acqua, né luce, né igiene.
Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera.
E li pagano, quando pagano, venti euro al giorno.
Chi si presenta tardi, una volta al campo viene punito a pugni.
Chi non va a lavorare deve versare al caporale la multa.
Anche se si ammala.
Sono venti euro, praticamente un giorno di lavoro gratis.
Chi protesta viene zittito a colpi di spranga.
C'è chi riesce a scappare.
Così i caporali iniziano la caccia all'uomo.
Li cercano tutta notte.
Qualcuno viene raggiunto, picchiato e riportato nei campi di pomodoro.
Qualcun altro viene ucciso.
E il suo corpo mai più ritrovato.
Sono passati tre anni dall'inchiesta di Fabrizio Gatti del settimanale l'Espresso.
Dopo l'indignazione espressa dalla società civile il primo mese, tutto e' ormai passato sotto silenzio.
Lo stesso che non ci ha fatto scendere a Rosarno per difendere gli immigrati dagli spari dei boss della n'drangheta.
Un silenzio.
Il nostro fragoroso silenzio.
Prima gli allarmi, poi le promesse dei politici su nuove norme legislative contro gli incidenti sul lavoro, e ancora gli imprenditori che assicurano il miglioramento degli standard di sicurezza.
Andrea Sigona - Quelli della Thyssen Krupp
Poi c'è il giorno in cui le notizie sulle morti sul lavoro occupano le prime pagine dei giornali.
Tutti parlano: vertici delle istituzioni, politici, sindacato e aziende.
Tutto sembra trovare una soluzione ma poi tutto torna di nuovo sotto silenzio, e nell'ombra i nemici della nostra sicurezza possono ancora ricominciare a delinquere.
Ma quando la speranza di un cambiamento reale sembra allontanarsi, resta viva la memoria di quelli che non vi sono più e che queste storie non possono raccontare.
E’ la memoria dei sette operai della Thyssenkrupp di Torino, morti in fabbrica dopo terribili sofferenze.
Per tutti a Torino, la Thyssenkrupp è la fabbrica dei tedeschi.
Ci lavorano migliaia di persone.
E’ un luogo di lavoro dove più volte gli operai hanno denunciato condizioni sotto i livelli standard di sicurezza.
6 dicembre 2007.
Siamo nella linea 5, reparto di trattamento termico e decapaggio dove i laminati di acciaio sono portati ad alta temperatura e poi raffreddati in bagni d'olio.
All’una e mezza di notte, si spezza uno dei tubi flessibili.
contiene olio in abbondanza.
L’incendio divampa.
Il tubo diventa una sorta di lanciafiamme che inonda macchine e persone.
Qualche operaio prova a spegnere il fuoco, ma gli estintori sono scarichi, dunque non servono.
Quella sera, e nei giorni successivi, perdono la vita Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi.
Cosa si è scoperto?
La linea 5 funzionava in violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto ‘ ad esempio – in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi.
La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.
La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico.
I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano raccomandato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilevante di incendio.
La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. La sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa.
Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costituite da personale che non aveva completato l’addestramento previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza era violava le prescrizioni di legge.
Gli operai della linea 5 dovevano intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure.
In caso di incendio di ‘grave entità’ la procedura prevedeva la sola composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio. Non era previsto l’immediato appello dei Vigili del Fuoco.
Non vi era alcuna prescrizione che indicasse quando un incendio era di ‘grave entità’. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme.
Si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione.
I sistemi individuali di spegnimento, gli estintori erano scarichi o inutilizzabili.
Nessuno aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità.
Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi
Questo si è scoperto alla Thyssenkrupp.
La fabbrica dei tedeschi.
La fabbrica in cui ......apparentemente ....tutto funzionava alla perfezione.
Apparentemente.....soltanto apparantemente.
Cosa può raccontare uno spettacolo di teatro civile?
Uno spettacolo di teatro civile non può migliorare le condizioni di salute dei lavoratori.
Uno spettacolo di teatro civile non può ridare la vita agli operai uccisi alla Thyssenkrupp, a quelli morti al Petrolchimico di Porto Marghera, all'Ilva di Taranto, negli stabilimenti della Stoppani di Genova, della Montedison di Massa, a Gela, a Manfredonia, a quei lavoratori colpiti da mesotelioma pleurico dopo anni di servizio agli stabilimenti Eternit di Casale Monferrato, Bagnoli, Siracusa, alle miniere di Emarese e Balangiero, alla Fibronit di Broni.
Uno spettacolo di teatro civile non può imporre lo Stato la tutela e la sicurezza nelle fabbriche, neppure incriminare e stabilire pene per i responsabili delle morti sul lavoro.
Uno spettacolo di teatro civile può soltanto smuovere le coscienze, creare emozione, provocare indignazione.
Nulla di più.
Perché non si debba più morire in un giorno normale di lavoro, mentre si guadagna il pane per vivere.
Andrea Sigona - Perché Fausto e Iaio
inviata da adriana - 26/2/2011 - 11:32
Che non sia il caso di attribuire questo testo solo a Bianchessi così come gli altri in cui Gang e Priviero gli fanno da sottofondo?
DQ82 - 13/4/2012 - 10:23
Si il testo teatrale dello spettacolo è di Daniele Biacchessi
Daniele Biacchessi - 14/4/2012 - 01:59
assoluamente il testo dello spettacolo è di Daniele Biacchessi.
Le canzoni e i sottofondi musicali di Andrea Sigona
Le canzoni e i sottofondi musicali di Andrea Sigona
Andrea Sigona - 6/8/2015 - 13:40
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Testo reperito in questa pagina del sito di Daniele Biacchessi