אין האַרצן דאָ בײַ מיר ברענט אַ פֿײַערל
אױף דעם װאָס איז אַװעק -
קראָכמאַלנע און די נאַלעװקי,
און די סמאָטשאַ און די לאַזיענסקי.
חסידימלעך, נגדמלעך,
ציוניסטעלעך, בונדיסטעלעך
געקעמפֿט דאָרטן גאָר אָן אַן עק.
איך װיל פּראָבירן פֿאַרגעסן הײַנט
װאָס האָט צו דיר געטאָן דער פֿײַנט,
און זאָגן איצט צו דיר
מיט בטחון אָן אַ שיר:
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
אַ ייׅדישע שטאָט װי געװען.
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
פֿול מיט ייׅדשן חן.
אונטער גרינינקע בױמעלעך
װעלן משהלעך און שלמהלעך
לעבן און שטרעבן אַזױ װי פֿריׅער.
פֿאַבריקעלעך, מלאכהלעך,
חדרימלעך און שילעכלעך
װידער אױפֿבױען װעלן מיר.
חכמה און קולטור
צו האָבן אַזאַ יאָר.
װי שײן דײַן ייׅדיש לעבן איז געװען!
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
האַרציק ייׅדיש װי עס איז געװען..
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
פֿול מיט ייׅדשן חן.
אױף דעם װאָס איז אַװעק -
קראָכמאַלנע און די נאַלעװקי,
און די סמאָטשאַ און די לאַזיענסקי.
חסידימלעך, נגדמלעך,
ציוניסטעלעך, בונדיסטעלעך
געקעמפֿט דאָרטן גאָר אָן אַן עק.
איך װיל פּראָבירן פֿאַרגעסן הײַנט
װאָס האָט צו דיר געטאָן דער פֿײַנט,
און זאָגן איצט צו דיר
מיט בטחון אָן אַ שיר:
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
אַ ייׅדישע שטאָט װי געװען.
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
פֿול מיט ייׅדשן חן.
אונטער גרינינקע בױמעלעך
װעלן משהלעך און שלמהלעך
לעבן און שטרעבן אַזױ װי פֿריׅער.
פֿאַבריקעלעך, מלאכהלעך,
חדרימלעך און שילעכלעך
װידער אױפֿבױען װעלן מיר.
חכמה און קולטור
צו האָבן אַזאַ יאָר.
װי שײן דײַן ייׅדיש לעבן איז געװען!
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
האַרציק ייׅדיש װי עס איז געװען..
װאַרשע מײַן, דו װעסט װידער זײַן
פֿול מיט ייׅדשן חן.
inviata da Bartleby + CCG/AWS Staff - 7/2/2011 - 14:43
Lingua: Yiddish
La trascrizione in caratteri latini.
VARSHE
In hartsn do bay mir brent a fayerl
Af dem vos iz avek—
Krokhmalne un di Nalevki,
Un di Smotsha un di Lazienski.
Khasidimlekh, nigidimlekh,
Tsionistelekh, bundistelekh
Gekemft dortn gor on an ek.
Ikh vil probirn fargesn haynt
Vos hot tsu dir geton der faynt,
Un zogn itst tsu dir
Mit betokhn on a shir:
Varshe mayn, du vest vider zayn
A yidishe shtot vi geven.
Varshe mayn, du vest vider zayn
Ful mit yidshn kheyn.
Unter grininke boymelekh
Veln Moyshelekh un Shloymelekh
Lebn un shtrebn azoy vi frier.
Fabrikelekh, melikhelekh,
Khadorimlekh un shilekhlekh
Vider oyfboyen veln mir.
Khokhme un kultur
Tsu hobn aza yor.
Vi sheyn dayn yidish lebn iz geven!
Varshe mayn, du vest vider zayn
Hartsik yidish vi es iz geven.
Varshe mayn, du vest vider zayn
Ful mit yidshn kheyn.
In hartsn do bay mir brent a fayerl
Af dem vos iz avek—
Krokhmalne un di Nalevki,
Un di Smotsha un di Lazienski.
Khasidimlekh, nigidimlekh,
Tsionistelekh, bundistelekh
Gekemft dortn gor on an ek.
Ikh vil probirn fargesn haynt
Vos hot tsu dir geton der faynt,
Un zogn itst tsu dir
Mit betokhn on a shir:
Varshe mayn, du vest vider zayn
A yidishe shtot vi geven.
Varshe mayn, du vest vider zayn
Ful mit yidshn kheyn.
Unter grininke boymelekh
Veln Moyshelekh un Shloymelekh
Lebn un shtrebn azoy vi frier.
Fabrikelekh, melikhelekh,
Khadorimlekh un shilekhlekh
Vider oyfboyen veln mir.
Khokhme un kultur
Tsu hobn aza yor.
Vi sheyn dayn yidish lebn iz geven!
Varshe mayn, du vest vider zayn
Hartsik yidish vi es iz geven.
Varshe mayn, du vest vider zayn
Ful mit yidshn kheyn.
inviata da Bartleby + CCG/AWS Staff - 6/5/2013 - 10:31
Lingua: Italiano
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
6 maggio 2013
6 maggio 2013
La traduzione è stata ricondotta interamente sul testo originale yiddish e munita di [[|note esplicative]].
VARSAVIA
Nel mio cuore brucia un focherello
per ciò che non c'è più. *1.
La via Krochmalna, la via Nalewki,
la via Smocza, la via Lazieński. *2
Chassidim, benpensanti,
sionisti e bundisti *3
si battagliavano senza sosta.
Voglio provare a dimenticare, oggi,
quel che il nemico ti ha fatto,
e dirti adesso
con fiducia sconfinata:
Varsavia mia, sarai di nuovo
una città ebraica come allora.
Varsavia mia, sarai di nuovo
piena di fascino e grazia ebraica. *4
Sotto gli alberi verdi
i piccoli Mosè e Salomoni *5
vivranno e sogneranno come prima.
Fabbrichette, laboratori,
scuole e sinagoghe, *6
noi le ricostruiremo
per avere come un tempo
saggezza e cultura. *7
Com'era bella la tua vita ebraica!
Varsavia mia, sarai di nuovo
ebraica davvero come allora.
Varsavia mia, sarai di nuovo
piena di fascino e grazia ebraica.
Nel mio cuore brucia un focherello
per ciò che non c'è più. *1.
La via Krochmalna, la via Nalewki,
la via Smocza, la via Lazieński. *2
Chassidim, benpensanti,
sionisti e bundisti *3
si battagliavano senza sosta.
Voglio provare a dimenticare, oggi,
quel che il nemico ti ha fatto,
e dirti adesso
con fiducia sconfinata:
Varsavia mia, sarai di nuovo
una città ebraica come allora.
Varsavia mia, sarai di nuovo
piena di fascino e grazia ebraica. *4
Sotto gli alberi verdi
i piccoli Mosè e Salomoni *5
vivranno e sogneranno come prima.
Fabbrichette, laboratori,
scuole e sinagoghe, *6
noi le ricostruiremo
per avere come un tempo
saggezza e cultura. *7
Com'era bella la tua vita ebraica!
Varsavia mia, sarai di nuovo
ebraica davvero come allora.
Varsavia mia, sarai di nuovo
piena di fascino e grazia ebraica.
NOTE alla traduzione
[1] Alla lettera: “per ciò che è via” [avek].
[2] Nella canzone, Ben-Zion Witler nomina parecchie delle strade del ghetto di Varsavia, col loro nome polacco (“yiddishizzato” nel testo originale, ma riportato qui nella forma polacca autentica). Una di esse è famosissima nella letteratura mondiale: nella via Krochmalna, infatti, dal 1908 al 1917 aveva abitato (al n° 10) il futuro vincitore del Premio Nobel per la letteratura Isaac Bashevis Singer (il quale, peraltro, ha sempre scritto in yiddish). Singer è stato l'autentico cantore della via Krochmalna e della vita che vi si svolgeva.
[3] Qui sono nominate le principali correnti della vita della Varsavia ebraica: i chassidim (ebrei ortodossi), i “benpensanti” (nigidim) che erano i principali oppositori dei chassidim e desideravano l'integrazione con la vita nazionale polacca, i sionisti che propugnavano il ritorno in Palestina e i “bundisti”, vale a dire i socialisti del Bund (“Lega”) seguaci di Theodor Herzl. Quel che è da mettere però in risalto, è che tutti questi termini sono espressi mediante dei diminutivi (come fossero “chassidini, benpensantucci, sionistini, bundistelli” eccetera). Si tratta di una cosa del tutto propria dello yiddish, lingua nel quale il diminutivo esprime tutto e tutto viene espresso mediante diminutivi. E', naturalmente, una cosa del tutto intraducibile: in yiddish il diminutivo -oltre ad essere usato in senso proprio- esprime tutta una serie di sentimenti che vanno dalla comunanza all'ironia, dall'affetto alla critica, dallo spregio alla complicità; e altri ancora. Non è raro che gli abitanti dei ghetti e degli shtetl parlassero di se stessi, ed anche tra loro, come yidelekh (singolare: yidl), vale a dire “ebreucci”. E' possibile mettere il suffisso del diminutivo, in yiddish, a ogni cosa: sostantivi, aggettivi, avverbi (yitstl “proprio ora, ora-ora”) e persino verbi. Il fatto che l'autore qui usi il diminutivo indica, chiaramente, quel senso di comunità che esisteva nel quartiere ebraico di Varsavia; ma anche l'affetto ed il rimpianto che, in quel momento, l'autore provava per qualcosa di irrimediabilmente scomparso.
[4] Il termine kheyn è ebraico: “fascino, grazia”. O meglio, tutte e due le cose assieme. Altra parola legata indissolubilmente all'ambiente, e quindi del tutto intraducibile; la si potrebbe rendere meglio, forse, col francese “charme”.
[5] “Mosè” (Moyshe) e “Salomone” (Shloyme) sono fra i nomi ebraici più comuni e indicano quindi gli “ebrei” tout court. Anche qui, naturalmente, messi al diminutivo (Moyshelekh, Shloymelekh). La cosa non significa necessariamente che si tratti di bambini, anche se è possibile; è, ancora una volta, segno di comunanza e affetto per le figure che popolavano il quartiere.
[6] Altra serie di diminutivi. Per “fabrikelekh” si può usare almeno in un caso il diminutivo italiano “fabbrichette”: in spazi ristrettissimi come quelli dei ghetti era impossibile avere alcunché di grande. Per “laboratori” (ovvero: piccoli laboratori) lo yiddish usa un ebraismo, melokhe (al diminutivo: melikhl, plurale melikhelekh). Il termine significa però anche "lavoro, impiego" tout court, e si potrebbe quindi rendere anche con "lavoretti": una parola davvero "napoletana", che indica l'arte di arrangiarsi. Quel che viene tradotto con “scuole”, khadorimlekh è in realtà il kheyder (plurale: khadorim, altro ebraismo), vale a dire le scuole tradizionali religiose ebraiche nelle quali si insegnavano ai bambini la lingua ebraica e il Talmud in preparazione al bar mitzvà. Nei ghetti dell'Europa orientale, i bambini andavano a scuola, in generale, a quattro anni di età. Viceversa, il termine di derivazione tedesca, shul (da Schule), indicava generalmente la “sinagoga”: alle sinagoghe era annessa la scuola superiore, quella dove si perfezionavano il Talmud e la Torah.
[7] L'ebraismo khokhme è una parola nella quale è presente davvero l'anima dello scomparso ebraismo est-europeo. Il termine significa, infatti, sia “saggezza” (come qui ho tradotto), sia “scherzo, ironia”. Come dire: l'unica vera saggezza si manifesta con l'ironia, e l'ironia è segno di acquisita saggezza. Non c'è da aggiungere altro. Si noti l'uso parallelo della parola tedesca Kultur: anche nel ghetto di Varsavia, gli ebrei tendevano alla cultura secolarizzata e all'inserimento nelle correnti culturali europee, che significavano principalmente: acquisizione della lingua e della cultura tedesca. La maggior parte degli ebrei est-europei studiavano e conoscevano perfettamente il tedesco, strumento necessario per l'arricchimento culturale; lo parlavano però, di solito, con un terribile accento yiddish, in particolare con la famosa "erre moscia" ashkenazita che è trasmigrata come caratteristica fonetica nell'ebraico moderno.
Il modo in cui sono stati ripagati è evidente.
[1] Alla lettera: “per ciò che è via” [avek].
[2] Nella canzone, Ben-Zion Witler nomina parecchie delle strade del ghetto di Varsavia, col loro nome polacco (“yiddishizzato” nel testo originale, ma riportato qui nella forma polacca autentica). Una di esse è famosissima nella letteratura mondiale: nella via Krochmalna, infatti, dal 1908 al 1917 aveva abitato (al n° 10) il futuro vincitore del Premio Nobel per la letteratura Isaac Bashevis Singer (il quale, peraltro, ha sempre scritto in yiddish). Singer è stato l'autentico cantore della via Krochmalna e della vita che vi si svolgeva.
[3] Qui sono nominate le principali correnti della vita della Varsavia ebraica: i chassidim (ebrei ortodossi), i “benpensanti” (nigidim) che erano i principali oppositori dei chassidim e desideravano l'integrazione con la vita nazionale polacca, i sionisti che propugnavano il ritorno in Palestina e i “bundisti”, vale a dire i socialisti del Bund (“Lega”) seguaci di Theodor Herzl. Quel che è da mettere però in risalto, è che tutti questi termini sono espressi mediante dei diminutivi (come fossero “chassidini, benpensantucci, sionistini, bundistelli” eccetera). Si tratta di una cosa del tutto propria dello yiddish, lingua nel quale il diminutivo esprime tutto e tutto viene espresso mediante diminutivi. E', naturalmente, una cosa del tutto intraducibile: in yiddish il diminutivo -oltre ad essere usato in senso proprio- esprime tutta una serie di sentimenti che vanno dalla comunanza all'ironia, dall'affetto alla critica, dallo spregio alla complicità; e altri ancora. Non è raro che gli abitanti dei ghetti e degli shtetl parlassero di se stessi, ed anche tra loro, come yidelekh (singolare: yidl), vale a dire “ebreucci”. E' possibile mettere il suffisso del diminutivo, in yiddish, a ogni cosa: sostantivi, aggettivi, avverbi (yitstl “proprio ora, ora-ora”) e persino verbi. Il fatto che l'autore qui usi il diminutivo indica, chiaramente, quel senso di comunità che esisteva nel quartiere ebraico di Varsavia; ma anche l'affetto ed il rimpianto che, in quel momento, l'autore provava per qualcosa di irrimediabilmente scomparso.
[4] Il termine kheyn è ebraico: “fascino, grazia”. O meglio, tutte e due le cose assieme. Altra parola legata indissolubilmente all'ambiente, e quindi del tutto intraducibile; la si potrebbe rendere meglio, forse, col francese “charme”.
[5] “Mosè” (Moyshe) e “Salomone” (Shloyme) sono fra i nomi ebraici più comuni e indicano quindi gli “ebrei” tout court. Anche qui, naturalmente, messi al diminutivo (Moyshelekh, Shloymelekh). La cosa non significa necessariamente che si tratti di bambini, anche se è possibile; è, ancora una volta, segno di comunanza e affetto per le figure che popolavano il quartiere.
[6] Altra serie di diminutivi. Per “fabrikelekh” si può usare almeno in un caso il diminutivo italiano “fabbrichette”: in spazi ristrettissimi come quelli dei ghetti era impossibile avere alcunché di grande. Per “laboratori” (ovvero: piccoli laboratori) lo yiddish usa un ebraismo, melokhe (al diminutivo: melikhl, plurale melikhelekh). Il termine significa però anche "lavoro, impiego" tout court, e si potrebbe quindi rendere anche con "lavoretti": una parola davvero "napoletana", che indica l'arte di arrangiarsi. Quel che viene tradotto con “scuole”, khadorimlekh è in realtà il kheyder (plurale: khadorim, altro ebraismo), vale a dire le scuole tradizionali religiose ebraiche nelle quali si insegnavano ai bambini la lingua ebraica e il Talmud in preparazione al bar mitzvà. Nei ghetti dell'Europa orientale, i bambini andavano a scuola, in generale, a quattro anni di età. Viceversa, il termine di derivazione tedesca, shul (da Schule), indicava generalmente la “sinagoga”: alle sinagoghe era annessa la scuola superiore, quella dove si perfezionavano il Talmud e la Torah.
[7] L'ebraismo khokhme è una parola nella quale è presente davvero l'anima dello scomparso ebraismo est-europeo. Il termine significa, infatti, sia “saggezza” (come qui ho tradotto), sia “scherzo, ironia”. Come dire: l'unica vera saggezza si manifesta con l'ironia, e l'ironia è segno di acquisita saggezza. Non c'è da aggiungere altro. Si noti l'uso parallelo della parola tedesca Kultur: anche nel ghetto di Varsavia, gli ebrei tendevano alla cultura secolarizzata e all'inserimento nelle correnti culturali europee, che significavano principalmente: acquisizione della lingua e della cultura tedesca. La maggior parte degli ebrei est-europei studiavano e conoscevano perfettamente il tedesco, strumento necessario per l'arricchimento culturale; lo parlavano però, di solito, con un terribile accento yiddish, in particolare con la famosa "erre moscia" ashkenazita che è trasmigrata come caratteristica fonetica nell'ebraico moderno.
Il modo in cui sono stati ripagati è evidente.
Lingua: Inglese
Traduzione inglese dal sito di Wolf Krakowski.
WARSAW
In my heart burns a flame
For that which is no longer—
Krochmalne and Nalewki Streets,
And Smocza and Lazienski.
Hasidim, the well-to-do,
Zionists, Bundists
Struggled ceaselessly.
Today I will try to forget
What the enemy did to you,
And I assure you
With boundless confidence:
My Warsaw, you will once again be
A Jewish city as before.
My Warsaw, you will once again be
Full of Jewish charm and grace.
Under green trees
Moysheles and Shloymeles
Will live and dream as before.
We will rebuild
Factories, workshops,
Schools and synagogues.
Wisdom and culture
Once again shall flourish.
How beautiful your Jewish life used to be!
My Warsaw, you will once again be
Truly Jewish as before.
My Warsaw, you will once again be
Full of Jewish charm and grace.
In my heart burns a flame
For that which is no longer—
Krochmalne and Nalewki Streets,
And Smocza and Lazienski.
Hasidim, the well-to-do,
Zionists, Bundists
Struggled ceaselessly.
Today I will try to forget
What the enemy did to you,
And I assure you
With boundless confidence:
My Warsaw, you will once again be
A Jewish city as before.
My Warsaw, you will once again be
Full of Jewish charm and grace.
Under green trees
Moysheles and Shloymeles
Will live and dream as before.
We will rebuild
Factories, workshops,
Schools and synagogues.
Wisdom and culture
Once again shall flourish.
How beautiful your Jewish life used to be!
My Warsaw, you will once again be
Truly Jewish as before.
My Warsaw, you will once again be
Full of Jewish charm and grace.
inviata da Bartleby - 7/2/2011 - 14:44
Nota
Questa canzone è rimasta fino ad oggi (6.5.2013) attribuita a Wolf Krakowski, che la ha interpretata nell’album “Transmigrations: Gilgul”, , 1996 (Kame'a Media label ripubblicato nel 2001 da Tzadik Records). Lo stesso Wolf Krakowski ci ha onorati di un suo intervento su questa pagina. Nel ringraziarlo, seppure in ritardo, pubblichiamo qui un video dove interpreta due canzoni, tra le quali Varshe:
Wolf Krakowski viene spesso definito l’“ultimo bluesman yiddish”.
Krakowski è nato subito dopo la guerra, nel 1947, ma ha visto la luce in un “Displaced Persons Camp”, un campo profughi allestito dagli alleati a Saalfelden Farmach, in Austria, per accogliere i sopravvissuti dei campi di concentramento e sterminio nazisti. I genitori di Krakowski erano infatti ebrei polacchi che ebbero la fortuna di scampare alla furia nazista.
I do not claim credit for having written the music to "Varshe" ("Warsaw'.)
I believe both words and music were composed by Benzion Witler.
However, for the sake of accuracy, the arrangement, instrumentation and style
- on my recording of this song - are mine.
Wolf Krakowski
Questa canzone è rimasta fino ad oggi (6.5.2013) attribuita a Wolf Krakowski, che la ha interpretata nell’album “Transmigrations: Gilgul”, , 1996 (Kame'a Media label ripubblicato nel 2001 da Tzadik Records). Lo stesso Wolf Krakowski ci ha onorati di un suo intervento su questa pagina. Nel ringraziarlo, seppure in ritardo, pubblichiamo qui un video dove interpreta due canzoni, tra le quali Varshe:
Wolf Krakowski viene spesso definito l’“ultimo bluesman yiddish”.
Krakowski è nato subito dopo la guerra, nel 1947, ma ha visto la luce in un “Displaced Persons Camp”, un campo profughi allestito dagli alleati a Saalfelden Farmach, in Austria, per accogliere i sopravvissuti dei campi di concentramento e sterminio nazisti. I genitori di Krakowski erano infatti ebrei polacchi che ebbero la fortuna di scampare alla furia nazista.
I do not claim credit for having written the music to "Varshe" ("Warsaw'.)
I believe both words and music were composed by Benzion Witler.
However, for the sake of accuracy, the arrangement, instrumentation and style
- on my recording of this song - are mine.
Wolf Krakowski
×
[1943?]
Testo e musica di Ben-Zion Witler
Lyrics and music by Ben-Zion Witler
Poesia (musicata dall'autore) di Benzion Witler (1907-1961), attore e cantautore polacco originario di Belz, città al confine tra Ucraina e Polonia. Di famiglia ebrea chassidica, Witler si dedicò fin da giovanissimo al teatro yiddish e recitò in molti teatri europei ed in Sud Africa. Alla fine degli anni 30 il clima antisemita ormai diffusissimo nel vecchio continente lo spinse a trasferirsi negli USA dove conobbe l’attrice e cantante argentina Shifra Lerer con cui fece coppia fissa negli anni successivi. [Bartleby]
Bisognerebbe, forse, mettere in evidenza l'amore assoluto che i musicisti e gli autori ebraici dell'Europa Orientale avevano per il tango argentino; anche nel pieno della Shoah, dai lager dello provenivano delle canzoni drammatiche che raccontavano lo sterminio in corso su un'aria di tango (si veda דער טאַנגאָ פֿון אָשװיׅענצים); una cosa, molto probabilmente, dovuta alle migliaia e migliaia di emigranti che avevano fatto di Buenos Aires una città della diaspora, e che ne fanno tuttora una delle poche città dove si parla ancora lo yiddish. Varshe, scritta e musicata da Benzion Witler (“Benzion” vuol dire “figlio di Sion” in ebraico) è un tango argentino che parla della Varsavia tradizionale ebraica prima della guerra. Scritta e musicata da un autore di famiglia chassidica; e i chassidim, come è noto, attribuiscono una grandissima importanza alla danza. Insomma, tutte le cose tornano tranne una: la totale eliminazione di ogni cosa da Varsavia e da decine di altre città. Lo sterminio, la distruzione. Tutto qui; e Benzion Witler, quando scriveva questa canzone in piena guerra, osservando la distruzione della sua Varsavia sapeva bene che nulla sarebbe mai tornato come prima. Eppure volle cantare questa speranza impossibile, riportando alle atmosfere irripetibili dei quartieri ebraici ed esprimendo l'augurio di una ricostruzione non tanto degli edifici, quanto di un'intera cultura e di un'intera vita comunitaria. Sappiamo che non è stato così, e questa canzone diventa quindi una testimonianza, un quadro di chi aveva visto coi propri occhi com'era. Un quadro dipinto con le parole: qui il meraviglioso impasto della lingua yiddish appare in pieno. Ma questo lo si vedrà meglio nelle [[|note]] ad una traduzione italiana condotta sull'originale. [RV]