Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano
E c’è c’è chi non sa che la lotta
diventa ogni giorno più dura
e c’è c’è chi lo sa ma ha paura
e canta sempre più piano
Ma c’è pure chi non si lascia piegare
dai neri e dai democristiani
c’è chi non aspetta domani
per dire la sua verità
E c’è chi ci lascia la vita
come hai fatto tu a diciott’anni
ucciso dagli stessi tiranni
che ci rubano la libertà
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto gi guerra
eppure era solo Milano
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano.
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano
E c’è c’è chi non sa che la lotta
diventa ogni giorno più dura
e c’è c’è chi lo sa ma ha paura
e canta sempre più piano
Ma c’è pure chi non si lascia piegare
dai neri e dai democristiani
c’è chi non aspetta domani
per dire la sua verità
E c’è chi ci lascia la vita
come hai fatto tu a diciott’anni
ucciso dagli stessi tiranni
che ci rubano la libertà
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto gi guerra
eppure era solo Milano
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano
Ti ho visto la foto è sul "Giorno"
la faccia schiacciata per terra
sembrava una foto di guerra
eppure era solo Milano.
inviata da Riccardo Venturi - 7/1/2006 - 00:24
...E PER RODOLFO BOSCHI.
Claudio Varalli, Milano, 16 aprile 1975.
Giannino Zibecchi, Milano, 17 aprile 1975.
Rodolfo Boschi, Firenze, 18 aprile 1975.
Rodolfo Boschi non ha canzoni. O forse non siamo riusciti ancora a trovarne.
Gli dedichiamo questa piccola pagina, e un ricordo personale.
FIRENZE, VIA NAZIONALE, 18 APRILE 1975
di Riccardo Venturi, dalla Mailing List "Brigatalolli", 27 ottobre 2005.
(Con alcune integrazioni di Francesco Senia, anch'esso presente alla manifestazione)
Pardo Fornaciari, per ricordare l’assassinio di Carlo Giuliani, ha scritto una canzone intitolata Vi ricordate quel 20 di luglio. L’ha ripresa, modificando ad hoc il testo, da una vecchia canzone di Lanfranco Bellotti, Vi ricordate quel diciotto aprile, che parlava delle elezioni del 1948 che avevano mandato al potere definitivo la Democrazia Cristiana.
Ma mi piace pensare che Fornaciari, nel parlare dell’assassinio di Carlo Giuliani, si riferisse anche a un altro 18 aprile, quello in cui la polizia ammazzò Rodolfo Boschi. Il 18 aprile 1975. Due giorni dopo Claudio Varalli. Il giorno dopo Giannino Zibecchi. E anche il giorno dopo che, a Torino, un militante di Lotta Continua, Tonino Miccichè, era stato ammazzato a bruciapelo da una guardia giurata, Paolo Fiocco, alla Falchera, dove era in corso una durissima lotta per il diritto alla casa.
Mi piace pensare che Fornaciari avesse in mente anche quel 18 aprile; ma anche se così non fosse, anche se la cosa fosse involontaria, non importa.
E’ il pomeriggio del 18 aprile 1975, a Firenze. Viene organizzata una manifestazione antifascista contro la repressione e per protestare contro gli omicidi di Milano compiuti dalla polizia e dai carabinieri. Qui cercherò di scindere la cosa dai ricordi personali, perché ero, assieme a mio padre e ad altre persone, a quella manifestazione. E’ l’ultima volta che ne parlo in questi termini. I ricordi personali saranno quindi inseriti nella narrazione degli eventi.
La manifestazione è nel centro della città, ma già verso le quattro e le cinque del pomeriggio si hanno i primi scontri violenti sui viali di circonvallazione, nella zona della Fortezza da Basso. Il fulcro degli scontri è a metà pomeriggio tra via Guelfa e via Nazionale. La polizia e i carabinieri, ancora una volta, attaccano i manifestanti sparando a altezza uomo. Nella zona compresa tra i viali, la Fortezza, piazza Indipendenza (dove aveva, al numero 4, il MSI fiorentino, con tanto di fiamma tricolore sistemata sopra un balconcino) e via Nazionale è il caos completo. La gente, attaccata, scappa in ogni direzione.
Si tratta di una manifestazione antifascista di protesta contro la repressione poliziesca, per dei morti ammazzati dalle "forze dell'ordine" nei giorni immediatamente precedenti. Altra definizione non è possibile. C'è, naturalmente, chi dice che si tratta di una "manifestazione non autorizzata", come se si dovesse chiedere il permesso alle stesse autorità che poche ore prima a Milano hanno sparato e ammazzato due volte. La polizia, in piazza dell'Unità Italiana, invita i manifestanti a disperdersi; nessuno, ovviamente, lo fa.
Via Nazionale è una strada molto stretta, una specie di budello che da piazza Indipendenza porta alla stazione centrale di Santa Maria Novella. Una strozzatura dalla quale è impossibile uscire anche gettandosi nelle traverse laterali, sia in direzione del mercato di San Lorenzo che verso i viali, le quali sono anche più strette della via principale. All’angolo di una delle traverse, via Faenza, c’è un bar. Il bar Degli Innocenti. Degli Innocenti, a Firenze, è un cognome diffusissimo. E' già il tardo pomeriggio, già buio; il grosso degli scontri sono già avvenuti e i manifestanti stanno rifluendo, considerata anche la stanchezza che non favoriva certo il rinfocolarsi degli scontri. Davanti al bar Degli Innocenti sbucando proprio da via Faenza, si presenta un gruppo di poliziotti in borghese. Tra di essi c’è l’agente Orazio Basile. Partono dei colpi di arma da fuoco, uno dei quali fracassa il parabrezza di una fiat 128 ocra rimasta parcheggiata. Un altro, invece, colpisce a morte Rodolfo Boschi. Un giovane iscritto al PCI.
Quello stesso PCI che, il giorno stesso, aveva ordinato ai suoi militanti di non andare alla manifestazione e di restare a "proteggere le sezioni". Ma dopo i fatti di Milano dei giorni precedenti l'atmosfera a Firenze è esplosiva. Parecchi militanti di base del PCI non seguono le direttive dei dirigenti cittadini e scendono in piazza. Tra di loro, Rodolfo Boschi, 28 anni.
Parecchi testimoni contano addirittura nove agenti in borghese, con le facce coperte da fazzoletti, che pestano coi manganelli e sparano. Un altro colpo ferisce un militante dei Collettivi Autonomi, Francesco Panichi, che ancora sanguinante viene arrestato. E viene ovviamente incolpato d’essere stato lui a sparare e a uccidere Boschi. Niente di nuovo sotto il sole.
Il corpo di Boschi rimane steso sul selciato di via Nazionale, con qualcuno che cerca di assisterlo. Ne potete vedere le foto in questa pagina, foto che consiglio di vedere soprattutto ad eventuali persone impressionabili. Impressionatevi e fissatevi queste cose nella memoria.
Boschi viene portato via da un’ambulanza della Fratellanza Militare, che ha sede nella vicinissima piazza di Santa Maria Novella.
Segue un processo. L’ennesimo processo-farsa al termine del quale Orazio Basile, l’agente di polizia in borghese che ha ammazzato Boschi, viene condannato a otto mesi di carcere con la condizionale. Chi ha dei dubbi o pensi di avere le traveggole, sappia che ha letto benissimo: otto mesi con la condizionale. La motivazione è sempre quella: eccesso colposo di legittima difesa. Non sto qui a ripercorrere le vicende processuali,
anche perché in rete non ve n’è praticamente traccia. La sentenza viene pronunciata l’8 aprile 1977; Orazio Basile non s’è fatto neppure un giorno di galera. Francesco Panichi, invece, viene condannato a 10 anni di carcere.
Dieci anni. Per cosiddetti reati minori. Viene sì scagionato dall’accusa di aver sparato a Boschi, stanti anche le decine di testimoni oculari, ma sta comunque dalla parte sbagliata. Per lui c’è la galera.
Si sfogliano i titoli dei giornali di quei giorni, che si vedono pure in questa pagina.
Il Corriere della Ser(v)a titola: Giovane del PCI ucciso a Firenze da un colpo di pistola. Da un colpo di pistola sparato da chi? Sulla seconda riga del titolo: Leone consulta Moro e Fanfani sull’ordine pubblico. Articolo di fondo intitolato Impariamo a essere uniti.
Fa impressione Il Giorno, che non era quello di adesso. Titola chiaramente: Anche a Firenze un morto (provocato dai neofascisti). In seconda pagina un articolista si chiede: E’ peggio del Ventidue? Altri articoli su Una vita onesta stroncata nella notte dell’odio e sul Requiem per Claudio, riferito a Varalli.
L’ Unità, invece, apre il 19 aprile con la notizia dello sciopero generale: Tutti i lavoratori oggi in sciopero. Sempre in prima pagina l’articolo sui funerali di Boschi. Piazza della Signoria. Commosso addio di Firenze a Boschi. Presente il sindaco, il socialista e ex partigiano Lelio Lagorio. Due mesi dopo sarà eletto sindaco l’ultimo che Firenze abbia mai avuto,
Elio Gabbuggiani. In fondo alla prima pagina le notizie sulle dimissioni e sulla fuga del presidente fantoccio del Vietnam del Sud, Van Thieu. Perche siamo in aprile. Nell’aprile del 1975. Il 30 dello stesso mese, le truppe vietcong entrano a Saigon mentre gli ultimi americani scappano vergognosamente dall’ambasciata su due elicotteri.
La "Firenze commossa" non dedica a Rodolfo Boschi nemmeno una strada. Neanche un vicolo. Qualche scuola, qualche circolo ricreativo portano ancora il nome di Rodolfo Boschi, e tutti si chiedono probabilmente chi sia mai stato costui. A Milano esistono ancora delle lapidi dedicate a Varalli a Zibecchi; a Firenze non lo so. Non ci ho onestamente neppure mai fatto caso. Tutte le volte che mi è capitato di ripassare da Via Nazionale all’angolo di Via Faenza, e sono tante, non ho mai avuto occhi per cercare una lapide. La lapide ce l’ho scritta dentro, ce l’ho negli occhi.
Nell’area dell’ex manicomio di San Salvi, che proprio allora si cominciava in parte a smantellare, qualcuno tracciò, sulla facciata di uno degli edifici, un enorme murales di stile andino per ricordare Rodolfo Boschi. Lo stile non era casuale. Il murales recava una lunga frase di Pablo Neruda, il poeta cileno morto nei giorni del golpe di Pinochet, che era stata adattata a Rodolfo. Pablo Neruda era venuto a Firenze anche poco prima di morire.
Sta sempre lì, a sbiadirsi, a cancellarsi, a sfaldarsi. L'ho rivisto pochi giorni fa. E’ probabile che qualcuno si decida, un giorno, a passarci sopra una mano d’intonaco.
Claudio Varalli, Milano, 16 aprile 1975.
Giannino Zibecchi, Milano, 17 aprile 1975.
Rodolfo Boschi, Firenze, 18 aprile 1975.
Rodolfo Boschi non ha canzoni. O forse non siamo riusciti ancora a trovarne.
Gli dedichiamo questa piccola pagina, e un ricordo personale.
FIRENZE, VIA NAZIONALE, 18 APRILE 1975
di Riccardo Venturi, dalla Mailing List "Brigatalolli", 27 ottobre 2005.
(Con alcune integrazioni di Francesco Senia, anch'esso presente alla manifestazione)
Pardo Fornaciari, per ricordare l’assassinio di Carlo Giuliani, ha scritto una canzone intitolata Vi ricordate quel 20 di luglio. L’ha ripresa, modificando ad hoc il testo, da una vecchia canzone di Lanfranco Bellotti, Vi ricordate quel diciotto aprile, che parlava delle elezioni del 1948 che avevano mandato al potere definitivo la Democrazia Cristiana.
Ma mi piace pensare che Fornaciari, nel parlare dell’assassinio di Carlo Giuliani, si riferisse anche a un altro 18 aprile, quello in cui la polizia ammazzò Rodolfo Boschi. Il 18 aprile 1975. Due giorni dopo Claudio Varalli. Il giorno dopo Giannino Zibecchi. E anche il giorno dopo che, a Torino, un militante di Lotta Continua, Tonino Miccichè, era stato ammazzato a bruciapelo da una guardia giurata, Paolo Fiocco, alla Falchera, dove era in corso una durissima lotta per il diritto alla casa.
Mi piace pensare che Fornaciari avesse in mente anche quel 18 aprile; ma anche se così non fosse, anche se la cosa fosse involontaria, non importa.
E’ il pomeriggio del 18 aprile 1975, a Firenze. Viene organizzata una manifestazione antifascista contro la repressione e per protestare contro gli omicidi di Milano compiuti dalla polizia e dai carabinieri. Qui cercherò di scindere la cosa dai ricordi personali, perché ero, assieme a mio padre e ad altre persone, a quella manifestazione. E’ l’ultima volta che ne parlo in questi termini. I ricordi personali saranno quindi inseriti nella narrazione degli eventi.
La manifestazione è nel centro della città, ma già verso le quattro e le cinque del pomeriggio si hanno i primi scontri violenti sui viali di circonvallazione, nella zona della Fortezza da Basso. Il fulcro degli scontri è a metà pomeriggio tra via Guelfa e via Nazionale. La polizia e i carabinieri, ancora una volta, attaccano i manifestanti sparando a altezza uomo. Nella zona compresa tra i viali, la Fortezza, piazza Indipendenza (dove aveva, al numero 4, il MSI fiorentino, con tanto di fiamma tricolore sistemata sopra un balconcino) e via Nazionale è il caos completo. La gente, attaccata, scappa in ogni direzione.
Si tratta di una manifestazione antifascista di protesta contro la repressione poliziesca, per dei morti ammazzati dalle "forze dell'ordine" nei giorni immediatamente precedenti. Altra definizione non è possibile. C'è, naturalmente, chi dice che si tratta di una "manifestazione non autorizzata", come se si dovesse chiedere il permesso alle stesse autorità che poche ore prima a Milano hanno sparato e ammazzato due volte. La polizia, in piazza dell'Unità Italiana, invita i manifestanti a disperdersi; nessuno, ovviamente, lo fa.
Via Nazionale è una strada molto stretta, una specie di budello che da piazza Indipendenza porta alla stazione centrale di Santa Maria Novella. Una strozzatura dalla quale è impossibile uscire anche gettandosi nelle traverse laterali, sia in direzione del mercato di San Lorenzo che verso i viali, le quali sono anche più strette della via principale. All’angolo di una delle traverse, via Faenza, c’è un bar. Il bar Degli Innocenti. Degli Innocenti, a Firenze, è un cognome diffusissimo. E' già il tardo pomeriggio, già buio; il grosso degli scontri sono già avvenuti e i manifestanti stanno rifluendo, considerata anche la stanchezza che non favoriva certo il rinfocolarsi degli scontri. Davanti al bar Degli Innocenti sbucando proprio da via Faenza, si presenta un gruppo di poliziotti in borghese. Tra di essi c’è l’agente Orazio Basile. Partono dei colpi di arma da fuoco, uno dei quali fracassa il parabrezza di una fiat 128 ocra rimasta parcheggiata. Un altro, invece, colpisce a morte Rodolfo Boschi. Un giovane iscritto al PCI.
Quello stesso PCI che, il giorno stesso, aveva ordinato ai suoi militanti di non andare alla manifestazione e di restare a "proteggere le sezioni". Ma dopo i fatti di Milano dei giorni precedenti l'atmosfera a Firenze è esplosiva. Parecchi militanti di base del PCI non seguono le direttive dei dirigenti cittadini e scendono in piazza. Tra di loro, Rodolfo Boschi, 28 anni.
Parecchi testimoni contano addirittura nove agenti in borghese, con le facce coperte da fazzoletti, che pestano coi manganelli e sparano. Un altro colpo ferisce un militante dei Collettivi Autonomi, Francesco Panichi, che ancora sanguinante viene arrestato. E viene ovviamente incolpato d’essere stato lui a sparare e a uccidere Boschi. Niente di nuovo sotto il sole.
Il corpo di Boschi rimane steso sul selciato di via Nazionale, con qualcuno che cerca di assisterlo. Ne potete vedere le foto in questa pagina, foto che consiglio di vedere soprattutto ad eventuali persone impressionabili. Impressionatevi e fissatevi queste cose nella memoria.
Boschi viene portato via da un’ambulanza della Fratellanza Militare, che ha sede nella vicinissima piazza di Santa Maria Novella.
Segue un processo. L’ennesimo processo-farsa al termine del quale Orazio Basile, l’agente di polizia in borghese che ha ammazzato Boschi, viene condannato a otto mesi di carcere con la condizionale. Chi ha dei dubbi o pensi di avere le traveggole, sappia che ha letto benissimo: otto mesi con la condizionale. La motivazione è sempre quella: eccesso colposo di legittima difesa. Non sto qui a ripercorrere le vicende processuali,
anche perché in rete non ve n’è praticamente traccia. La sentenza viene pronunciata l’8 aprile 1977; Orazio Basile non s’è fatto neppure un giorno di galera. Francesco Panichi, invece, viene condannato a 10 anni di carcere.
Dieci anni. Per cosiddetti reati minori. Viene sì scagionato dall’accusa di aver sparato a Boschi, stanti anche le decine di testimoni oculari, ma sta comunque dalla parte sbagliata. Per lui c’è la galera.
Si sfogliano i titoli dei giornali di quei giorni, che si vedono pure in questa pagina.
Il Corriere della Ser(v)a titola: Giovane del PCI ucciso a Firenze da un colpo di pistola. Da un colpo di pistola sparato da chi? Sulla seconda riga del titolo: Leone consulta Moro e Fanfani sull’ordine pubblico. Articolo di fondo intitolato Impariamo a essere uniti.
Fa impressione Il Giorno, che non era quello di adesso. Titola chiaramente: Anche a Firenze un morto (provocato dai neofascisti). In seconda pagina un articolista si chiede: E’ peggio del Ventidue? Altri articoli su Una vita onesta stroncata nella notte dell’odio e sul Requiem per Claudio, riferito a Varalli.
L’ Unità, invece, apre il 19 aprile con la notizia dello sciopero generale: Tutti i lavoratori oggi in sciopero. Sempre in prima pagina l’articolo sui funerali di Boschi. Piazza della Signoria. Commosso addio di Firenze a Boschi. Presente il sindaco, il socialista e ex partigiano Lelio Lagorio. Due mesi dopo sarà eletto sindaco l’ultimo che Firenze abbia mai avuto,
Elio Gabbuggiani. In fondo alla prima pagina le notizie sulle dimissioni e sulla fuga del presidente fantoccio del Vietnam del Sud, Van Thieu. Perche siamo in aprile. Nell’aprile del 1975. Il 30 dello stesso mese, le truppe vietcong entrano a Saigon mentre gli ultimi americani scappano vergognosamente dall’ambasciata su due elicotteri.
La "Firenze commossa" non dedica a Rodolfo Boschi nemmeno una strada. Neanche un vicolo. Qualche scuola, qualche circolo ricreativo portano ancora il nome di Rodolfo Boschi, e tutti si chiedono probabilmente chi sia mai stato costui. A Milano esistono ancora delle lapidi dedicate a Varalli a Zibecchi; a Firenze non lo so. Non ci ho onestamente neppure mai fatto caso. Tutte le volte che mi è capitato di ripassare da Via Nazionale all’angolo di Via Faenza, e sono tante, non ho mai avuto occhi per cercare una lapide. La lapide ce l’ho scritta dentro, ce l’ho negli occhi.
Nell’area dell’ex manicomio di San Salvi, che proprio allora si cominciava in parte a smantellare, qualcuno tracciò, sulla facciata di uno degli edifici, un enorme murales di stile andino per ricordare Rodolfo Boschi. Lo stile non era casuale. Il murales recava una lunga frase di Pablo Neruda, il poeta cileno morto nei giorni del golpe di Pinochet, che era stata adattata a Rodolfo. Pablo Neruda era venuto a Firenze anche poco prima di morire.
Sta sempre lì, a sbiadirsi, a cancellarsi, a sfaldarsi. L'ho rivisto pochi giorni fa. E’ probabile che qualcuno si decida, un giorno, a passarci sopra una mano d’intonaco.
Riccardo Venturi - 11/5/2006 - 23:09
E Ramelli , Mazzola , Girolucci , Cecchin , Mantakas , i fratelli Mattei ...... nessuno ha mai speso una parola
per loro , morti per l'antifascismo militante!, basti dire che Virgilio Mattei era un netturbino (monnezzaro) e così che i compagni volevano la lotta di classe, ammazzando un monnezzaro !
per loro , morti per l'antifascismo militante!, basti dire che Virgilio Mattei era un netturbino (monnezzaro) e così che i compagni volevano la lotta di classe, ammazzando un monnezzaro !
Ovvio che prima o poi mi aspettavo un commento del genere da parte del solito anonimo. Che c'è, hai paura a firmarti con nome e cognome? Hai paura che gli sporchi rossi ti vengano a cercare? Tranquillo, non siamo proprio gente del genere. Per quel che mi riguarda, vedi, non avrei avuto proprio nessun problema ad inserire canzoni che ricordassero anche gli assassinii di tutte le persone che hai nominato (in particolare dei due fratelli Mattei, tra i quali uno era un bambino di otto o nove anni, e non faccio altro commento). Ne esistono, di canzoni su queste persone? Sì, ne esistono, e lo sappiamo benissimo. Abbiamo persino fatto delle ricerche apposite, pensa tu. Ma queste persone sono state vittime della repressione armata poliziesca e dello stato, uno stato che, oltre ad assassinare direttamente con le sue "forze dell'ordine", non ha fatto che proteggere assassini (che si chiamassero stragisti o Sandro Saccucci, che si chiamassero Delfo Zorzi o Stefano delle Chiaie)? Fermo restando il clima di estrema violenza di quel periodo, vogliamo poi fare qualche distinguo (ad esempio per Mikis Mantakas, studente greco fascista sostenitore del regime dei colonnelli)? E non è certo vero che su queste persone "non è mai stata spesa una parola", come dici tu. Addirittura, come puoi vedere nella foto, a Sergio Ramelli è stato intitolato un giardino dal Comune di Milano, lo stesso che poco tempo fa ha fatto modificare la lapide per Pino Pinelli. Non mi risulta che a Milano esista un analogo "Giardino Giannino Zibecchi", o un "Giardino Fausto e Iaio". A Roma una via intitolata ai fratelli Mattei è stata caldeggiata a suo tempo dal sindaco di centrosinistra Veltroni; non mi risulta che però ne abbia caldeggiata una intitolata a Walter Rossi. Quindi, per favore, ognuno resti dalla propria parte. Internet è uno spazio libero, avete tutte le possibilità di farvi i vostri siti e spendere tutte le parole che volete e per chi vi pare (cosa che, del resto, è stata già ampiamente fatta). Saluti. [Riccardo Venturi].
E gli altri ? - 25/6/2006 - 01:45
avevo 14 anni quando e morto claudio i suoi funerali si sono svolti nella chiesa di san arialdo a baranzate di bollate( dove io abitavo)mi sono unito all'immensa folla per la prima volta ho sentito cantare la canzone dei morti di reggioemilia ho pianto tutto il giorno sento ancora nel cuore quella stretta.
emiliano per claudio
emiliano per claudio
21 anni,tutta la vita davanti,la coscienza politica che ti guida,l'esempio di tuo nonnno "suicidato"sotto un carro senza buoi.....
all'angolo di una strada in piena manifestazione...te li trovi difronte pistole in pugno mentre come sempre , non avendo il coraggio di farlo durante il corteo , ci vengono a cercare loro in gruppo e noi tre da soli....
non parlano ....sparano subito...cercano la strage...
solo fortuna quella che mi ha permesso di non rimanere sul selciato come Foffo...
solo incoscenza la prontezza di reagire per mettermi al riparo e rispondere...senza parole...
56 anni,meno vita davanti,immutata coscienza politica.
ragazzi,purtroppo ci risiamo..ma vi prego..non con la violenza.Mentre il sangue versato si smacchia la vita che hai spezzato ti rimarrà accanto per sempre.
all'angolo di una strada in piena manifestazione...te li trovi difronte pistole in pugno mentre come sempre , non avendo il coraggio di farlo durante il corteo , ci vengono a cercare loro in gruppo e noi tre da soli....
non parlano ....sparano subito...cercano la strage...
solo fortuna quella che mi ha permesso di non rimanere sul selciato come Foffo...
solo incoscenza la prontezza di reagire per mettermi al riparo e rispondere...senza parole...
56 anni,meno vita davanti,immutata coscienza politica.
ragazzi,purtroppo ci risiamo..ma vi prego..non con la violenza.Mentre il sangue versato si smacchia la vita che hai spezzato ti rimarrà accanto per sempre.
cencio - 18/11/2010 - 18:07
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Testo e musica di Pino Masi.
Si veda anche La manifestazione in cui morì Zibecchi.
PER NON DIMENTICARE
Aprile 1975
Giannino Zibecchi aveva 27 anni, abitava a Milano, insegnava educazione fisica alla Uisp ed era un militante del Coordinamento dei Comitati Antifascisti.
Non erano figure eccezionali: erano due ragazzi, divisi da 10 anni d’età, uniti dalla passione politica, sostenuti dalla speranza di migliorare il mondo, protagonisti come migliaia di altri del lungo ’68 italiano. Claudio e Giannino hanno avuto la sfortuna di non riuscire a sopravvivere all’esperienza di quegli anni e noi - compagni ed amici di allora e di sempre - ci auguriamo che raccontando, anche se brevemente, la storia del loro sacrificio questo possa diventare memoria collettiva anche di tutti coloro che visiteranno la mostra delle opere di Andrea Salvino ispirate alla loro vicenda.
Il pomeriggio del 16 aprile 1975 Claudio Varalli, di ritorno da una manifestazione per il diritto alla casa, stava attraversando con altri compagni Piazza Cavour. Nella piazza c’era un gruppo di fascisti che distribuiva volantini: in realtà, come sempre in quegli anni, quel tipo di presenza non era che un pretesto per conquistare una zona, imponendovi una sorta di coprifuoco per qualsiasi espressione di antifascismo e aggredendo chiunque fosse, anche solo per l’aspetto, definibile di sinistra.
Così accadde anche quel pomeriggio: gli squadristi si avventarono contro i giovani; questi reagirono; uno dei fascisti, Antonio Braggion, non esitò a estrarre una rivoltella e a sparare ripetutamente colpendo mortalmente alla nuca Claudio.
La notizia dell’assassinio di Varalli in poche ore si diffuse in tutto il Paese provocando un’ondata di sdegno e già nella stessa serata a Milano si svolsero le prime manifestazioni di protesta.
La mattina del 17 aprile numerose città italiane furono attraversate da cortei che chiedevano la chiusura delle sedi dei fascisti e la fine delle collusioni tra questi e gli apparati dello Stato.
A Milano la giornata cominciò con assemblee nelle scuole medie superiori, nelle università e nei luoghi di lavoro. Dalle assemblee, studenti e lavoratori uscirono in cortei che percorsero le vie della città e si concentrarono in Piazza Cavour. Da qui un imponente corteo si avviò in direzione di Via Mancini, sede della federazione provinciale del Movimento Sociale Italiano e principale covo dello squadrismo milanese.
Il governo del tempo, democristiano, rispose ordinando una nuova aggressione e, mentre all’imbocco di via Mancini la polizia già si scontrava con il corteo, in Corso XXII Marzo una colonna di automezzi dei carabinieri si lanciò a tutta velocità contro i manifestanti.
Due camion, gli ultimi della colonna, si incaricarono di “spazzare” i marciapiedi con una manovra a “coda di rondine”, come reciteranno poi i verbali di polizia. Davanti a loro centinaia di persone cercarono scampo ma la folle corsa non si arrestò. Pareva volessero una strage. Non l’ebbero, ma sul selciato rimase il corpo di Giannino Zibecchi. Travolto e ucciso dal camion guidato dal carabiniere Sergio Chiarieri.
L’ordine del Ministero degli Interni era stato perentorio: reprimere ogni protesta. E così quel giorno d’aprile altri due giovani, Rodolfo Boschi del Partito Comunista a Firenze e Tonino Miccichè di Lotta Continua a Torino, persero la vita.
Rabbia e indignazione divennero incontenibili: il 18 aprile l’Italia democratica si strinse attorno ai suoi morti e cortei antifascisti attraversarono le città della penisola da Cagliari a Milano, da Napoli a Torino; lo stesso giorno 15 milioni di lavoratori si unirono alla protesta incrociando le braccia e si interruppero persino i trasporti, treni e aeroplani inclusi.
Il 21 aprile per i funerali di Giannino Zibecchi, Milano si fermò nuovamente e anche il Provveditore agli Studi fu costretto a chiudere le scuole per lutto cittadino.
Durante il tragitto dalla camera ardente a Piazza del Duomo donne, uomini, lavoratori, pensionati, studenti, semplici cittadini, resero omaggio alla salma di Giannino e alla figura di Claudio Varalli, le cui esequie si erano svolte precedentemente in forma privata. Centinaia di migliaia di persone, duecentomila solo in Piazza del Duomo, che testimoniarono la forza e la profondità dei sentimenti democratici e antifascisti della coscienza collettiva dei milanesi.
Poco più di due anni e mezzo dopo, il 17 dicembre 1978 Antonio Braggion, l’assassino di Claudio Varalli, latitante fino al giorno della sentenza, fu condannato dal Tribunale di Milano a dieci anni di detenzione, di cui due condonati, per eccesso colposo di legittima difesa e porto d’arma da fuoco abusivo. Pena ridotta in appello a sei anni.
Il 26 ottobre 1982 la Corte di Cassazione dichiarò prescritto il reato principale e interamente condonata la pena per l’arma da fuoco. Braggion ha scontato solo otto mesi di carcere e oggi è avvocato a Milano. L’omicidio di Giannino Zibecchi, invece, non ha nemmeno un colpevole.
Il processo si aprì il 15 ottobre 1979 con tre carabinieri - Sergio Chiarieri, autista del camion, Alberto Gambardella, tenente capo macchina sullo stesso mezzo, Alberto Gonella, capitano responsabile dell’autocolonna - imputati di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. Fu quasi subito sospeso e, dopo una complicata vicenda di rinvii, riprese il 12 novembre 1980 per concludersi due settimane dopo con l’assoluzione di tutti gli imputati: i due ufficiali per non aver commesso il fatto, l’autista per insufficienza di prove. Nessuno presentò appello, la parte civile perché non le era concesso, imputati e Pubblico Ministero perché soddisfatti dalla sentenza.
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