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Ντιρλαντά

Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης


Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης

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(Nikos Xylouris)


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Dirladá
Στίχοι: Παραδοσιακό
Μουσική: Παραδοσιακό
Εκτελέσεις: Παντελής Γκίνης - Δόμνα Σαμίου - Διονύσης Σαββόπουλος - Νίκος Ξυλούρης

Versi e musica tradizionali
Intepretazioni: Pandelìs Ghinis; Domna Samìou, Dionysis Savvopoulos, Nikos Xylouris

Con questa canzone sono convinto di procurare due intensi godimenti al mio amico di web Riccardo Venturi. Forse anche tre.
Il primo è che posso "sdoganare" una canzone che sicuramente gli piace da anni, ma che non sembra a prima vista coerente con i temi ospitati in AWS. E invece lo è. Il retroterra di questa canzone tradizionale, infatti, è il lavoro: e un lavoro durissimo e periglioso, qual era (oggi non è quasi più praticato) la pesca delle spugne, nella quale i Greci eccellevano. La canzone veniva cantata sulle barche a pro dei tuffatori, quando riemergevano dalle apnee e stavano distesi sul tavolaccio a riprendere fiato. Dovevano essere aiutati a vincere la pericolosissima sonnolenza che li prendeva; e allora i compagni cantavano giocose strofette intercalate da un "dirladà-dirladadà". Questo, almeno, ricavo da Wikipedia in greco.
La canzone è dunque un canto tradizionale di pescatori; e sembra che la versione corrente sia nata nell'isola di Kalimnos. Ma, come è accaduto per altre canzoni tradizionali che, rigenerate da qualche musicista di talento, hanno raggiunto un successo anche commerciale (vedi la siciliana "Vitti 'na crozza" o, per rimanere in Grecia, il motivo della "Danza di Zorbas" che aprì una contesa tra Theodorakis e Yorgos Koutsourelis), accesa è la disputa su chi ne sia l'autore abilitato a sfruttarne i baioccosi diritti. E questo è il secondo godimento che, credo, procuro a Riccardo. Nel 1969 il bravo musicista Dionisis Savvopoulos la ripropose nel disco "Il giardino del matto" (Το περιβόλι του τρελού). E già l'anno successivo, con un testo più georgico che marinaro, faceva il giro del mondo, inclusa nel repertorio francese e italiano della compianta Dalida. Ci fu anche una versione ebraica di Dana International.
A questo punto divampò la disputa su chi ne fosse l'autore; e se ne dovettero occupare i tribunali. Secondo i magistrati l'autore sarebbe un Pandelìs Ghinis (Παντελής Γκίνης), nativo di Kalimnos, che si era appellato a loro, perché aveva pensato di depositarla ai fini del copyright, e l'aveva anche eseguita e incisa. Da quello che ne ho capito, anche la cantante Domna Samìou era interessata alla faccenda. Ma nel corso del processo fu significativa, per quanto non dirimente per la decisione dei giudici, la testimonianza del compositore di rebetico, compare di Markos Vamvakaris e collaboratore di Vassilis Tsitsanis, Yannis Papaioannou, detto quando "Psilòs" e quando "Patsàs" (Chio, 1914 - Atene, 1972). Ricavo gran parte di quello che sto scrivendo da una lunga e minuziosa glossa inviata a stixoi.info da Scorpio Nigro. Non so chi si celi dietro lo pseudonimo (non è ancora obbligatorio scrivere nickname, suppongo) , ma certo deve trattarsi di un eccellente conoscitore della materia, perché i suoi interventi sono sempre ben informati, ragionati e ben scritti. Da lui apprendo che Papayoannou sostenne l'origine tradizionale della canzone, nata nell'ambiente dei pescatori dell'Egeo e utilizzata in particolare da quelli di Kalimnos, ma non escludeva che la si potesse attribuire ad un'area assai più ampia dell'Egeo e addirittura del Mediterraneo, che chiamò alla turca Mar Bianco (forse alludendo al Mar di Marmara o al Mar Nero? gpt). Richiesto dai legali dell'attore di spiegare la sua pretesa di conoscere quel genere di canzoni, Papayoannou esibi la sua carta d'identità, che attestava la sua professione ufficiale di pescatore. E si disse dispiaciuto di contraddire i colleghi musicisti, ma "amicus Plato...". Skorpio Nigro, il quale interviene stimolato dal commento di un nipote di Pandelìs Ghinis inteso a rettificare l'attribuzione alla tradizione che appare in stixoi.info, esclude anche la correttezza di quella a Savvopoulos, e auspica che agli isolani dell'Arcipelago, depositari di un patrimonio ineguagliabile di danze e di musica, ma da sempre condannati a una vita povera e stentata e per di più quasi ignorati dallo Stato centrale, siano almeno lasciati i meriti della loro nativa creatività.
Il terzo godimento per Riccardo è che la più famosa e classica interpretazione greca di "Dirladà" è quella del "suo" Nikos Xylouris. (gpt)
Βρέ ντιρλαντά, ντιρλανταντά, βρε ντιρλαντά και τέζα όλοι
και πώς θα πάρουμε την πόλη, ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά
Από την πόλη την καλή ήρθε μια σκούνα με πανί

Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, ω ντιρλαντά και δεν τελειώνει
βρε ντιρλαντά με ζαχαρώνει,
Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, να το χαρώ που με κοιτά
Ω ντιρλαντά βρε λεβεντόνια, βρε και της Μπαρμπαριάς γλαρόνια

Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, ω ντιρλαντά βρε και βραδιάζει
βρε κι η κουβέρτα ανεστενάζει
Βρε και ο μάγερας φωνάζει, ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά
Βρε ντιρλαντά και τέζα όλοι και πώς θα πάρουμε την Πόλη

Από την πόλη την καλή, ήρθε μια σκούνα με πανί
Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, αχ η Μαρία του Μηνά
Επάνω στ’ άσπρο της ποδάρι θα πάω να δέσω παλαμάρι

Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, ω ντιρλαντά θα δέσω κόμπο
βρε στον λαιμό τους των αρχόντων
Να πέφτει ο κόμπος στο κοπάλι, στην Κατερίνα του τσαγκάρη
Βρε θα τη βάλω μες στην πλώρη και θα τής κάμω γιο και κόρη

Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, ω ντιρλαντά και σεις λεβέντες
βρε θα σάς δώσω εγώ βιολέτες
Θα δώσω σ’ όλους από δύο βρε και τού Γιώργη δε τού δίνω
Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά, ω ντα-ντα-ντα, ντιρλανταντά
Ω ντιρλαντά, ντιρλανταντά...

inviata da Gian Piero Testa - 7/5/2010 - 12:22



Lingua: Italiano

Gian Piero Testa
Versione italiana di Gian Piero Testa

"Scuna" è la trasposizione sia greca, sia italiana dell'inglese "schooner", mal inteso di solito come "goletta", alla quale però non è identico. Che abbia vele una scuna è ovvio, e si tratta qui di un pleonasmo. L'oscillazione della grafia di Polis/polis (città), una volta con l' iniziale maiuscola e due con la minuscola, e il fatto che nell'Arcipelago il capoluogo di ogni isola non mai è detto "polis" ma "hora", mi fanno pensare - così a naso - che l' area di origine della canzone sia davvero allargabile almeno fino al Bosforo, la cui città principale, Costantinopoli, è sempre stata chiamata la "Polis" per antonomasia. E' però difficile immaginare che i pescatori di spugne si tramandassero i loro canti per iscritto...Più semplice pensare che il testo in cui mi sono imbattuto non sia dei più accurati. Con molti dubbi ho tradotto κοπάλι (parola che mi è ignota) come fosse κοπέλα, ragazza. E se invece significasse "copale" e avesse un rapporto con il ciabattino, babbo di Caterina ? (Ο που ξέρει ελληνικά...κι ο που ξέρει μόρτικα, diceva Elytis: chi sa la lingua greca e chi quella furfantesca...)
DIRLADA'

Ehi dirladà, dirladadà, ehi dirladà e tutti lì stesi
e come guadagniamo la città, o dirladà, dirladadà
Dalla città la cara è arrivata una scuna a vela

O dirladà, dirladadà, o dirladà e non finisce
ehi dirladà mi trasforma in un candito,
O dirladà, dirladadà, guarda un po' che lui mi guarda
O dirladà, ehi giovanotti, ehi voi pure gabbiani barbareschi

O dirladà, dirladadà, o dirladà ehi che si fa sera
ehi e in coperta si sospira
Ehi e il cuoco chiama, o dirladà, dirladadà,
Ehi dirladà e tutti lì stesi e come guadagniamo la Città

Dalla città la cara, è arrivata una scuna a vela
O dirladà, dirladadà, ahi la Maria di Minàs
Sul suo bianco piede andrò a annodare una cima

O dirladà, dirladadà, o dirladà farò un nodo
ehi al loro collo, a quello dei signori
che il nodo caschi sulla ragazza, su Caterina del ciabattino
Ehi che la metto in prua e le faccio un figlio e una bambina

O dirladà, dirladadà, o dirladà e voi giovanotti
ehi vi darò io delle violette
A tutti ne darò due ehi e a Yorghis non gliene do
O dirladà, dirladadà, o da-da-da, dirladadà
O dirladà, dirladadà...

inviata da Gian Piero Testa - 7/5/2010 - 17:35


In un piccolo supplemento di indagine mi sono imbattuto in un altra "Dirladà" tradizionale del Dodecanneso, di cui anche Kalimnos fa parte. E' il lamento di un "malmaritato". Quello che conta è la conferma che "dirladà" vale come un "trallallero", un inserimento ritmico che sostiene il canto imitando uno strumento. Così, almeno, mi sembra. Per curiosità trascrivo il testo trovato in stixoi.info (sezione dei canti tradizionali) e aggiungo una traduzione, alquanto incerta in più punti.

Ντιρλαντά (Δωδεκάννησα )

πέντε και τέσσερα,εννιά κι ένα μας κάνουν δέκα
μ'εγώ είμαι που παντρεύτηκα κι ηπήρα μια γυναίκα
οι ψείρες κι οι κονίες της ήτο τα μόμπιλα της
κι οι αράχνες του σπιτιού τ'αμεπελοχώραφά της
ήτο και μια καματερή που εν υπήρχε ταίρι
στις τέσσερις επλάγιαζε κι ηξύπνα μεσημέρι
ω ντιρλαντά ντιρλαντά
στις 15 του Μαρτιού ήβαλε μια μπουγάδα
και την αποτελείωνε τη Μεαλοβδομάδα
το βράδυ όταν γύριζα να την καλησπερίσω
νερό δεν είχε για να πιω φαί για να δειπνήσω
με πιάναν τα διαόλια κι ημπήα τις φωνές μου
άντρα μου έχω σου φαί αγρέλες μες το βάζο
κάτσε σφαχτομαχαίρωσε και πάψε τις φωνές σου
μ'εγώ δεν είμαι δούλα σου να κάνω τις δουλειές σου
η κουνέλα μας κι η βιόλα ηφάαν τα ψωμιά μας όλα
ω ντιρλαντά ντιρλαντά

Cinque e quattro, nove e uno ancora fanno dieci
ma sono io quello che si è sposato e ha preso moglie
le micragne e le testardaggini sono state le sua dote (?)
le ragnatele della casa la sua grande operosità (?)
era una sgobbona che non c'era l'uguale
si coricava alle quattro e si levava a mezzogiorno
o dirladà dirladà
il 15 di marzo attaccò a fare un bucato
e lo finì nella Settimana Santa
la sera quando tornavo a darle la buonasera
non c'era acqua da bere né vivanda da far cena
uscivo dai gangheri e cacciavo i miei urli
marito mio posso darti pesciolini in carpione (?)
sta' buono macella una bestia e smettila di urlare
che non sono la tua schiava che ti sta a servire
la nostra coniglia e (la viola ?) hanno mangiato tutto il nostro pane
o dirladà dirladà)

Gian Piero Testa - 9/5/2010 - 13:01




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