Nessuna notizia è riportata dell'autore di questa canzone, L.Stauffacher, nello "Schwarz-rotes Liederbüchlein" dell'anarcosindacalismo tedesco, da dove il testo è riprodotto. La poesia dovrebbe essere stata composta verso il 1920 e poi cantata su una musica del compositore tedesco Peter H. Ortmann. Come fonte viene riportato il volume di Ulrich Klan e Dieter Nelles "Es lebt noch eine Flamme" ("Una fiamma vive ancora"), Grafenau-Döffingen, 1990, p. 326.
Weit in des Waldes schwarze Wildnis gellen
Des Eisens Klänge noch um Mitternacht;
Es klopft der Schmied, es klopfen die Gesellen,
Die schweren Hämmer schwingen sie mit Macht.
Die Flammen lodern und die Funken sprühen,
Die Blicke leuchten und die Wangen glühen,
Und mit des Erzes monotonem Klang
Zusammen klingt ein kräftiger Gesang:
Wir weihen, was wir schmieden,
Der Freiheit und dem Frieden;
Nicht droben erst, hienieden
Soll jeder glücklich sein!
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Seid einig, Nationen,
Dann endet eure Pein!
Da kracht das Tor - es tritt der Gott des Sieges
Mit finstrem Antlitz vor die kleine Schar.
Noch kränzt der Lorbeer eines blut'gen Sieges
Den goldnen Helm, das wilde Lockenhaar;
Und sein zerschrot'nes Schwert, zum Hohn dem Liede,
Reicht er befehlend jetzt dem Meisterschmiede!
Der faßt es fest, starrt in die Glut hinein,
Und plötzlich schallt es dröhnend durch den Hain:
Wir weihen, was wir schmieden,
Der Freiheit und dem Frieden;
Nicht droben erst, hienieden
Soll jeder glücklich sein!
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Seid einig, Nationen,
Dann endet eure Pein!
Es schwingt der starke Schmied den Riesenhammer,
Das Schwert zerschmettert mit gewalt'gem Schlag;
Hinweg du Kainesgeist, der Tod und Jammer
Und Pest und Schrecken nur verbreiten mag.
Ja, Blut und Leichen, das sind deine Spuren,
Zerstörte Städte und zerstampfte Fluren.
Was willst du hier? Wir alle fluchen dir,
Denn an dem Bau der Zukunft hämmern wir.
Wir weihen, was wir schmieden,
Der Freiheit und dem Frieden;
Nicht droben erst, hienieden
Soll jeder glücklich sein!
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Seid einig, Nationen,
Dann endet eure Pein!
Und sieh - der Gott des Krieges ist verschwunden;
Wie Sturm und Wetter braust es durch den Hain.
Dann wird es still, und langsam flieh'n die Stunden,
Die Glut verlischt, die Schmiede schlafen ein.
Der Meister nur, der Ruh' nicht finden konnte,
Lehnt noch am Tor, blickt nach dem Horizonte,
Und, wie ein Seher, lächelnden Gesichts,
Grüßt er das erste Rot des Morgenlichts.
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Wacht auf, ihr Nationen,
Ihr, die von Sorgen bleich!
Die Hohen, die Gemeinen,
Die Mächtigen, die Kleinen,
Sie müssen all' sich einen
Zum größten Friedensreich.
Des Eisens Klänge noch um Mitternacht;
Es klopft der Schmied, es klopfen die Gesellen,
Die schweren Hämmer schwingen sie mit Macht.
Die Flammen lodern und die Funken sprühen,
Die Blicke leuchten und die Wangen glühen,
Und mit des Erzes monotonem Klang
Zusammen klingt ein kräftiger Gesang:
Wir weihen, was wir schmieden,
Der Freiheit und dem Frieden;
Nicht droben erst, hienieden
Soll jeder glücklich sein!
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Seid einig, Nationen,
Dann endet eure Pein!
Da kracht das Tor - es tritt der Gott des Sieges
Mit finstrem Antlitz vor die kleine Schar.
Noch kränzt der Lorbeer eines blut'gen Sieges
Den goldnen Helm, das wilde Lockenhaar;
Und sein zerschrot'nes Schwert, zum Hohn dem Liede,
Reicht er befehlend jetzt dem Meisterschmiede!
Der faßt es fest, starrt in die Glut hinein,
Und plötzlich schallt es dröhnend durch den Hain:
Wir weihen, was wir schmieden,
Der Freiheit und dem Frieden;
Nicht droben erst, hienieden
Soll jeder glücklich sein!
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Seid einig, Nationen,
Dann endet eure Pein!
Es schwingt der starke Schmied den Riesenhammer,
Das Schwert zerschmettert mit gewalt'gem Schlag;
Hinweg du Kainesgeist, der Tod und Jammer
Und Pest und Schrecken nur verbreiten mag.
Ja, Blut und Leichen, das sind deine Spuren,
Zerstörte Städte und zerstampfte Fluren.
Was willst du hier? Wir alle fluchen dir,
Denn an dem Bau der Zukunft hämmern wir.
Wir weihen, was wir schmieden,
Der Freiheit und dem Frieden;
Nicht droben erst, hienieden
Soll jeder glücklich sein!
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Seid einig, Nationen,
Dann endet eure Pein!
Und sieh - der Gott des Krieges ist verschwunden;
Wie Sturm und Wetter braust es durch den Hain.
Dann wird es still, und langsam flieh'n die Stunden,
Die Glut verlischt, die Schmiede schlafen ein.
Der Meister nur, der Ruh' nicht finden konnte,
Lehnt noch am Tor, blickt nach dem Horizonte,
Und, wie ein Seher, lächelnden Gesichts,
Grüßt er das erste Rot des Morgenlichts.
Was fragen wir nach Kronen,
Nach Schwertern und Kanonen?
Wacht auf, ihr Nationen,
Ihr, die von Sorgen bleich!
Die Hohen, die Gemeinen,
Die Mächtigen, die Kleinen,
Sie müssen all' sich einen
Zum größten Friedensreich.
inviata da Riccardo Venturi - 3/11/2005 - 02:22
Lingua: Italiano
Versione italiana di Francesco Mazzocchi
I FABBRI NEL BOSCO
A lungo nella nera selvatichezza del bosco risuonano
i rumori del ferro ancora a mezzanotte;
Batte il fabbro, battono i compagni,
vibrano con forza i pesanti martelli.
Le fiamme divampano e le scintille sprizzano,
Splendono i bagliori e le guance scottano,
e col monotono rumore del metallo
risuona insieme un possente canto:
Noi consacriamo quello che forgiamo,
alla libertà ed alla pace;
Non solo lassù, quaggiù
ognuno dev’essere felice!
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Siate unite, nazioni,
e finirà la vostra pena!
Sbatte la porta - entra il dio della vittoria
con faccia scura davanti alla piccola schiera.
L’alloro di una sanguinosa vittoria corona ancora
l’elmo d’oro, i selvaggi capelli ricciuti;
E la sua spada consumata, a dispetto della canzone,
porge ora ordinando al mastro fabbro!
Lui l’afferra saldamente, la caccia nella brace,
e improvvisamente suona rintronando nel bosco:
Noi consacriamo quello che forgiamo,
alla libertà ed alla pace;
Non solo lassù, quaggiù
ognuno dev’essere felice!
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Siate unite, nazioni,
e finirà la vostra pena!
Il forte fabbro brandisce il gigantesco martello,
spacca la spada con un possente colpo;
Vattene spirito di Caino, che morte e dolore
soltanto può spargere, e peste e paura.
Sì, sangue e cadaveri, questo sono le tue tracce,
città distrutte e campagne calpestate.
Che vuoi qui? Noi tutti ti malediciamo,
perché vogliamo martellare per costruire il futuro.
Noi consacriamo quello che forgiamo,
alla libertà ed alla pace;
Non solo lassù, quaggiù
ognuno dev’essere felice!
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Siate unite, nazioni,
e finirà la vostra pena!
E vedi - il dio della guerra è sparito;
come tempesta e maltempo scroscia attraverso il bosco.
poi tutto tace, e lentamente scorrono le ore,
la brace si spegne, i fabbri si addormentano.
Solo il maestro, che non ha potuto trovar pace,
va ancora alla porta, guarda verso l’orizzonte,
e, come un veggente, col viso ridente,
saluta il primo rosso della luce del mattino.
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Svegliatevi, voi nazioni,
voi, quelli pallidi dalle preoccupazioni!
Quelli in alto, quelli in basso,
i potenti, i piccoli,
devono unirsi tutti
per il più grande regno della pace.
A lungo nella nera selvatichezza del bosco risuonano
i rumori del ferro ancora a mezzanotte;
Batte il fabbro, battono i compagni,
vibrano con forza i pesanti martelli.
Le fiamme divampano e le scintille sprizzano,
Splendono i bagliori e le guance scottano,
e col monotono rumore del metallo
risuona insieme un possente canto:
Noi consacriamo quello che forgiamo,
alla libertà ed alla pace;
Non solo lassù, quaggiù
ognuno dev’essere felice!
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Siate unite, nazioni,
e finirà la vostra pena!
Sbatte la porta - entra il dio della vittoria
con faccia scura davanti alla piccola schiera.
L’alloro di una sanguinosa vittoria corona ancora
l’elmo d’oro, i selvaggi capelli ricciuti;
E la sua spada consumata, a dispetto della canzone,
porge ora ordinando al mastro fabbro!
Lui l’afferra saldamente, la caccia nella brace,
e improvvisamente suona rintronando nel bosco:
Noi consacriamo quello che forgiamo,
alla libertà ed alla pace;
Non solo lassù, quaggiù
ognuno dev’essere felice!
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Siate unite, nazioni,
e finirà la vostra pena!
Il forte fabbro brandisce il gigantesco martello,
spacca la spada con un possente colpo;
Vattene spirito di Caino, che morte e dolore
soltanto può spargere, e peste e paura.
Sì, sangue e cadaveri, questo sono le tue tracce,
città distrutte e campagne calpestate.
Che vuoi qui? Noi tutti ti malediciamo,
perché vogliamo martellare per costruire il futuro.
Noi consacriamo quello che forgiamo,
alla libertà ed alla pace;
Non solo lassù, quaggiù
ognuno dev’essere felice!
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Siate unite, nazioni,
e finirà la vostra pena!
E vedi - il dio della guerra è sparito;
come tempesta e maltempo scroscia attraverso il bosco.
poi tutto tace, e lentamente scorrono le ore,
la brace si spegne, i fabbri si addormentano.
Solo il maestro, che non ha potuto trovar pace,
va ancora alla porta, guarda verso l’orizzonte,
e, come un veggente, col viso ridente,
saluta il primo rosso della luce del mattino.
Che c’importa di corone,
di spade e cannoni?
Svegliatevi, voi nazioni,
voi, quelli pallidi dalle preoccupazioni!
Quelli in alto, quelli in basso,
i potenti, i piccoli,
devono unirsi tutti
per il più grande regno della pace.
inviata da Francesco Mazzocchi - 11/3/2019 - 19:33
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