Quella notte davanti alla Bussola
nel freddo di San Silvestro
quella notte di Capodanno
non la scorderemo mai.
Arrivarono i Signori
sulle macchine lucenti
e guardavano con disprezzo
gli operai e gli studenti.
Le Signore con l’abito lungo
con le spalle impellicciate
i Potenti col fiocchino
con le facce inamidate.
Eran gli stessi Signori
che ci sfruttano tutto l’anno
quelli che ci fanno crepare
nelle fabbriche qui attorno.
Son venuti per brindare
dopo un anno di sfruttamento,
a brindare per l’anno nuovo
che gli vada ancora meglio.
Non resistono quei compagni
che li han riconosciuti
ed arrivano i pomodori
ed arrivano gli sputi.
Per difendere gli sfruttatori
una tromba ha squillato
quando già i carabinieri
hanno corso ed han picchiato.
Come son belli i carabinieri
quando picchiano con le manette
i compagni studenti medi
dai quattordici ai diciassette.
Non la smettono di picchiare
se il colonnello non alza un dito
sono l’immagine più fedele
del nostro ordine costituito
Già vediamo i carabinieri
che si stanno organizzando
per iniziare la caccia all’uomo
con pantere ed autoblindo.
Non possiamo andare via
né lasciare i dispersi
siamo ormai tagliati fuori
per raggiunger gli automezzi
Decidiamo di resistere
e si fan le barricate
sono per meglio difenderci
dalle successive ondate.
Dalla prima barricata
alla zona dei carabinieri
sono circa 40 metri
tutti sgombri e tutti neri.
Quando cominciano ad avanzare
uno di loro spara in aria
i compagni tirano sassi
per cercare di fermarli.
Loro si fermano un momento
poi continuano ad avanzare
non è più uno soltanto
sono in molti ora a sparare.
Dalla prima barricata
vediamo bene le pistole
ma dalla seconda i compagni pensano
che siano colpi di castagnole.
Ci riuniamo tutti insieme
alla seconda barricata
e gli sbirri tornano indietro
vista la brutta parata.
Ancora un’ora di avanti indietro
noi con i sassi loro sparando
e tutti crediamo che sparano a salve
anche da dentro un autoblindo.
Ma ad un tratto vedo cadere
un compagno alla mia destra
in ginocchio con un buco
ed il sangue sui calzoni
Mi volto e grido "Sparan davvero!"
e corro indietro di qualche passo
due compagni portano a spalle
il ferito nella gamba.
Correndo forte sulla strada
con alle spalle i carabinieri
vedo Ceccanti colpito a morte
trasportato sul marciapiede.
Malgrado gli sforzi per aiutarlo
è difficile trovar soccorso
mentre gli sbirri ti corrono dietro
e non ti danno un po’ di riposo.
Trovata un’auto utilitaria
e portato via Ceccanti
non ci resta altro da fare
che scappare tutti quanti.
Forse alla Bussola Per questa notte
i padroni si sono offesi
loro che ci offendono e che ci uccidono
per tutti gli altri dodici mesi.
Sarebbe meglio offenderli spesso
e non dare mai loro respiro
tutte le volte che lor Signori
capitano sotto il nostro tiro
E a questo punto mi sembra opportuno
fare qualche considerazione
sulle diverse brutte facce
che ci mostra oggi il Padrone.
Lui ha i soldi per comprarci
il lavoro per sfruttare
i suoi armati per ucciderci
la Tv per imbrogliare.
A noi non resta che ribellarci
e non accettare il gioco
di questa loro libertà
che per noi vale ben poco.
A noi non resta che ribellarci
e non accettare il gioco
di questa loro libertà
che per noi vale ben poco.
nel freddo di San Silvestro
quella notte di Capodanno
non la scorderemo mai.
Arrivarono i Signori
sulle macchine lucenti
e guardavano con disprezzo
gli operai e gli studenti.
Le Signore con l’abito lungo
con le spalle impellicciate
i Potenti col fiocchino
con le facce inamidate.
Eran gli stessi Signori
che ci sfruttano tutto l’anno
quelli che ci fanno crepare
nelle fabbriche qui attorno.
Son venuti per brindare
dopo un anno di sfruttamento,
a brindare per l’anno nuovo
che gli vada ancora meglio.
Non resistono quei compagni
che li han riconosciuti
ed arrivano i pomodori
ed arrivano gli sputi.
Per difendere gli sfruttatori
una tromba ha squillato
quando già i carabinieri
hanno corso ed han picchiato.
Come son belli i carabinieri
quando picchiano con le manette
i compagni studenti medi
dai quattordici ai diciassette.
Non la smettono di picchiare
se il colonnello non alza un dito
sono l’immagine più fedele
del nostro ordine costituito
Già vediamo i carabinieri
che si stanno organizzando
per iniziare la caccia all’uomo
con pantere ed autoblindo.
Non possiamo andare via
né lasciare i dispersi
siamo ormai tagliati fuori
per raggiunger gli automezzi
Decidiamo di resistere
e si fan le barricate
sono per meglio difenderci
dalle successive ondate.
Dalla prima barricata
alla zona dei carabinieri
sono circa 40 metri
tutti sgombri e tutti neri.
Quando cominciano ad avanzare
uno di loro spara in aria
i compagni tirano sassi
per cercare di fermarli.
Loro si fermano un momento
poi continuano ad avanzare
non è più uno soltanto
sono in molti ora a sparare.
Dalla prima barricata
vediamo bene le pistole
ma dalla seconda i compagni pensano
che siano colpi di castagnole.
Ci riuniamo tutti insieme
alla seconda barricata
e gli sbirri tornano indietro
vista la brutta parata.
Ancora un’ora di avanti indietro
noi con i sassi loro sparando
e tutti crediamo che sparano a salve
anche da dentro un autoblindo.
Ma ad un tratto vedo cadere
un compagno alla mia destra
in ginocchio con un buco
ed il sangue sui calzoni
Mi volto e grido "Sparan davvero!"
e corro indietro di qualche passo
due compagni portano a spalle
il ferito nella gamba.
Correndo forte sulla strada
con alle spalle i carabinieri
vedo Ceccanti colpito a morte
trasportato sul marciapiede.
Malgrado gli sforzi per aiutarlo
è difficile trovar soccorso
mentre gli sbirri ti corrono dietro
e non ti danno un po’ di riposo.
Trovata un’auto utilitaria
e portato via Ceccanti
non ci resta altro da fare
che scappare tutti quanti.
Forse alla Bussola Per questa notte
i padroni si sono offesi
loro che ci offendono e che ci uccidono
per tutti gli altri dodici mesi.
Sarebbe meglio offenderli spesso
e non dare mai loro respiro
tutte le volte che lor Signori
capitano sotto il nostro tiro
E a questo punto mi sembra opportuno
fare qualche considerazione
sulle diverse brutte facce
che ci mostra oggi il Padrone.
Lui ha i soldi per comprarci
il lavoro per sfruttare
i suoi armati per ucciderci
la Tv per imbrogliare.
A noi non resta che ribellarci
e non accettare il gioco
di questa loro libertà
che per noi vale ben poco.
A noi non resta che ribellarci
e non accettare il gioco
di questa loro libertà
che per noi vale ben poco.
inviata da Riccardo Venturi - 15/4/2005 - 02:21
Lingua: Inglese
Versione inglese di Riccardo Venturi (1999)
Originariamente preparata per il sito In Alamanno e in Goto.
THAT NIGHT IN FRONT OF THE "BUSSOLA"
That night in front of the "Bussola"
In the cold New Year’s eve,
That new year’s night
We shan’t never forget.
The Gentlemen they arrived
With their luxury motor cars,
Casting scornful looks
At students and workers.
The ladies in evening dress
With their shoulders cover’d by furs,
The Powerful with their bow-ties
And all their starchy faces.
They were the same Gentlemen
Who exploit us all the year long,
Those who make us die
In the factories nearby
They came to rejoice and drink
After a whole year of exploitation,
Hoping that the year to come
Will bring them still more profit
The Comrades, they know well
All of them and cannot stop,
And they throw rotten tomatoes,
And they all spit at their faces
But someone’s blown in a trumpet
To defend those exploiters,
The Police are rushing quickly
And is having a free-for-all
How beautiful the cops are
When they beat up people in handcuffs,
The young Comrades in high school age
Fourteen to seventeen years old
And they don’t stop beating
If the lieutenant don’t tell them to stop,
They’re the most realistic image
Of our established order
And we already can see the Police
Drawing up in battle array
To begin the man-hunt
With patrol and armoured cars
We can’t flee away from there
And leave our Comrades behind,
We’ve been caught into a trap
And cannot reach our cars
We decide to hold out
And we build up barricades
That’s a better way to resist
The subsequent attacks
From the first barricade
To the area held by the Police
There’s a dark no man’s land
Of about thirty yards
When the Police begins to advance
A cop fires a shot in the air,
The Comrades they throw stones
Trying to stop the Police
The Police stops for a moment,
Then they retake their advance,
Now it isn’t one only,
Now a lot of them is shooting
From the first barricade
We can see well the guns,
But from the other one, the Comrades
Think they are only petards
We draw back all together
To the other barricade,
And the cops they retreat,
The thing’s taking a bad turn
One hour more of attacks
We with our stones and they with their guns,
And we think they’re firing blank shots
Even from an armoured car
But, suddenly, I see a Comrade
Fall to the ground to my right,
He falls on his knees with a hole
And his trousers stained with blood
I turn and shout: "They’re shooting!"
And I run backwards for a while,
Two Comrades carry on their shoulders
The Comrade wounded in one leg
Running fast on the street’s pavement
And pursued by the Police,
I can see Ceccanti mortally wounded
Being carried on the sidewalk
We all do our best to help him,
But it’s difficult to find rescue
While we’re pursued by the cops,
They give us no respite
Luckily, we find a runabout
And we take Ceccanti away,
There’s nothing more we can do
But running away in haste
Maybe tonight at the "Bussola"
The masters have taken offence,
They who offend us and kill us
For the remaining twelve months
We’d better offending them more often
And never giving them any respite,
Every time these Gentlemen
Happen to be within our range
And now I think we should make
Some remarks on the situation,
On the different ugly faces
The Masters show us nowadays
They have money to buy us,
They give work to exploit us,
They have their Police to kill us
And the TV to cheat us
The only good thing we can do
Is revolting, refusing their tricks,
Refusing their false freedom,
That’s all shit for the people
The only good thing we can do
Is revolting, refusing their tricks,
Refusing their false freedom
That’s all shit for the people.
That night in front of the "Bussola"
In the cold New Year’s eve,
That new year’s night
We shan’t never forget.
The Gentlemen they arrived
With their luxury motor cars,
Casting scornful looks
At students and workers.
The ladies in evening dress
With their shoulders cover’d by furs,
The Powerful with their bow-ties
And all their starchy faces.
They were the same Gentlemen
Who exploit us all the year long,
Those who make us die
In the factories nearby
They came to rejoice and drink
After a whole year of exploitation,
Hoping that the year to come
Will bring them still more profit
The Comrades, they know well
All of them and cannot stop,
And they throw rotten tomatoes,
And they all spit at their faces
But someone’s blown in a trumpet
To defend those exploiters,
The Police are rushing quickly
And is having a free-for-all
How beautiful the cops are
When they beat up people in handcuffs,
The young Comrades in high school age
Fourteen to seventeen years old
And they don’t stop beating
If the lieutenant don’t tell them to stop,
They’re the most realistic image
Of our established order
And we already can see the Police
Drawing up in battle array
To begin the man-hunt
With patrol and armoured cars
We can’t flee away from there
And leave our Comrades behind,
We’ve been caught into a trap
And cannot reach our cars
We decide to hold out
And we build up barricades
That’s a better way to resist
The subsequent attacks
From the first barricade
To the area held by the Police
There’s a dark no man’s land
Of about thirty yards
When the Police begins to advance
A cop fires a shot in the air,
The Comrades they throw stones
Trying to stop the Police
The Police stops for a moment,
Then they retake their advance,
Now it isn’t one only,
Now a lot of them is shooting
From the first barricade
We can see well the guns,
But from the other one, the Comrades
Think they are only petards
We draw back all together
To the other barricade,
And the cops they retreat,
The thing’s taking a bad turn
One hour more of attacks
We with our stones and they with their guns,
And we think they’re firing blank shots
Even from an armoured car
But, suddenly, I see a Comrade
Fall to the ground to my right,
He falls on his knees with a hole
And his trousers stained with blood
I turn and shout: "They’re shooting!"
And I run backwards for a while,
Two Comrades carry on their shoulders
The Comrade wounded in one leg
Running fast on the street’s pavement
And pursued by the Police,
I can see Ceccanti mortally wounded
Being carried on the sidewalk
We all do our best to help him,
But it’s difficult to find rescue
While we’re pursued by the cops,
They give us no respite
Luckily, we find a runabout
And we take Ceccanti away,
There’s nothing more we can do
But running away in haste
Maybe tonight at the "Bussola"
The masters have taken offence,
They who offend us and kill us
For the remaining twelve months
We’d better offending them more often
And never giving them any respite,
Every time these Gentlemen
Happen to be within our range
And now I think we should make
Some remarks on the situation,
On the different ugly faces
The Masters show us nowadays
They have money to buy us,
They give work to exploit us,
They have their Police to kill us
And the TV to cheat us
The only good thing we can do
Is revolting, refusing their tricks,
Refusing their false freedom,
That’s all shit for the people
The only good thing we can do
Is revolting, refusing their tricks,
Refusing their false freedom
That’s all shit for the people.
Lingua: Francese
Version française – La Ballade de la Boussole – Marco Valdo M.I. – 2008
Cette chanson est une œuvre collective : les paroles écrites collectivement par le groupe Gruppo del canzoniere Pisano et l'interprétation de Pino Masi.
La ballade est une chronique fidèle de l'épisode de la contestation survenue le 31 décembre 1968 devant la boîte à la mode « La Boussole » de Focette en Versilia, où des élèves et des étudiants s'étaient rendus ( comme le 7 décembre à Milan à la première de la Scala) pour lancer des œufs sur les riches bourgeois qui allaient dans cette boîte « chic » pour fêter le nouvel an.
Les étudiants étaient armés d'œufs; les carabiniers d'armes.
Ce fut la première fois en Italie que les carabiniers tirèrent sur une manifestation estudiantine.
L'étudiant Soriano Ceccanti, 16 ans, de Pise, resta paralysé pour toute sa vie. Il est devenu un excellent escrimeur.
Une chanson dont la fin semble avoir été écrite hier...
Aujourd'hui même.
Panta rhei... mais la brutalité policière et l'exploitation des pauvres par les riches continuent.
La guerre de cent mille ans n'est pas finie... Qu'on se le dise !!!
Ainsi parlait Marco Valdo M.I.
La ballade est une chronique fidèle de l'épisode de la contestation survenue le 31 décembre 1968 devant la boîte à la mode « La Boussole » de Focette en Versilia, où des élèves et des étudiants s'étaient rendus ( comme le 7 décembre à Milan à la première de la Scala) pour lancer des œufs sur les riches bourgeois qui allaient dans cette boîte « chic » pour fêter le nouvel an.
Les étudiants étaient armés d'œufs; les carabiniers d'armes.
Ce fut la première fois en Italie que les carabiniers tirèrent sur une manifestation estudiantine.
L'étudiant Soriano Ceccanti, 16 ans, de Pise, resta paralysé pour toute sa vie. Il est devenu un excellent escrimeur.
Une chanson dont la fin semble avoir été écrite hier...
Aujourd'hui même.
Panta rhei... mais la brutalité policière et l'exploitation des pauvres par les riches continuent.
La guerre de cent mille ans n'est pas finie... Qu'on se le dise !!!
Ainsi parlait Marco Valdo M.I.
LA BALLADE DE LA BOUSSOLE
Cette nuit devant la Boussole
dans ce froid de la Saint Sylvestre
Cette nuit de Nouvel An
Nous ne l'oublierons jamais.
Ces Messieurs arrivèrent
dans leurs autos luisantes
et ils regardaient avec mépris
les ouvriers et les étudiants.
Ces Dames en longues robes
avec les fourrures sur leurs épaules
Les Puissants avec leurs noeuds paps
et leurs faces amidonnées
C'étaient les mêmes Messieurs
qui nous exploitent toute l'année
Ceux qui nous font crever
dans les fabriques des environs.
Ils sont venus pour trinquer
après une année d'exploitation
Pour trinquer à l'année nouvelle
qui sera encore meilleure.
Les camarades qui les ont reconnus
ne peuvent résister
et arrivent les tomates
et arrivent les crachats
Pour défendre les exploiteurs
Une trompette a sonné
que voilà déjà les carabiniers
accourir et frapper
Comme ils sont beaux les carabiniers
quand ils frappent avec les menottes
les camarades écoliers
de quatorze à dix-sept ans.
Ils n'hésitent pas à frapper
si le colonel lève un doigt
Ils sont l'image la plus fidèle
de notre régime constitué.
Déjà nous voyons les carabiniers
qui sont en train de s'organiser
pour commencer le chasse à l'homme
avec leurs bagnoles et leurs blindés.
Nous ne pouvons avancer
Ni abandonner les perdus
Nous sommes désormais poussés dehors
pour rejoindre nos cars.
Nous décidons de résister
et on fait des barricades
pour mieux nous défendre
des vagues suivantes
De la première barricade
à l'endroit des carabiniers
il y a environ quarante mètres
tout dégagés, tout noirs.
Quand ils commencent à avancer
un d'eux tire en l'air
Les camarades lancent des pierres
pour chercher à les arrêter.
Ils s'arrêtent un moment
puis se remettent à avancer.
Ce n'est plus un seul,
ils sont nombreux à tirer.
De la première barricade,
nous voyons bien leurs pistolets;
mais de la seconde, les camarades pensent
que ce sont des coups de pétards
On se rassemble tous
sur la seconde barricade
et les flics front marche arrière
devant la rude barrière
Encore une heure d'aller-retour
Nous avec nos pierres, eux avec leurs tirs
Et nous croyons tous qu'ils tirent à blanc
même de leur autoblindée.
Mais d'un coup je vois tomber
un camarade à ma droite
à genoux avec un trou
et du sang sur ses pantalons.
Je me retourne et je crie « Ils tirent pour de vrai ! »
et je recule de quelques pas
Deux camarades emportent sur leur dos
le blessé à la jambe.
En courant fort sur la rue
avec les carabiniers au cul
Je vois Ceccanti battu à mort
transporté sur le trottoir.
Malgré nos efforts pour l'aider
il est difficile de trouver du secours
pendant que les flics te courent après
et ne te laissent pas de répit.
Une fois trouvée une camionnette
et emmené Ceccanti
il ne nous reste plus rien à faire
que fuir tous tant que nous sommes.
Peut-être qu'à la Boussole, cette nuit
Les patrons se sont offusqués
Eux qui nous offensent et nous tuent
durant les douze autre mois.
Ce serait chouette de les offenser souvent
et de ne leur laisser jamais de répit
Toutes les fois que ces Messieurs
tombent sous notre tir.
Et à ce point, il me semble opportun
de faire l'une ou l'autre considération
sur les diverses et moches faces
que nous montre aujourd'hui le Patron.
Lui a l'argent pour nous acheter
notre travail afin de l'exploiter,
ses armes pour nous tuer,
ses TV pour nous embrouiller.
À nous, il ne reste qu'à nous rebeller
et à ne pas accepter le jeu
de cette liberté
qui pour nous vaut bien peu.
À nous, il ne reste qu'à nous rebeller
et à ne pas accepter le jeu
de leur liberté
qui pour nous vaut bien peu.
Cette nuit devant la Boussole
dans ce froid de la Saint Sylvestre
Cette nuit de Nouvel An
Nous ne l'oublierons jamais.
Ces Messieurs arrivèrent
dans leurs autos luisantes
et ils regardaient avec mépris
les ouvriers et les étudiants.
Ces Dames en longues robes
avec les fourrures sur leurs épaules
Les Puissants avec leurs noeuds paps
et leurs faces amidonnées
C'étaient les mêmes Messieurs
qui nous exploitent toute l'année
Ceux qui nous font crever
dans les fabriques des environs.
Ils sont venus pour trinquer
après une année d'exploitation
Pour trinquer à l'année nouvelle
qui sera encore meilleure.
Les camarades qui les ont reconnus
ne peuvent résister
et arrivent les tomates
et arrivent les crachats
Pour défendre les exploiteurs
Une trompette a sonné
que voilà déjà les carabiniers
accourir et frapper
Comme ils sont beaux les carabiniers
quand ils frappent avec les menottes
les camarades écoliers
de quatorze à dix-sept ans.
Ils n'hésitent pas à frapper
si le colonel lève un doigt
Ils sont l'image la plus fidèle
de notre régime constitué.
Déjà nous voyons les carabiniers
qui sont en train de s'organiser
pour commencer le chasse à l'homme
avec leurs bagnoles et leurs blindés.
Nous ne pouvons avancer
Ni abandonner les perdus
Nous sommes désormais poussés dehors
pour rejoindre nos cars.
Nous décidons de résister
et on fait des barricades
pour mieux nous défendre
des vagues suivantes
De la première barricade
à l'endroit des carabiniers
il y a environ quarante mètres
tout dégagés, tout noirs.
Quand ils commencent à avancer
un d'eux tire en l'air
Les camarades lancent des pierres
pour chercher à les arrêter.
Ils s'arrêtent un moment
puis se remettent à avancer.
Ce n'est plus un seul,
ils sont nombreux à tirer.
De la première barricade,
nous voyons bien leurs pistolets;
mais de la seconde, les camarades pensent
que ce sont des coups de pétards
On se rassemble tous
sur la seconde barricade
et les flics front marche arrière
devant la rude barrière
Encore une heure d'aller-retour
Nous avec nos pierres, eux avec leurs tirs
Et nous croyons tous qu'ils tirent à blanc
même de leur autoblindée.
Mais d'un coup je vois tomber
un camarade à ma droite
à genoux avec un trou
et du sang sur ses pantalons.
Je me retourne et je crie « Ils tirent pour de vrai ! »
et je recule de quelques pas
Deux camarades emportent sur leur dos
le blessé à la jambe.
En courant fort sur la rue
avec les carabiniers au cul
Je vois Ceccanti battu à mort
transporté sur le trottoir.
Malgré nos efforts pour l'aider
il est difficile de trouver du secours
pendant que les flics te courent après
et ne te laissent pas de répit.
Une fois trouvée une camionnette
et emmené Ceccanti
il ne nous reste plus rien à faire
que fuir tous tant que nous sommes.
Peut-être qu'à la Boussole, cette nuit
Les patrons se sont offusqués
Eux qui nous offensent et nous tuent
durant les douze autre mois.
Ce serait chouette de les offenser souvent
et de ne leur laisser jamais de répit
Toutes les fois que ces Messieurs
tombent sous notre tir.
Et à ce point, il me semble opportun
de faire l'une ou l'autre considération
sur les diverses et moches faces
que nous montre aujourd'hui le Patron.
Lui a l'argent pour nous acheter
notre travail afin de l'exploiter,
ses armes pour nous tuer,
ses TV pour nous embrouiller.
À nous, il ne reste qu'à nous rebeller
et à ne pas accepter le jeu
de cette liberté
qui pour nous vaut bien peu.
À nous, il ne reste qu'à nous rebeller
et à ne pas accepter le jeu
de leur liberté
qui pour nous vaut bien peu.
inviata da Marco Valdo M.I. - 1/12/2008 - 20:27
Dio. avevo dimenticato. dimenticato Franco Serantini, dimenticato Soriano Ceccanti, dimenticato..... quali sono i loro nomi? dove sono finiti i loro ideali? i padroni sempre più padroni e la rassegnazione. Perchè si è spenta la speranza di quegli anni? perchè non abbiamo continuato a combattere?
Nerina - 30/11/2008 - 19:32
Credo, Nerina, che la risposta migliore l'abbia data Soriano Ceccanti in persona, in un'intervista che è riportata nel commento successivo a questo. Invito tutti a leggerla perché fa bene alla mente ed al cuore.
Riccardo Venturi - 2/12/2008 - 00:40
IL DISABILE, L'ATLETA, L'UOMO
Intervista a Soriano Ceccanti
Da DM
Intervista e commento introduttivo di Riccardo Rutigliano
Un bell'articolo di Adriano Sofri pubblicato da "Panorama" un paio d'anni fa: questa la scintilla che ha catturato l'attenzione di DM. Il personaggio portato alla ribalta da Sofri era Soriano Ceccanti, un uomo ora nel pieno della sua maturità, solo un ragazzo sedicenne nel '68; un giovane che come molti suoi coetanei cercava di cambiare il mondo. Una manifestazione davanti alla Bussola, il famoso locale viareggino, la notte dell'ultimo dell'anno. La polizia che usa le armi da fuoco per riportare l'ordine. Soriano Ceccanti ferito gravemente, che si salva ma perde l'uso delle gambe. Quel ragazzo che diventa sì disabile, ma che poi approda al lavoro in una scuola, viene eletto più volte in Consiglio Comunale e si trasforma in sportivo praticante. Tutti aspetti stimolanti, l'ultimo addirittura affascinante perché Soriano ha saputo diventare uno sportivo di primissimo piano.
Un'intervista non facile, però, innanzitutto perché sia chi scrive sia il personaggio intervistato avrebbero voluto incontrarsi per stabilire un dialogo meno superficiale di quello consentito dalla posta elettronica o dal telefono. Forse la disabilità di entrambi, che pone inevitabili vincoli (soprattutto quando ci sono di mezzo lunghi spostamenti), ha impedito l'incontro. Forse, più banalmente, evitando di cedere alla facile autocommiserazione come ci insegna Ceccanti, solo per gli impegni di entrambi. E un'intervista non facile anche perché le risposte di Soriano non sono mai di comodo e a volte possono prendere in contropiede.
Ma dopotutto il contatto è stato instaurato e il carattere e lo spessore dell'uomo riescono a delinearsi con chiarezza ed estrema incisività.
(Riccardo Rutigliano)
Per chi convive con l'handicap fin dalla nascita può risultare difficile mettersi nei panni di chi invece è divenuto disabile in seguito a un evento traumatico. Puoi toglierci tu dall'imbarazzo?
Non vedo da quale imbarazzo possa togliervi. Secondo le mie esperienze può risultare difficile anche il contrario e comunque non credo abbia senso vestirsi coi panni degli altri.
Sei stato e sei attivo in diversi campi: dalla politica, al sociale, allo sport. Si può dire che la tua sia stata una vita caratterizzata dall'impegno?
La mia vita è tuttora caratterizzata dall'impegno, in maniera minore (o meglio, diversa) rispetto a dieci-quindici anni fa. Adesso l'impegno principale ce l'ho con me stesso.
Hai "incontrato" la disabilità in un momento particolare della storia del nostro Paese, quello della contestazione giovanile. Pensi che anche nei riguardi dell'handicap il Sessantotto abbia avuto delle ripercussioni?
Certamente, le prime iniziative di gruppo a cui ho partecipato sono cominciate negli anni Settanta sulla questione degli istituti, delle barriere architettoniche, delle opportunità, dell'accessibilità. Il Sessantotto è stata una grande scintilla che ha "incendiato" anche situazioni deboli o emarginate.
In definitiva credi che i progressi della cultura dell'handicap in questi trentacinque anni siano accettabili o del tutto insufficienti?
Sicuramente le persone con disabilità - in generale - hanno acquisito una maggiore consapevolezza dei propri diritti: emancipazione, autodeterminazione, autonomia intellettuale (che poi sono i diritti fondamentali degli esseri umani), rivendicati e affermati con coraggio nel quotidiano, hanno costretto le istituzioni a prendersi le loro responsabilità. E' ancora forte, comunque, la tendenza delle istituzioni ad affrontare la questione handicap in maniera assistenziale anziché culturale.
Che valore dai alla politica oggi e cosa pensi vedendo i giovani e le forze di polizia tornare a scontrarsi in maniera drammatica ad ogni grande vertice politico internazionale?
La politica che ci trasmette la televisione non mi interessa più; vedo una grande maratona per omologarsi a questo modello di sviluppo, a questo standard di benessere, a questi livelli di consumi. Se, come io credo, un altro mondo è possibile e necessario, bisogna prima di tutto trovarlo dentro noi stessi, essere concretamente diversi, culturalmente e praticamente.
Sicuramente sto dalla parte dei giovani - e dei vecchi - che si scontrano con le "forze dell'ordine" durante i vari vertici internazionali, ma mi domando: perché dobbiamo prendere le legnate? Perché dobbiamo perdere denti, occhi, braccia, gambe o morire per far sapere che non siamo d'accordo con la globalizzazione, con lo strangolamento economico dei Paesi poveri, con la devastazione delle risorse energetiche, con l'avvelenamento del cielo ecc. ecc.? Forse dovremmo cominciare a parlare dei contenuti dell'"altro mondo possibile e necessario"!
La tua passione sportiva era presente anche prima dell'incidente o è stato il mezzo che hai trovato per affermare la tua "normalità"?
Se per passione sportiva si intende la voglia di giocare, questa c'era anche prima. La passione per gareggiare in una disciplina sportiva, invece, è venuta dopo l'incidente. Ed è stata un mezzo, forse il più divertente, per affermare, semmai, la mia "diversità".
Hai partecipato come schermidore a quattro edizioni delle Paraolimpiadi, tutte in età matura. Questa longevità si riscontra spesso negli atleti disabili. Siamo al paradosso che nello sport la disabilità "aiuta"?
Subire un trauma spesso significa "rinascere", cioè cominciare a ricostruirsi, ricominciare (a volte, cominciare!) a usare e a sentire il proprio corpo. E praticare un'attività sportiva diventa una possibilità che fino ad allora non avevi considerato. In questo senso si può dire che la disabilità "aiuti". C'è poi da ricordare che spesso le persone si "traumatizzano" da grandicelli o addirittura da adulti. Infatti, bisognerebbe affrontare la questione (e fra le tante, anche quella della possibilità di praticare un'attività sportiva) dei bambini, o adolescenti, che hanno subito un trauma o che sono disabili dalla nascita.
Hai vinto medaglie alle Paraolimpiadi di Seul, Barcellona, Atlanta e Sydney. Quali le differenze tra queste diverse esperienze e quale il ricordo più bello?
Mi sono trovato "sparato" alle Paraolimpiadi di Seul fresco di scherma grazie alla pazienza e all'intelligenza del maestro Di Ciolo che mi ha "preparato" e alla fiducia che mi ha accordato il maestro Loi; sono entrato nel sogno all'inizio delle gare e mi sono svegliato alla fine. Nel frattempo ho (abbiamo) conquistato medaglie d'argento e di bronzo nell'individuale e a squadre; la fortuna dei principianti! Tornato a casa mi sono ripromesso di "stare sveglio" a Barcellona e ho cominciato a prepararmi da subito. Risultato: pur sempre discreto, ma una medaglia in meno. Le Paraolimpiadi delle occasioni perdute... A quel punto ero abbastanza esperto di gare, nelle quali la fortuna e la sfortuna hanno sì un ruolo, ma quello che conta è la preparazione, la sicurezza, la tranquillità, la determinazione. Quattro anni di intensa preparazione tecnica e psicofisica e ad Atlanta ci sono arrivato davvero vicino, all'oro, sia nell'individuale che a squadre; ma si vede che quest'oro... non s'aveva da prendere!
Sydney. Sapevo che sarebbe stata l'ultima gara della mia carriera, che sarebbe stato difficilissimo arrivare in zona medaglie, sapevo anche di poter contare sulla mia esperienza e su una preparazione accurata. Ero perciò tranquillo e determinato, consapevole delle difficoltà, ma anche delle possibilità di successo. Poi è accaduto l'imprevedibile: un infortunio (capitano anche ai superman disabili!) durante un allenamento a Sydney, pochi giorni prima delle gare e quattro anni di lavoro, di speranze, di entusiasmo buttati al vento. Ho combattuto comunque la mia ultima "battaglia" (la prima come riserva nella squadra di spada), incoraggiando e spronando i miei compagni di squadra fino ad arrivare a conquistare il bronzo. Mi fa piacere pensare, consentitemelo, che i miei incitamenti appassionati abbiano contribuito ad arrivare sul podio.
Nella tua carriera hai vinto anche un Campionato del Mondo. Ma una medaglia olimpica prevale su ogni altra conquista?
Ogni medaglia conquistata merita uguale rispetto perché è frutto di fatica e di impegno; poi è chiaro che siccome le Olimpiadi sono l'evento sportivo più importante, gli allori conquistati in quelle occasioni assumono un significato speciale.
Anche chi è affetto da distrofia, da circa dieci anni può praticare in Italia una disciplina studiata appositamente per i suoi gravi problemi motori, il wheelchair-hockey. Secondo alcuni una malattia che coinvolge sensibilmente gli apparati cardiaco e respiratorio non può consentire effettivo agonismo. Che ne pensi?
Non saprei. Fino ad ora tutte le discipline sportive praticate escludevano l'uso di mezzi elettrici. Lo spirito agonistico esalta il gesto compiuto dall'atleta; nell'epoca dell'elettronica, un gesto atletico può essere anche un distrofico che gioca a hockey guidando una carrozzina elettrica. Perché no?
Pur gratificando tantissimo chi lo pratica, l'hockey in carrozzina fatica però a trovare nuove leve tra i giovani distrofici. Puoi darci qualche consiglio?
Il problema è domandarsi perché non troviamo giovani disabili in giro, per le strade, in campagna, al mare, tra il pubblico in TV, alle manifestazioni, alle gite scolastiche... Il problema è questo, non se io ho dei consigli, che comunque non ho. I disabili che incontro in giro sono pochissimi. Se non si esce per la strada, non si fa sport, non si fa cultura, continuiamo a fare "un mondo a parte".
Proprio quest'anno si stanno finalmente gettando le basi per una Federazione Internazionale di wheelchair-hockey, sport praticata in diciotto Nazioni e tre continenti. Sarà un sogno realizzabile arrivare un giorno alle Paraolimpiadi?
Io ve lo auguro.
E' davvero impossibile sperare di vedere in TV lo sport fatto dai disabili ad orari meno "inumani"?
La tv trasmette le cose interessanti proprio ad orari "inumani", per cui dovremmo sentirci gratificati di non andare in onda in prima serata! Scherzo, ovviamente (ma solo per quanto riguarda il "sentirci gratificati..."). Dipende da molte cose, ma soprattutto dal livello culturale dei "padroni" delle televisioni e da quanto noi riusciremo ad essere visibili.
Articolo tratto da DM 145 - aprile 2002. DM è un trimestrale edito dalla Direzione Nazionale dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. La Redazione di DM ha sede in: Via P.P. Vergerio, 19 - 35126 Padova, Tel. (049) 8025248 - Fax (049) 8025249 e-mail: redazionedm@eosservice.com
Intervista a Soriano Ceccanti
Da DM
Intervista e commento introduttivo di Riccardo Rutigliano
Un bell'articolo di Adriano Sofri pubblicato da "Panorama" un paio d'anni fa: questa la scintilla che ha catturato l'attenzione di DM. Il personaggio portato alla ribalta da Sofri era Soriano Ceccanti, un uomo ora nel pieno della sua maturità, solo un ragazzo sedicenne nel '68; un giovane che come molti suoi coetanei cercava di cambiare il mondo. Una manifestazione davanti alla Bussola, il famoso locale viareggino, la notte dell'ultimo dell'anno. La polizia che usa le armi da fuoco per riportare l'ordine. Soriano Ceccanti ferito gravemente, che si salva ma perde l'uso delle gambe. Quel ragazzo che diventa sì disabile, ma che poi approda al lavoro in una scuola, viene eletto più volte in Consiglio Comunale e si trasforma in sportivo praticante. Tutti aspetti stimolanti, l'ultimo addirittura affascinante perché Soriano ha saputo diventare uno sportivo di primissimo piano.
Un'intervista non facile, però, innanzitutto perché sia chi scrive sia il personaggio intervistato avrebbero voluto incontrarsi per stabilire un dialogo meno superficiale di quello consentito dalla posta elettronica o dal telefono. Forse la disabilità di entrambi, che pone inevitabili vincoli (soprattutto quando ci sono di mezzo lunghi spostamenti), ha impedito l'incontro. Forse, più banalmente, evitando di cedere alla facile autocommiserazione come ci insegna Ceccanti, solo per gli impegni di entrambi. E un'intervista non facile anche perché le risposte di Soriano non sono mai di comodo e a volte possono prendere in contropiede.
Ma dopotutto il contatto è stato instaurato e il carattere e lo spessore dell'uomo riescono a delinearsi con chiarezza ed estrema incisività.
(Riccardo Rutigliano)
Per chi convive con l'handicap fin dalla nascita può risultare difficile mettersi nei panni di chi invece è divenuto disabile in seguito a un evento traumatico. Puoi toglierci tu dall'imbarazzo?
Non vedo da quale imbarazzo possa togliervi. Secondo le mie esperienze può risultare difficile anche il contrario e comunque non credo abbia senso vestirsi coi panni degli altri.
Sei stato e sei attivo in diversi campi: dalla politica, al sociale, allo sport. Si può dire che la tua sia stata una vita caratterizzata dall'impegno?
La mia vita è tuttora caratterizzata dall'impegno, in maniera minore (o meglio, diversa) rispetto a dieci-quindici anni fa. Adesso l'impegno principale ce l'ho con me stesso.
Hai "incontrato" la disabilità in un momento particolare della storia del nostro Paese, quello della contestazione giovanile. Pensi che anche nei riguardi dell'handicap il Sessantotto abbia avuto delle ripercussioni?
Certamente, le prime iniziative di gruppo a cui ho partecipato sono cominciate negli anni Settanta sulla questione degli istituti, delle barriere architettoniche, delle opportunità, dell'accessibilità. Il Sessantotto è stata una grande scintilla che ha "incendiato" anche situazioni deboli o emarginate.
In definitiva credi che i progressi della cultura dell'handicap in questi trentacinque anni siano accettabili o del tutto insufficienti?
Sicuramente le persone con disabilità - in generale - hanno acquisito una maggiore consapevolezza dei propri diritti: emancipazione, autodeterminazione, autonomia intellettuale (che poi sono i diritti fondamentali degli esseri umani), rivendicati e affermati con coraggio nel quotidiano, hanno costretto le istituzioni a prendersi le loro responsabilità. E' ancora forte, comunque, la tendenza delle istituzioni ad affrontare la questione handicap in maniera assistenziale anziché culturale.
Che valore dai alla politica oggi e cosa pensi vedendo i giovani e le forze di polizia tornare a scontrarsi in maniera drammatica ad ogni grande vertice politico internazionale?
La politica che ci trasmette la televisione non mi interessa più; vedo una grande maratona per omologarsi a questo modello di sviluppo, a questo standard di benessere, a questi livelli di consumi. Se, come io credo, un altro mondo è possibile e necessario, bisogna prima di tutto trovarlo dentro noi stessi, essere concretamente diversi, culturalmente e praticamente.
Sicuramente sto dalla parte dei giovani - e dei vecchi - che si scontrano con le "forze dell'ordine" durante i vari vertici internazionali, ma mi domando: perché dobbiamo prendere le legnate? Perché dobbiamo perdere denti, occhi, braccia, gambe o morire per far sapere che non siamo d'accordo con la globalizzazione, con lo strangolamento economico dei Paesi poveri, con la devastazione delle risorse energetiche, con l'avvelenamento del cielo ecc. ecc.? Forse dovremmo cominciare a parlare dei contenuti dell'"altro mondo possibile e necessario"!
La tua passione sportiva era presente anche prima dell'incidente o è stato il mezzo che hai trovato per affermare la tua "normalità"?
Se per passione sportiva si intende la voglia di giocare, questa c'era anche prima. La passione per gareggiare in una disciplina sportiva, invece, è venuta dopo l'incidente. Ed è stata un mezzo, forse il più divertente, per affermare, semmai, la mia "diversità".
Hai partecipato come schermidore a quattro edizioni delle Paraolimpiadi, tutte in età matura. Questa longevità si riscontra spesso negli atleti disabili. Siamo al paradosso che nello sport la disabilità "aiuta"?
Subire un trauma spesso significa "rinascere", cioè cominciare a ricostruirsi, ricominciare (a volte, cominciare!) a usare e a sentire il proprio corpo. E praticare un'attività sportiva diventa una possibilità che fino ad allora non avevi considerato. In questo senso si può dire che la disabilità "aiuti". C'è poi da ricordare che spesso le persone si "traumatizzano" da grandicelli o addirittura da adulti. Infatti, bisognerebbe affrontare la questione (e fra le tante, anche quella della possibilità di praticare un'attività sportiva) dei bambini, o adolescenti, che hanno subito un trauma o che sono disabili dalla nascita.
Hai vinto medaglie alle Paraolimpiadi di Seul, Barcellona, Atlanta e Sydney. Quali le differenze tra queste diverse esperienze e quale il ricordo più bello?
Mi sono trovato "sparato" alle Paraolimpiadi di Seul fresco di scherma grazie alla pazienza e all'intelligenza del maestro Di Ciolo che mi ha "preparato" e alla fiducia che mi ha accordato il maestro Loi; sono entrato nel sogno all'inizio delle gare e mi sono svegliato alla fine. Nel frattempo ho (abbiamo) conquistato medaglie d'argento e di bronzo nell'individuale e a squadre; la fortuna dei principianti! Tornato a casa mi sono ripromesso di "stare sveglio" a Barcellona e ho cominciato a prepararmi da subito. Risultato: pur sempre discreto, ma una medaglia in meno. Le Paraolimpiadi delle occasioni perdute... A quel punto ero abbastanza esperto di gare, nelle quali la fortuna e la sfortuna hanno sì un ruolo, ma quello che conta è la preparazione, la sicurezza, la tranquillità, la determinazione. Quattro anni di intensa preparazione tecnica e psicofisica e ad Atlanta ci sono arrivato davvero vicino, all'oro, sia nell'individuale che a squadre; ma si vede che quest'oro... non s'aveva da prendere!
Sydney. Sapevo che sarebbe stata l'ultima gara della mia carriera, che sarebbe stato difficilissimo arrivare in zona medaglie, sapevo anche di poter contare sulla mia esperienza e su una preparazione accurata. Ero perciò tranquillo e determinato, consapevole delle difficoltà, ma anche delle possibilità di successo. Poi è accaduto l'imprevedibile: un infortunio (capitano anche ai superman disabili!) durante un allenamento a Sydney, pochi giorni prima delle gare e quattro anni di lavoro, di speranze, di entusiasmo buttati al vento. Ho combattuto comunque la mia ultima "battaglia" (la prima come riserva nella squadra di spada), incoraggiando e spronando i miei compagni di squadra fino ad arrivare a conquistare il bronzo. Mi fa piacere pensare, consentitemelo, che i miei incitamenti appassionati abbiano contribuito ad arrivare sul podio.
Nella tua carriera hai vinto anche un Campionato del Mondo. Ma una medaglia olimpica prevale su ogni altra conquista?
Ogni medaglia conquistata merita uguale rispetto perché è frutto di fatica e di impegno; poi è chiaro che siccome le Olimpiadi sono l'evento sportivo più importante, gli allori conquistati in quelle occasioni assumono un significato speciale.
Anche chi è affetto da distrofia, da circa dieci anni può praticare in Italia una disciplina studiata appositamente per i suoi gravi problemi motori, il wheelchair-hockey. Secondo alcuni una malattia che coinvolge sensibilmente gli apparati cardiaco e respiratorio non può consentire effettivo agonismo. Che ne pensi?
Non saprei. Fino ad ora tutte le discipline sportive praticate escludevano l'uso di mezzi elettrici. Lo spirito agonistico esalta il gesto compiuto dall'atleta; nell'epoca dell'elettronica, un gesto atletico può essere anche un distrofico che gioca a hockey guidando una carrozzina elettrica. Perché no?
Pur gratificando tantissimo chi lo pratica, l'hockey in carrozzina fatica però a trovare nuove leve tra i giovani distrofici. Puoi darci qualche consiglio?
Il problema è domandarsi perché non troviamo giovani disabili in giro, per le strade, in campagna, al mare, tra il pubblico in TV, alle manifestazioni, alle gite scolastiche... Il problema è questo, non se io ho dei consigli, che comunque non ho. I disabili che incontro in giro sono pochissimi. Se non si esce per la strada, non si fa sport, non si fa cultura, continuiamo a fare "un mondo a parte".
Proprio quest'anno si stanno finalmente gettando le basi per una Federazione Internazionale di wheelchair-hockey, sport praticata in diciotto Nazioni e tre continenti. Sarà un sogno realizzabile arrivare un giorno alle Paraolimpiadi?
Io ve lo auguro.
E' davvero impossibile sperare di vedere in TV lo sport fatto dai disabili ad orari meno "inumani"?
La tv trasmette le cose interessanti proprio ad orari "inumani", per cui dovremmo sentirci gratificati di non andare in onda in prima serata! Scherzo, ovviamente (ma solo per quanto riguarda il "sentirci gratificati..."). Dipende da molte cose, ma soprattutto dal livello culturale dei "padroni" delle televisioni e da quanto noi riusciremo ad essere visibili.
Articolo tratto da DM 145 - aprile 2002. DM è un trimestrale edito dalla Direzione Nazionale dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. La Redazione di DM ha sede in: Via P.P. Vergerio, 19 - 35126 Padova, Tel. (049) 8025248 - Fax (049) 8025249 e-mail: redazionedm@eosservice.com
Riccardo Venturi - 2/12/2008 - 00:46
VIVA SORIANO CECCANTI!
di Adriano Sofri
da Panorama, 2 novembre 2000
Quel ragazzo che restò paralizzato alle gambe nel 1968 davanti alla Bussola di Viareggio è diventato un campione sportivo. E a Sydney è salito per la quarta volta sul podio olimpico.
La premessa di questa puntata è mia, personale. Lo svolgimento può interessare altri, credo. La premessa, dunque. Nell'ultima notte dell'anno 1968 io e i miei compagni di allora partecipammo a una manifestazione di protesta davanti alla Bussola, il famoso locale viareggino. Uomini delle forze dell'ordine impiegarono armi da fuoco e un ragazzo pisano appena sedicenne fu ferito gravemente. Si salvò, restando paralizzato agli arti inferiori. Si chiama Soriano Ceccanti. Lo conobbi solo quella notte, nell'ospedale pisano in cui era stato ricoverato, e conobbi la sua bella famiglia. Ero stato io a indire quella manifestazione. Questo spiega il peso che ebbe su me quella vicenda, e l'importanza che avrebbe avuto da allora la mia amicizia per Soriano, e la sua per me. Lui fu valoroso. Dovette curarsi a lungo, e dolorosamente. Quando arrivò il tempo della riabilitazione, andò in Cecoslovacchia, si innamorò di quella che era la sua fisioterapista e la sposò, e con lei ebbe una bambina che ora è grande. Tornato a Pisa, lavorò in una scuola, si occupò di questioni sociali, in particolare dei problemi dei giovani e dei disabili, venendo eletto più volte nel consiglio comunale. E coltivò il proprio talento sportivo, diventando uno schermidore. Così bravo che fu chiamato a partecipare alla paraolimpiade di Seul nel 1988 e poi alle tre successive: Barcellona 1992, Atlanta 1996, Sydney 2000.
Come sapete, spero che lo sappiate, e se no non è colpa vostra, le paraolimpiadi sono olimpiadi riservate a disabili, che si svolgono subito dopo le olimpiadi (riservate ai cosiddetti normodotati) negli stessi campi, stadi, palestre e villaggi. A Sydney sono cominciate a metà ottobre. Soriano è dunque un veterano. È vero che, soprattutto tra i paraplegici e per sport come il tiro con l'arco o il nuoto, questa longevità sportiva non è così; eccezionale. È molto più rara fra i normodotati. Sono stati longevi Mennea e il discobolo Consolini, o, nella scherma, il grande Mangiarotti. Ancora più raro è conquistare un podio in più olimpiadi. Soriano Ceccanti ci era sempre arrivato: argenti e bronzi individuali e a squadre a Seul, a Barcellona e ad Atlanta. In due delle tre specialità della scherma, la spada e il fioretto (la terza è la sciabola). Nel frattempo vinse anche un campionato mondiale, nel 1990. Era così in forma che (per gioco, tiene a dire, perché non si pensi che si fosse montato la testa) sfidò il campione mondiale e olimpionico normodotato, il famoso Mauro Numa, il quale fu così simpatico da accettare la sfida. Gareggiarono alla pari nell'unico modo possibile. Soriano era nella sua carrozzella. Numa si mise a sua volta a sedere. Vinse Soriano. Bisogna ammettere che partiva avvantaggiato.
In questi anni Soriano era venuto a visitare il carcere, con qualche complicazione, perché anche le galere sono piene di barriere architettoniche, oltre che di barriere e basta. Poco fa, alla vigilia dell'imbarco per l'Australia, l'ho interpellato e gli ho fatto gli auguri. "Ora ho più esperienza" diceva "ma meno aggressività. Sono riuscito lo stesso a qualificarmi, ed è la quarta volta, ma non so se ce la farò a salire sul podio. Ci sono questi giovani nuovi che sono indemoniati. Comunque vada, questa è la mia ultima olimpiade". L'aveva detto anche l'altra volta. Poi è arrivato il giorno della partenza. Da Pisa partivano in quattro atleti. Avevano prenotato i biglietti da tanto. Ma non è bastato: solo all'aeroporto la compagnia aerea si è accorta che poteva imbarcare solo tre carrozzelle. Allora due sono decollati; due, Soriano e un altro, per farsi compagnia hanno preso un furgone. A Roma si sono ricongiunti. Chissà quanti altri contrattempi hanno trovato strada facendo. Chissà quanti ne trovano ogni giorno. Che ne sappiamo noi. È arrivato un biglietto di Soriano: "Ci siamo... Mi sento un po' pesante, troppo bagaglio. Dovrei scaricarlo e portare solo il necessario, anzi anche meno. Oppure spartirlo con qualcuno, il bagaglio: ma non si può".
In tutto questo tempo ho fatto i salti mortali per seguire le paraolimpiadi. Bisognava aspettare il breve sommario della Rai dopo la mezzanotte. Oppure i programmi, molto più attenti e circostanziati, di Sat 2000. Sui grandi giornali niente, o quasi. Meglio sui giornali locali, come il Tirreno, che ha dato la prima pagina a Lorenzo Ricci, di Castelnuovo Magra, il quale ha vinto l'oro nei cento metri piani riservati ai non vedenti. Ricci era stato un promettente calciatore, poi in un incidente aveva perso la vista. Dopo qualche anno era tornato ai campi: corre ben sotto i 12 secondi. Così, inseguendo Soriano, mi sono appassionato agli altri. Ho imparato molte cose. Sapete che un atleta privo di una gamba (si dice così, o si dice dotato di una gamba?) saltò in alto 2 metri e 6 cm? Le italiane e gli italiani che vincevano a Sydney erano una quantità: nel ciclismo, nel tiro con l'arco, nell'atletica (con un memorabile arrivo in volata negli 800 metri) nel nuoto e, appunto, nella scherma. Nel programma di Sat 2000 grandi atleti delle paraolimpiadi scorse spiegavano con pazienza e ironia il valore dei risultati di Sydney, gli strafalcioni del linguaggio dei "normali", o i loro anormali silenzi. Osanna Brugnoli è una di quei campioni, una grande schermitrice, è bella, insegnò ad Asia Argento come si sta in carrozzella per il film di Verdone, "Perdiamoci di vista". Non so perché la Rai non abbia dedicato più attenzione, sportiva, non "umana", alle paraolimpiadi. Eppure, sto scrivendo in una domenica giubilare dello sport in cui all'Olimpico alcune gare di disabili hanno entusiasmato il pubblico. Non dovrebbe succedere solo a ogni presenza di Papa.
Insomma, sabato mattina il Tirreno aveva un articolo sulla giornata di venerdì a Sydney. L'Italia ha guadagnato il bronzo nel fioretto a squadre, coi fiorettisti Gerardo Mari, Andrea Pellegrini, Alberto Serafini e Soriano Ceccanti. Che ha dunque conquistato il podio olimpico per la quarta volta. L'altro pisano, col quale per farsi compagnia Soriano aveva raggiunto Roma in furgone, Salvatore Sanzo, ha vinto il bronzo nel fioretto individuale. Non c'è male per un furgone solo.
di Adriano Sofri
da Panorama, 2 novembre 2000
Quel ragazzo che restò paralizzato alle gambe nel 1968 davanti alla Bussola di Viareggio è diventato un campione sportivo. E a Sydney è salito per la quarta volta sul podio olimpico.
La premessa di questa puntata è mia, personale. Lo svolgimento può interessare altri, credo. La premessa, dunque. Nell'ultima notte dell'anno 1968 io e i miei compagni di allora partecipammo a una manifestazione di protesta davanti alla Bussola, il famoso locale viareggino. Uomini delle forze dell'ordine impiegarono armi da fuoco e un ragazzo pisano appena sedicenne fu ferito gravemente. Si salvò, restando paralizzato agli arti inferiori. Si chiama Soriano Ceccanti. Lo conobbi solo quella notte, nell'ospedale pisano in cui era stato ricoverato, e conobbi la sua bella famiglia. Ero stato io a indire quella manifestazione. Questo spiega il peso che ebbe su me quella vicenda, e l'importanza che avrebbe avuto da allora la mia amicizia per Soriano, e la sua per me. Lui fu valoroso. Dovette curarsi a lungo, e dolorosamente. Quando arrivò il tempo della riabilitazione, andò in Cecoslovacchia, si innamorò di quella che era la sua fisioterapista e la sposò, e con lei ebbe una bambina che ora è grande. Tornato a Pisa, lavorò in una scuola, si occupò di questioni sociali, in particolare dei problemi dei giovani e dei disabili, venendo eletto più volte nel consiglio comunale. E coltivò il proprio talento sportivo, diventando uno schermidore. Così bravo che fu chiamato a partecipare alla paraolimpiade di Seul nel 1988 e poi alle tre successive: Barcellona 1992, Atlanta 1996, Sydney 2000.
Come sapete, spero che lo sappiate, e se no non è colpa vostra, le paraolimpiadi sono olimpiadi riservate a disabili, che si svolgono subito dopo le olimpiadi (riservate ai cosiddetti normodotati) negli stessi campi, stadi, palestre e villaggi. A Sydney sono cominciate a metà ottobre. Soriano è dunque un veterano. È vero che, soprattutto tra i paraplegici e per sport come il tiro con l'arco o il nuoto, questa longevità sportiva non è così; eccezionale. È molto più rara fra i normodotati. Sono stati longevi Mennea e il discobolo Consolini, o, nella scherma, il grande Mangiarotti. Ancora più raro è conquistare un podio in più olimpiadi. Soriano Ceccanti ci era sempre arrivato: argenti e bronzi individuali e a squadre a Seul, a Barcellona e ad Atlanta. In due delle tre specialità della scherma, la spada e il fioretto (la terza è la sciabola). Nel frattempo vinse anche un campionato mondiale, nel 1990. Era così in forma che (per gioco, tiene a dire, perché non si pensi che si fosse montato la testa) sfidò il campione mondiale e olimpionico normodotato, il famoso Mauro Numa, il quale fu così simpatico da accettare la sfida. Gareggiarono alla pari nell'unico modo possibile. Soriano era nella sua carrozzella. Numa si mise a sua volta a sedere. Vinse Soriano. Bisogna ammettere che partiva avvantaggiato.
In questi anni Soriano era venuto a visitare il carcere, con qualche complicazione, perché anche le galere sono piene di barriere architettoniche, oltre che di barriere e basta. Poco fa, alla vigilia dell'imbarco per l'Australia, l'ho interpellato e gli ho fatto gli auguri. "Ora ho più esperienza" diceva "ma meno aggressività. Sono riuscito lo stesso a qualificarmi, ed è la quarta volta, ma non so se ce la farò a salire sul podio. Ci sono questi giovani nuovi che sono indemoniati. Comunque vada, questa è la mia ultima olimpiade". L'aveva detto anche l'altra volta. Poi è arrivato il giorno della partenza. Da Pisa partivano in quattro atleti. Avevano prenotato i biglietti da tanto. Ma non è bastato: solo all'aeroporto la compagnia aerea si è accorta che poteva imbarcare solo tre carrozzelle. Allora due sono decollati; due, Soriano e un altro, per farsi compagnia hanno preso un furgone. A Roma si sono ricongiunti. Chissà quanti altri contrattempi hanno trovato strada facendo. Chissà quanti ne trovano ogni giorno. Che ne sappiamo noi. È arrivato un biglietto di Soriano: "Ci siamo... Mi sento un po' pesante, troppo bagaglio. Dovrei scaricarlo e portare solo il necessario, anzi anche meno. Oppure spartirlo con qualcuno, il bagaglio: ma non si può".
In tutto questo tempo ho fatto i salti mortali per seguire le paraolimpiadi. Bisognava aspettare il breve sommario della Rai dopo la mezzanotte. Oppure i programmi, molto più attenti e circostanziati, di Sat 2000. Sui grandi giornali niente, o quasi. Meglio sui giornali locali, come il Tirreno, che ha dato la prima pagina a Lorenzo Ricci, di Castelnuovo Magra, il quale ha vinto l'oro nei cento metri piani riservati ai non vedenti. Ricci era stato un promettente calciatore, poi in un incidente aveva perso la vista. Dopo qualche anno era tornato ai campi: corre ben sotto i 12 secondi. Così, inseguendo Soriano, mi sono appassionato agli altri. Ho imparato molte cose. Sapete che un atleta privo di una gamba (si dice così, o si dice dotato di una gamba?) saltò in alto 2 metri e 6 cm? Le italiane e gli italiani che vincevano a Sydney erano una quantità: nel ciclismo, nel tiro con l'arco, nell'atletica (con un memorabile arrivo in volata negli 800 metri) nel nuoto e, appunto, nella scherma. Nel programma di Sat 2000 grandi atleti delle paraolimpiadi scorse spiegavano con pazienza e ironia il valore dei risultati di Sydney, gli strafalcioni del linguaggio dei "normali", o i loro anormali silenzi. Osanna Brugnoli è una di quei campioni, una grande schermitrice, è bella, insegnò ad Asia Argento come si sta in carrozzella per il film di Verdone, "Perdiamoci di vista". Non so perché la Rai non abbia dedicato più attenzione, sportiva, non "umana", alle paraolimpiadi. Eppure, sto scrivendo in una domenica giubilare dello sport in cui all'Olimpico alcune gare di disabili hanno entusiasmato il pubblico. Non dovrebbe succedere solo a ogni presenza di Papa.
Insomma, sabato mattina il Tirreno aveva un articolo sulla giornata di venerdì a Sydney. L'Italia ha guadagnato il bronzo nel fioretto a squadre, coi fiorettisti Gerardo Mari, Andrea Pellegrini, Alberto Serafini e Soriano Ceccanti. Che ha dunque conquistato il podio olimpico per la quarta volta. L'altro pisano, col quale per farsi compagnia Soriano aveva raggiunto Roma in furgone, Salvatore Sanzo, ha vinto il bronzo nel fioretto individuale. Non c'è male per un furgone solo.
Riccardo Venturi - 2/12/2008 - 01:02
Lettre ouverte de Marco Valdo M.I. à Soriano Ceccanti
Lettera aperta di Marco Valdo M.I. a Soriano Ceccanti
Caro Soriano,
Ti scriverò in francese perchè è la mia lingua e che diciamo meglio le cose cosi nella lingua materna. Ti prego scusarmi e penso che se bisogno tradurre si troverà ben qualcuno per aiutarti.
Donc, je lis avec intérêt ton histoire (comme tu le sais ou le sauras, j'ai traduit la canzone de Pino Masi « La Ballata della Bussola » en français) et les commentaires qu'on a pu en faire. Je voudrais juste faire avancer une idée spécifique que j'ai développée dans l'organisation syndicale à laquelle je suis affilié.
La défense des « disabili », des handicapés ne peut être le fait des seuls handicapés, ni même de leurs proches, ni mêmes d'organisations particulières; elle doit être l'affaire de tous. Le point de vue que je développe est que le handicapé quel que soit son handicap est un travailleur parmi les autres, simplement c'est un travailleur empêché. Plus le handicap est lourd, c'est évident, plus le travailleur est empêché – parfois totalement empêché. Le handicapé n'est pas un travailleur effectif justement car il en est empêché. Ceci bien sûr dans notre bonne société libérale où la règle est le Travail Obligatoire.
Mais même dans ce cadre de Travail Obligatoire, les organisations de défense et d'aide des travailleurs doivent à l'évidence prendre en charge la défense de tous les travailleurs sans distinction d'origine, de couleur, de sexe... et d'état mental ou physiologique. La logique de solidarité qui sous-tend ou en tous cas, doit sous-tendre l'action syndicale impose que la défense des plus faibles soit prise en compte et menée par tous. Ainsi en va-t-il de la défense des travailleurs empêchés qu'ils soient chômeurs (disoccupati) partiels ou de longue durée, malades, invalides, pensionnés, réfugiés et bien entendu, les « disabili », les handicapés et parmi eux, plus encore, les handicapés mentaux qui n'ont aucun moyen de défense collectif et puissant et qui sont totalement incapables de les imaginer et de les construire.
L'idée est donc toute simple: l'organisation syndicale doit prendre en compte cette question et d'une part, intégrer les handicapés dans l'organisation – les affilier en ce qu'ils sont par nature des travailleurs empêchés; et d'autre part, peser de tout son poids pour assurer leur défense. Ceci est d'autant plus vrai dans les pays où la syndicalisation est forte.
Lettera aperta di Marco Valdo M.I. a Soriano Ceccanti
Caro Soriano,
Ti scriverò in francese perchè è la mia lingua e che diciamo meglio le cose cosi nella lingua materna. Ti prego scusarmi e penso che se bisogno tradurre si troverà ben qualcuno per aiutarti.
Donc, je lis avec intérêt ton histoire (comme tu le sais ou le sauras, j'ai traduit la canzone de Pino Masi « La Ballata della Bussola » en français) et les commentaires qu'on a pu en faire. Je voudrais juste faire avancer une idée spécifique que j'ai développée dans l'organisation syndicale à laquelle je suis affilié.
La défense des « disabili », des handicapés ne peut être le fait des seuls handicapés, ni même de leurs proches, ni mêmes d'organisations particulières; elle doit être l'affaire de tous. Le point de vue que je développe est que le handicapé quel que soit son handicap est un travailleur parmi les autres, simplement c'est un travailleur empêché. Plus le handicap est lourd, c'est évident, plus le travailleur est empêché – parfois totalement empêché. Le handicapé n'est pas un travailleur effectif justement car il en est empêché. Ceci bien sûr dans notre bonne société libérale où la règle est le Travail Obligatoire.
Mais même dans ce cadre de Travail Obligatoire, les organisations de défense et d'aide des travailleurs doivent à l'évidence prendre en charge la défense de tous les travailleurs sans distinction d'origine, de couleur, de sexe... et d'état mental ou physiologique. La logique de solidarité qui sous-tend ou en tous cas, doit sous-tendre l'action syndicale impose que la défense des plus faibles soit prise en compte et menée par tous. Ainsi en va-t-il de la défense des travailleurs empêchés qu'ils soient chômeurs (disoccupati) partiels ou de longue durée, malades, invalides, pensionnés, réfugiés et bien entendu, les « disabili », les handicapés et parmi eux, plus encore, les handicapés mentaux qui n'ont aucun moyen de défense collectif et puissant et qui sont totalement incapables de les imaginer et de les construire.
L'idée est donc toute simple: l'organisation syndicale doit prendre en compte cette question et d'une part, intégrer les handicapés dans l'organisation – les affilier en ce qu'ils sont par nature des travailleurs empêchés; et d'autre part, peser de tout son poids pour assurer leur défense. Ceci est d'autant plus vrai dans les pays où la syndicalisation est forte.
Dunque, leggo con interesse la tua storia (come sai o saprai, ho tradotto la canzone di Pino Masi “La ballata della Bussola” in francese) e i possibili commenti che ne sono stati fatti. Vorrei soltanto lanciare un'idea specifica che ho sviluppato nell'organizzazione sindacale della quale faccio parte.
La difesa dei disabili non può essere demandata ai soli disabili, e neppure alle persone a loro vicine o ad organizzazioni particolari: deve essere una questione di cui tutti siano investiti.
L'idea che ho sviluppato è che il disabile, quale che sia la sua disabilità, è un lavoratore come gli altri; semplicemente, è un lavoratore con una disabilità. Più essa è grave -è ovvio-, più il lavoratore è “impedito”, e talvolta lo è totalmente. Il disabile non è un lavoratore efficiente proprio perché è “impedito”: questo, naturalmente, nella nostra bella società liberale dove la regola è il Lavoro Obbligatorio.
Ma anche in quest' ambito di Lavoro Obbligatorio, le organizzazioni di difesa e di aiuto ai lavoratori dovrebbero farsi carico della difesa di tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione di origine, di colore, di sesso...e di condizioni mentali o fisiche. La logica solidaristica che deve essere sottesa all'azione sindacale impone che tutti si facciano carico della difesa dei più deboli, e che agiscano in tsale senso. Così anche per la difesa dei lavoratori disabili, che siano disoccupati, precari o stabili, malati, invalidi, pensionati, immigrati e, beninteso, disabili. Ancor di più per i disabili mentali, che non hanno alcun mezzo di difesa collettiva e potente e che sono totalmente incapaci di idearlo e crearlo.
L'idea è quindi semplicissima: l'organizzazione sindacale deve farsi carico di tale questione e, da un lato, integrare i disabili nell'organizzazione, renderli pienamente partecipi in quanto, per natura, sono dei lavoratori bisognosi di difesa; d'altro lato, far pesare tutta la propria forza per garantire la loro difesa. Questo è ancor più vero nei paesi di forte sindacalizzazione.
La difesa dei disabili non può essere demandata ai soli disabili, e neppure alle persone a loro vicine o ad organizzazioni particolari: deve essere una questione di cui tutti siano investiti.
L'idea che ho sviluppato è che il disabile, quale che sia la sua disabilità, è un lavoratore come gli altri; semplicemente, è un lavoratore con una disabilità. Più essa è grave -è ovvio-, più il lavoratore è “impedito”, e talvolta lo è totalmente. Il disabile non è un lavoratore efficiente proprio perché è “impedito”: questo, naturalmente, nella nostra bella società liberale dove la regola è il Lavoro Obbligatorio.
Ma anche in quest' ambito di Lavoro Obbligatorio, le organizzazioni di difesa e di aiuto ai lavoratori dovrebbero farsi carico della difesa di tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione di origine, di colore, di sesso...e di condizioni mentali o fisiche. La logica solidaristica che deve essere sottesa all'azione sindacale impone che tutti si facciano carico della difesa dei più deboli, e che agiscano in tsale senso. Così anche per la difesa dei lavoratori disabili, che siano disoccupati, precari o stabili, malati, invalidi, pensionati, immigrati e, beninteso, disabili. Ancor di più per i disabili mentali, che non hanno alcun mezzo di difesa collettiva e potente e che sono totalmente incapaci di idearlo e crearlo.
L'idea è quindi semplicissima: l'organizzazione sindacale deve farsi carico di tale questione e, da un lato, integrare i disabili nell'organizzazione, renderli pienamente partecipi in quanto, per natura, sono dei lavoratori bisognosi di difesa; d'altro lato, far pesare tutta la propria forza per garantire la loro difesa. Questo è ancor più vero nei paesi di forte sindacalizzazione.
CCG/AWS Staff - 5/12/2008 - 01:53
Lingua: Portoghese
Traduzione portoghese di Jorge Stolfi, professore d’informatica all’Università di Campinas, São Paulo, Brasile.
“Relato de evento ocorrido em 31 de dezembro de 1968, perto do ponto badalado "A Bússola" em Focette, na região de Versilia, onde alguns colegiais e universitários atiraram ovos nos ricos burgueses que vinham festejar o ano novo. O estudante Soriano Ceccanti, de 16 anos, foi ferido por tiro dos policiais militares e ficou paraplegico.”
“Relato de evento ocorrido em 31 de dezembro de 1968, perto do ponto badalado "A Bússola" em Focette, na região de Versilia, onde alguns colegiais e universitários atiraram ovos nos ricos burgueses que vinham festejar o ano novo. O estudante Soriano Ceccanti, de 16 anos, foi ferido por tiro dos policiais militares e ficou paraplegico.”
LA BALLATA DELLA BUSSOLA
Naquela noite em frente à Bussola
no frio de São Silvestre,
aquela noite de Ano Novo
não a esqueceremos nunca.
Chegaram os Patrões
nos carros reluzentes
e olhavam com desprezo
os operários e os estudantes.
As Patroas com vestido longo
com os ombros empeliçados;
os Poderosos com o lacinho,
com as caras engomadas.
Eram os mesmos Patrões
nos exploram o ano todo,
os que nos fazem estrebuchar
nas fábricas aqui em volta.
Vieram para brindar,
depois de um ano de exploração,
a brindar pelo ano novo,
que lhes seja ainda melhor.
Não resistem aqueles companheiros
que os reconheceram,
e chegam os tomates
e chegam as cuspidas.
Para defender os exploradores
uma corneta estrilou
e eis que logo os policiais
acorreram e espancaram.
Como são lindos os policiais
quando espancam com as algemas
os companheiros colegiais
dos catorze aos dezessete anos.
Não param de espancar
se o coronel não levantar o dedo;
são a imagem mais fiel
da nossa ordem constituída.
Logo vemos os policiais
que se estão organizando
para começar a caçada humana
com carros-patrulha e blindado.
Não podemos ir embora
nem abandonar os dispersos;
estamos já impedidos
de chegar aos nossos carros.
Decidimos resistir,
e se formam as baricadas;
são para nos defender melhor
das ondas sucessivas.
Da primeira barricada
à zona dos policiais
são cerca de 40 metros,
todos esvaziados e todos pretos.
Quando começam a avançar
um deles atira pro alto;
os companheiros atiram pedras
para tentar pará-los.
Eles param por um momento,
depois continuam a avançar;
não é mais um apenas,
são muitos agora a atirar.
Da primeira barricada
enxergamos bem os revólveres;
mas na segunda os companheiros pensam
que sejam estalos de castanholas.
Reunimo-nos todos juntos
na segunda barricada;
e os esbirros voltam atrás
visto que a parada estava feia.
Ainda uma hora de avança-recua,
nós com as pedras, eles atirando,
e todos pensamos que atirassem pro alto),
inclusive de dentro do carro-blindado.
Mas de repende vejo cair
um companheiro à minha direita,
de joelhos, com um furo
e sangue nas calças.
Viro para trás e grito "Atiram pra valer!"
e corro para trás alguns passos;
dois companheiros carregam nos ombros
o ferido na perna.
Correndo rápido pela rua,
os policiais nas costas,
vejo Ceccanti atingido para matar,
transportado pela calçada.
Apesar dos esforços para ajudá-lo,
é difícil encontrar socorro
enquanto os tiras te perseguem,
e não de dão um pouco de trégua.
Encontrada uma perua
e levado Ceccanti embora,
nos resta mais o que fazer
senão fugirmos todos.
Talvez na Bússola, nesta noite
os patrões ficaram ofendidos;
eles que nos ofendem e nos matam
por todos os outros doze meses.
Seria melhor ofendê-los mais vezes,
e não deixá-los nunca tomar fôlego,
toda vez que Vossas Senhorias
pintam de ficar ao nosso alcance.
E neste ponto acho oportuno
fazer algumas considerações
nas várias caras feias
que nos mostra hoje o Patrão.
Ele tem o dinheiro para nos comprar
o trabalho para explorar,
seus homens armados para nos matar,
a TV para enganar.
A nós só resta nos revoltarmos,
e não aceitar o jogo
dessa liberdade deles,
que para nós vale bem pouco.
A nós só resta nos revoltarmos,
e não aceitar o jogo
dessa liberdade deles,
que para nós vale bem pouco.
Naquela noite em frente à Bussola
no frio de São Silvestre,
aquela noite de Ano Novo
não a esqueceremos nunca.
Chegaram os Patrões
nos carros reluzentes
e olhavam com desprezo
os operários e os estudantes.
As Patroas com vestido longo
com os ombros empeliçados;
os Poderosos com o lacinho,
com as caras engomadas.
Eram os mesmos Patrões
nos exploram o ano todo,
os que nos fazem estrebuchar
nas fábricas aqui em volta.
Vieram para brindar,
depois de um ano de exploração,
a brindar pelo ano novo,
que lhes seja ainda melhor.
Não resistem aqueles companheiros
que os reconheceram,
e chegam os tomates
e chegam as cuspidas.
Para defender os exploradores
uma corneta estrilou
e eis que logo os policiais
acorreram e espancaram.
Como são lindos os policiais
quando espancam com as algemas
os companheiros colegiais
dos catorze aos dezessete anos.
Não param de espancar
se o coronel não levantar o dedo;
são a imagem mais fiel
da nossa ordem constituída.
Logo vemos os policiais
que se estão organizando
para começar a caçada humana
com carros-patrulha e blindado.
Não podemos ir embora
nem abandonar os dispersos;
estamos já impedidos
de chegar aos nossos carros.
Decidimos resistir,
e se formam as baricadas;
são para nos defender melhor
das ondas sucessivas.
Da primeira barricada
à zona dos policiais
são cerca de 40 metros,
todos esvaziados e todos pretos.
Quando começam a avançar
um deles atira pro alto;
os companheiros atiram pedras
para tentar pará-los.
Eles param por um momento,
depois continuam a avançar;
não é mais um apenas,
são muitos agora a atirar.
Da primeira barricada
enxergamos bem os revólveres;
mas na segunda os companheiros pensam
que sejam estalos de castanholas.
Reunimo-nos todos juntos
na segunda barricada;
e os esbirros voltam atrás
visto que a parada estava feia.
Ainda uma hora de avança-recua,
nós com as pedras, eles atirando,
e todos pensamos que atirassem pro alto),
inclusive de dentro do carro-blindado.
Mas de repende vejo cair
um companheiro à minha direita,
de joelhos, com um furo
e sangue nas calças.
Viro para trás e grito "Atiram pra valer!"
e corro para trás alguns passos;
dois companheiros carregam nos ombros
o ferido na perna.
Correndo rápido pela rua,
os policiais nas costas,
vejo Ceccanti atingido para matar,
transportado pela calçada.
Apesar dos esforços para ajudá-lo,
é difícil encontrar socorro
enquanto os tiras te perseguem,
e não de dão um pouco de trégua.
Encontrada uma perua
e levado Ceccanti embora,
nos resta mais o que fazer
senão fugirmos todos.
Talvez na Bússola, nesta noite
os patrões ficaram ofendidos;
eles que nos ofendem e nos matam
por todos os outros doze meses.
Seria melhor ofendê-los mais vezes,
e não deixá-los nunca tomar fôlego,
toda vez que Vossas Senhorias
pintam de ficar ao nosso alcance.
E neste ponto acho oportuno
fazer algumas considerações
nas várias caras feias
que nos mostra hoje o Patrão.
Ele tem o dinheiro para nos comprar
o trabalho para explorar,
seus homens armados para nos matar,
a TV para enganar.
A nós só resta nos revoltarmos,
e não aceitar o jogo
dessa liberdade deles,
que para nós vale bem pouco.
A nós só resta nos revoltarmos,
e não aceitar o jogo
dessa liberdade deles,
que para nós vale bem pouco.
inviata da Bernart Bartleby - 5/10/2015 - 15:09
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Parole scritte in collettivo dal Gruppo del canzoniere Pisano
Interpretazione, e probabilmente musica, di Pino Masi
Album: Quella notte davanti alla Bussola, DS18, Dischi del Sole
Gli studenti erano armati di uova; i carabinieri, di armi. Fu la prima volta in assoluto in Italia che i carabinieri spararono su una manifestazione studentesca. Lo studente Soriano Ceccanti, 16 anni, di Pisa, rimase paralizzato per tutta la vita. È diventato, oggi, un valente schermidore.
Una canzone che, nella sua parte finale, sembra scritta appena ieri. Nota da sempre come "La ballata della Bussola", fu scritta "a caldo" dal Canzoniere Pisano (e interpretata da Pino Masi) all'indomani degli avvenimenti; il suo titolo proprio, così come dell'album Dischi del Sole che la contiene, è "Quella notte davanti alla Bussola". Rimane tuttora il brano più noto del Canzoniere Pisano.