Quello strazetto da crave
fra stecchi nûi e spinoni
che verso a çimma o s'asbria,
a stradda a l'è ch'àn battûo
in quella tetra mattin.
Cianzéivan finn-ai rissêu;
cianzéiva l'ægua in to scûo
a-o fondo ai canaloin…
Me pâ sentî i so passi
luveghi comme un tamburo
lenti, che scûggian indietro
cö mutilòu in sce-e spalle;
ï veddo cazze, stä sciù…
perché stan sciù se fra poco
cazzian poi tutti lasciù!…
Han ciammòu Dio in aggiûtto
con ogni colpo do chêu
pe lô, pe-a so moæ, pe-i figgêu,
ma o fî o se fæto ciù cûrto
e a raffega a-a fin a l'à streppoù.
Perché in te grandi ingiustizie
Dio o l'è sempre lontan?
E çerco i gïo ai mæ passi
se un segno o fosse restòu;
no gh'è che i pochi fioretti
che in sce-o sentë n'han lasciòu,
poi in strassetto de fêuggia
secca ch'a sbatte a unna ramma…
Dunque o dolore o se perde
comme da sabbia in to vento?…
Ma in ta gran paxe di monti
se sente l'eco de l'ægua
lontann-a ch'ai ciamma, ch'ai ciamma…
fra stecchi nûi e spinoni
che verso a çimma o s'asbria,
a stradda a l'è ch'àn battûo
in quella tetra mattin.
Cianzéivan finn-ai rissêu;
cianzéiva l'ægua in to scûo
a-o fondo ai canaloin…
Me pâ sentî i so passi
luveghi comme un tamburo
lenti, che scûggian indietro
cö mutilòu in sce-e spalle;
ï veddo cazze, stä sciù…
perché stan sciù se fra poco
cazzian poi tutti lasciù!…
Han ciammòu Dio in aggiûtto
con ogni colpo do chêu
pe lô, pe-a so moæ, pe-i figgêu,
ma o fî o se fæto ciù cûrto
e a raffega a-a fin a l'à streppoù.
Perché in te grandi ingiustizie
Dio o l'è sempre lontan?
E çerco i gïo ai mæ passi
se un segno o fosse restòu;
no gh'è che i pochi fioretti
che in sce-o sentë n'han lasciòu,
poi in strassetto de fêuggia
secca ch'a sbatte a unna ramma…
Dunque o dolore o se perde
comme da sabbia in to vento?…
Ma in ta gran paxe di monti
se sente l'eco de l'ægua
lontann-a ch'ai ciamma, ch'ai ciamma…
inviata da i fermentivivi - 24/3/2005 - 13:24
Lingua: Italiano
Versione italiana
AI MARTIRI DI CRAVASCO
Quello stradino da capre,
tra stecchi nudi e spine
che si inerpica verso la cima,
è la strada che hanno percorsa
in quel tetro mattino.
Piangeva perfino il selciato,
piangeva l’acqua nel buio
nel fondo dei canaloni
Mi sembra di sentire i loro passi
sinistri come un tamburo
lenti, che scivolano indietro
con il mutilato sulle spalle;
li vedo cadere, rialzarsi
perché si rialzano se tra poco
cadranno poi tutti lassù!
Hanno chiamato Dio in aiuto
con ogni battito del cuore
per loro, per la madre, per i figli,
ma il filo si è fatto più corto
e la raffica alla fine lo ha strappato.
Perché nelle grandi ingiustizie
Dio è sempre lontano?
E cerco intorno ai miei passi
Se un segno fosse rimasto;
non ci sono che pochi fiorellini
che hanno lasciati sul sentiero,
poi uno straccetto di foglia
secca che sbatte contro un ramo
Dunque il dolore si perde
come la sabbia nel vento?
Ma nella grande pace dei monti
si sente l’eco dell’acqua
lontana che li chiama, che li chiama
Quello stradino da capre,
tra stecchi nudi e spine
che si inerpica verso la cima,
è la strada che hanno percorsa
in quel tetro mattino.
Piangeva perfino il selciato,
piangeva l’acqua nel buio
nel fondo dei canaloni
Mi sembra di sentire i loro passi
sinistri come un tamburo
lenti, che scivolano indietro
con il mutilato sulle spalle;
li vedo cadere, rialzarsi
perché si rialzano se tra poco
cadranno poi tutti lassù!
Hanno chiamato Dio in aiuto
con ogni battito del cuore
per loro, per la madre, per i figli,
ma il filo si è fatto più corto
e la raffica alla fine lo ha strappato.
Perché nelle grandi ingiustizie
Dio è sempre lontano?
E cerco intorno ai miei passi
Se un segno fosse rimasto;
non ci sono che pochi fiorellini
che hanno lasciati sul sentiero,
poi uno straccetto di foglia
secca che sbatte contro un ramo
Dunque il dolore si perde
come la sabbia nel vento?
Ma nella grande pace dei monti
si sente l’eco dell’acqua
lontana che li chiama, che li chiama
inviata da i fermentivivi - 24/3/2005 - 13:26
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Vorremmo dedicarla a tutte quelle donne e a quegli uomini che in diverso modo hanno partecipato alla lotta di resistenza contro i nazifascisti.
Ricordiamoci che quando anche l’ultimo partigiano sarà morto, qualcuno uscirà a dire che i lager sono un’invenzione, che la Resistenza non c’è mai stata, che i partigiani non esistevano.
Ricordiamo, perché chi dimentica ha perso il suo passato e perderà anche il suo futuro.
Ricordare che cosa è stata VERAMENTE una guerra vuol dire preservare tutti da una nuova guerra.
Il seguito per coloro che volessero capire qualcosa di più.
In uno scontro a fuoco avvenuto il 22 marzo 1945, i partigiani uccisero in un’imboscata nove soldati tedeschi.
Nonostante questo fosse un episodio di guerra, e nonostante la direttiva dell'Obergruppenfuehrer Karl Wolf, emanata dieci giorni prima, in cui si ordinava, essendo ormai evidente l'approssimarsi della fine del conflitto, di astenersi dal compiere stragi, venne ordinata la rappresaglia. Furono così prelevati dal carcere di Marassi quindici detenuti politici, cui si aggiunsero altri cinque fatti uscire dall'infermeria dove erano stati ricoverati.
I venti prigionieri avevano capito cosa li attendeva per il fatto che erano stati svegliati in piena notte e che non gli avevano fatto portare nulla con sé, anzi all'ultimo gli avevano fatto togliere cappotti e persino giacche. In catene, vennero fatti salire su un camion coperto con un telo militare, come testimoniarono alcune suore che si trovavano davanti al carcere.
Il camion andò in direzione di Rivarolo e poi verso Pontedecimo. I prigionieri, individuarono il percorso e abbandonarono le ultime speranze di essere portati a Milano, per uno scambio di prigionieri o per l'avvio a un campo di concentramento.
Decisero di provare a salvare almeno qualcuno di loro, che potesse testimoniare l'accaduto, e infatti riuscirono a farne fuggire due che, all'altezza di Certosa, in una curva si buttarono da uno squarcio nel telone mentre gli altri li coprivano. Arrivati a Isoverde, vennero fatti scendere e avviati su un lungo e faticoso cammino. Ad uno dei feriti, "Tino" Quartini, era stata amputata una gamba, e le SS avevano gettato via le sue stampelle, perciò i compagni dovettero portarlo su per il sentiero, anche se con grande fatica e dolore, per poter morire insieme.
Arrigo Diodati, uno dei condannati, venne ferito al collo, cadde e restò in mezzo ai suoi compagni morti aspettando il colpo di grazia, ma si salvò miracolosamente perché i tedeschi lo credettero morto e in seguito testimoniò dell’eccidio.