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Yo pisaré las calles nuevamente

Pablo Milanés
Lingua: Spagnolo


Pablo Milanés

Lista delle versioni e commenti


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Canción de los soldados
(Víctor Manuel)
Once por cero
(Pablo Milanés)
A pie camino
(Amerindios)


La canzone è stata scritta da Pablo Milanés il 14 settembre 1973, tre giorni dopo il golpe di Pinochet.

Homenaje a Miguel Enriquez.

Pablo Milanés.
Pablo Milanés.


Racconta Miguel Littín, il regista cileno de "La tierra prometida" che, quando, nel 1985, tornò clandestino e travestito in Cile per girare un documentario di accusa sulla dittatura di Pinochet ("Acta general de Chile"), il primo giorno in cui tornò nella sua città, che non vedeva dalla sera del 12 settembre '73 quando ne era fuggito assieme alla famiglia, inseguito dagli assassini fascisti, si mise a camminare per le strade di Santiago come in trance. Fu "risvegliato" proprio da un passante che, sottovoce, cantava questa canzone di Pablo Milanés. [RV]

Ricordiamo una versione molto bella cantata da Pablo Milanés insieme a Joan Manuel Serrat.
Yo pisaré las calles nuevamente
de lo que fue Santiago ensangrentada
y en una hermosa plaza liberada
me detendré a llorar por los ausentes.

Yo vendré del desierto calcinante
y saldré de los bosques y los lagos
y evocaré en un cerro de Santiago
a mis hermanos que murieron antes.

Yo unido al que hizo mucho y poco
al que quiere la patria liberada
dispararé de las primeras balas
más temprano que tarde sin reposo

Retornarán los libros las canciones
que quemaron las manos asesinas
renacerá mi pueblo de su ruina
y pagarán su culpa los traidores.

Un niño jugará en una alameda
y cantará con sus amigos nuevos
y ese canto será el canto del suelo
a una vida segada en La Moneda.

Yo pisaré las calles nuevamente
de lo que fue Santiago ensangrentada
y en una hermosa plaza liberada
me detendré a llorar por los ausentes.

16/12/2004 - 15:41




Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
dal newsgroup it.fan.musica.guccini
27 aprile 2001
ME NE ANDRÒ DI NUOVO PER LE STRADE

E me ne andrò di nuovo per le strade
Di quel che fu Santiago insanguinata,
E in una bella piazza liberata
Mi fermerò a pianger per gli assenti.

Verrò dal deserto arroventato,
Ed uscirò dai boschi e dai laghi;
Evocherò su un colle di Santiago
I miei fratelli che son morti allora.

E assieme a chi ha fatto poco o tanto,
A chi vuole la patria liberata,
Sparerò le prime pallottole
Più presto che tardi, e senza tregua.

Ritorneranno i libri, le canzoni
Bruciate dalle mani assassine.
Rinascerà il mio popolo dalla rovina
E pagheran la loro colpa i traditori.

Un bimbo giocherà in un viale alberato
E canterà con i suoi nuovi amici,
E questo canto sarà il canto della terra
Per una vita spezzata alla Moneda.

E me ne andrò di nuovo per le strade
Di quel che fu Santiago insanguinata,
E in una bella piazza liberata
Mi fermerò a pianger per gli assenti.

14/3/2005 - 19:31




Lingua: Francese

Versione francese di Régine Mellac
dall'edizione francese dell'LP "La vida no vale nada" di Pablo Milanés
JE REMARCHERAI DANS LES RUES DE SANTIAGO

Je remarcherai dans les rues
de ce que fut Santiago ensanglantée
et sur un belle place libérée
je m'arrêterai pour pleurer les absents.

Je viendrai du désert calciné
j'arriverai des lacs et des forêts
et sur une colline de Santiago je penserai
à mes frères qui ont été tués.

Avec celui qui s'est peu ou beaucoup donné
avec celui qui veut la Patrie libérée,
je tirerai les premières balles
sans attendre, sans faiblir.

Les libres et les chansons reviendront
que brulèrent les mains assassines
et mon peuple renaitra de ses ruines
et les coupables paieront leur trahison.

Un enfant jouera sur un avenue
il chantera avec ses nouveaux amis
et ce chant sera celui de la terre
à cette vie fauchée dans la Moneda.

Je remarcherai dans les rues
de ce que fut Santiago ensanglantée
et sur une belle place libérée
je m'arrêterai pour pleurer les absents.

6/2/2010 - 20:10




Lingua: Inglese

Traduzione inglese di Clara Díaz PérezClara Díaz Pérez PAblo Milanes
dal libretto "Pablo Milanes" ed. José Martí (2007)
comprato al mercatino di Plaza de Armas, La Habana.

Clara Diaz Perez (Havana, 1956) doctor in Artistic Scienses, specialist in Musicology. Since 1981, she has been working as a specialist at the National Museum of Music, dedicating herself to research that salvages the musical heritage of our Nation.
I SHALL WALK AGAIN THE STREETS

I shall walk again the streets
of what once was bloodied Santiago,
and on a lovely liberated square
I'll pause to weep for those who are no more.

I'll come from the scorched desert
and from the forests and the lakes.
and I'll recall a hill in Santiago
for my brothers who died before.

Allied with those who did a lot and a little
with those who want a nation that's free,
I shall fire the first bullets,
sooner rather than late, without repose.

The books and songs burned
by assassin hands shall return,
my people will be born again from out the ruins
and the traitors shall pay for their guilt.

A child will play in the Alameda
and will sing with new friends
and this shall be the song of the earth
to a life cut short in La Moneda

I shall walk again the streets
of what once was bloodied Santiago,
and on a lovely liberated square
I'll pause to weep for those who are no more.

inviata da Lorenzo Masetti - 23/4/2016 - 22:00




Lingua: Tedesco

Traduzione tedesca / Traducción al alemán / German Translation
maluca
ICH WERDE DIE STRASSEN WIEDER BETRETEN

Ich werde die Straßen wieder betreten
dessen, was einst das in Blut getränkte Santiago war
und auf einem wunderschönen befreiten Platz
werde ich innehalten, um die Abwesenden zu beweinen

Ich käme aus der glühenden Wüste
und träte aus den Wäldern und den Seen
und riefe auf einem Hügel von Santiago
meine Brüder ins Gedächtnis, die damals gestorben sind

Und vereint mit dem, der viel und der wenig getan hat,
mit dem, der das Vaterland befreit haben möchte
würde ich die ersten Kugeln abschießen
lieber früher als später, ohne Rast

Zurückkehren würden die Bücher, die Lieder,
die von Mörderhänden verbrannt wurden
Mein Volk würde aus seinen Ruinen auferstehen
und die Verräter ihre Schuld bezahlen

Ein Kind würde auf einer Allee spielen
und mit seinen neuen Freunden singen
und dieses Lied wäre das Eckchen Erde [1]
für ein niedergemähtes Leben in "La Moneda" [2]

Ich werde die Straßen wieder betreten
dessen, was einst das in Blut getränkte Santiago war
und auf einem wunderschönen befreiten Platz
werde ich innehalten, um die Abwesenden zu beweinen
[1] Wortspiel, "canto" heißt sowohl "Lied, Gesang" als auch "Ecke"

[2] Name des Präsidentenpalasts in Santiago, wo Präsident Salvador Allende während des Militärputsches starb

11/9/2023 - 22:41


Santiago, lettera dall'altro 11 settembre

di Alessandro Portelli
da il manifesto del 13 Settembre 2007

L'altro 11 settembre a Santiago sembra una giornata come tutte le altre. C'è il sole, è quasi primavera. Un giornale dice che per sicurezza le università più turbolente oggi stanno chiuse. Ma per chilometri e chilometri nelle strade commerciali del centro la gente va per fatti suoi, negozi e passeggiate. Non ci sono manifesti né altri segni. Si avvicina il 18 settembre, grande festa nazionale, e lungo weekend di ponte.
A tre isolati dalla Moneda, il palazzo del governo dove fu assassinato Allende, incrocio un piccolo corteo: bandiere rosse, della pace, arancioni, slogan (uniti possiamo, uniti vinciamo). Dietro di loro, la polizia chiude le transenne: non si passa, alla Moneda non si può avvicinare nessuno. Polizia dappertutto, dovunque transenne. Intorno, zona pedonale e negozi, ordinaria amminsitrazione.
Faccio il giro e sbuco sulla larga avenida O'Higgins, e mi trovo in pieno stato d'assedio. Furgoni militari che paiono enormi, camionette, blindati, plotoni schierati, poliziotti a cavallo, e gruppetti di ragazzi con passamontagna e maschere antigas. Faccio qualche foto, registro qualche slogan. Sembra che non stia succedendo niente, non c'è corteo. Improvvisamente i ragazzi prendono a correre come se avessero visto qualche cosa. Ho i riflessi meno pronti e resto solo io al bordo dell'avenida. Prima di fare in tempo a girarmi mi investe un getto di acqua intrisa di lacrimogeni e mi ritrovo per terra, accecato e bagnato fino al midollo. Mi pare che passi un tempo lunghissimo prima di sentire voci intorno a me, gli occhi non li riesco ad aprire, poi qualcuno mi aiuta a tirarmi su, sono preoccupatissimo che la caduta e l'acqua mi abbiano rovinato il prezioso registratore, mi passano scottex e limone e finalmente ricomincio a vedere. Qualcuno ritrova i miei occhiali - con gli occhi accecati non mi ero neanche accorto di non averli addosso.
Sono l'unico che è stato beccato: forse perché i ragazzi sono scappati prima, forse perché quello che gli dava più fastidio era una persona dall'apparenza normale che li fotografava. Come che sia, sono circondato da decine di registratori, macchine fotografiche, telecamere, taccuini: ero venuto con l'idea di intervistare, finisco intervistato. Comunque, sanno quasi tutti che cos'è il manifesto.
Ricomincio ad andare in giro, gli occhi tornano a posto, basta non strofinarli (la ragazza dell'internet point dove vado a scrivere, come entro, dice: «Che è questa cosa acre?» (la puzza del lacrimogeno ce l'ho ancora addosso, due ore dopo), mi avvicino alla Moneda, circondata da tre file di soldati, poi dietro le transenne un'altra fila di cavallerizzi da guerra. Vedo tre signore coi fiori rossi in mano, a colpo sicuro gli chiedo se sanno dov'é il monumento ad Allende (non c'era ancora l'altra volta che sono stato qui). Ma non si passa. Provano a negoziare coi militari, mostrano non so che tesserini, niente da fare. «Siamo in dittatura» dice la più giovane. Esagera parecchio, ma insomma certe cose te le tirano. Certo che se per commemorare il golpe e il potere militare volevano darci un'idea di che cosa succedeva in quelle strade quel giorno, un poco ci sono riusciti.
Rifaccio il giro, con un gruppetto di sbandati incalzati dai soldati a cavallo: «Circolare, circolare!». Torno alle transenne dall'altra parte adesso che il corteo è passato la polizia è un po' più rilassata. Faccio il turista ingenuo che non sa dove si trova e mi fanno passare. Il monumento è coperto di fiori e di inserti floreali con le insegne dei partiti e delle organizzazioni. La cerimonia ufficiale c'é stata la mattina, quindi adesso siamo poco più di un capannello. La statua non è bellissima, d'altra parte come si fa a fare un monumento a un'icona dell'antiretorica? Due signore conversano: «Ti ricordi quant'era bello? Nessuno aveva fame, eravamo tutti coinvolti» «E la cultura? E la musica? Adesso la democrazia c'é, ma non è quella di allora, e non è quella che sognavamo». Partono gli slogan, echi di un altro tempo, el pueblo unido jamas serà vencido, rituale di resistenza e memoria, se siente, se siente, Allende està presente. Cantano un po' stonati una solenne canzone patriottica. Si alzano pugni chiusi. Le due signore compagne mi danno appuntamento a Villa Grimaldi, luogo storico della repressione, dove i pinochettisti hanno torturato e ammazzato migliaia di persone, ci sarà una cerimonia con discorsi e musica; poi allo Stadio Nazionale, ad accendere candele.
Villa Grimaldi non è facile da trovare (provarci coi mezzi è un'odissea) persino a pochi isolati di distanza la gente dice di non averla mai sentita nominare. Alla fine mi affido a un tassista peruviano che neanche lui sa dov'è ma almeno sa che cos'è e simpatizza. Arrivo e la gente sta entrando alla spicciolata. La Villa Grimaldi è un posto bellissimo, verde, ampio. Adesso è un parco della pace e della memoria. Steli bianche portano i nomi delle vittime, sovrastate da una frase di Mario Benedetti: l'oblio è pieno di memoria. Parole sante. C'è un gran silenzio, anche se la gente continua ad arrivare, e il silenzio è sottolineato dalle candele che a mano a mano si vengono accendendo. Vedo una famiglia, con due bambini che reggono candele, che si avvicina al muro curvo dove pure sono incisi i nomi - mi domando se hanno qualcuno lì. A mano a mano che scende la sera le candele e il silenzio crescono, attorno alla piccola sala della memoria con una parete di fotografie e cassetti aperti con gli oggetti ritrovati di alcune delle vittime. È un silenzio intenso come un momento sacro, anche se non ci sono segni religiosi. La musica non è niente di speciale, ma le persone l'ascoltano assorte, sedute intorno con le candele in mano.
Il tassista peruviano mi ha detto di non restare da queste parti dopo le otto, è pericoloso, e mi ha dato appuntamento. Sono troppo stanco e sbattuto per andare allo Stadio Nazionale, e chiudo così questo altro 11 settembre.
Questo è quello che ho visto. Poi mi alzo la mattina, leggo i giornali: scontri tutta la notte nelle poblaciones povere della periferia, assalti ai commissariati, un poliziotto ferito grave, morirà più tardi (saccheggi, sparatorie, vetrine e macchine sfasciate). Par che la polizia sia stata sorpresa dal livello di organizzazione, anche se dicono i giornali che negli anni precedenti era peggio. Insomma tutto si può dire meno che si tratti di una città pacificata e tranquilla.
Un cardinale ieri ha benedetto il sacrario che l'esercito sta erigendo a Pinochet. Il compagno che mi era venuto a prendere all'aeroporto la mattina mi aveva detto: nonostante tutto, nel profondo di questo paese, Pinochet non è stato sconfitto.

26/9/2007 - 17:52


Non che la prospettiva di questa canzone cambi radicalmente ma - a quanto riferisce questo articolo tratto da un numero del 2004 de La Nación (quotidiano del Costa Rica) - Pablo Milanés non la scrisse nel 1973, nell’immediatezza del golpe in Cile, ma precisamente il 5 ottobre 1974, qualche minuto dopo aver appreso la notizia dell’uccisione da parte della DINA, la polizia segreta di Pinochet, di Miguel Enríquez, leader carismatico del MIR, il Movimiento de Izquierda Revolucionaria.

 Miguel Enríquez e Carmen Castillo, la sua compagna, nella foto che compare sulla locandina del documentario “Calle Santa Fe”, diretto dalla stessa Castillo nel 2007.
Miguel Enríquez e Carmen Castillo, la sua compagna, nella foto che compare sulla locandina del documentario “Calle Santa Fe”, diretto dalla stessa Castillo nel 2007.


La sera scorsa ho visto questo film: interessante, importante, anche se non l’ho trovato particolarmente riuscito.
Senza dubbio “Calle Santa Fe” racconta bene il Cile di allora, la grande speranza della rivoluzione sociale e dell’Unidad Popular troppo presto tradita dal fascismo e affogata in un lago di sangue. E descrive altrettanto bene il dramma di chi, come la Castillo, oltre alla sconfitta ha dovuto subire il trauma della sopravvivenza. Centinaia furono i militanti del MIR uccisi nel lungo periodo della dittatura militare: tra di essi vi fu Miguel Enríquez, che morì armi in pugno nel tentativo di difendere i suoi figli e la sua compagna, proprio Carmen Castillo, con la quale allora divideva una difficile vita di lotta in clandestinità. Carmen, incinta di sei mesi, rimase gravemente ferita nella sparatoria ma fu soccorsa, i carnefici non riuscirono a farla sparire come tanti altri e fu in seguito espulsa verso la Francia, dove ancora oggi vive.
L’interrogativo costantemente presente nelle oltre due ore e mezza di questo racconto è “Ne è valsa la pena?”,... E mi pare che, nonostante la sincerità dei ricordi e la verità del dolore dei protagonisti, non siano bastate qualche rievocazione nostalgica, qualche slogan e qualche immagine poco significativa del Cile di oggi per dare una risposta pienamente positiva...

Bernart - 1/11/2013 - 22:26


La prima occasione per Pablo Milanes di esibirsi all'estero arrivò nel settembre 1972 quando fu invitato insieme a Silvio Rodríguez e Noel Nicola al IV Festival de la Canción Comprometida di Valparaiso in Cile. Il 4 settembre per l'anniversario dell'elezione di Allende furono invitati a cantare sul palco. I ricordi dell'esperienza in Cile così profonda e toccante acquistarono una dimensione drammatica quando l'anno dopo il governo socialista cileno fu rovesciato dal golpe del generale Pinochet e il presidente trovò la morte nell'attacco alla Moneda.

Lo shock seguito a questi eventi emerge in due canzoni di Pablo: Yo pisaré las calles nuevamente e A Salvador Allende en su combate por la vida.

30/4/2016 - 23:14


La dichiarazione choc del presidente cileno Sebastián Piñera, nell'anniversario del colpo di Stato pilotato dagli Usa:

«Con Allende la democrazia era malata». Lo schiaffo presidenziale al Cile a 45 anni dal golpe di Pinochet

12/9/2018 - 18:20


22/11/2022 - 20:08




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