Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggiava Milano
non fu difficile seguirlo
il poeta della Baggina [1]
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade.
La domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del tua culpa
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a "Baffi di Sego" [2] che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
d annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro
il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
- voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo -
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade [3]
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile.
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
- quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare -.
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare
-voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo -
La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d'Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta.
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggiava Milano
non fu difficile seguirlo
il poeta della Baggina [1]
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade.
La domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del tua culpa
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a "Baffi di Sego" [2] che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
d annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro
il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
- voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo -
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade [3]
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile.
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
- quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare -.
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare
-voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo -
La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d'Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta.
Note originali dal libretto dell'album:
[1] Baggina: Così viene chiamata a Milano la casa di riposo per anziani "Pio albergo Trivulzio"
[2] Baffi di sego: gendarme austriaco in una satira di Giuseppe Giusti
[3] De Andrade: vedi Serafino Ponte Grande di Oswald De Andrade.
[1] Baggina: Così viene chiamata a Milano la casa di riposo per anziani "Pio albergo Trivulzio"
[2] Baffi di sego: gendarme austriaco in una satira di Giuseppe Giusti
[3] De Andrade: vedi Serafino Ponte Grande di Oswald De Andrade.
inviata da Riccardo Venturi - 22/11/2004 - 01:51
Lingua: Inglese
La versione inglese di Dennis Criteser [2014]
Dal blog Fabrizio De André in English
Dal blog Fabrizio De André in English
""La domenica delle salme" is one of De André's most political songs, full of references not easily discernible. The second verse refers to a Milan retirement home resident who was discovered dead under mysterious circumstances. The third verse may refer to a series of murders by a neo-Nazi duo who tagged themselves as Ludwig. The fourth verse refers to the Polish refugees who came to Italy after the fall of the Soviet Union and who worked the streets cleaning car windows (i.e., redoing the makeup of the capitalists heading off to the beach). The fifth verse refers to businessmen looking to profit from the opening of the countries of the former Soviet Union, and the sixth verse refers to the neo-Nazism that subsequently raised its head. The seventh verse may refer to the need for another visible symbol for members of the left and the right to use to close their ranks after the fall of the Berlin Wall in 1989. The eighth verse depicts a state that controls its people not with guns but with a false sense of happiness. Later in the song, Renato Curcio was a founder of the radical group Red Brigades and is referred to as a "carbonaro," a member of the Carboneria, secret revolutionary societies in 19th century Italy. Curcio did not in real life have his leg amputated; that reference is to an event in a 1968 television production of an 1832 autobiographical novel, My Prisons, by Sylvio Pellico. The amputation was done without anesthesia, and afterwards the amputee gave the surgeon a rose. There's a reference to the Brazilian poet Oswald De Andrade, whose work De André admired for its anti-conformism and its sense of irony and sarcasm. You see references to the distant past (the Langobards), to a Roman Catholic religious institute (Society of Mary), to the death of communism and anarchism ("cadavers of Utopia"), and even to De André's tribe, singer/songwriters, who are cast as opportunists whose powerful voices have lost their relevance and whose message has devolved into a crude "fuck off!" In short, this song is a rich and mordant pastiche of images that create the picture of an Italy as a ridiculous tragedy where a coup d'etat of capitalism has resulted in a "terrifying peace."
It took six years after the tremendous success of Creuza de mä for De André to release his next studio album, Le nuvole (The Clouds). In the meantime, he and Mauro Pagani explored several avenues of musical collaboration which did not come to fruition. De André had this to say about Le nuvole: "I realized that people are just pissed off, and since Le nuvole is a symbol of this dissatisfaction, the transference, the intermediary for this general discontent, I would say that the album was welcomed almost as a banner, like an emblem of the anger in the face of a nation that is going to the dogs, and certainly not through any fault of the citizens." Additionally, Mauro Pagani said the album was a fantastic description of Italy in the 1980s, with parallels to Europe in the early 1800s: "Italy in the early 1980s was like Europe in 1815: the Congress of Vienna, the fall of the Napoleonic empire, the sharing of the goods among the winning powers, social classes built on wealth instead of aristocracy, a society of fake Christianity . . ." The title of and inspiration for the album came from the comedy of the same name by Aristophanes, whom De André greatly admired." - Dennis Criteser
It took six years after the tremendous success of Creuza de mä for De André to release his next studio album, Le nuvole (The Clouds). In the meantime, he and Mauro Pagani explored several avenues of musical collaboration which did not come to fruition. De André had this to say about Le nuvole: "I realized that people are just pissed off, and since Le nuvole is a symbol of this dissatisfaction, the transference, the intermediary for this general discontent, I would say that the album was welcomed almost as a banner, like an emblem of the anger in the face of a nation that is going to the dogs, and certainly not through any fault of the citizens." Additionally, Mauro Pagani said the album was a fantastic description of Italy in the 1980s, with parallels to Europe in the early 1800s: "Italy in the early 1980s was like Europe in 1815: the Congress of Vienna, the fall of the Napoleonic empire, the sharing of the goods among the winning powers, social classes built on wealth instead of aristocracy, a society of fake Christianity . . ." The title of and inspiration for the album came from the comedy of the same name by Aristophanes, whom De André greatly admired." - Dennis Criteser
PSALM SUNDAY
He made a break for it on the tram
around six in the morning,
from the bottle of orgeat
where Milan floats.
It wasn’t difficult to follow him,
the poet of the Baggina.
His soul, turned on,
gave off the light of a light bulb.
They burned his bed
on the road to Trent.
He managed to save himself by the hair on his chin,
an attack robin.
The Poles didn’t die immediately
and, bowed over 'neath the last traffic lights,
they redid the makeup on the whores of the regime
launched towards the sea.
The traffickers of soap bars
fattened themselves to the east.
Whoever converted in ‘90
was excused in ’91.
The ape of the fourth Reich
danced the polka on top of the Wall,
and while it clambered up
we saw its whole ass.
The pyramid of Cheops
wanted to be rebuilt on that day of celebration,
boulder by boulder, slave by slave,
Communist by Communist.
Psalm Sunday –
no gun shots were heard,
laughing gas
was defending the streets.
Psalm Sunday
carried away all thoughts,
and the queens of “your fault”
filled up the hair salons.
In the sun-drenched state prison,
the second prison guard
said to “Greasy Mustache,” who was the first,
“It can be done tomorrow at daybreak.”
And emissaries were invited,
infantrymen, horses, dogs and a donkey,
to announce the amputation of the leg
of Renato Curcio, the Carboneria member.
The Minister of Storms,
in a rejoicing of trombones,
wished for democracy
with a napkin on his hands and his hands on his balls.
“I want to live in a city
where when it’s time for aperitifs
there’s no shedding of blood
or of detergent.”
Late in the evening,
I and my distinguished cousin De Andrade
were the last free citizens
of this famous civilian city,
because we had a cannon in the courtyard,
a cannon in the courtyard.
Psalm Sunday –
no one got hurt,
everyone following the casket
of the fallen ideal.
Psalm Sunday –
one felt like singing
“How beautiful youth is,
we don’t want to get older anymore.”
The last wayfarers
retreated to the catacombs.
They turned on the TV and watched us singing
for half an hour, then they sent us off to shit.
“You who have sung on stilts and on knees
with pianos over your shoulders, dressed as Pinocchio,
you who have sung
for the Northern Leaguers and for the Centrists,
for the Amazon and for money,
in corporate-named arenas and by Marist Fathers,
you have powerful voices,
tongues trained to beat the drum.
You had powerful voices
well-suited for the ‘Fuck off!’”
Psalm Sunday –
the people in charge of homesickness
accompanied, amongst the flutes,
Utopia's cadaver.
Psalm Sunday
was a Sunday like so many others.
The day after, there were signs
of a terrifying peace.
While the heart of Italy
from Palermo to Aosta
swelled in a chorus
of quivering protest.
He made a break for it on the tram
around six in the morning,
from the bottle of orgeat
where Milan floats.
It wasn’t difficult to follow him,
the poet of the Baggina.
His soul, turned on,
gave off the light of a light bulb.
They burned his bed
on the road to Trent.
He managed to save himself by the hair on his chin,
an attack robin.
The Poles didn’t die immediately
and, bowed over 'neath the last traffic lights,
they redid the makeup on the whores of the regime
launched towards the sea.
The traffickers of soap bars
fattened themselves to the east.
Whoever converted in ‘90
was excused in ’91.
The ape of the fourth Reich
danced the polka on top of the Wall,
and while it clambered up
we saw its whole ass.
The pyramid of Cheops
wanted to be rebuilt on that day of celebration,
boulder by boulder, slave by slave,
Communist by Communist.
Psalm Sunday –
no gun shots were heard,
laughing gas
was defending the streets.
Psalm Sunday
carried away all thoughts,
and the queens of “your fault”
filled up the hair salons.
In the sun-drenched state prison,
the second prison guard
said to “Greasy Mustache,” who was the first,
“It can be done tomorrow at daybreak.”
And emissaries were invited,
infantrymen, horses, dogs and a donkey,
to announce the amputation of the leg
of Renato Curcio, the Carboneria member.
The Minister of Storms,
in a rejoicing of trombones,
wished for democracy
with a napkin on his hands and his hands on his balls.
“I want to live in a city
where when it’s time for aperitifs
there’s no shedding of blood
or of detergent.”
Late in the evening,
I and my distinguished cousin De Andrade
were the last free citizens
of this famous civilian city,
because we had a cannon in the courtyard,
a cannon in the courtyard.
Psalm Sunday –
no one got hurt,
everyone following the casket
of the fallen ideal.
Psalm Sunday –
one felt like singing
“How beautiful youth is,
we don’t want to get older anymore.”
The last wayfarers
retreated to the catacombs.
They turned on the TV and watched us singing
for half an hour, then they sent us off to shit.
“You who have sung on stilts and on knees
with pianos over your shoulders, dressed as Pinocchio,
you who have sung
for the Northern Leaguers and for the Centrists,
for the Amazon and for money,
in corporate-named arenas and by Marist Fathers,
you have powerful voices,
tongues trained to beat the drum.
You had powerful voices
well-suited for the ‘Fuck off!’”
Psalm Sunday –
the people in charge of homesickness
accompanied, amongst the flutes,
Utopia's cadaver.
Psalm Sunday
was a Sunday like so many others.
The day after, there were signs
of a terrifying peace.
While the heart of Italy
from Palermo to Aosta
swelled in a chorus
of quivering protest.
inviata da Riccardo Venturi - 9/2/2016 - 07:07
Lingua: Francese
Versione francese di Riccardo Venturi
riveduta da Catherine Mas
[2001]
riveduta da Catherine Mas
[2001]
LE DIMANCHE DES RAMEAUX MORTS
Il prit un bus et s’enfuit,
Vers six heur’s du matin,
De la bouteill’ de pastis
Où Milan flotte, il ne fut
Pas difficile de le suivre,
Le poète de l’hospice,
Son âme allumée donnait
De la lumière d’ampoule
On lui a brûlé le lit
Sur la route de Trente,
Il s’est sauvé de sa barbe,
Ce rouge-gorge de combat...
Les polonais n’sont pas morts illico,
Et, à genoux devant les derniers feux,
R’touchaient le maquillage aux putains de régime
Qui couraient à la mer
Les fabricants de savonnettes
Mettaient son ventre sur l’est,
Si l’on se convertissait en quat’-vingt dix
Fallait pas le fair’ en quat’-vingt onze,
Le singe du quatrième Reich
Dansait un’ polka sur le Mur,
Et, pendant qu’il s’hissait,
Tout l’ monde a vu son cul,
La pyramide de Khéops
A été rebâtie ce jour-là, un jour de fête,
Bloc par bloc
Esclave par esclave
Communiste par communiste.
Le Dimanche des Rameaux morts
Pas un coup d’ fusil, silence...
Et le gaz hilarant
Se repandait dans les rues,
Le Dimanche des Rameaux morts
Emporta toute pensée avec soi
Et les reines des "tua culpa"
Se ruèrent chez les coiffeurs...
Dans la prison nationale
Le deuxième geôlier
Dit à "Moustaches-de-Suif", le premier,
"On va le faire demain, au petit matin",
Et on envoya des chevaux,
Des messagers, des chiens et un âne
Rendre l’arrêt d’amputation d’ un’ jambe
À Renato Curcio,
Carbonaro.
Le ministre des Orages,
Dans une orgie de trombones
Glorifiait la démocratie
Avec la nappe sur ses mains, et ses mains sur ses couilles,
"Je veux vivre dans une ville
Où, à l’heure de l’apéro,
Y a pas de sang qui coule
Ou bien, de détersif"
Le soir, moi et mon illustre cousin De Andrade
Nous étions les derniers citoyens libres
De cette ville civilisée,
Parce qu’on avait un canon dans l’ arrièr’-cour
Un canon dans l’arrièr’-cour...
Le Dimanche des Rameaux Morts
Personne ne s’est fait mal,
Tout l’ mond’ était aux obsèques
Du défunt idéal,
Le Dimanche des Rameaux Mort
On entendait chanter
"Ce qu’ell’est belle, la jeunesse,
Nous ne voulons pas vieillir".
Et les derniers passants
Rentraient dans leurs catacombes,
‘Z’ont allumé la télé, nous ont regardés chanter
Pendant une demi’-heure,
Puis nous ont envoyés balader
"Vous qui avez chanté sur des échasses et à genoux,
Avec des pianos en écharpe, déguisés en Pinocchio,
Vous qui avez chanté pour le Roi et pour la Ligue,
Pour l’argent et pour l’Amazonie
Pour Armani et Ferré,
L’Abbé Pierre et Taizé,
Vous, avec vos voix puissantes,
Vos langues qui batt’nt fort le tambour,
Vous, avec vos voix puissantes,
Faites pour envoyer promener."
Le Dimanche des Rameaux Morts
Les croque-nostalgie suivaient
Avec un chur de flûtes
Le cercueil de l’Utopie,
Le Dimanche des Rameaux Morts
A éte un dimanche insignifiante
Le jour après on voyait les signes
D’une paix terrifiante.
Et le cur d’Italie,
De Palerme au Simplon
Se gonflait en un chur
"De vive protestation".
Il prit un bus et s’enfuit,
Vers six heur’s du matin,
De la bouteill’ de pastis
Où Milan flotte, il ne fut
Pas difficile de le suivre,
Le poète de l’hospice,
Son âme allumée donnait
De la lumière d’ampoule
On lui a brûlé le lit
Sur la route de Trente,
Il s’est sauvé de sa barbe,
Ce rouge-gorge de combat...
Les polonais n’sont pas morts illico,
Et, à genoux devant les derniers feux,
R’touchaient le maquillage aux putains de régime
Qui couraient à la mer
Les fabricants de savonnettes
Mettaient son ventre sur l’est,
Si l’on se convertissait en quat’-vingt dix
Fallait pas le fair’ en quat’-vingt onze,
Le singe du quatrième Reich
Dansait un’ polka sur le Mur,
Et, pendant qu’il s’hissait,
Tout l’ monde a vu son cul,
La pyramide de Khéops
A été rebâtie ce jour-là, un jour de fête,
Bloc par bloc
Esclave par esclave
Communiste par communiste.
Le Dimanche des Rameaux morts
Pas un coup d’ fusil, silence...
Et le gaz hilarant
Se repandait dans les rues,
Le Dimanche des Rameaux morts
Emporta toute pensée avec soi
Et les reines des "tua culpa"
Se ruèrent chez les coiffeurs...
Dans la prison nationale
Le deuxième geôlier
Dit à "Moustaches-de-Suif", le premier,
"On va le faire demain, au petit matin",
Et on envoya des chevaux,
Des messagers, des chiens et un âne
Rendre l’arrêt d’amputation d’ un’ jambe
À Renato Curcio,
Carbonaro.
Le ministre des Orages,
Dans une orgie de trombones
Glorifiait la démocratie
Avec la nappe sur ses mains, et ses mains sur ses couilles,
"Je veux vivre dans une ville
Où, à l’heure de l’apéro,
Y a pas de sang qui coule
Ou bien, de détersif"
Le soir, moi et mon illustre cousin De Andrade
Nous étions les derniers citoyens libres
De cette ville civilisée,
Parce qu’on avait un canon dans l’ arrièr’-cour
Un canon dans l’arrièr’-cour...
Le Dimanche des Rameaux Morts
Personne ne s’est fait mal,
Tout l’ mond’ était aux obsèques
Du défunt idéal,
Le Dimanche des Rameaux Mort
On entendait chanter
"Ce qu’ell’est belle, la jeunesse,
Nous ne voulons pas vieillir".
Et les derniers passants
Rentraient dans leurs catacombes,
‘Z’ont allumé la télé, nous ont regardés chanter
Pendant une demi’-heure,
Puis nous ont envoyés balader
"Vous qui avez chanté sur des échasses et à genoux,
Avec des pianos en écharpe, déguisés en Pinocchio,
Vous qui avez chanté pour le Roi et pour la Ligue,
Pour l’argent et pour l’Amazonie
Pour Armani et Ferré,
L’Abbé Pierre et Taizé,
Vous, avec vos voix puissantes,
Vos langues qui batt’nt fort le tambour,
Vous, avec vos voix puissantes,
Faites pour envoyer promener."
Le Dimanche des Rameaux Morts
Les croque-nostalgie suivaient
Avec un chur de flûtes
Le cercueil de l’Utopie,
Le Dimanche des Rameaux Morts
A éte un dimanche insignifiante
Le jour après on voyait les signes
D’une paix terrifiante.
Et le cur d’Italie,
De Palerme au Simplon
Se gonflait en un chur
"De vive protestation".
inviata da Riccardo Venturi - 22/11/2004 - 01:59
Lingua: Tedesco
Versione tedesca da questo sito
Riveduta e corretta da Riccardo Venturi
Riveduta e corretta da Riccardo Venturi
PALMSONNTAG DER TOTEN
Mit der Strassenbahn versuchte er
die Flucht gegen sechs Uhr morgens
aus der Mandelmilchflasche
in der Mailand schwimmt
es war nicht schwer ihm zu folgen
dem Poeten aus dem Altersheim
seine glühende Seele
leuchtete wie eine Glühbirne
sie zündeten sein Bett an
auf der Strasse nach Trient
es gelang ihm, sich vor seinem Bart zu retten
wie ein Kampfrotkehlchen.
Die Polen starben nicht sofort
und an den letzten Verkehrsampeln knieend
schminkten sie die Staatshuren
auf ihrer Fahrt Richtung Meer,
die Seifenschacherer
setzten den Bauch gegen Osten
wer sich ’90 bekehren liess
wurde ’91 davon losgesprochen
der Affe des vierten Reichs
tanzte Polka auf der Berliner Mauer
und während er hinaufkletterte
haben wir alle seinen Arsch gesehen
die Cheopspyramide
wollte an diesem Festtag wieder aufgebaut werden
Stein für Stein
Sklave für Sklave
Kommunist für Kommunist.
Am Palmsonntag der Toten
hörte man keine Gewehrschüsse
das Lachgas
besetzte die Strassen
Der Palmsonntag der Toten
trug alle Gedanken davon
und die Königinnen der "deinen Schuld"
überfüllten die Friseursalons.
Im sonnenüberflutetem Heimatgefängnis
der zweite Gefängniswärter
sprach zu "Talgbart", der der erste war:
- man kann es morgen tun, in aller Frühe.
Und es wurden Botschafter entsandt
Fußsoldaten, Pferde, Hunde und ein Esel
um die Amputation des Beines zu verkünden
von Renato Curcio
Dem Carbonaro.
Der Minister für Gewitter
unter den Klängen von Posaunen
stellte die Demokratie in Aussicht
mit dem Tischtuch auf den Händen und den Händen auf seinen Eiern
- Ich möchte in einer Stadt leben
in der es zur Stunde des Aperitivs
kein Blut- oder Waschmittelvergiessen gibt -
Spät am Abend waren ich und mein berühmter Vetter De Andrade
die letzten freien Bürger
dieser berühmten, zivilisierten Stadt
weil wir eine Kanone im Hinterhof hatten
eine Kanone im Hinterhof.
Am Palmsonntag der Toten
tat sich niemand weh
jeder folgte dem Leichnam
des verstorbenen Ideals
Am Palmsonntag der Toten
hörte man singen:
- wie schön ist die Jugend,
wir möchten niemals alt werden-
Die letzten Wanderer
zogen sich in den Katakumben zurück
machten den Fernseher an und schauten uns beim Singen zu
ein halbes Stündchen lang
dann jagten sie uns zum Teufel
Ihr, die gesungen habt auf Stelzen und auf den Knien
mit umgehängten Keyboards, gekleidet wie Pinocchio
ihr, die gesungen habt für die Langobarden und für die Zentralisten
für den Amazonas und für das Geld
in grossen Stylistenhallen
und bei den Maristen
ihr hattet mächtige Stimmen
Zungen, trainiert die Trommel zu rühren
ihr hattet mächtige Stimmen
geeignet für ein Leck-mich-am-Arsch.
Am Palmsonntag der Toten
die Beauftragten für die Nostalgie
begleiteten, unter den Klängen der Flöten
den Kadaver von Utopia
und der Totensonntag
war ein Sonntag wie viele
am nächsten Tag sah man die Spuren
eines fürchterlichen Friedens.
Während das Herz Italiens
von Palermo bis Aosta
anschwoll, in einem Chor
aus “vibrierendem Protest”.
Mit der Strassenbahn versuchte er
die Flucht gegen sechs Uhr morgens
aus der Mandelmilchflasche
in der Mailand schwimmt
es war nicht schwer ihm zu folgen
dem Poeten aus dem Altersheim
seine glühende Seele
leuchtete wie eine Glühbirne
sie zündeten sein Bett an
auf der Strasse nach Trient
es gelang ihm, sich vor seinem Bart zu retten
wie ein Kampfrotkehlchen.
Die Polen starben nicht sofort
und an den letzten Verkehrsampeln knieend
schminkten sie die Staatshuren
auf ihrer Fahrt Richtung Meer,
die Seifenschacherer
setzten den Bauch gegen Osten
wer sich ’90 bekehren liess
wurde ’91 davon losgesprochen
der Affe des vierten Reichs
tanzte Polka auf der Berliner Mauer
und während er hinaufkletterte
haben wir alle seinen Arsch gesehen
die Cheopspyramide
wollte an diesem Festtag wieder aufgebaut werden
Stein für Stein
Sklave für Sklave
Kommunist für Kommunist.
Am Palmsonntag der Toten
hörte man keine Gewehrschüsse
das Lachgas
besetzte die Strassen
Der Palmsonntag der Toten
trug alle Gedanken davon
und die Königinnen der "deinen Schuld"
überfüllten die Friseursalons.
Im sonnenüberflutetem Heimatgefängnis
der zweite Gefängniswärter
sprach zu "Talgbart", der der erste war:
- man kann es morgen tun, in aller Frühe.
Und es wurden Botschafter entsandt
Fußsoldaten, Pferde, Hunde und ein Esel
um die Amputation des Beines zu verkünden
von Renato Curcio
Dem Carbonaro.
Der Minister für Gewitter
unter den Klängen von Posaunen
stellte die Demokratie in Aussicht
mit dem Tischtuch auf den Händen und den Händen auf seinen Eiern
- Ich möchte in einer Stadt leben
in der es zur Stunde des Aperitivs
kein Blut- oder Waschmittelvergiessen gibt -
Spät am Abend waren ich und mein berühmter Vetter De Andrade
die letzten freien Bürger
dieser berühmten, zivilisierten Stadt
weil wir eine Kanone im Hinterhof hatten
eine Kanone im Hinterhof.
Am Palmsonntag der Toten
tat sich niemand weh
jeder folgte dem Leichnam
des verstorbenen Ideals
Am Palmsonntag der Toten
hörte man singen:
- wie schön ist die Jugend,
wir möchten niemals alt werden-
Die letzten Wanderer
zogen sich in den Katakumben zurück
machten den Fernseher an und schauten uns beim Singen zu
ein halbes Stündchen lang
dann jagten sie uns zum Teufel
Ihr, die gesungen habt auf Stelzen und auf den Knien
mit umgehängten Keyboards, gekleidet wie Pinocchio
ihr, die gesungen habt für die Langobarden und für die Zentralisten
für den Amazonas und für das Geld
in grossen Stylistenhallen
und bei den Maristen
ihr hattet mächtige Stimmen
Zungen, trainiert die Trommel zu rühren
ihr hattet mächtige Stimmen
geeignet für ein Leck-mich-am-Arsch.
Am Palmsonntag der Toten
die Beauftragten für die Nostalgie
begleiteten, unter den Klängen der Flöten
den Kadaver von Utopia
und der Totensonntag
war ein Sonntag wie viele
am nächsten Tag sah man die Spuren
eines fürchterlichen Friedens.
Während das Herz Italiens
von Palermo bis Aosta
anschwoll, in einem Chor
aus “vibrierendem Protest”.
Lingua: Spagnolo
Versione spagnola di José Antonio (joanloro27@wanadoo.es) da Via del Campo
EL DOMINGO DE LOS RESTOS MORTALES
Tentó la fuga en tranvía,
hacía las seis de la mañana,
de la botella de horchata
donde flota Milán,
no fue difícil seguirlo
El poeta de la Baggina,
su alma encendida
emitía luz de bombilla,
le incendiaron su cama
en el camino de Trento
Logró salvarse de su barba
un petirojo de combate.
Los polacos no murieron rápido
y de rodillas en los últimos semáforos
recomponían el maquillaje a las rameras del régimen
lanzadas hacia el mar.
Los traficantes de jaboncitos
dirigían sus panzas hacia el este
quien se convertía en el noventa,
era dispensado en el noventa y uno
La mona del cuarto Reich
bailaba la polca sobre el muro
y mientras trepaba le vimos todos el culo
La pirámide de Keops
quiso ser reconstruida en aquel día de fiesta,
bloque por bloque,
esclavo por esclavo,
comunista por comunista
El domingo de los restos mortales
no se escucharon disparos,
el gas exultante
presidía las calles
El domingo de los restos mortales
se llevó consigo todos los pensamientos
y las reinas del "tua culpa"
abarrotaban las peluquerías.
En la soleada cárcel patria,
el segundo carcelero
dijo a "Bigotes de Sebo", que era el primero:
"se puede hacer mañana al amanecer",
y se enviaron mensajeros,
infantes, caballos, perros y un borrico
para anunciar la amputación de la pierna
de Renato Curcio, El Carbonero.
El ministro de los temporales
en un tripudio de trombones,
deseaba democracia
con el mantel en las manos
y las manos en los cojones :
"Quiero vivir en una ciudad
donde a la hora del aperitivo
no haya derramamientos de sangre
o de detergente."
Ya bien entrada la noche
yo y mi ilustre primo De Andrade,
éramos los últimos ciudadanos libres
de esta famosa ciudad civil
porque teníamos un cañón en el patio.
El domingo de los restos mortales
nadie se hizo daño,
todos a seguir el féretro
del difunto ideal
El domingo de los restos mortales
se escuchaba cantar:
"Qué bella es la juventud,
no queremos envejecer jamás".
Los últimos viandantes
se retiraron a las catacumbas,
encendieron la televisión
y nos miraron cantar durante una media horita,
después no mandaron a tomar por culo.
Vosotros que habéis cantado
sobre trampolines y de rodillas,
con los pianos en bandolera
disfrazados de pinocho,
vosotros que habéis cantado
para los longobardos y para los centralistas,
para el Amazonas y por la pecunia,
en grandes carpas portátiles
y en los padres maristas
Vosotros que tenéis voces potentes,
lenguas entrenadas para haceros escuchar,
vosotros teníais voces potentes
adaptadas para "el tomar por culo".
El domingo de los restos mortales,
los adeptos a la nostalgia,
acompañaron entre las flautas
el cadáver de la utopía
El domingo de los restos mortales
fue un domingo como tantos,
al día siguiente había señales
de una paz terrorífica.
Mientras el corazón de Italia
desde Palermo hasta Aosta
se inflaba en un coro
"de vibrante protesta".
Tentó la fuga en tranvía,
hacía las seis de la mañana,
de la botella de horchata
donde flota Milán,
no fue difícil seguirlo
El poeta de la Baggina,
su alma encendida
emitía luz de bombilla,
le incendiaron su cama
en el camino de Trento
Logró salvarse de su barba
un petirojo de combate.
Los polacos no murieron rápido
y de rodillas en los últimos semáforos
recomponían el maquillaje a las rameras del régimen
lanzadas hacia el mar.
Los traficantes de jaboncitos
dirigían sus panzas hacia el este
quien se convertía en el noventa,
era dispensado en el noventa y uno
La mona del cuarto Reich
bailaba la polca sobre el muro
y mientras trepaba le vimos todos el culo
La pirámide de Keops
quiso ser reconstruida en aquel día de fiesta,
bloque por bloque,
esclavo por esclavo,
comunista por comunista
El domingo de los restos mortales
no se escucharon disparos,
el gas exultante
presidía las calles
El domingo de los restos mortales
se llevó consigo todos los pensamientos
y las reinas del "tua culpa"
abarrotaban las peluquerías.
En la soleada cárcel patria,
el segundo carcelero
dijo a "Bigotes de Sebo", que era el primero:
"se puede hacer mañana al amanecer",
y se enviaron mensajeros,
infantes, caballos, perros y un borrico
para anunciar la amputación de la pierna
de Renato Curcio, El Carbonero.
El ministro de los temporales
en un tripudio de trombones,
deseaba democracia
con el mantel en las manos
y las manos en los cojones :
"Quiero vivir en una ciudad
donde a la hora del aperitivo
no haya derramamientos de sangre
o de detergente."
Ya bien entrada la noche
yo y mi ilustre primo De Andrade,
éramos los últimos ciudadanos libres
de esta famosa ciudad civil
porque teníamos un cañón en el patio.
El domingo de los restos mortales
nadie se hizo daño,
todos a seguir el féretro
del difunto ideal
El domingo de los restos mortales
se escuchaba cantar:
"Qué bella es la juventud,
no queremos envejecer jamás".
Los últimos viandantes
se retiraron a las catacumbas,
encendieron la televisión
y nos miraron cantar durante una media horita,
después no mandaron a tomar por culo.
Vosotros que habéis cantado
sobre trampolines y de rodillas,
con los pianos en bandolera
disfrazados de pinocho,
vosotros que habéis cantado
para los longobardos y para los centralistas,
para el Amazonas y por la pecunia,
en grandes carpas portátiles
y en los padres maristas
Vosotros que tenéis voces potentes,
lenguas entrenadas para haceros escuchar,
vosotros teníais voces potentes
adaptadas para "el tomar por culo".
El domingo de los restos mortales,
los adeptos a la nostalgia,
acompañaron entre las flautas
el cadáver de la utopía
El domingo de los restos mortales
fue un domingo como tantos,
al día siguiente había señales
de una paz terrorífica.
Mientras el corazón de Italia
desde Palermo hasta Aosta
se inflaba en un coro
"de vibrante protesta".
inviata da Riccardo Venturi - 2/5/2005 - 22:57
Lingua: Finlandese
La versione finlandese di Juha Rämö
Traduzione / Translation / Traduction / Suomennos: Juha Rämö
Traduzione / Translation / Traduction / Suomennos: Juha Rämö
KUOLLEIDEN SUNNUNTAI
Raitiovaunulla hän yritti
paeta aamukuudelta
mantelimaidosta
jossa Milano kelluu.
Ei ollut vaikea seurata tätä
vanhainkodin 1 runoilijaa,
jonka hehkuva sielu
loi valoa lampun lailla.
Hänen vuoteensa
pantiin palamaan
Trienteen johtavalla tiellä.
Partakarvan mitalla hän onnistui pelastautumaan
kuin taisteluun valmis punarinta.
Puolalaiset eivät kuolleet heti,
vaan viimeisiin liikennevaloihin 2 polvistuneina
meikkasivat vallanpitäjien huoria.
Saippuan kaupustelijat
käänsivät napansa itään 3.
Se joka vuonna 90 otti pestin,
sai vapautuksen seuraavana.
Neljännen valtakunnan apinat 4
tanssivat polkkaa Berliinin muurilla
ja kavutessaan ylös
ne paljastivat perseensä.
Kheopsin pyramidi
halusi tänä juhlapäivänä tulla rakennetuksi uudelleen
kivi kiveltä,
orja orjalta,
kommunisti kommunistilta.
Kuolleiden sunnuntaina
ei kuulunut kiväärien ammuntaa,
vaan ilokaasu
valtasi kadut.
Kuolleiden sunnuntai
vei kaikki ajatukset mennessään,
ja kuningattaret jotka tiesivät vain »sinun vikasi«
täyttivät kauneussalongit ääriään myöten.
Kotiseutuvankilan auringonpaisteessa
toinen vanginvartija
puhui ensimmäiselle, Taliparraksi sanotulle:
»Huomenna, aamun koittaessa, se tapahtuu.«
Ja viestinviejiä lähetettiin matkaan,
jalkasotilaita, hevosia, koiria ja yksi aasi,
levittämään tietoa jalan amputoimisesta
siltä jonka nimi oli Renato Curcio 5,
miilunpolttajalta 6.
Säiden ministeri,
pasuunoiden soidessa,
toivoi demokraatiaa
kädet munillaan pöytäliinan kätköissä.
»Haluaisin elää kaupungissa,
jossa ennen aperitiivia ei vuodateta verta eikä pesuainetta.«
Myöhään illalla minä ja maineikas serkkuni de Andrade 7
olimme ainoat vapaat kansalaiset
tässä kuuluisassa, sivistyneessä kaupungissa,
koska meillä oli kanuuna takapihalla,
kanuuna takapihalla.
Kuolleiden sunnuntaina
kukaan ei loukkaantunut,
vaan kaikki olivat saattamassa hautaan
kuollutta esikuvaa.
Kuolleiden sunnuntaina
kaikui laulu:
»Niin kaunis on nuoruus,
kukapa siis haluaisi olla vanha.«
Viimeiset vaeltajat
palasivat katakombeihinsa,
avasivat television, katsoivat lauluamme
puolisen tuntia
ja toivottivat meidät helvettiin.
Te jotka lauloitte puujaloilla seisten ja polvillanne,
harmoni harteilla, Pinokkioksi puettuina,
te jotka lauloitte langobardeille 8 ja sentralisteille,
Amazonin sademetsille ja rahasta,
suuryritysten mukaan nimetyillä areenoilla ja maristiveljille 9,
teidän äänenne olivat mahtavat
ja kielenne koulutetut vaikka rumpua päristämään,
niin mahtavat olivat teidän äänenne
ja niin ruskeat teidän kielenne.
Kuolleiden sunnuntaina
ne joiden vastuulla oli nostalgia
saattoivat huilujen soidessa hautaan
utopian elottoman ruumiin 10
ja se kuolleiden sunnuntai
oli kuin monet kaltaisensa
ja seuraavana päivänä oli nähtävissä merkkejä
kauhistuttavasta rauhasta
kun samaan aikaan Italian sydän
Palermosta Aostaan
vavisten paisui
vastalauseiden kuoroksi.
Raitiovaunulla hän yritti
paeta aamukuudelta
mantelimaidosta
jossa Milano kelluu.
Ei ollut vaikea seurata tätä
vanhainkodin 1 runoilijaa,
jonka hehkuva sielu
loi valoa lampun lailla.
Hänen vuoteensa
pantiin palamaan
Trienteen johtavalla tiellä.
Partakarvan mitalla hän onnistui pelastautumaan
kuin taisteluun valmis punarinta.
Puolalaiset eivät kuolleet heti,
vaan viimeisiin liikennevaloihin 2 polvistuneina
meikkasivat vallanpitäjien huoria.
Saippuan kaupustelijat
käänsivät napansa itään 3.
Se joka vuonna 90 otti pestin,
sai vapautuksen seuraavana.
Neljännen valtakunnan apinat 4
tanssivat polkkaa Berliinin muurilla
ja kavutessaan ylös
ne paljastivat perseensä.
Kheopsin pyramidi
halusi tänä juhlapäivänä tulla rakennetuksi uudelleen
kivi kiveltä,
orja orjalta,
kommunisti kommunistilta.
Kuolleiden sunnuntaina
ei kuulunut kiväärien ammuntaa,
vaan ilokaasu
valtasi kadut.
Kuolleiden sunnuntai
vei kaikki ajatukset mennessään,
ja kuningattaret jotka tiesivät vain »sinun vikasi«
täyttivät kauneussalongit ääriään myöten.
Kotiseutuvankilan auringonpaisteessa
toinen vanginvartija
puhui ensimmäiselle, Taliparraksi sanotulle:
»Huomenna, aamun koittaessa, se tapahtuu.«
Ja viestinviejiä lähetettiin matkaan,
jalkasotilaita, hevosia, koiria ja yksi aasi,
levittämään tietoa jalan amputoimisesta
siltä jonka nimi oli Renato Curcio 5,
miilunpolttajalta 6.
Säiden ministeri,
pasuunoiden soidessa,
toivoi demokraatiaa
kädet munillaan pöytäliinan kätköissä.
»Haluaisin elää kaupungissa,
jossa ennen aperitiivia ei vuodateta verta eikä pesuainetta.«
Myöhään illalla minä ja maineikas serkkuni de Andrade 7
olimme ainoat vapaat kansalaiset
tässä kuuluisassa, sivistyneessä kaupungissa,
koska meillä oli kanuuna takapihalla,
kanuuna takapihalla.
Kuolleiden sunnuntaina
kukaan ei loukkaantunut,
vaan kaikki olivat saattamassa hautaan
kuollutta esikuvaa.
Kuolleiden sunnuntaina
kaikui laulu:
»Niin kaunis on nuoruus,
kukapa siis haluaisi olla vanha.«
Viimeiset vaeltajat
palasivat katakombeihinsa,
avasivat television, katsoivat lauluamme
puolisen tuntia
ja toivottivat meidät helvettiin.
Te jotka lauloitte puujaloilla seisten ja polvillanne,
harmoni harteilla, Pinokkioksi puettuina,
te jotka lauloitte langobardeille 8 ja sentralisteille,
Amazonin sademetsille ja rahasta,
suuryritysten mukaan nimetyillä areenoilla ja maristiveljille 9,
teidän äänenne olivat mahtavat
ja kielenne koulutetut vaikka rumpua päristämään,
niin mahtavat olivat teidän äänenne
ja niin ruskeat teidän kielenne.
Kuolleiden sunnuntaina
ne joiden vastuulla oli nostalgia
saattoivat huilujen soidessa hautaan
utopian elottoman ruumiin 10
ja se kuolleiden sunnuntai
oli kuin monet kaltaisensa
ja seuraavana päivänä oli nähtävissä merkkejä
kauhistuttavasta rauhasta
kun samaan aikaan Italian sydän
Palermosta Aostaan
vavisten paisui
vastalauseiden kuoroksi.
Tämä Fabrizio de Andrén laulu vuodelta 1990 kuvaa Italian ja Länsi-Euroopan oloja 80-luvun lopulla.
1 viittaa Milanossa sijaitsevaan vuodesta 1768 toimineeseen vanhusten hoitolaitokseen nimeltä Pio Albergo Trivulzio. Sieltä sai alkunsa Tangentopolina tunnettu laaja poliittinen lahjusskandaali, joka ravisteli Italiaa 90-luvun alussa.
2 viittaa laittomiin maahanmuuttajiin, jotka yrittivät ansaita elantonsa puhdistamalla liikennevaloissa seisovien autojen tuulilaseja ja kauppaamalla tupakansytyttimiä, paperinenäliinoja ja omaa ruumistaan.
3 köyhistä köyhimpiä olivat ne, jotka »käänsivät napansa itään« eli myivät saippuaa niiden lukuun, jotka rikastuivat Berliinin muurin kaatumisella.
4 viittaa Saksan ja muun Euroopaan uusnatseihin.
5 Italiassa 70-luvulta aina nykypäiviin toimineen terroristijärjestö Punaisten prikaatien perustaja ja entinen johtaja. Curcio tuomittiin vuonna 1976 vankeuteen, ja hänet vapautettiin vuonna 1998.
6 Carbonari, Miilunpolttajat, oli Napolissa vuonna 1807 perustettu salaseura, jona päämääränä oli vapauttaa Italia ulkomaiden vaikutusvallasta ja yhdistää maa.
7 brasilialainen kirjailija Oswald de Andrade (1890 - 1954).
8 viittaa oikeistolaisen Pohjoisen liiton (Lega Nord) kannattajiin.
9 1816 perustettu katolinen sääntökunta.
10 viittaa vapauden ja anarkismin ihanteisiin, jotka saivat tuulta siipiensä alle erityisesti vuoden 1968 levottomuuksista.
1 viittaa Milanossa sijaitsevaan vuodesta 1768 toimineeseen vanhusten hoitolaitokseen nimeltä Pio Albergo Trivulzio. Sieltä sai alkunsa Tangentopolina tunnettu laaja poliittinen lahjusskandaali, joka ravisteli Italiaa 90-luvun alussa.
2 viittaa laittomiin maahanmuuttajiin, jotka yrittivät ansaita elantonsa puhdistamalla liikennevaloissa seisovien autojen tuulilaseja ja kauppaamalla tupakansytyttimiä, paperinenäliinoja ja omaa ruumistaan.
3 köyhistä köyhimpiä olivat ne, jotka »käänsivät napansa itään« eli myivät saippuaa niiden lukuun, jotka rikastuivat Berliinin muurin kaatumisella.
4 viittaa Saksan ja muun Euroopaan uusnatseihin.
5 Italiassa 70-luvulta aina nykypäiviin toimineen terroristijärjestö Punaisten prikaatien perustaja ja entinen johtaja. Curcio tuomittiin vuonna 1976 vankeuteen, ja hänet vapautettiin vuonna 1998.
6 Carbonari, Miilunpolttajat, oli Napolissa vuonna 1807 perustettu salaseura, jona päämääränä oli vapauttaa Italia ulkomaiden vaikutusvallasta ja yhdistää maa.
7 brasilialainen kirjailija Oswald de Andrade (1890 - 1954).
8 viittaa oikeistolaisen Pohjoisen liiton (Lega Nord) kannattajiin.
9 1816 perustettu katolinen sääntökunta.
10 viittaa vapauden ja anarkismin ihanteisiin, jotka saivat tuulta siipiensä alle erityisesti vuoden 1968 levottomuuksista.
inviata da Juha Rämö - 17/5/2016 - 10:18
L'ILLUSTRE CUGINO DE ANDRADE
di Riccardo Venturi
dal newsgroup it.fan.musica.de-andre, 7 maggio 2002
José Oswald de Sousa Andrade (che scrisse semplicemente come "Oswald de Andrade") nacque a San Paolo del Brasile nel 1890. Essere presente alla svolta del secolo, quando aveva 10 anni, fu decisivo, come ricorda de Andrade gia' adulto: "Avevamo svoltato l'angolo di un secolo. Si entrava nel 1900..."
San Paolo si destava all'industrializzazione e alla tecnologia e si dischiudeva un nuovo mondo urbano che Oswald avrebbe presto assimilato, affascinato: il tram elettrico, la radio, il cinema, la pubblicità col suo linguaggio sintetico.
Personalità assolutamente poliedrica, Oswald de Andrade aveva 22 anni quando fece il primo dei suoi svariati viaggi in Europa (1912), dove entrò in contatto con i movimenti di avanguardia, ed in particolare col futurismo italo-francese; ma solo dopo dieci anni avrebbe impiegato le tecniche di tali movimenti. In varie forme divulgò il cubismo e il futurismo in Brasile. Frattanto, nel 1911, aveva fondato una rivista umoristica intitolata O Pirralho. Nel 1919 si laureò in giurisprudenza presso l'università di San Paolo.
Il suo terzo matrimonio, con Tarsila de Amaral (1926) fu per Oswald de Andrade assolutamente fondamentale; assieme alla nuova moglie, lo scrittore lanciò un movimento umoristico-letterario, che chiamò Antropofagia, in cui si proponevano delle ricette per cucinare tutti i personaggi della vecchia ortodossia politica e culturale brasiliana. Con Tarsila de Amaral tornò in Europa varie volte; ma la grande crisi economica del 1929 rovinò completamente lo scrittore.
Separatosi da Tarsila de Amaral, Oswald de Andrade strinse una relazione con la scrittrice comunista Patricia Galvão, detta "Pagu". Oswald cominciò a frequentare riunioni del partito e operaie, ed entrò infine ufficialmente nel PC brasiliano. Dopo aver lasciato Patricia Galvão, all'eta' di 54 anni conobbe Maria Antonieta d'Alkmin, che sposò e con la quale visse fino alla morte, avvenuta nel 1954.
Nessun altro scrittore modernista brasiliano è più noto di Oswald de Andrade per lo spirito assolutamente irriverente e irridente. Le sue posizioni intellettuali sono considerate fondamentali per la cultura brasiliana della prima parte del XX secolo; la sua opera letteraria esemplifica magistralmente le caratteristiche della prima fase del modernismo.
Il suo incontro, nel 1920, con il suo omonimo Mário de Andrade, lo propose al pubblico come il poeta "futurista par excellence"; ma il futurismo brasiliano, al pari di quello russo, fu un movimento di reale rinnovamento e legato alle correnti piu' autenticamente progressiste della società e della cultura brasiliana.
Nel 1924 Oswald de Andrade diede inizio al movimento detto
"Pau-Brasil" (dal nome dell'albero cui si deve il nome stesso del Brasile), il cui programma era quello di liberare la poesia "dalle influenze nefaste delle vecchie civiltà in disfacimento", indicando come strada da seguire un assoluto primitivismo di matrice autoctona e scevro da ogni componente falsamente "naïve".
Con la sua adesione al Partito Comunista Brasiliano, Oswald de Andrade partecipò alla lotta operaia e antifascista negli anni che precedettero il colpo di stato del 1937; dalle colonne del giornale O homem livre (L'uomo libero) invitava ogni proletario brasiliano a tenere "un cannone nel cortile".
Tra il 1943 e il 1946 pubblicò i due volumi dell'opera intitolata Marco Zero ("Alzo zero", metafora ancora ripresa dal celebre "cannone nel cortile" di cui abbiamo parlato prima), dedicata all'analisi di stampo marxiano della crisi economica del 1929 e della società "paulista". Nel 1945 fu nominato ordinario di letteratura brasiliana presso l'universita' di San Paolo.
Il critico António Cándido afferma che "l'importanza storica di Oswald de Andrade come innovatore e agitatore politico-letterario nel senso più elevato del termine è stata decisiva per la formazione della letteratura brasiliana contemporanea."
Tra le opere letterarie più importanti di Oswald de Andrade va senz'altro annoverato Serafim Ponte Grande ("Serafino Ponte Grande"), citato espressamente da Fabrizio de André in una nota al testo de "La domenica delle salme".
Composto tra il 1925 e il 1929 (ma pubblicato solo nel 1933), "Serafino Ponte Grande" e', assieme a Memórias Sentimentais de João Miramar ("Ricordi Sentimentali di João Miramar"), il capolavoro dello scrittore brasiliano. "Serafino Ponte Grande" rappresenta programmaticamente una sfida al lettore.
Si tratta di una storia di assai difficile classificazione, condotta per flash continui e, con al posto dei "capitoli", 203 frammenti organizzati come una sorta di puzzle da ricomporre; ispirata palesemente al Tristram Shandy di Laurence Sterne, la figura del "protagonista" (Serafino Ponte Grande, appunto) appare solo di rado e si confonde il piu' delle volte con quella di altri personaggi che sono pero' repentinamente eliminati dalla storia e che ricompaiono altrettanto repentinamente, con passaggi ex abrupto dalla narrazione in prima a quella in terza persona.
Nel testo, lettere si incrociano a pagine di giornale; dei brani melodrammatici vengono presentati sotto forma di dialogo teatrale, e ogni tanto vengono inseriti a casaccio dei lemmi di un dizionario tascabile portoghese.
Malgrado l'apparente disordine assoluto, il romanzo presenta una struttura che permette di definirlo come un libro di memorie diviso in undici "capitoli" raggruppati in tre parti:
PRIMA PARTE: Formazione di Serafino (infanzia, adolescenza, matrimonio con Dona Lalá, satira della rivoluzione paulista del 1924). Caratteristica costante di questa parte è l'erotismo assolutamente irriverente e sboccato.
SECONDA PARTE: Viaggi ed avventure per l'Europa e l'Oriente.
TERZA PARTE: Ritorno e "viaggio utopistico" per il Brasile. Serafino Ponte Grande attacca a cannonate un commissariato di polizia e conduce una campagna contro la stampa, i mezzi di comunicazione e il servizio sanitario. Perseguito a lungo dalle autorità, muore colpito da un fulmine durante un temporale. Dopo la sua morte, il suo segretario Pinto Calçudo si impossessa della sua nave (chiamata "El Durasno") e fonda una società "serafinista" utopica, intraprendendo un viaggio permanente.
Serafino Ponte Grande incarna il mito dell'eroe latinoamericano che rema costantemente controcorrente cercando di rompere le catene del conformismo e dell'ipocrisia borghese a colpi di ironia e sarcasmo; ma il suo sogno si infrange tragicamente, costringendo l'eroe all'emarginazione e all'amarezza.
In una parola, Serafino Ponte Grande viaggia "in direzione ostinata e contraria"; e, forse, da questo punto di vista "La domenica delle salme" di De André, con le precise citazioni da Oswald de Andrade e dal suo principale romanzo, si prefigura anche come una sorta di "anticipazione" di "Smisurata Preghiera".
di Riccardo Venturi
dal newsgroup it.fan.musica.de-andre, 7 maggio 2002
San Paolo si destava all'industrializzazione e alla tecnologia e si dischiudeva un nuovo mondo urbano che Oswald avrebbe presto assimilato, affascinato: il tram elettrico, la radio, il cinema, la pubblicità col suo linguaggio sintetico.
Personalità assolutamente poliedrica, Oswald de Andrade aveva 22 anni quando fece il primo dei suoi svariati viaggi in Europa (1912), dove entrò in contatto con i movimenti di avanguardia, ed in particolare col futurismo italo-francese; ma solo dopo dieci anni avrebbe impiegato le tecniche di tali movimenti. In varie forme divulgò il cubismo e il futurismo in Brasile. Frattanto, nel 1911, aveva fondato una rivista umoristica intitolata O Pirralho. Nel 1919 si laureò in giurisprudenza presso l'università di San Paolo.
Il suo terzo matrimonio, con Tarsila de Amaral (1926) fu per Oswald de Andrade assolutamente fondamentale; assieme alla nuova moglie, lo scrittore lanciò un movimento umoristico-letterario, che chiamò Antropofagia, in cui si proponevano delle ricette per cucinare tutti i personaggi della vecchia ortodossia politica e culturale brasiliana. Con Tarsila de Amaral tornò in Europa varie volte; ma la grande crisi economica del 1929 rovinò completamente lo scrittore.
Separatosi da Tarsila de Amaral, Oswald de Andrade strinse una relazione con la scrittrice comunista Patricia Galvão, detta "Pagu". Oswald cominciò a frequentare riunioni del partito e operaie, ed entrò infine ufficialmente nel PC brasiliano. Dopo aver lasciato Patricia Galvão, all'eta' di 54 anni conobbe Maria Antonieta d'Alkmin, che sposò e con la quale visse fino alla morte, avvenuta nel 1954.
Nessun altro scrittore modernista brasiliano è più noto di Oswald de Andrade per lo spirito assolutamente irriverente e irridente. Le sue posizioni intellettuali sono considerate fondamentali per la cultura brasiliana della prima parte del XX secolo; la sua opera letteraria esemplifica magistralmente le caratteristiche della prima fase del modernismo.
Il suo incontro, nel 1920, con il suo omonimo Mário de Andrade, lo propose al pubblico come il poeta "futurista par excellence"; ma il futurismo brasiliano, al pari di quello russo, fu un movimento di reale rinnovamento e legato alle correnti piu' autenticamente progressiste della società e della cultura brasiliana.
Nel 1924 Oswald de Andrade diede inizio al movimento detto
"Pau-Brasil" (dal nome dell'albero cui si deve il nome stesso del Brasile), il cui programma era quello di liberare la poesia "dalle influenze nefaste delle vecchie civiltà in disfacimento", indicando come strada da seguire un assoluto primitivismo di matrice autoctona e scevro da ogni componente falsamente "naïve".
Con la sua adesione al Partito Comunista Brasiliano, Oswald de Andrade partecipò alla lotta operaia e antifascista negli anni che precedettero il colpo di stato del 1937; dalle colonne del giornale O homem livre (L'uomo libero) invitava ogni proletario brasiliano a tenere "un cannone nel cortile".
Tra il 1943 e il 1946 pubblicò i due volumi dell'opera intitolata Marco Zero ("Alzo zero", metafora ancora ripresa dal celebre "cannone nel cortile" di cui abbiamo parlato prima), dedicata all'analisi di stampo marxiano della crisi economica del 1929 e della società "paulista". Nel 1945 fu nominato ordinario di letteratura brasiliana presso l'universita' di San Paolo.
Il critico António Cándido afferma che "l'importanza storica di Oswald de Andrade come innovatore e agitatore politico-letterario nel senso più elevato del termine è stata decisiva per la formazione della letteratura brasiliana contemporanea."
Tra le opere letterarie più importanti di Oswald de Andrade va senz'altro annoverato Serafim Ponte Grande ("Serafino Ponte Grande"), citato espressamente da Fabrizio de André in una nota al testo de "La domenica delle salme".
Composto tra il 1925 e il 1929 (ma pubblicato solo nel 1933), "Serafino Ponte Grande" e', assieme a Memórias Sentimentais de João Miramar ("Ricordi Sentimentali di João Miramar"), il capolavoro dello scrittore brasiliano. "Serafino Ponte Grande" rappresenta programmaticamente una sfida al lettore.
Si tratta di una storia di assai difficile classificazione, condotta per flash continui e, con al posto dei "capitoli", 203 frammenti organizzati come una sorta di puzzle da ricomporre; ispirata palesemente al Tristram Shandy di Laurence Sterne, la figura del "protagonista" (Serafino Ponte Grande, appunto) appare solo di rado e si confonde il piu' delle volte con quella di altri personaggi che sono pero' repentinamente eliminati dalla storia e che ricompaiono altrettanto repentinamente, con passaggi ex abrupto dalla narrazione in prima a quella in terza persona.
Nel testo, lettere si incrociano a pagine di giornale; dei brani melodrammatici vengono presentati sotto forma di dialogo teatrale, e ogni tanto vengono inseriti a casaccio dei lemmi di un dizionario tascabile portoghese.
Malgrado l'apparente disordine assoluto, il romanzo presenta una struttura che permette di definirlo come un libro di memorie diviso in undici "capitoli" raggruppati in tre parti:
PRIMA PARTE: Formazione di Serafino (infanzia, adolescenza, matrimonio con Dona Lalá, satira della rivoluzione paulista del 1924). Caratteristica costante di questa parte è l'erotismo assolutamente irriverente e sboccato.
SECONDA PARTE: Viaggi ed avventure per l'Europa e l'Oriente.
TERZA PARTE: Ritorno e "viaggio utopistico" per il Brasile. Serafino Ponte Grande attacca a cannonate un commissariato di polizia e conduce una campagna contro la stampa, i mezzi di comunicazione e il servizio sanitario. Perseguito a lungo dalle autorità, muore colpito da un fulmine durante un temporale. Dopo la sua morte, il suo segretario Pinto Calçudo si impossessa della sua nave (chiamata "El Durasno") e fonda una società "serafinista" utopica, intraprendendo un viaggio permanente.
Serafino Ponte Grande incarna il mito dell'eroe latinoamericano che rema costantemente controcorrente cercando di rompere le catene del conformismo e dell'ipocrisia borghese a colpi di ironia e sarcasmo; ma il suo sogno si infrange tragicamente, costringendo l'eroe all'emarginazione e all'amarezza.
In una parola, Serafino Ponte Grande viaggia "in direzione ostinata e contraria"; e, forse, da questo punto di vista "La domenica delle salme" di De André, con le precise citazioni da Oswald de Andrade e dal suo principale romanzo, si prefigura anche come una sorta di "anticipazione" di "Smisurata Preghiera".
Lingua: Italiano
...DISSE A "BAFFI DI SEGO", CHE ERA IL PRIMO...
La "satira di Giuseppe Giusti" di cui parla De André nelle note originali a "La domenica delle salme" è in realtà la famosa Sant'Ambrogio. Ne proponiamo qui il testo, e lo facciamo, oltretutto, perché è pienamente "in tema" con le CCG.
La "satira di Giuseppe Giusti" di cui parla De André nelle note originali a "La domenica delle salme" è in realtà la famosa Sant'Ambrogio. Ne proponiamo qui il testo, e lo facciamo, oltretutto, perché è pienamente "in tema" con le CCG.
SANT'AMBROGIO
Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que’ pochi scherzucci di dozzina ,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me, che girellando una mattina,
càpito in Sant’ Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, la fuori di mano.
M’era compagno il figlio giovinetto
D’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promessi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? O non l’ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altra faccende affacendato,
a questa roba è morto e sotterrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que’ soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
di fatto se ne stavano impalati,
come sogliano in faccia a’ generali,
co’ baffi di copecchio e con que’ musi,
davanti a Dio diritti come fusi.
Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
Di quella marmaglia, io non lo nego
D’aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un afa, un abito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell’altar maggiore.
Ma in quella in quella che s’appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda
D’una gente che gema in duri stenti
e de’ perduti beni si rammenti
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri, assetati;
quello: O Signore, dal tetto natio,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Ricominciai a non esser più io
E, come se que’ cosi doventati
Fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbìe si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro bel bello
Io ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro
da quelle bocche che parean di ghiro,
un cantico tedesco lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
era preghiera, e mi parean lamento,
d’un suono grave, flabile, solenne,
tal che sempre nell’anima lo sento;
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in quei fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno.
Sentia nell’inno la dolcezza amara
De’canti uditi da fanciullo; il core
Che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete il giorni del dolore;
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e d’amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.
E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Costor, dicea tra me, re pauroso,
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quet’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’allemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! Lontana da’ suoi,
in un paese qui che vuol male,
chi sa che in fondo all’anima po’ poi
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’ hanno in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato li come un piolo.
Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que’ pochi scherzucci di dozzina ,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me, che girellando una mattina,
càpito in Sant’ Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, la fuori di mano.
M’era compagno il figlio giovinetto
D’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promessi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? O non l’ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altra faccende affacendato,
a questa roba è morto e sotterrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que’ soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
di fatto se ne stavano impalati,
come sogliano in faccia a’ generali,
co’ baffi di copecchio e con que’ musi,
davanti a Dio diritti come fusi.
Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
Di quella marmaglia, io non lo nego
D’aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un afa, un abito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell’altar maggiore.
Ma in quella in quella che s’appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda
D’una gente che gema in duri stenti
e de’ perduti beni si rammenti
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri, assetati;
quello: O Signore, dal tetto natio,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Ricominciai a non esser più io
E, come se que’ cosi doventati
Fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbìe si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro bel bello
Io ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro
da quelle bocche che parean di ghiro,
un cantico tedesco lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
era preghiera, e mi parean lamento,
d’un suono grave, flabile, solenne,
tal che sempre nell’anima lo sento;
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in quei fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno.
Sentia nell’inno la dolcezza amara
De’canti uditi da fanciullo; il core
Che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete il giorni del dolore;
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e d’amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.
E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Costor, dicea tra me, re pauroso,
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quet’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’allemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! Lontana da’ suoi,
in un paese qui che vuol male,
chi sa che in fondo all’anima po’ poi
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’ hanno in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato li come un piolo.
inviata da Riccardo Venturi - 6/9/2006 - 02:29
Dove si dimostra...
Che RV, membro dello staff delle CCG/AWS, vive davvero con un cannone nel cortile:
Che RV, membro dello staff delle CCG/AWS, vive davvero con un cannone nel cortile:
QUELL'ODIO VERSO GLI ULTIMI
di Michele Serra
Repubblica Online, 12 novembre 2008
di Michele Serra
Repubblica Online, 12 novembre 2008
"GLI incendiarono il letto sulla strada di Trento", cantava Fabrizio De André nella splendida e spaventosa Domenica delle salme, rassegna degli orrori sociali in atto e in preparazione nei ruggenti Ottanta. Raccontava di un clochard bruciato vivo dai giovanotti di Ludwig, usciti dall'inferno e dunque innamorati delle fiamme. Da ieri anche una panchina di Rimini, dimora abituale di un senzatetto italiano che si chiama Andrea, è annerita dal fuoco. Anche a lui "incendiarono il letto". Ora è in ospedale a Padova, con il quaranta per cento del corpo coperto di ustioni, di piaghe e dolore.
La panchina, vuota, campeggia in ogni pagina di carta o di pixel, e dopo il rogo ha lo stesso colore indefinito e scuro dei rifiuti. Accanto c'è una bottiglia vuota: conteneva la benzina che ha bruciato Andrea, all'una di notte, mentre dormiva.
Qualcuno dice di avere visto due adulti e un ragazzo allontanarsi nel buio mentre Andrea prendeva fuoco. Ma ancora non si sa chi abbia cosparso i piedi di Andrea di benzina e poi lo abbia acceso come una carta vecchia. Si sa, però, che queste cose ogni tanto succedono. Ultimamente pare che i deboli suscitino persino più odio dei potenti. Nessuno li invidia o li teme, ma c'è in giro una micidiale fregola di "normalità", di benessere obbligatorio, di bei vestiti e belle facce, che evidentemente rende osceno e insopportabile, agli occhi di qualcuno, l'esistenza dei barboni, dei miserabili, degli sfigati a vario titolo che ancora si ostinano (e come osano?) a viverci accanto.
Può essere stato un paranoico, un emulo di Ludwig (perché di nazisti, in giro, ultimamente ce ne sono un bel po'), un sadico, un gruppo di bulli, uno spacciatore disturbato dalla presenza di Andrea: gli spacciatori, si sa, contribuiscono anche loro al Pil e dunque si sentono infinitamente più rispettabili di uno sfaccendato. Si esclude solo, con certezza, l'ipotesi di una ritorsione o di una vendetta, perché Andrea era un emarginato del genere inoffensivo, mai litigato con nessuno, facilmente sopportato dal quartiere, aiutato dai benemeriti volontari cattolici di un'associazione che si chiama Casa di Betlemme (ora lo assistono in ospedale).
L'unico disturbo che Andrea poteva dare era quello del suo ingombro fisico. Della sua esistenza, per quanto minima e appartata, e dei due metri di panchina che gli facevano da domicilio. La panchina è, con lui, l'altra vittima di questo crimine scemo e ripugnante. Basta leggere certe zelanti ordinanze comunali che trattano panchine, scalinate e giardini pubblici come i potenziali nidi di bipedi infestanti, bivacchi di sfaccendati, mendicanti molesti, sedi d'elezione per quella intollerabile sedizione sociale che è la povertà in canna, la miseria vera, quella antica e derelitta che si strascica per terra, quella che non si lava e non sogna più decoro, quella che fruga tra i nostri rifiuti, quella che ancora balugina in certi underground urbani, dietro cespugli e cavalcavia, oppure osa emergere sulle panchine dei parchi guarnite di cartoni e coperte vecchie per la notte.
Non la fortuna di Andrea, ma la sua disgrazia gli ha attirato l'odio di alcuni sconosciuti. Se riusciranno a trovarli, sarebbe interessante, forse addirittura avvincente capire che cosa c'è dentro la testa di chi si accanisce contro l'ultimo degli ultimi. Nel governo c'è chi chiede (com'è ovvio la Lega) un censimento dei "barboni", non so dirvi se con o senza impronte digitali. Ma un bel censimento delle paranoie sociali, senza fare i nomi dei coinvolti ma almeno elencando i sintomi, e azzardando qualche terapia, quando?
La panchina, vuota, campeggia in ogni pagina di carta o di pixel, e dopo il rogo ha lo stesso colore indefinito e scuro dei rifiuti. Accanto c'è una bottiglia vuota: conteneva la benzina che ha bruciato Andrea, all'una di notte, mentre dormiva.
Qualcuno dice di avere visto due adulti e un ragazzo allontanarsi nel buio mentre Andrea prendeva fuoco. Ma ancora non si sa chi abbia cosparso i piedi di Andrea di benzina e poi lo abbia acceso come una carta vecchia. Si sa, però, che queste cose ogni tanto succedono. Ultimamente pare che i deboli suscitino persino più odio dei potenti. Nessuno li invidia o li teme, ma c'è in giro una micidiale fregola di "normalità", di benessere obbligatorio, di bei vestiti e belle facce, che evidentemente rende osceno e insopportabile, agli occhi di qualcuno, l'esistenza dei barboni, dei miserabili, degli sfigati a vario titolo che ancora si ostinano (e come osano?) a viverci accanto.
Può essere stato un paranoico, un emulo di Ludwig (perché di nazisti, in giro, ultimamente ce ne sono un bel po'), un sadico, un gruppo di bulli, uno spacciatore disturbato dalla presenza di Andrea: gli spacciatori, si sa, contribuiscono anche loro al Pil e dunque si sentono infinitamente più rispettabili di uno sfaccendato. Si esclude solo, con certezza, l'ipotesi di una ritorsione o di una vendetta, perché Andrea era un emarginato del genere inoffensivo, mai litigato con nessuno, facilmente sopportato dal quartiere, aiutato dai benemeriti volontari cattolici di un'associazione che si chiama Casa di Betlemme (ora lo assistono in ospedale).
L'unico disturbo che Andrea poteva dare era quello del suo ingombro fisico. Della sua esistenza, per quanto minima e appartata, e dei due metri di panchina che gli facevano da domicilio. La panchina è, con lui, l'altra vittima di questo crimine scemo e ripugnante. Basta leggere certe zelanti ordinanze comunali che trattano panchine, scalinate e giardini pubblici come i potenziali nidi di bipedi infestanti, bivacchi di sfaccendati, mendicanti molesti, sedi d'elezione per quella intollerabile sedizione sociale che è la povertà in canna, la miseria vera, quella antica e derelitta che si strascica per terra, quella che non si lava e non sogna più decoro, quella che fruga tra i nostri rifiuti, quella che ancora balugina in certi underground urbani, dietro cespugli e cavalcavia, oppure osa emergere sulle panchine dei parchi guarnite di cartoni e coperte vecchie per la notte.
Non la fortuna di Andrea, ma la sua disgrazia gli ha attirato l'odio di alcuni sconosciuti. Se riusciranno a trovarli, sarebbe interessante, forse addirittura avvincente capire che cosa c'è dentro la testa di chi si accanisce contro l'ultimo degli ultimi. Nel governo c'è chi chiede (com'è ovvio la Lega) un censimento dei "barboni", non so dirvi se con o senza impronte digitali. Ma un bel censimento delle paranoie sociali, senza fare i nomi dei coinvolti ma almeno elencando i sintomi, e azzardando qualche terapia, quando?
CCG/AWS Staff - 12/11/2008 - 18:25
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[1990]
Scritta da Fabrizio de André e Mauro Pagani
Written by Fabrizio De André and Mauro Pagani
Album: "Le Nuvole"
Per una presentazione/discussione più approfondita sul significato della canzone si veda questa pagina dal sito Via del Campo.
Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale... Il riferimento poi all'amputazione della gamba, voleva essere anche un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri.
[In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 68-69]
D. Perché l'avete scritta?
R. Volevamo esprimere il nostro disappunto nei confronti della democrazia che stava diventando sempre meno democrazia. Democrazia reale non lo è mai stata, ma almeno si poteva sperare che resistesse come democrazia formale e invece si sta scoprendo che è un'oligarchia. Lo sapevamo tutti, però nessuno si peritava di dirlo. È una canzone disperata di persone che credevano di poter vivere almeno in una democrazia e si sono accorte che questa democrazia non esisteva più.
D. È dunque un atto d'accusa.
R. Sicuramente, e lo è anche nei nostri confronti. C'è una tirata contro i cantautori che avevano una voce potente per il vaffanculo, e invece non l'hanno fatto a tempo debito. Io credo che in qualche maniera la canzone possa influire sulla coscienza sociale, almeno a livello epidermico, Noto che ci sono tante persone che vengono nel camerino alla fine di ogni spettacolo e che mi dicono: siamo cresciuti con le tue canzoni e abbiamo fatto crescere i nostri figli con le tue canzoni. E non so fino a che punto sia una cosa giusta. Credo che in qualche misura le canzoni possano orientare le persone a pensare in un determinato modo e a comportarsi di conseguenza.
[Intervista di Luciano Lanza (1993). Ora in Signora Libertà, Signorina Anarchia, p. 17]
È il ritratto dei diversi aspetti dell'Italia e dell'Occidente in genere alla fine degli anni Ottanta. Ancora una volta De André fa inconsciamente la parte del profeta con la chitarra, citando, all'inizio, la Baggina, cioè la Casa di riposo per anziani Pio Albergo Trivulzio di Milano, che nel giro di poco tempo diventerà celeberrima; di lì partirà la prima denuncia per corruzione di tangentopoli. Si passa poi ai semafori, occupati da immigrati polacchi con le loro spazzole da lavavetri, i loro mercatini e i loro traffici di prostituzione, per arrivare ai trafficanti di saponette diretti all'Est. Subito dopo vediamo "la scimmia del quarto Reich" simboleggiare la preoccupante ripresa di movimenti neonazisti in Germania e un po' in tutta Europa; infine la piramide di Cheope, monumento tanto imponente quanto inutile, ricostruito oggi "schiavo per schiavo / comunista per comunista". Uno sguardo è riservato ad una pagina ancora sanguinante del nostro recente passato: il terrorismo. Renato Curcio, il capo storico delle Brigate Rosse, è ritratto come un carbonaro, un prigioniero politico ancora in carcere, nonostante non abbia mai ammazzato nessuno, perché non ha voluto rinnegare il proprio passato. Il riferimento a Pietro Maroncelli attraverso l'amputazione della gamba riporta l'ambientazione nel secolo scorso, come a dire che le condizioni sanitarie in Italia, e in particolare nelle carceri, non sono migliorate poi molto. Nella canzone c'è anche posto per condannare alcuni colleghi, troppo propensi a cantare o a scrivere canzoni cambiando continuamente cavallo da battaglia a seconda dell'argomento più alla moda: "voi che avete cantato per i longobardi e i centralisti / per l'Amazzonia e per la pecunia", denuncia tagliente, questa, e fatta da chi sicuramente aveva tutto il diritto di farla. Tra questa folla di personaggi passano, quasi non visti, gli addetti alla nostalgia, tra i quali "il cadavere di Utopia": utopia della libertà, utopia dell'anarchia, cresciuta nel '68 e morta in mezzo alla città moderna e civile, dove chi vuole rimanere libero lo può restare soltanto se ha un cannone nel cortile.
[Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 147-148]
Ecco un esempio di come anche il mondo della musica possa esprimere forti motivazioni di tipo morale e politico. Nell'albume Le nuvole, del 1990, che la critica specializzata considera unanimamente un capolavoro della moderna canzone d'autore, Fabrizio De André ha inserito (tra tante altre invenzioni verbali e musicali) una polemica e tagliente invettiva, scritta in collaborazione con l'etnomusicologo Mauro Pagani, contro lo sfascio dell'Italia contemporanea (o, forse, di quella che potrebbe essere l'Italia in un immediato futuro).
Il testo possiede una sua valenza specifica, che è possibile cogliere anche indipendentemente dall'accompagnamento strumentale [...]. Ricordiamo comunque che la strumentazione è limitata ad alcuni elementi essenziali: chitarra, violino e "kazoo" (un piccolo tubo di canna al cui interno una membrana vibra emettendo un suono aspro; si tratta di uno strumento "povero", usato nei riti magici dell'Africa occidentale e diffuso nel sud degli Stati Uniti, poi adottato da jazzisti e cantanti folk).
L'esecuzione musicale, vibrante e quasi angosciosa (ad un certo punto si avverte anche il sibilo di una sirena), si chiude con un assordante canto di cicale, che possiamo interpretare in due modi: come elemento di ulteriore polemica dell'autore nei confronti di una umanità che - nonostante tutto - vuole continuare irresponsabilmente a divertirsi, o come allusione al fatto che ogni forma di protesta contro i pericoli che ci sovrastano è ormai ridotta a un inutile e monotono canto, un fastidioso e petulante cicaleccio in sottofondo, del quale nessuno quasi più si accorge.
Dopo una strofa introduttiva (vv. 1-12), che ci presenta un uomo in fuga in una spettrale alba milanese, il testo si snoda attraverso tre segmenti di disuguale lunghezza (vv. 13-29, 38-58, 67-81), intervallati da un triplice ritornello di otto versi (vv. 30-37, 59-66, 82-89; il primo verso di ognuno è sempre uguale) e suggellati da una quartina di chiusura (vv. 90-93), che richiama vagamente il classico congedo della canzone petrarchesca. All'interno di questi otto segmenti complessivi, le scansioni narrative si susseguono ad intervalli di quattro versi (vv. 1-4, 5-8, 9-12, ecc.); si sottraggono a questa misura fissa soltanto due blocchi narrativi di cinque versi (vv. 25-28 e 42-46) e l'intero segmento dei vv. 67-81. Tali precisazioni ci sembrano necessarie per capire meglio il senso del componimento, del tutto privo di segni interpuntivi (sono soltanto segnalati col trattino i discorsi dei vv. 41, 51-54, 65-66, 72-81).
Andrà sottolineato anche, per un'ulteriore definizione degli aspetti formali del testo, l'uso della rima o, più frequentemente, dell'assonanza, tipica dei componimenti destinati ad essere musicati. De André ha sostenuto in un'intervista che l'uso della rima nasce dal bisogno di creare già nei versi un'unità armonica, un effetto sonoro indipendente da quello creato dalla melodia e dal canto. Ciò è particolarmente importante quando nella canzone (come in questo caso) si voglia privilegiare il contenuto: la rima e l'assonanza, infatti, servono a far sì che i versi rimangano meglio impressi nella memoria.
Il testo ci presenta dunque, in un accumulo di apparente incoerenza, lo scenario cupo di uno sfacelo imminente; lo stesso titolo, che stravolge la denominazione di una festosa ricorrenza della cristianità, è indicativo del senso di abbandono, di corruzione e di morte che incombe sulla realtà. Anziché essere il tradizionale giorno della spensieratezza, la Domenica celebra qui i momenti di una crisi irreversibile, fino al disfacimento finale delle salme delle vittime e alle esequie, paradossalmente dolci (cfr. i flauti del v. 84), degli ideali utopici di una società perfetta e felice.
I riferimenti, non sempre decifrabili con sicurezza, appaiono immersi in una calma sinistra e allucinante, in un caos metropolitano di folle anormalità (nella registrazione musicale si avverte anche in sottofondo, in corrispondenza dei vv. 59-66, il suono lacerante di una sirena): il crollo delle ideologie, la morte dei profughi, la folle allegria di chi ancora si illude, la retorica dei discorsi politici, i sussulti di un'estrema difesa individuale nell'imminenza della catastrofe (vv. 55-58), il dissolversi dei miti prima della pace terrificante (v. 89) che normalizzerà ogni cosa.
Il senso della resa collettiva viene espresso con un linguaggio che spazia dalla citazione colta (vv. 40, 65) all'espressione scurrile (vv. 15, 24, 50, 71, 81). Il tono prevalente è quello del duro sarcasmo e dell'aspra denuncia, uniche armi rimaste a chi può soltanto essere testimone dell'immenso naufragio della nostra cosiddetta civiltà, che ha provveduto ad annullare ogni voce di dissenso e a livellare ogni forma di antagonismo.
Ci sembra comunque che il testo esprima anche un convincimento di segno positivo. Se c'è ancora una coscienza civile, e se essa ancora riesce a provare rabbia e indignazione, non deve chiudersi in sé, nelle catacombe (v. 68). È vero, forse non è più possibile cambiare il mondo, come si intendeva fare nei tumultuosi decenni appena trascorsi; ma almeno evitiamo di pensare soltanto ai fatti nostri, perché l'esercizio dell'ironia feroce può essere l'antidoto più efficace contro lo squallore dilagante e l'arrogante ipocrisia del potere".
[Paolo Briganti - Walter Spaggiari, Poesia & C., pp. 396-400]
Una durissima invettiva sulla falsa pace sociale raggiunta subito dopo la caduta del Muro di Berlino [...]. Nel pezzo, per inciso, Fabrizio ha una delle sue intuizioni citando la Baggina, così come viene chiamata a Milano la Casa di riposo per anziani Pio Albergo Trivulzio. Due anni dopo, da lì, sarebbe esploso il caso di Tangentopoli che avrebbe spazzato i vecchi partiti.
Perché quella scimmia del Quarto Reich che balla sopra il muro? "Sono molto preoccupato, in Germania Est ci sono state violazioni di tombe ebraiche", spiegava allora l'autore, "ed è una cosa che si sta diffondendo in tutta Europa; mi sembra un rigurgito nazista". Tra epica e lirica c'è anche la piramide di Cheope: "Un monumento aberrante e inutile, direi berlusconiano". Nella famosa domenica delle salme vengono inviati "fanti, cavalli, cani e un somaro ad annunciare l'amputazione della gamba di Renato Curcio, il carbonaro"... Dice De André: "Curcio non si è dissociato, non ha approfittato di questa regola non morale; e vedo circolare gente che ha tanti omicidi sulle spalle... Curcio non ha ammazzato nessuno. E d'altra parte non vorrei che gli succedesse quanto accadde a Maroncelli nel carcere austriaco. Anche perché tengo a sottolineare l'aspetto sanitario delle carceri italiane!".
Di chi è la colpa? De André si getta nel mucchio anche se non ha certo niente da spartire con i cantautori che hanno cantato "sui trampoli e in ginocchio / coi pianoforti a tracolla / vestiti da Pinocchio"; con chi ha cantato "per i longobardi, i centralisti, per l'Amazzonia, la pecunia nei palastilisti".
Erano gli anni dell'edonismo reaganiano e, in Italia, del craxismo. Al Palatrussardi alcuni socialisti intervenivano a tutti i grandi concerti in compagnia di "bambole fasciate di rosso".
[Alfredo Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, pp. 55-56]
La domenica delle salme è un grande affresco in stile Bruegel: in esso la supposta fine della storia viene smascherata per quello che è: un'altra delle tante menzogne che i poteri utilizzano per celare l'avidità oscena del loro agire.
De André li vede tutti, non ne perde uno: "i trafficanti di saponette [che mettono] pancia verso est", "la scimmia del quarto Reich [che balla] la polka sopra il muro", "il ministro dei temporali / in un tripudio di tromboni / [che auspica] la democrazia / con la tovaglia sulla mani e le mani sui coglioni".
La "fine della storia" è anche il tempo in cui "la piramide di Cheope / [vuole] essere ricostruita in quel giorno di festa / masso per masso / schiavo per schiavo / comunista per comunista"; tanto non c'è ribellione: "La domenica delle salme / non si udirono fucilate / il gas esilarante / presidiava le strade / la domenica della salme / si portò via tutti i pensieri / e le regine del tua culpa / affollarono i parrucchieri". E poi, per essere liberi, basta avere "un cannone nel cortile". Sembra di vedere in questa umanità del dopo-genocidio la carta del Matto dei tarocchi, gli occhi al cielo e un piede già nel baratro a simboleggiare l'irresponsabilità di chi, accompagnando "il cadavere di Utopia", canta "quant'è bella giovinezza / non vogliamo più invecchiare".
E tra i responsabili di questa "pace terrificante", gli stessi cantautori: "voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio / coi pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio / voi che avete cantato per i longobardi e i centralisti / per l'Amazzonia e per la pecunia / nei palastilisti / e dai padri Maristi / voi avevate voci potenti / lingue allenate a battere il tamburo / voi avevate voci potenti / adatte per il vaffanculo".
Come non rivedere, quasi fosse un vecchio documentario, le immagini di chi, nei decenni scorsi, guadagnava un applauso in più (con il corrispettivo aumento del conto in banca), recitando solidarietà con saluti a pugno chiuso e che oggi, magari, l'applauso in più e l'ingrossamento del portafoglio lo guadagna con monili tricolori all'occhiello della giacca?
Ma come, insieme a loro, non vedere anche tutti coloro i quali applaudivano o si indignavano a comando e che continuano ancora oggi, impotenti comparse, a "gonfiarsi" nelle piazze (il popolo delle piazze) e davanti ai tribunali "in un coro / di vibrante protesta" quando la politica della società dello spettacolo lo richieda - magari, guarda caso, proprio all'ora del TG?
Ma le nuvole, si sa, "vanno / vengono", sono il simbolo arcaico di un divenire incessante sul quale l'uomo non ha alcun potere se non quello di imparare a "guardare" anche con la luce alterata di un cielo oscurato.
Ed è quello che Fabrizio De André fa con Anime salve (1996), la sua produzione più recente, dando ancora voce, e quindi spessore di dignità, a chi tra le nuvole deve comunque vivere subendone, spesso per primo, i rovesci.
[Romano Giuffrida e Bruno Bigoni, in Fabrizio De André. Accordi eretici, pp. 60-61]
Dal sito di Giuseppe Cirigliano.