Murales contro la guerra e di lotta da tutto il mondo / Antiwar and Militant Murals Around the World
LA CCG NUMERO 9000 / AWS NUMBER 9000Lingua: Italiano
inviata da CCG/AWS Staff - 25/6/2009 - 04:42
Come già per la scorsa "pagina speciale" del migliaio, inseriamo anche qui lo screenshot della homepage al raggiungimento esatto della CCG n° 9000, in modo che chi non è sveglio a quest'ora (sono le 4,46 del mattino del 25 giugno 2009) possa vedere questo momento "immortalato" anche dopo il superamento. Per una curiosa e fortunata coincidenza, il raggiungimento della CCG n° 9000 avviene in perfetta contemporanea con quello del commento / traduzione n° 11000, e dei 3100 autori.
CCG/AWS Staff - 25/6/2009 - 04:50
Lingua: Italiano
Queste le immagini nel Bogside a Derry (Irlanda del Nord)
Images from Derry Bogside (Northern Ireland)
Images from Derry Bogside (Northern Ireland)
inviata da DonQuijote82 - 29/6/2009 - 15:33
Vi segnalo questo sito ricco di murales contro la guerra
http://www.peacemural.org/
http://www.peacemural.org/
DonQuijote82 - 29/6/2009 - 17:10
Su flickr ci sono molte foto dei murales di orgosolo fatte da me.. Se interessa mando il link ;)
Sergej - 12/7/2009 - 18:01
Excelente sitio, muy buen trabajo, excelente tema, YA BASTA DE TANTA GUERRA Y TANTA CORRUPCIÓN. MÁS CULTURA Y MUCHO MÁS ARTE MURAL. Saludos desde México. Juan Carlos Garcés y Cristóbal Flores.GRUPO EDAM MÉXICO.
GRUPO EDAM MÉXICO - 28/1/2011 - 06:29
E' qui, nei sobborghi di Medellin che si combatte la battaglia più dura per la legalità. Ed è sempre qui che i bambini sono soggetti ad alto rischio a causa delle bande organizzate che cercano di reclutarli. Per questo scendono i campo i fotografi che hanno organizzato la mostra-campagna con i volti dei ragazzini. Si chiama "Heroes without borders". Sui muri dei palazzi e sulle strage i volti dei giovani che diventano testimonial contro la violenza urbana (afp)
DoNQuijote82 - 1/2/2012 - 08:46
Quarto stato no TAV
Un murales a Giaglione opera dello street artist GecArt
Un murales a Giaglione opera dello street artist GecArt
adriana - 11/4/2012 - 08:09
Rocco Gatto (28 agosto 1926 – Gioiosa Ionica, 12 marzo 1977) è stato un mugnaio italiano vittima della 'ndrangheta, medaglia d'oro al valor civile.
DQ82 - 10/8/2013 - 18:51
Scuola Pertini, Montanaro, Torino
Bozzetto di Zerocalcare
Giuseppe Prono fu il primo montanarese a salire in montagna dopo l’8 settembre 1943. Era il figlio di Antonio Prono, uno dei locali dirigenti del PCI. Non essendo ancora costituito nessun gruppo nell’alto Canavese, Prono si unì alle bande della Valle di Lanzo. Durante un rastrellamento tedesco presso il ponte di ferro della ferrovia Ciriè-Lanzo alla periferia di Ceres, venne ferito e catturato dai tedeschi. Trascinato da questi per un centinaio di metri fino in fondo alla scarpata venne fucilato senza processo. Giuseppe Prono fu il primo partigiano montanarese a cadere durante i 20 mesi di guerra. Aveva soltanto 19 anni. (tratto da “I giorni della Libertà”)
Bozzetto di Zerocalcare
Giuseppe Prono fu il primo montanarese a salire in montagna dopo l’8 settembre 1943. Era il figlio di Antonio Prono, uno dei locali dirigenti del PCI. Non essendo ancora costituito nessun gruppo nell’alto Canavese, Prono si unì alle bande della Valle di Lanzo. Durante un rastrellamento tedesco presso il ponte di ferro della ferrovia Ciriè-Lanzo alla periferia di Ceres, venne ferito e catturato dai tedeschi. Trascinato da questi per un centinaio di metri fino in fondo alla scarpata venne fucilato senza processo. Giuseppe Prono fu il primo partigiano montanarese a cadere durante i 20 mesi di guerra. Aveva soltanto 19 anni. (tratto da “I giorni della Libertà”)
dq82 - 18/6/2015 - 15:42
Street art esposta al museo....
Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo», trasformandole in pezzi da museo.
Il patron del progetto è Fabio Roversi Monaco, già membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città.
Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. Ai tempi delle celebrazioni per il Nono Centenario dell’Ateneo cittadino rifiutò qualunque dialogo con gli studenti che protestavano per i costi della festa. Alla cerimonia di inaugurazione, nell’aula magna di Santa Lucia, la polizia tenne i contestatori fuori dalla porta. Il gran galà si concluse con 21 denunce a carico dei manifestanti. Era il 1987. Tre anni dopo, per le occupazioni della Pantera contro la Legge Ruberti che apriva l’università ai finanziamenti privati, le denunce furono 127.
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui.
Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade.
Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.
Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.
Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.
Tutto questo meritava una risposta.
La risposta è giunta la scorsa notte e prosegue nella giornata di oggi, durante la quale uno degli artisti che figura suo malgrado nel cartellone della mostra risponde per le strade della città a ciò che si prepara nelle stanze di Palazzo Pepoli.
Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.
A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi.
Questo atto lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare.
Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città.
Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno.
Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile.
Wu Ming, Bologna, 11-12 marzo 2016
(trentanovesimo anniversario dell’uccisione di Francesco Lorusso)
(da giap)
On March 18th an exhibition called Street Art: Banksy & Co. – L’Arte allo Stato Urbano will open in Bologna, Italy. It is promoted by Genus Bononiae, a cultural output of Fondazione Carisbo, ie the most important bank foundation in town.
Some of the exhibited works of art come directly off the streets of Bologna. They have been removed from walls with the stated purpose of «salvaging them from demolition and preserving them from the injuries of time», which means turning them into museum pieces.
The patron of this project is Fabio Roversi Monaco, a former member of the Zamboni – De Rolandis masonic lodge and former Rector of the Università di Bologna from 1985 to 2000, as well as former president of Bologna Fiere and Fondazione Carisbo. Currently Roversi Monaco is the president of Banca Imi, president of the Accademia di Belle Arti and president of Genus Bononiae.
More than any other in Bologna’s recent history, Roversi Monaco’s name evokes power, money, politics… and the ensuing repressive policies. When the university celebrated its Ninth Centenary, he refused all dialogue with the students who protested the high costs of the grand gala. During the inaugural ceremony, the police kept protesters out of the hall. The event ended up with 21 demonstrators indicted. That was in 1987. Three years later, when students occupied the university to protest a law which opened up the gates for private investors, 127 students were charged and taken to court for several alleged offences.
Thus, it is not surprising to see Roversi Monaco backing those curators, conservators and promoters who, heralding their love for street art, found a good opportunity for their careers and now are using the work of other people with patronising arrogance.
It isn’t surprising, either, to see the former president of the most powerful bank foundation in town promoting the umpteenth privatisation of more and more pieces of town. This exhibition will embellish and legitimise the hoarding of art taken off the street, which is only going to please unscrupled collectors and merchants.
It isn’t surprising to see the good friend of both “centre-left” and “centre-right” politicians pretending to solve the contradictions of Bologna, a city which on the one hand criminalises graffiti, puts 16-year-old writers on trial, praises “urban decorum”, and on the other celebrates herself as the cradle of street art and wants to recuperate it for valorisation on the market.
It doesn’t matter whether the pieces removed from the walls of Bologna are two or fifty. It doesn’t matter whether those walls were part of condemned buildings or part of the landscape in the northern outskirts of town. It doesn’t even matter that seeing street art exhibited in a museum is paradoxical and grotesque. This “street art” exhibition is representative of a model of urban space that we must fight, a model based on private accumulation which commodifies life and creativity for the profits of the usual few people.
After having denounced and criminalised graffiti as vandalism, after having oppressed the youth culture that created them, after having evacuated the places which functioned as laboratories for those artists, now Bologna’s powers-that-be pose as the saviours of street art.
All this deserved a response.
The response came last night. Indeed, it keeps coming right now. One of the artists who unwillingly features in the exhibition is responding in the streets to what is being prepared in the posh rooms of Palazzo Pepoli.
We are faced with arrogant landlords who act as colonial governors and think they’re free to take murals off our walls. The only thing that’s left to do is make these paintings disappear, to snatch them from those claws, to make hoarding impossible.
Blu is being helped by the activists of two occupied social centres – XM24 and Crash. It isn’t by chance that both places are in the Navile district, an area where “citizen participation” is dead under the collapsing weight of failed housing projects and travellers’ camps are the subject of fake emergencies.
The people who take this action don’t accept that yet another shared asset is appropriated, they don’t want yet another enclosure and a ticket to buy.
The people who take this action aren’t willing to give up their work for the benefit of the same old bosses in exchange for a stool in the cosy club.
The people who take this action can tell the difference between who has money, power and the highest offices, and who deploys creativity and intelligence.
The people who take this action can still tell what’s right from what’s easy.
Wu Ming, Bologna, 11-12 March 2016
(39th anniversary of the killing of Francesco Lorusso)
(from giap)
Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo», trasformandole in pezzi da museo.
Il patron del progetto è Fabio Roversi Monaco, già membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città.
Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. Ai tempi delle celebrazioni per il Nono Centenario dell’Ateneo cittadino rifiutò qualunque dialogo con gli studenti che protestavano per i costi della festa. Alla cerimonia di inaugurazione, nell’aula magna di Santa Lucia, la polizia tenne i contestatori fuori dalla porta. Il gran galà si concluse con 21 denunce a carico dei manifestanti. Era il 1987. Tre anni dopo, per le occupazioni della Pantera contro la Legge Ruberti che apriva l’università ai finanziamenti privati, le denunce furono 127.
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui.
Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade.
Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.
Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.
Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.
Tutto questo meritava una risposta.
La risposta è giunta la scorsa notte e prosegue nella giornata di oggi, durante la quale uno degli artisti che figura suo malgrado nel cartellone della mostra risponde per le strade della città a ciò che si prepara nelle stanze di Palazzo Pepoli.
Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.
A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi.
Questo atto lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare.
Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città.
Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno.
Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile.
Wu Ming, Bologna, 11-12 marzo 2016
(trentanovesimo anniversario dell’uccisione di Francesco Lorusso)
(da giap)
On March 18th an exhibition called Street Art: Banksy & Co. – L’Arte allo Stato Urbano will open in Bologna, Italy. It is promoted by Genus Bononiae, a cultural output of Fondazione Carisbo, ie the most important bank foundation in town.
Some of the exhibited works of art come directly off the streets of Bologna. They have been removed from walls with the stated purpose of «salvaging them from demolition and preserving them from the injuries of time», which means turning them into museum pieces.
The patron of this project is Fabio Roversi Monaco, a former member of the Zamboni – De Rolandis masonic lodge and former Rector of the Università di Bologna from 1985 to 2000, as well as former president of Bologna Fiere and Fondazione Carisbo. Currently Roversi Monaco is the president of Banca Imi, president of the Accademia di Belle Arti and president of Genus Bononiae.
More than any other in Bologna’s recent history, Roversi Monaco’s name evokes power, money, politics… and the ensuing repressive policies. When the university celebrated its Ninth Centenary, he refused all dialogue with the students who protested the high costs of the grand gala. During the inaugural ceremony, the police kept protesters out of the hall. The event ended up with 21 demonstrators indicted. That was in 1987. Three years later, when students occupied the university to protest a law which opened up the gates for private investors, 127 students were charged and taken to court for several alleged offences.
Thus, it is not surprising to see Roversi Monaco backing those curators, conservators and promoters who, heralding their love for street art, found a good opportunity for their careers and now are using the work of other people with patronising arrogance.
It isn’t surprising, either, to see the former president of the most powerful bank foundation in town promoting the umpteenth privatisation of more and more pieces of town. This exhibition will embellish and legitimise the hoarding of art taken off the street, which is only going to please unscrupled collectors and merchants.
It isn’t surprising to see the good friend of both “centre-left” and “centre-right” politicians pretending to solve the contradictions of Bologna, a city which on the one hand criminalises graffiti, puts 16-year-old writers on trial, praises “urban decorum”, and on the other celebrates herself as the cradle of street art and wants to recuperate it for valorisation on the market.
It doesn’t matter whether the pieces removed from the walls of Bologna are two or fifty. It doesn’t matter whether those walls were part of condemned buildings or part of the landscape in the northern outskirts of town. It doesn’t even matter that seeing street art exhibited in a museum is paradoxical and grotesque. This “street art” exhibition is representative of a model of urban space that we must fight, a model based on private accumulation which commodifies life and creativity for the profits of the usual few people.
After having denounced and criminalised graffiti as vandalism, after having oppressed the youth culture that created them, after having evacuated the places which functioned as laboratories for those artists, now Bologna’s powers-that-be pose as the saviours of street art.
All this deserved a response.
The response came last night. Indeed, it keeps coming right now. One of the artists who unwillingly features in the exhibition is responding in the streets to what is being prepared in the posh rooms of Palazzo Pepoli.
We are faced with arrogant landlords who act as colonial governors and think they’re free to take murals off our walls. The only thing that’s left to do is make these paintings disappear, to snatch them from those claws, to make hoarding impossible.
Blu is being helped by the activists of two occupied social centres – XM24 and Crash. It isn’t by chance that both places are in the Navile district, an area where “citizen participation” is dead under the collapsing weight of failed housing projects and travellers’ camps are the subject of fake emergencies.
The people who take this action don’t accept that yet another shared asset is appropriated, they don’t want yet another enclosure and a ticket to buy.
The people who take this action aren’t willing to give up their work for the benefit of the same old bosses in exchange for a stool in the cosy club.
The people who take this action can tell the difference between who has money, power and the highest offices, and who deploys creativity and intelligence.
The people who take this action can still tell what’s right from what’s easy.
Wu Ming, Bologna, 11-12 March 2016
(39th anniversary of the killing of Francesco Lorusso)
(from giap)
daniela -k.d.- - 21/3/2016 - 13:59
Blu, i mostrificatori e le sfumature di grigio
Wu Ming, collettivo di scrittori
(da Internazionale)
La cancellazione da parte di Blu di tutti i suoi murales realizzati a Bologna ha fatto il giro del mondo, com’era prevedibile e ampiamente previsto. Un gesto premeditato e ponderato che ha scatenato un putiferio sui giornali e in rete.
I fatti sono questi.
1) Alcune persone legate al mondo dell’arte, dell’accademia e del restauro, riunitesi in associazione senza fini di lucro, hanno staccato dai muri di edifici privati destinati alla demolizione alcuni murales dipinti da Blu, uno dei più importanti street artist europei, che proprio a Bologna è nato artisticamente.
2) Queste persone hanno messo al sicuro i dipinti e li hanno inseriti nel programma espositivo di una mostra internazionale sulla street art, Banksy & Co, inaugurata a Bologna il 18 marzo (biglietto d’ingresso 13 euro), con il patrocinio di Genus Bononiae. Si tratta di un ente museale finanziato dalla più potente fondazione bancaria cittadina, la fondazione Carisbo. Alla guida di Genus Bononiae è attualmente Fabio Roversi Monaco, ex presidente della stessa fondazione Carisbo, ex rettore dell’università (per quindici anni), già membro della loggia massonica Zamboni-De Rolandis, attualmente al vertice di Banca Imi e Accademia di Belle Arti. Uno che quantomeno dà prova di grande modestia quando dichiara: “Io non sono un potere forte”.
3) Queste persone hanno contattato lo street artist Blu tramite email per spiegargli cosa avevano in mente di fare con i suoi disegni, ma dopo alcuni segnali interlocutori non sono riuscite a ottenere l’abboccamento faccia a faccia che auspicavano. Questo le avrebbe insospettite circa la disapprovazione del disegnatore per quello che stavano facendo, e tuttavia sono andate avanti.
4) La risposta di Blu alla mostra è arrivata una settimana prima dall’apertura ed è consistita nella cancellazione, con una mano di grigio, di tutti i murales da lui dipinti a Bologna nel corso di quasi vent’anni. L’azione è stata accompagnata da un messaggio molto conciso e diretto sul suo blog: “A Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi”.
Roversi Monaco – per usare una metafora – ha messo il copyright su qualcosa che è nato per non averlo
Il fall out del gesto di Blu ha pesantemente cambiato il contesto nel quale la mostra si colloca. Perché adesso di questa mostra sanno tutti; e perché a prescindere da come si valuti la risposta radicale di Blu, l’opinione pubblica appare decisamente sbilanciata in senso contrario all’operato di Roversi Monaco & co. Insomma la mostra ha acquisito sì grande notorietà, ma negativa. Basti dire che l’apertura al pubblico è avvenuta con le camionette della polizia dall’altra parte della strada, per paura di contestazioni.
I curatori hanno trascorso la settimana precedente l’inaugurazione a rilasciare interviste per giustificarsi. Senza ovviamente poter eludere una domanda: chi è oggi il proprietario di quei disegni?
A quanto affermano i diretti interessati il proprietario è l’associazione stessa che li ha acquisiti, staccandoli dai muri e trasferendoli su un altro supporto. Per statuto l’associazione non può venderli, ma per il resto può disporne: organizzare mostre – che produrranno profitto per qualcuno, tramite la vendita dei biglietti –, cederli a un museo, o limitarsi a conservare le opere, il cui valore è verosimilmente destinato a crescere nel tempo.
Davanti a chi ha fatto notare che tutto questo va in direzione contraria alla finalità per cui quelle opere sono nate – cioè stare in strada e partecipare del destino urbanistico della strada, nella buona e nella cattiva sorte – Roversi Monaco ha risposto che questo non ha alcuna importanza. Infatti i dipinti sono stati realizzati abusivamente su un muro privato, lui può comprare quel muro dal proprietario e disporre di quello che c’è sopra.
Da un punto di vista legale potrebbe pure avere ragione, è così che funzionano i rapporti privatistici di proprietà. È invece dal punto di vista etico, politico, artistico, che tale comportamento ha suscitato sconcerto, perché – per usare una metafora – ha messo il copyright su qualcosa che è nato per non averlo. Del resto, l’atto di nascita del capitalismo è precisamente l’accumulazione originaria, cioè l’appropriazione e recinzione di un bene che fino a quel momento era fruibile da tutti. È quello che sta succedendo agli street artist più famosi, come anche Banksy.
Non per niente dopo l’esplosione del “caso”, grazie al clamoroso gesto di Blu, il patron della mostra Roversi Monaco ha pensato di recuperare, dichiarando che le opere staccate dai muri saranno donate al comune. Al suo buon cuore.
Non si tratta di Giorgio Morandi, ma di Blu; non si tratta di un abbellimento estetico, ma di conflitto
Ancora più interessanti delle giustificazioni dei curatori della mostra sono le argomentazioni di chi ha criticato il gesto estremo di Blu, quello di cancellare tutti i suoi dipinti dai muri di Bologna.
Tanto vale liquidare subito la più stupida, cioè l’accusa di incoerenza perché Blu ha già fatto esposizioni, ha dipinto su commissione eccetera. Come se il problema fosse che il disegnatore deve vivere d’aria anziché del suo lavoro, e non invece proprio l’opposto, cioè che il disegnatore ha il diritto di decidere cosa fare del proprio lavoro. Può venderlo oppure lasciarlo libero. Nell’un caso e nell’altro la scelta andrebbe rispettata.
Si può passare rapidamente anche sul tentativo di contrattacco dei curatori, secondo i quali Blu fingerebbe di ignorare che la street art è ormai uscita dalla fase contestataria e che è giunto il tempo di musealizzarla, cioè di salvaguardare le opere d’arte in sé, a prescindere da ogni finalità e contesto. Ovviamente sono gli stessi curatori/appropriatori che decidono qual è lo stato dell’arte di strada e anche quale debba essere il suo destino, impegnandosi a realizzarlo.
Un colpo di arte-guerriglia
L’argomentazione più diffusa tra coloro che criticano il gesto di Blu, senza per questo giustificare quello di Roversi Monaco & co, è però un’altra. È comparsa sui forum, sui social network, sui giornali, negli spazi che ospitano discussioni su quanto accaduto a Bologna. L’ha sostenuta Michele Serra dall’amaca, ma come lui anche altri, in varie sfumature, alcune più accese altre più blande.
È riassumibile nella figura retorica del marito che si evira per fare dispetto alla moglie. Serra ha usato un’espressione anche più colorita, affermando che il gesto di Blu “va in culo al popolo”. Insomma quell’avanguardista elitario di Blu avrebbe privato i cittadini bolognesi delle sue opere, facendo scontare alla città la sua ripicca contro i mostrificatori della street art.
Quest’obiezione ha una sua dignità. A patto che si assuma il punto di vista del cittadino virtuoso che vorrebbe vivere in una città più bella, e che non crede di meritarsi un muro grigio al posto di un murale di Blu, ma anzi, vorrebbe più disegni di Blu anziché meno, anziché nessuno. È il punto di vista di chi sta a guardare – absit iniuria –, nel senso letterale di contemplare e apprezzare la bellezza dei murales nel paesaggio urbano.
Nella lotta può capitare di sacrificare la bellezza all’efficacia dell’azione
Al cittadino virtuoso però sfugge un aspetto della faccenda tutt’altro che secondario. E cioè che qui non si tratta di quadri dipinti per le stanze private, ma di street art, appunto; non si tratta di Giorgio Morandi, ma di Blu; non si tratta di un abbellimento estetico, ma di conflitto. Quel conflitto che i curatori della mostra hanno cercato in tutti i modi di negare, che la mostra stessa pretende di negare.
La cancellazione messa in atto da Blu è un colpo di arte-guerriglia, inferto contro la riduzione simbolica della street art nelle gallerie museali e nei curricula degli addetti alla cultura. Se lo si valuta con i parametri della guerriglia è assai difficile metterne in discussione l’efficacia. Basta guardare alle conseguenze immediate che ha avuto, all’angolo argomentativo in cui ha costretto gli avversari, alla figuraccia che ha procurato loro, alla pochezza nelle reazioni degli amministratori locali che ha fatto emergere, alla contraddizione che ha aperto non solo a Bologna, ma in tutto il mondo.
Nella lotta può capitare di sacrificare la bellezza all’efficacia dell’azione. È doloroso, sì, soprattutto se si tratta dell’opera di anni e anni, con la quale abbiamo legami affettivi. Eppure lo si fa nella consapevolezza che senza sacrificare qualcosa non si è mai ottenuto un bel niente, e certo non si è mai segnato mezzo punto contro chi davvero va in culo al popolo.
Forse non sono più i tempi per una riflessione come questa. Forse siamo ormai assuefatti all’idea che il sacrificio di qualcosa che ci è caro, in una lotta, sia retaggio dei fanatici, degli integralisti, dei “cattivi” di turno, o tutt’al più di artisti/scrittori/mestatori che credono che “il ’77 sia l’altro ieri”. Chissà che proprio per questo il gesto di Blu non risulti ancora più importante e spiazzante. Perché all’improvviso ci ricorda qualcosa che avevamo dimenticato. Ce lo sbatte in faccia con la forza di un muro grigio o di una bomba senza morti. Non è l’opera d’arte che importa. Ma la vita e le relazioni che ci stanno dietro e che ancora sfuggono all’assimilazione alle logiche dominanti. La vita che resiste. E a volte perfino insorge.
Wu Ming, collettivo di scrittori
(da Internazionale)
Anch’egli ha rinunciato alla sua parte
nella commedia del caso;
anch’egli è stato cambiato a sua volta,
interamente trasformato:
Una terribile bellezza è nata.
W.B. Yeats – Pasqua 1916
nella commedia del caso;
anch’egli è stato cambiato a sua volta,
interamente trasformato:
Una terribile bellezza è nata.
W.B. Yeats – Pasqua 1916
La cancellazione da parte di Blu di tutti i suoi murales realizzati a Bologna ha fatto il giro del mondo, com’era prevedibile e ampiamente previsto. Un gesto premeditato e ponderato che ha scatenato un putiferio sui giornali e in rete.
I fatti sono questi.
1) Alcune persone legate al mondo dell’arte, dell’accademia e del restauro, riunitesi in associazione senza fini di lucro, hanno staccato dai muri di edifici privati destinati alla demolizione alcuni murales dipinti da Blu, uno dei più importanti street artist europei, che proprio a Bologna è nato artisticamente.
2) Queste persone hanno messo al sicuro i dipinti e li hanno inseriti nel programma espositivo di una mostra internazionale sulla street art, Banksy & Co, inaugurata a Bologna il 18 marzo (biglietto d’ingresso 13 euro), con il patrocinio di Genus Bononiae. Si tratta di un ente museale finanziato dalla più potente fondazione bancaria cittadina, la fondazione Carisbo. Alla guida di Genus Bononiae è attualmente Fabio Roversi Monaco, ex presidente della stessa fondazione Carisbo, ex rettore dell’università (per quindici anni), già membro della loggia massonica Zamboni-De Rolandis, attualmente al vertice di Banca Imi e Accademia di Belle Arti. Uno che quantomeno dà prova di grande modestia quando dichiara: “Io non sono un potere forte”.
3) Queste persone hanno contattato lo street artist Blu tramite email per spiegargli cosa avevano in mente di fare con i suoi disegni, ma dopo alcuni segnali interlocutori non sono riuscite a ottenere l’abboccamento faccia a faccia che auspicavano. Questo le avrebbe insospettite circa la disapprovazione del disegnatore per quello che stavano facendo, e tuttavia sono andate avanti.
4) La risposta di Blu alla mostra è arrivata una settimana prima dall’apertura ed è consistita nella cancellazione, con una mano di grigio, di tutti i murales da lui dipinti a Bologna nel corso di quasi vent’anni. L’azione è stata accompagnata da un messaggio molto conciso e diretto sul suo blog: “A Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi”.
Roversi Monaco – per usare una metafora – ha messo il copyright su qualcosa che è nato per non averlo
Il fall out del gesto di Blu ha pesantemente cambiato il contesto nel quale la mostra si colloca. Perché adesso di questa mostra sanno tutti; e perché a prescindere da come si valuti la risposta radicale di Blu, l’opinione pubblica appare decisamente sbilanciata in senso contrario all’operato di Roversi Monaco & co. Insomma la mostra ha acquisito sì grande notorietà, ma negativa. Basti dire che l’apertura al pubblico è avvenuta con le camionette della polizia dall’altra parte della strada, per paura di contestazioni.
I curatori hanno trascorso la settimana precedente l’inaugurazione a rilasciare interviste per giustificarsi. Senza ovviamente poter eludere una domanda: chi è oggi il proprietario di quei disegni?
A quanto affermano i diretti interessati il proprietario è l’associazione stessa che li ha acquisiti, staccandoli dai muri e trasferendoli su un altro supporto. Per statuto l’associazione non può venderli, ma per il resto può disporne: organizzare mostre – che produrranno profitto per qualcuno, tramite la vendita dei biglietti –, cederli a un museo, o limitarsi a conservare le opere, il cui valore è verosimilmente destinato a crescere nel tempo.
Davanti a chi ha fatto notare che tutto questo va in direzione contraria alla finalità per cui quelle opere sono nate – cioè stare in strada e partecipare del destino urbanistico della strada, nella buona e nella cattiva sorte – Roversi Monaco ha risposto che questo non ha alcuna importanza. Infatti i dipinti sono stati realizzati abusivamente su un muro privato, lui può comprare quel muro dal proprietario e disporre di quello che c’è sopra.
Da un punto di vista legale potrebbe pure avere ragione, è così che funzionano i rapporti privatistici di proprietà. È invece dal punto di vista etico, politico, artistico, che tale comportamento ha suscitato sconcerto, perché – per usare una metafora – ha messo il copyright su qualcosa che è nato per non averlo. Del resto, l’atto di nascita del capitalismo è precisamente l’accumulazione originaria, cioè l’appropriazione e recinzione di un bene che fino a quel momento era fruibile da tutti. È quello che sta succedendo agli street artist più famosi, come anche Banksy.
Non per niente dopo l’esplosione del “caso”, grazie al clamoroso gesto di Blu, il patron della mostra Roversi Monaco ha pensato di recuperare, dichiarando che le opere staccate dai muri saranno donate al comune. Al suo buon cuore.
Non si tratta di Giorgio Morandi, ma di Blu; non si tratta di un abbellimento estetico, ma di conflitto
Ancora più interessanti delle giustificazioni dei curatori della mostra sono le argomentazioni di chi ha criticato il gesto estremo di Blu, quello di cancellare tutti i suoi dipinti dai muri di Bologna.
Tanto vale liquidare subito la più stupida, cioè l’accusa di incoerenza perché Blu ha già fatto esposizioni, ha dipinto su commissione eccetera. Come se il problema fosse che il disegnatore deve vivere d’aria anziché del suo lavoro, e non invece proprio l’opposto, cioè che il disegnatore ha il diritto di decidere cosa fare del proprio lavoro. Può venderlo oppure lasciarlo libero. Nell’un caso e nell’altro la scelta andrebbe rispettata.
Si può passare rapidamente anche sul tentativo di contrattacco dei curatori, secondo i quali Blu fingerebbe di ignorare che la street art è ormai uscita dalla fase contestataria e che è giunto il tempo di musealizzarla, cioè di salvaguardare le opere d’arte in sé, a prescindere da ogni finalità e contesto. Ovviamente sono gli stessi curatori/appropriatori che decidono qual è lo stato dell’arte di strada e anche quale debba essere il suo destino, impegnandosi a realizzarlo.
Un colpo di arte-guerriglia
L’argomentazione più diffusa tra coloro che criticano il gesto di Blu, senza per questo giustificare quello di Roversi Monaco & co, è però un’altra. È comparsa sui forum, sui social network, sui giornali, negli spazi che ospitano discussioni su quanto accaduto a Bologna. L’ha sostenuta Michele Serra dall’amaca, ma come lui anche altri, in varie sfumature, alcune più accese altre più blande.
È riassumibile nella figura retorica del marito che si evira per fare dispetto alla moglie. Serra ha usato un’espressione anche più colorita, affermando che il gesto di Blu “va in culo al popolo”. Insomma quell’avanguardista elitario di Blu avrebbe privato i cittadini bolognesi delle sue opere, facendo scontare alla città la sua ripicca contro i mostrificatori della street art.
Quest’obiezione ha una sua dignità. A patto che si assuma il punto di vista del cittadino virtuoso che vorrebbe vivere in una città più bella, e che non crede di meritarsi un muro grigio al posto di un murale di Blu, ma anzi, vorrebbe più disegni di Blu anziché meno, anziché nessuno. È il punto di vista di chi sta a guardare – absit iniuria –, nel senso letterale di contemplare e apprezzare la bellezza dei murales nel paesaggio urbano.
Nella lotta può capitare di sacrificare la bellezza all’efficacia dell’azione
Al cittadino virtuoso però sfugge un aspetto della faccenda tutt’altro che secondario. E cioè che qui non si tratta di quadri dipinti per le stanze private, ma di street art, appunto; non si tratta di Giorgio Morandi, ma di Blu; non si tratta di un abbellimento estetico, ma di conflitto. Quel conflitto che i curatori della mostra hanno cercato in tutti i modi di negare, che la mostra stessa pretende di negare.
La cancellazione messa in atto da Blu è un colpo di arte-guerriglia, inferto contro la riduzione simbolica della street art nelle gallerie museali e nei curricula degli addetti alla cultura. Se lo si valuta con i parametri della guerriglia è assai difficile metterne in discussione l’efficacia. Basta guardare alle conseguenze immediate che ha avuto, all’angolo argomentativo in cui ha costretto gli avversari, alla figuraccia che ha procurato loro, alla pochezza nelle reazioni degli amministratori locali che ha fatto emergere, alla contraddizione che ha aperto non solo a Bologna, ma in tutto il mondo.
Nella lotta può capitare di sacrificare la bellezza all’efficacia dell’azione. È doloroso, sì, soprattutto se si tratta dell’opera di anni e anni, con la quale abbiamo legami affettivi. Eppure lo si fa nella consapevolezza che senza sacrificare qualcosa non si è mai ottenuto un bel niente, e certo non si è mai segnato mezzo punto contro chi davvero va in culo al popolo.
Forse non sono più i tempi per una riflessione come questa. Forse siamo ormai assuefatti all’idea che il sacrificio di qualcosa che ci è caro, in una lotta, sia retaggio dei fanatici, degli integralisti, dei “cattivi” di turno, o tutt’al più di artisti/scrittori/mestatori che credono che “il ’77 sia l’altro ieri”. Chissà che proprio per questo il gesto di Blu non risulti ancora più importante e spiazzante. Perché all’improvviso ci ricorda qualcosa che avevamo dimenticato. Ce lo sbatte in faccia con la forza di un muro grigio o di una bomba senza morti. Non è l’opera d’arte che importa. Ma la vita e le relazioni che ci stanno dietro e che ancora sfuggono all’assimilazione alle logiche dominanti. La vita che resiste. E a volte perfino insorge.
daniela -k.d.- - 21/3/2016 - 14:19
Graphic novel sulla vicenda di Blu:
Chi ha aiutato #Blu a #Bologna e perché l’ha fatto? Un reportage a fumetti di Graphic News
(da Giap)
Graphic News ha appena pubblicato «Perché ho aiutato Blu a cancellare i suoi murales», un reportage a fumetti di Brochendors Brothers. L’azione del 12 marzo è raccontata dal punto di vista della comunità informale che vi ha preso parte. Ci sono le discussioni dei giorni precedenti, gli inconvenienti di quella notte, le contraddizioni aperte dal gesto, le polemiche dei giorni successivi. C’è anche un po’ di docufiction, e c’è una domanda: tu da che parte stai?
Dimenticavamo: ci siamo pure noi.
Chi ha aiutato #Blu a #Bologna e perché l’ha fatto? Un reportage a fumetti di Graphic News
(da Giap)
Graphic News ha appena pubblicato «Perché ho aiutato Blu a cancellare i suoi murales», un reportage a fumetti di Brochendors Brothers. L’azione del 12 marzo è raccontata dal punto di vista della comunità informale che vi ha preso parte. Ci sono le discussioni dei giorni precedenti, gli inconvenienti di quella notte, le contraddizioni aperte dal gesto, le polemiche dei giorni successivi. C’è anche un po’ di docufiction, e c’è una domanda: tu da che parte stai?
Dimenticavamo: ci siamo pure noi.
daniela -k.d.- - 25/3/2016 - 13:50
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