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Lamento dell'amante del Crociato, o Già mai non mi conforto

Rinaldo D'Aquino
Lingua: Italiano


Lista delle versioni e commenti


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[XIII secolo]
Musica / Music / Musique: Ensemble Setar

giamainonmiconforto


Questa poesia composta alla corte di Federico II di Svevia dal poeta della “scuola siciliana” Rinaldo d’Aquino (non si sa con certezza se parente del più celebre Tommaso) è una vera e propria “canzonetta”, cioè una variante della “canzone” di origine provenzale e, forse, più popolare di questa, di argomento meno impegnativo e spesso amoroso, comunque realmente destinata al canto. Come genere ebbe un grande successo soprattutto più tardi, nel Seicento e Settecento.

“Già mai non mi conforto” racconta di una donna il cui amato deve partire per la Crociata in Terra Santa. La Croce e l’Imperatore hanno ingannato la bella, le hanno sottratto lo sposo o l’amante: è a lei che è dichiarata guerra, una guerra che la condanna ai sospiri, alla pena, al languore, alla prigionia, alla solitudine, al dolore, nell’attesa del ritorno dell’amato… Già di per sé, mi pare, la canzonetta sia contro la guerra, come lo sono in genere tutte le donne che, insieme ai bambini, più di tutti portano il peso di questo orrore… Lo è maggior ragione se si prova a situarla storicamente.

“Già mai non mi conforto” fa riferimento alla Sesta Crociata condotta da Federico II di Svevia tra il 1227 e il 1229. Una crociata anomala condotta da un imperatore anomalo. Federico II Hohenstaufen (1194 - 1250), re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania, era colto, illuminato, mecenate di artisti e poeti, lui stesso poeta e giurista. Ed era – per quanto possibile a quei tempi – un laico che per tutta la vita fu in contrasto con i potenti papi di Roma. E anche qualcosa più di un laico se davvero fosse sua la frase attribuitagli “Il mondo è vittima di tre malfattori: Mosè, Cristo e Maometto”. A Federico “stupor mundi” le Crociate papiste non interessavano punto, anzi, le detestava. Anche perché sapeva bene che il papa di turno voleva mandarlo in Terra Santa non tanto per liberare il Santo Sepolcro ma per cercare di metterglielo in vari modi nel culo approfittando della sua assenza…

E poi, a Federico, che era cresciuto in una Palermo multiculturale e parlava meglio l’arabo del tedesco, non piaceva punto l’idea di andare a massacrare gli “infedeli” Infatti, Federico fu per molto tempo sordo ai richiami di Onorio III e poi di Gregorio IX che gli intimavano di partire, tanto che quest’ultimo lo scomunicò. E lui, scomunicato, partì veramente per quella che fu la Crociata più pacifica della storia. Accompagnato soltanto da un manipolo di guardie del corpo musulmane, in una carovana in pieno stile orientale, Federico non aveva affatto le sembianze del crociato. E infatti, senza colpo ferire, concluse uno storico accordo con il sultano al-Malik al-Kāmil, nipote del “feroce” Saladino, in base al quale i cristiani avrebbero avuto Betlemme, Nazaret, Lidda, Sidone e Tibnin e pure Gerusalemme, ad eccezione della spianata del Tempio e della moschea al-Aqsà. Però Gerusalemme veniva considerata una “zona smilitarizzata”, “internazionalizzata”, una “città aperta” a tutti, musulmani e cristiani, tanto che le sue fortificazioni avrebbero dovuto essere integralmente smantellate. Da quelle parti, nel lontano XIII secolo, quasi otto secoli fa, c’era gente con più sale in zucca di quella che oggi siede alla Knesset o alla Muqāṭa’a!!!

Naturalmente il trionfo diplomatico di Federico non fu gradito al papa che infatti, tempo qualche anno, lo riscomunicò, facendolo incazzare a tal punto che l’imperial esercito fu mandato fino alle porte di Roma… Il papa, sconfitto, ne soffrì così tanto che morì (ma non lo ammazzò la balia!). L’accordo tra l’imperatore e il sultano illuminati non sopravvisse ai due protagonisti. Già i loro discendenti ripresero a darsele di “santa” ragione e i due mondi, quello cristiano e quello islamico, che per un istante erano stati così vicini tornarono ad allontanarsi. [Alessandro]


L'ensemble Setar, composto da tre musicisti Fulvio Farkas (bendir, zarb), Massimiliano Giusto (voce, flauti dolci) ed Emanuele Monteforte (viella, citola, symphonia, arpa), si occupa da molti anni di musica antica. Ha svolto vaste ricerche nel campo della musica medievale e dell'antica tradizione siciliana studiandone i sistemi e le tecniche interpretative. Le musiche sulle liriche dei poeti siciliani sono originali e composte secondo le forme e le strutture tipiche del XIII secolo.
Già mai non mi conforto
nè mi voglio ralegrare.
Le navi son giute a porto
e [or] vogliono col[l]are.
Vassene lo più gente
in terra d'oltramare
ed io, lassa dolente,
como degio fare?

Vassene in altra contrata
e no lo mi manda a diri
ed io rimagno ingannata:
tanti sono li sospiri,
che mi fanno gran guerra
la notte co la dia,
nè 'n celo ned in terra
non mi par ch'io sia.

Santus, santus, [santus] Deo,
che 'n la Vergine venisti,
salva e guarda l'amor meo,
poi da me lo dipartisti.
Oit alta potestade
temuta e dot[t]ata,
la mia dolze amistade
ti sia acomandata!

La croce salva la gente
e me face disviare,
la croce mi fa dolente
e non mi val Dio pregare.
Oi croce pellegnina,
perchè m'ài sì distrutta?
Oimè, lassa tapina,
chi ardo e 'ncendo tut[t]a!

Lo 'mperadore con pace
tut[t]o l[o] mondo mantene
ed a me[ve] guerra face,
chè m'à tolta la mia spene.
Oit alta potestate
temuta e dottata
la mia dolze amistate
vi sia acomandata!

Quando la croce pigliao,
certo no lo mi pensai,
quelli che tanto m'amao
ed illu tanto amai,
chi [eo] ne fui bat[t]uta
e messa en pregionia
e in celata tenuta
per la vita mia!

Le navi sono collate
in bonor possano andare
con elle la mia amistate
e la gente che v'à andare!
[Oi] padre criatore,
a porto le conduci.
chè vanno a servidore
de la santa Cruci.

Però ti prego, Duccetto,
[tu] che sai la pena mia,
che me ne faci un sonetto
e mandilo in Soria.
Ch'io non posso abentare
[la] notte nè [la] dia:
in terra d'oltremare
sta la vita mia !

inviata da Alessandro - 28/5/2009 - 15:32



Lingua: Italiano

Prendendo a spunto una parafrasi a cura di Luana Cappelletto da "La poesia siciliana"
Ormai non trovo più conforto
né mi interessa cercare di rallegrarmi.
Le navi sono arrivate al porto
e stanno per issare le vele.
Il più nobile degli uomini
se ne va in terra d'oltremare
ed io, triste e sofferente,
cosa debbo fare?

Egli se ne va in un altro paese
senza nemmeno mandare qualcuno a dirmelo,
ed io resto ingannata:
sono tanti i sospiri
che non mi danno pace
di giorno e di notte,
non mi sembra di stare
né in cielo né in terra.

Santo, santo, santo Iddio,
che ti sei incarnato nella Vergine Maria,
salva e proteggi l'amor mio,
dal momento che lo hai allontanato da me.
O Dio
potentissimo e temuto,
ti raccomando
il mio dolce amico.

Quella stessa croce che salva la gente
a me fa invece smarrire;
la croce mi fa soffrire
e a nulla mi vale pregare Dio.
O croce dei pellegrini,
perché mi hai distrutta a questo modo?
Ohimé, misera infelice,
che ardo d'amore!

L'imperatore con la pace
governa tutto il mondo
ma a me fa la guerra,
perchè mi ha portato via il mio amore,
la mia sola speranza.
O Signore
onnipotente e temuto,
a voi raccomando il mio dolce amico!

Certo [a ciò che accade ora] non pensai
quando prese la croce,
colui che tanto mi amò
e che io tanto amai,
al punto di essere picchiata,
rinchiusa
e tenuta segregata [dai miei parenti]
per causa del mio amore.

Le navi hanno già spiegate le vele,
spero che possano andare col vento favorevole
e con esse l'amor mio
e tutti quelli che devono andare.
O Padre creatore,
guidale sicure alla meta,
dal momento che vanno
a servire la Santa Croce.

Perciò ti prego, Rinalduccio,
tu che conosci il mio dolore,
facci sopra un sonetto
e mandalo in Siria.
Che io non posso trovar pace
né di giorno né di notte:
laggiù, in terra d'oltremare,
sta la vita mia!

inviata da Alessandro - 28/5/2009 - 21:52


Il Lamento dell'amante del Crociato nella "Storia della Letteratura Italiana" di Francesco De Sanctis
Vol. 1, pp. 25/26

"Di quella vita un'espressione ancor semplice e immediata, ma più nobile, più diretta e meno locale, è nella romanza attribuita al re di Gerusalemme e nel Lamento dell'amante del Crociato di Rinaldo d'Aquino. Sentimenti gentili e affettuosi sono qui espressi in lingua schietta e di un pretto stampo italiano, con semplicità e verità di stile, con melodia soave. Cantato e accompagnato da istrumenti musicali, questo "sonetto", come lo chiama l'innamorata, dovea fare la piú grande impressione. Comincia cosí: [...]

Il seguito della canzone è una tenera e naturale mescolanza di preghiere e di lamenti, ora raccomandando a Dio l'amato, ora dolendosi con la croce: [...] Finisce cosí: [...]

La lezione è scorretta: pure, questa è già lingua italiana, e molto sviluppata ne' suoi elementi musicali e ne' suoi lineamenti essenziali. L'amante che prega e chiede amore, l'innamorata che lamenta la lontananza dell'amato, o che teme di essere abbandonata, le punture e le gioie dell'amore, sono i temi semplici de' canti popolari, la prima effusione del cuore messo in agitazione dall'amore. E queste poesie, come le piú semplici e spontanee, sono anche le piú affettuose e le piú sincere. Sono le prime impressioni, sentimenti giovani e nuovi, poetici per sé stessi, non ancora analizzati o raffinati."

Riccardo Venturi - 20/6/2018 - 23:16


La pagina é bella. Ho voluto rileggere "Il lamento", per verificare se Rinaldo d'Aquino sia stato della celebre famiglia di Tommaso d'Aquino.
Ho una mia pagina Facebook (un mio cantuccio Internet), e in essa pubblicheró, entro domani, il mio sessantesimo post: "La teda di Tommaso d'Aquino".
La mia pagina é: facebook.com/gaetano.girasole.5
Cordiali saluti.
Gaetano Girasole

facebook.com/gaetanoi.girasole.5 - 8/9/2020 - 16:50




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