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Il barone Fanfulla da Lodi

Anonymous
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Una versione ancor più moderna (e adattata a' tempi nuovi) ad...
IL FANFULLA DA LODI

Evviva gli ombrelli Pirelli
che paran gli uccelli, che paran gli uccelli,
Evviva gli ombrelli Pirelli
che paran gli uccelli, dall'umidità.

Il barone Fanfulla da Lodi,
condottiero di gran rinomanza,
fu condotto un bel giorno in istanza
da una donna dai facili amor.

Era vergine il prode Fanfulla,
ma alla vista di tanta maliarda
tirò fuori la casta alabarda
e con zelo si mise a giostrar.

Gran condottier, gran cavalier,
cessa di far la guerra, la guerra, la guerra;
gran condottier, gran cavalier,
cessa di far la guerra e vieni a goder!

E cavalca, cavalca, cavalca,
alla fine Fanfulla s'accascia;
lo risveglia la turpe bagascia:
"100 scudi mi devi donar!"

"Vaffancul, vaffancul, vaffanculo!"
le risponde Fanfulla incazzato:
"20 scudi io gia t'ho donato,
gli altri 80 li prendi nel cul!"

Evviva l'amor, evviva l'amor:
quando si fa la cacca, la cacca, la cacca,
Evviva l'amor, evviva l'amor:
quando si fa la cacca si sente l'odor.

Passa un giorno, due giorni, tre giorni,
a Fanfulla fa male l'uccello:
"Cos'è mai questo male novello
che natura mi vuole donar?"

Fu chiamato un dottore di grido
che gli disse: "mio caro Fanfulla,
qui bisogna amputare una palla
se di scolo non vuoi tu morir!"

Di Fanfulla l'orrido membro
fu deposto in una gelida bara;
cento vergin facevano a gara,
intonando codesta canzon:

"Facesti il fol, facesti il fol:
chiavasti senza guanto, senza guanto, senza guanto;
facesti il fol, facesti il fol:
chiavasti senza guanto e beccasti lo scol."

La morale di questa vicenda
assomiglia alla legge del Menga:
"chi l'ha preso nel cul se lo tenga,
se lo tenga fin dove gli sta!"

Di rimando alla legge del Menga,
contrapposta è la legge del Volga:
"chi l'ha preso nel cul se lo tolga,
e lo metta nel cul del vicin."

Ma in materia di scoli e banani
non c'è proprio mai nulla che tenga;
vige solo la legge del Menga
che a un dipresso si enuncia così:

"Chi l'ha nel cul, chi l'ha nel cul,
nel culo se lo tenga, se lo tenga, se lo tenga;
chi l'ha nel cul, chi l'ha nel cul,
nel culo se lo tenga, e lo tenga ben dur."
IL DVCETTO SILVIUCCIO D'ARCORE

Il dvcetto Silviuccio d'Arcòre
gabbamondo di gran rinomanza
si trovò a una festa in istanza
la Noemi dai grandi bollor.

Era nuova ai certami d'amore,
la graziosa lo chiamava “papi”;
Silvio n'ebbe dei gran grattacapi
nonostante la sua tarda età.

E cavalca, cavalca, cavalca
alla fine Silviuccio s'arrende,
dà il regalo e poi leva le tende,
se ne torna l'Itaglia a guidar!

Ma la cosa fu tosto cognìta
dalla moglie donna Veronìca:
“Questa qui non gliela passo mica”,
e s'appresta a mandarlo nel cul.

Vaffancul, vaffancul, vaffanculo,
incazzata, donna Veronìca
scrive subito a “Repubblìca”
poi il divorzio ella va a preparar.

Passa un giorno, due giorni, tre giorni,
Silvio enuncia la solita lagna,
gli risponde madonna Carfagna:
“Or ti dico come devi far!”

E succhiando un bel lecca-lecca
lei gli dice: “Non ci sono cristi,
devi dar colpa ai comunisti,
funge sempre, e tu lo sai ben!”

Fu chiamato il Vittorio Feltri,
direttore del diario Libèro:
“O Vittorio, il Silvio gli è nero,
la Veronica vuol divorziar.”

Ed allora di denigrazione
della moglie partì la campagna,
mentre il Silvio con monna Carfagna
si diletta di legislaziòn.

Risultato di questa vicenda
è che il negro ed il marocchino
pagan pure per qualche pompino
ed in mare li vanno a buttar!

La morale di questa vicenda
si riduce alla legge del menga:
chi l'ha preso nel cul se lo tenga
e rivoti sia pur Berluscon!

Però oltre alla legge del menga
ci sta pure la legge di Lega:
se al potente gli fanno una sega
e gli è colpa dell'immigraziòn!



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