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Songs of Children Cantata

Robert Convery
Pagina della canzone con tutte le versioni


Version française - La Cantate des Enfants de Thérésine – Marc...
CANTATA DELLE CANZONI DI BAMBINI
"Ma guardati e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste: non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli."

(Cap. 4, ver. 9 dal Deuteronomio, quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana.)
Il giardino

E’ piccolo il giardino
profumato di rose,
è stretto il sentiero
dove corre il bambino:
un bambino grazioso
come un bocciolo che si apre:
quando il bocciolo si aprirà
il bambino non ci sarà.


Terezín

Appena qualcuno arriva qui
ogni cosa gli sembra strana.
Come, devo coricarmi per terra?
No, io non mangerò quella sudicia patata nera.
E questa sarà la mia casa? Dio, com'è lurida!
Il pavimento è solo fango e sporcizia
e qui io dovrei distendermi.
Come farò senza sporcarmi?
C’è sempre un gran movimento quaggiù
e tante, tante mosche:
le mosche non portano le malattie?
Ecco, qualcosa mi ha punto: una cimice forse.
Com’è orribile Terezín!
Chissà quando ritorneremo a casa.


Una sera di sole

In una sera di sole, sotto l'azzurro del cielo,
sotto le gemme fiorite di un robusto castagno,
me ne sto seduto, nella polvere del cantiere.
E' un giorno come ieri, un giorno come tanti.

Bellissimi gli alberi fioriscono
nella loro legnosa vecchiaia, così belli
che io quasi non oso alzare gli occhi
lassù, al loro verde splendore.

Un velo tessuto d'oro solare
a un tratto fa trasalire il mio corpo
mentre il cielo mi lascia un grido azzurro
e certo, ne sono sicuro, mi sorride.

Ogni cosa fiorisce e senza fine sorride.
Vorrei volare, ma come, ma dove?
Se tutto è in fiore, oggi mi dico,
perché io non dovrei? E per questo resisto!


Il topolino

In fondo al nido il topolino
si cerca una pulce nel pelo fino.

Si dà da fare, fruga e rifruga,
ma non la trova, non ha fortuna.

Gira di qui, gira di là,
ma la pulcetta non se ne va.

Ed ecco arriva il papà topo,
che al suo pelo fa un sopraluogo.

Ecco che acciuffa quella pulcetta
e poi nel fuoco lesto la getta.

Il topolino corre diretto
ad invitare il suo nonnetto:

“Menù del giorno
pulcetta al forno!”.


Terezín

Una macchia di sporco dentro sudice mura
e tutt’attorno il filo spinato:
30.000 ci dormono
e quando si sveglieranno
vedranno il mare
del loro sangue.

Sono stato bambino tre anni fa.
Allora sognavo altri mondi.
Ora non sono più un bambino,
ho visto gli incendi
e troppo presto sono diventato grande.

Ho conosciuto la paura,
le parole di sangue, i giorni assassinati:
dov’è il Babau di un tempo?

Ma forse questo non è che un sogno
e io ritornerò laggiù con la mia infanzia.
Infanzia, fiore di roseto,
mormorante campana dei miei sogni,
come madre che culla il figlio
con l’amore traboccante
della sua maternità.

Infanzia miserabile catena
che ti lega al nemico e alla forca.
Miserabile infanzia, che dentro il suo squallore
già distingue il bene e il male.

Laggiù dove l’infanzia dolcemente riposa
nelle piccole aiuole di un parco,
laggiù, in quella casa, qualcosa si è spezzato
quando su me è caduto il disprezzo:
laggiù nei giardini o nei fiori
o sul seno materno, dove io sono nato
per piangere…

Alla luce di una candela m’addormento
forse per capire un giorno
che io ero una ben piccola cosa,
piccola come il coro dei 30.000,
come la loro vita che dorme
laggiù nei campi,
che dorme e si sveglierà,
aprirà gli occhi
e per non vedere troppo
si lascerà riprendere dal sonno…


La città chiusa

Ogni cosa cade giù di sghembo
come la gobba di una vecchia.

In ogni occhio brilla l’immobile attesa
e una parola: quando?

Qui non ci sono molti soldati
e solo gli uccelli abbattuti ricordano la guerra.

Si finisce per credere a tutte le voci.

Le case non sono mai state così piene:
un corpo sull’altro.

Stasera passavo per una strada deserta
e a un tratto ho visto un carro che trasportava cadaveri.

Perché i tamburi rullavano tanti appelli?
Perché ora tanti soldati?

Poi ... una settimana dopo la fine
tutta la città era vuota
e un colombo affamato beccherà le briciole intorno.

Nel bel mezzo della strada
sordido e vuoto
resterà il carro da morto.


Terezín

Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
e scavano un solco nella nostra memoria.

Da troppo tempo siamo una schiera di maledetti
che vuole stringere le tempie dei suoi figli
con le bende della cecità.

Quattro anni dietro a una palude
In attesa che irrompa un’acqua pura.

Ma le acque dei fiumi scorrono in altri letti,
in altri letti,
sia che tu muoia o che tu viva.

Non c’è fragore d’armi, sono muti i fucili,
non c’è traccia di sangue qui: nulla,
solo una fame senza parole.

I bambini rubano il pane e chiedono soltanto
di dormire, di tacere e ancora di dormire…

Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
e scavano un solco nella nostra memoria.

Neppure gli anni potranno cancellare
tutto ciò.


La canzone dell’uccello

Chi s’aggrappa al nido
non sa che cos’è il mondo,
non sa quello che tutti gli uccelli sanno
e non sa perché voglio cantare
il creato e la sua bellezza.

Quando all’alba il raggio del sole
illumina la terra
e l’erba scintilla di perle dorate,
quando l’aurora scompare
e i merli fischiano tra le siepi,
allora capisco come è bello vivere.

Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:
anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,
vedrai che è bello vivere.


To Olga

Ascolta,
già fischia la sirena della nave.
Su, partiamo
per porti sconosciuti!
Ecco,
è già l’ora.

Navigheremo lontano,
i sogni diventeranno realtà.
Oh, dolce nome del Marocco!
Ecco,
è già l’ora.

Il vento ci porta canzoni
di paesi lontani.
Guarda il cielo
e pensa soltanto alle violette.

Ecco,
è già l’ora.



LA CANTATE DES ENFANTS DE THÉRÉSINE

Le Jardin
Poème conservé avec sept autres, tous écrits à la main. Il s'agit sans doute de copies. Sur le devant : la signature “Franta Bass”.
Frantizek Bass, né à Brno le 4.9.1930, fut déporté à Thérésine le 2.12.1942. Mort le 28.10.1944 à Auschwitz.

C'est un petit jardin
Parfumé de mille roses.
Son sentier est étroit
Où court l'enfant.
Un enfant joli, un petit enfant
Comme un bouton qui s'ouvre
Quand la fleur s'entrouvrira.
L'enfant ne sera plus là.



À Thérésine
Fragments retrouvés, écrits au crayon, sur un buvard par une main d'enfant maladroite, mais sans erreurs d'orthographe. Comme signature on trouve dans le coin droit le prénom “Teddy”. Ajoutées d'une main étrangère les indications 1943 et L 410. On n'a pas pu identifier leur jeune auteur. Il devait toutefois appartenait au cercle de Piroslav Košek, en compagnie duquel il était logé dans le bloc L 410.

Dès le moment où quelqu'un arrive ici
Chaque chose lui semble étrange.
Comment... Je dois me coucher par terre ?
Non, je ne mangerai pas ces patates pourries.
Et çà, ça sera ma maison ? C'est crasseux !
Le sol est boueux et sale
Et je devrais me coucher là.
Comment faire sans me salir ?
Il y a toujours un grand mouvement de cris et de pleurs
Et tant, tant de mouches.
Tout le monde sait que les mouches amènent des maladies.
Quelque chose m'a piqué : une punaise peut-être.
Comme Thérésine est horrible.
Qui sait quand je rentrerai chez moi...


Une soirée ensoleillée
Poème d'un prisonnier anonyme du bloc L 318, où étaient tous les garçons de 10 à 16 ans. Dactylographie. En haut à droite l'année 1944. Aucune autre indication.

Par une soirée empourprée d'un soleil couchant
Sous les bourgeons fleuris des châtaigniers
Je suis assis dans la poussière
C'est un jouir comme hier, une jour comme tant.

Les arbres très beaux fleurissent
Dans leur vieillesse ligneuse, si beaux
Que j'ose à peine lever les yeux
Vers leur verte splendeur, là-haut.

Une voile dorée d'or solaire
Soudain fait tressaillir mon corps
Quand le ciel me lance un cri bleu
Et il me sourit, j'en suis sûr.

Chaque chose fleurit et sans fin encor sourit
Je voudrais voler, mais comment, mais où ?
Si tout est en fleurs... je me dis, pourquoi pas moi ?
Voilà pourquoi je ne meurs pas.


La petite souris

Deux strophes enfantines, rimées, écrites à la plume sur un document administratif allemand. Signé de la façon suivante : en haut à droite : “Koleba: Košek, Löwy, Bachner”. Cette indication est complétée au crayon : “26/11”. Le fragment est écrit d'une main enfantine, incertaine, mais sans erreurs d'orthographe.
Miroslav Košek était né le 30.3.1932 à Horelice, en Bohème. Déporté à Thérésine le 25.2.1942, il mourra le 19.10.1944 à Auschwitz. À Thérésine, il logea au bloc L 410.
Hanuš Löwy était né à Ostrava le 29.6.1931. Déporté à Thérésine le 30.9.1942, il mourra le 4.10.1944 à Auschwitz.
On n'a pu trouver aucun renseignement sur Bachner.

Au fond de son nid, la petite souris
Cherche une puce dans son pelage gris
Elle s'affaire, elle fouille, elle fouine
Mais elle ne trouve pas, elle n'a pas de chance.

Elle se tourne par ci, elle se tourne par là
Mais la puce ne s'en va pas.

Voici qu'arrive son papa
Qui examine ses poils ras

Voilà qu'il attrape cette puce
Et puis, il la jette dans le feu.

La petite souris ne perd pas de temps
Elle court inviter son grand-père à l'instant

« Menu du jour
Puce au four ! »


Thérésine


Poème écrit à la machine. Indication dans le coin droit : IX, 1944; ajouté au crayon, en bas à droite : écrit par des enfants des blocs L 318 et L 417 , 10-16 ans. Pas de signature. O. Klein qui fut “éducateur” à Thérésine a identifié l'auteur en Hanuš Hachenburg.
Hanuš Hachenburg était né à Prague le 12.7.1929. Dé^porté à Thérésine le 24.10.1942, il est mort à Auschwitz le 18.12.1943.

Une tache sale sur un mur pourri
Et tout autour le fil barbelé.
On dort là à 30.000
Et quand on s'éveillera
On verra la mer
de notre sang.

J'étais un enfant il y a trois ans
Je rêvais alors d'autres pays
Maintenant je ne suis plus un enfant
J'ai vu les incendies
Et trop vite, je suis devenu grand.


J'ai connu la peur
Les jours assassins, les mots de sang.
Mais où est le croquemitaine d'antan ?


Mais ce n'est peut-être qu'un songe
Et je m'éveillerai, à nouveau enfant.
Dans mon enfance, fleur de roseraie,
Murmurante clochette de mes songes,
Comme une mère qui berce son bébé
Avec l'amour débordant
De sa maternité.


Enfance misérable chaîne
Qui te lie à l'ennemi et au gibet.
Misérable enfance qui dans sa tristesse
Distingue déjà le bien et le mal.


Là-bas où doucement mon enfance repose
Dans les petits parterres d'un parc.
Là-bas, dans cette maison, quelque chose s'est brisé
Quand sur moi est tombé le mépris.
Là-bas dans les jardins ou dans les fleurs
Ou sur le sein maternel, où je suis né
Pour pleurer...

À la lumière d'une bougie je m'endors
Peut-être pour comprendre un jour
Que j'étais une bien petite chose.
Petite comme le chœur des 30.000,
Comme notre vie qui dort
Là-bas dans les champs
Qui dort et qui s'éveillera,
ouvrira les yeux
Et pour ne pas trop en voir
Se laissera reglisser dans le noir ...


La Ville Close

Cette poésie existe seulement en copie dactylographiée. Sans indication.

Chaque chose tombe de travers
Comme la bosse d'une vieille

Dans chaque œil brille l'immobile attente
Et un mot : quand ?

Ici, il n'y a pas beaucoup de soldats
Et les seuls oiseaux abattus rappellent la guerre.

On finit par croire à toutes les rumeurs.
Les maisons n'ont jamais été aussi pleines :
Entassés, un corps sur l'autre.

Ce soir, je passais par une rue déserte
Et d'un coup, je vis un chariot qui transportait des cadavres.

Pourquoi les tambours roulent-ils tant d'appels ?
Pourquoi à présent tant de soldats ?

Puis ... Une semaine après la fin
La ville sera vide
Et un pigeon affamé picorera nos miettes.


Au beau milieu de la rue
Sordide et vide
Restera le chariot de la mort.


Thérésine
Poème dactylographié. Au crayon, dans le coin supérieur droit : 1944. Au sixième vers une correction au fusain : “dva roky” (deux ans) corrigé en “ctvrty rok” (quatre ans). Dans le coin inférieur droit, la signature “Mif” a été ajoutée au crayon.

De pesantes roues nous écrasent le front
Et creusent un sillon dans notre mémoire.

Nous sommes depuis trop longtemps une colonne de maudits
qui veulent enserrer les temps de leurs enfants
Avec les bandages de l'aveuglement.

Quatre ans derrière un marais
En attente d'une eau pure.

Mais les eaux des rivières courent dans d'autres lits,
Dans d'autres lits,
Que tu vives ou que tu meures.

Il n'y a pas de fracas des armes, les fusils sont muets.
Il n'y a aucune trace de sang ici : rien.
Seulement une faim sans paroles.

Les enfants volent le pain et demandent seulement
À dormir, à se taire, à encore dormir....

De pesantes roues nous écrasent le front
Et creusent un sillon dans notre mémoire.

Les années même ne pourront effacer
Tout cela.



La chanson de l'oiseau

Manuscrit écrit à la plume sur une feuille de papier blanc, avec trois autres fragments du même auteur. Daté 1943. Derrière la feuille au crayon : L 410. Pas d'autre information.

Celui qui s'accroche à son nid,
Ne sait pas ce qu'est le monde.
Il ne sait pas ce que savent tous les oiseaux
Et il ne sait pas ce pourquoi je veux chanter
Le monde et sa beauté.

Quand à l'aube le rayon du soleil
Illumine la terre
Et l'herbe scintille de perles dorées,
Quand l'aurore disparaît
Et que les merles sifflent dans les haies...
Alors, je comprends comme il est bon de vivre.

Essaye, ô mon ami, d'ouvrir ton cœur à la beauté
Quand tu promènes dans la nature
Pour tresser des guirlandes à tes souvenirs.
Même si tes larmes coulent le long de la route,
Tu verras qu'il est merveilleux de vivre.


À Olga

Ce poème a été écrit au crayon sur un bout de papier ligné. Il n'est pas signé, mais comporte le sigle du bloc L. 410. D'après l'écriture, on l'attribue à Alena Synková, née à Prague le 24.9.1926, déportée à Thérésine il 22.12.1942. Elle a survécu.

Écoute,
Déjà siffle la sirène du navire
Et nous devons partir
Vers un port inconnu !
Écoute,
C'est l'heure déjà.

Nous naviguerons loin,
Nos rêves deviendront réalité.
Oh ! Doux nom du Maroc !
Écoute,
C'est l'heure déjà.


Le vent nous dit des chansons
De pays lointains.
Regarde le ciel
et pense seulement aux violettes.

Écoute,
C'est l'heure déjà.




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