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Şanar Yurdatapan
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Version française – NOS FEMMES – Marco Valdo M.I. – 2020

Erano le 12:10 nella carrozza ristorante dell'Anatolia Express.[1]
Erano rimaste tre persone nella carrozza:
il cameriere Mustafa, il maitre e lo chef Mahmut Asher.
Si sedettero al primo tavolo,
dove il dignitario si era seduto un'ora prima.
Le tovaglie bianche erano sparite,
e le luci rosse erano state spente --
adesso c’erano solo vecchi paralumi.
Puzzava di bar abbandonato.
E il cameriere Mustafa
lesse la sua epopea:
" AGOSTO 1922 "
e
"LA STORIA DELLE NOSTRE DONNE"
e
GLI ORDINI DEL 6 AGOSTO ... "
Lo chef Mahmut Asher chiese:
"È qui che abbiamo interrotto?"
"Sì.
Abbiamo letto la storia di Mustafa Suphi e dei suoi compagni per ultima,
e questa sezione è la prossima ".
"Va bene, allora, leggi."
"Sto leggendo:


[ LA STORIA DELLE NOSTRE DONNE ]

I carri trainati da buoi rotolavano sotto la luna.
I carri trainati da buoi rotolavano oltre Akşehir verso Afyon.[2]
La terra era così vasta
e le montagne così lontane nello spazio,
sembrava che non avrebbero mai raggiunto
la loro meta.
I carri trainati da buoi avanzavano su solide ruote di quercia,
le prime ruote che abbiano mai girato
sotto la luna.
I buoi appartenevano a un mondo
in miniatura,
piccino e nano
sotto la luna,
e la luce giocava sulle loro corna rovinate e malaticce
e la terra scorreva
sotto i loro piedi,
terra
e ancora terra.
La notte era luminosa e calda,
e nei loro letti di legno sui carri trainati da buoi
le bombe blu scuro giacevano nudi.
E le donne
nascondevano gli sguardi l’un l’altra
mentre guardavano i buoi morti
e ruote di convogli passati ...
E le donne,
le nostre donne
con le loro meravigliose mani benedette, [3]
piccoli menti appuntiti e grandi occhi,
le nostre madri, amanti, mogli,
che muoiono senza aver mai vissuto,
che mangiano ai nostri tavoli
dopo i buoi, [4]
che rapiamo e portiamo sulle colline
e andiamo in prigione per ciò, [5]
che raccolgono grano, tagliano tabacco, tagliano legna e barattano nei mercati,
che sfruttiamo per i nostri aratri,
che con le loro campane e i fianchi ondulati pesanti
si assoggettano a noi in ovili
nel luccichio dei coltelli infissi nel terreno-
le donne,
le nostre donne,
camminavano sotto la luna ora
dietro i carri trainati da buoi e le munizioni
con la stessa facilità
e stanchezza abituale delle donne
trascinando covoni dalle orecchie ambrate fino all'aia.
E i loro bambini dal collo macilento
dormivano sull'acciaio di proietti da 15 cm [6]
E i carri trainati da buoi avanzavano sotto la luna
oltre Akşehir verso Afyon.

NOS FEMMES

Il était 12h10 dans le wagon-restaurant de l’Anatolia Express.
Trois personnes étaient restées dans la voiture :
Le serveur Mustafa, le maître d’hôtel et le chef Mahmut Asher.
Ils s’assirent à la première table,
Où le dignitaire s’était assis une heure avant.
Les nappes blanches avaient disparu
Et les lampes rouges avaient été éteintes ;
Maintenant, seuls restaient de vieux abat-jour.
Ça sentait le bar abandonné.
Et le serveur Mustafa
Lut son épopée :
« AOÛT 1922 »
Et
« L’HISTOIRE DE NOS FEMMES »
Et
« LES ORDRES DU 6 AOÛT … »
A demandé le chef Mahmut Asher :
« Est-ce là que nous avons arrêté ? »
« Oui.
Nous avons lu en dernier l’histoire de Mustafa Suphi et de ses compagnons,
Et cette section est la suivante ».
« Très bien, alors, lis. »
« Je suis en train de lire :

L’HISTOIRE DE NOS FEMMES

Les chars à bœufs roulaient sous la lune.
Les chars à bœufs roulaient d’Akşehir à Afyon.
La plaine était si vaste
Et les montagnes si loin dans l’espace,
Qu’il semblait qu’ils n’atteindraient jamais
Leur destination.
Les chars à bœufs avançaient sur des roues en chêne massif,
Les premières roues qui ont jamais tourné
Sous la lune.
Les bœufs appartenaient à un monde
En miniature,
Enfantin et nain
Sous la lune,
Et la lumière jouait sur leurs cornes abîmées et maladives
Et la terre coulait
Sous leurs pieds,
Terre
Et encore terre.
La nuit était lumineuse et chaude,
Et dans leurs lits de bois sur des chars à bœufs
Les obus bleu foncé gisent nus.
Et les femmes
Cachaient leurs regards l’une à l’autre
Tandis qu’elles regardaient les bœufs morts
Et les ornières des convois passés…
Et les femmes,
Nos femmes
Avec leurs merveilleuses mains bénies,
Leurs petits esprits pointus et leurs grands yeux,
Nos mères, nos amoureuses, nos épouses,
Qui meurent sans avoir jamais vécu,
Qui mangent à nos tables
Après les bœufs,
Que nous raptons et emmenons dans les collines
Et nous allons en prison pour cela,
Qui récoltent des céréales, coupent le tabac, coupent le bois et troquent sur les marchés,
Que nous exploitons pour nos charrues,
Qui, avec leurs cloches et leurs pesants flancs ondulés
Se soumettent à nous dans les bergeries
Au scintillement des couteaux plantés dans le sol.
Les femmes,
Nos femmes,
Cheminaient à présent sous la lune
derrière les chars à bœufs et les munitions
Avec la même facilité
Et l’habituelle fatigue des femmes
Traînant des gerbes aux oreilles ambrées jusqu’à l’aire.
Et leurs enfants au cou émacié
Dormaient sur l’acier des obus de 155
Et les chars à bœufs avançaient sous la lune…
D’Akşehir vers Afyon.
[1] È un treno per gran signori. Rammentiamo che sono loro l’oggetto della narrazione del secondo libro in cui è inserito l’episodio. Ben diversi dalla gente narrata nel primo libro, così come diverso è il treno.

[2] I resistenti si muovono da est, attraversano Akşehir, sede del quartier generale dell’esercito turco, e vanno verso i campi di papaveri di Afyon (significa oppio, dal 2004 si chiama Afyonkarahisar ) per rifornire le truppe prima della battaglia di Dumlupınar del 29 agosto 1922. La strategia attendista e partitiva di Atatürk fu decisiva per l’esito del conflitto greco-turco. L’esercito greco subì una pesante sconfitta, costretto ad una rovinosa ritirata verso Smirne.

[3] Obiezione al traduttore: è vero che mübarek potrebbe essere tradotto anche con sacre, ma è più appropriato il termine sante e, ancora meglio, benedette. Mübarek viene dalla radice semitica ب ر ك [b-r-k] / benedire - benedetto. È una processione laica di un popolo laico: il sacro è fuori posto, il santo si potrebbe accogliere ma con notevoli riserve. La sovrapposizione dei due significati sacro e santo attraversa la storia da quando le religioni si sono costituite come strutture di potere escludenti. In origine ιερός [ieros] e αγιος [agios] erano distanti, analogamente in ebraico כהן [cohen] e קדש [qaddesh]. Nell’ islam sarebbero الحرم [ḥaram] e قدس [qades].

[4] Non è un’affermazione di biasimo verso i mariti. Il bue era l’unico mezzo di sostentamento per l’intera famiglia, la sua vita aveva la precedenza su tutti gli altri membri della famiglia

[5] Hikmet parla di un’usanza patriarcale dell’Anatolia. Gli sposi che non hanno il permesso dalla famiglia della sposa ricorrono alla fuga in montagna. Seguiva il matrimonio riparatore. Succedeva però che o per l’impossibilità di pagare il başlık / prezzo della sposa al padre di lei o per l'età inferiore ai 18 anni della sposa, lo sposo veniva portato in prigione.
Le usanze diffuse in Anatolia sono descritte nel saggio Il maschio camaleonte: strutture patriarcali nell’Impero ottomano e nella Turchia moderna

[6] Desta qualche curiosità la specificazione dei 15 cm. Convinti che Hikmet non l’abbia citato a caso, come un riempitivo, abbiamo spulciato alcune pubblicazioni sull’artiglieria da campagna impiegata dall’esercito ottomano sul fronte balcanico e anatolico nel primo Novecento, arrivando alle seguenti conclusioni.
Si tratta di proietti per obici 15cm sFH [ schwere Feldhaubitze], prodotti dalla Krupp, peso 42 kg. Molto probabilmente il modello é sFH93, il più impiegato dall’artiglieria ottomana durante la 1^ guerra mondiale.
Adesso abbiamo un’idea più nitida di ciò che Hikmet ha voluto offrirci: bambini inermi accanto a materiali voluminosi di morte che a loro volta, in casi come questo, si rendono purtroppo necessari alla sopravvivenza di un popolo.
Delle armi discorriamo con comprensibile riluttanza; a chi fosse interessato ai dettagli sugli strumenti di morte segnaliamo il sito sull’ artiglieria turca WW1 e obici tedeschi.
La foto seguente mostra un tipico 15cm sFH sul fronte turco. Da notare la grafia in caratteri arabi che era quella ufficiale dell’Impero Ottomano sino alla riforma di Atatürk.



[Riccardo Gullotta]


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