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Angelo Branduardi: Confessioni di un malandrino

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OriginaleTraduzione di Renato Poggioli (1907-1963) della poesia di Esenin Da:...
ANGELO BRANDUARDI: CONFESSIONI DI UN MALANDRINO

Mi piace spettinato camminare
Col capo sulle spalle come un lume
Così mi diverto a rischiarare
Il vostro autunno senza piume
Mi piace che mi grandini sul viso
La fitta sassaiola dell'ingiuria
Mi agguanto solo per sentirmi vivo
Al guscio della mia capigliatura

Ed in mente mi torna quello stagno
Che le canne e il muschio hanno sommerso
Ed i miei che non sanno di avere
Un figlio che compone versi
Ma mi vogliono bene come ai campi
Alla pelle ed alla pioggia di stagione
Raro sarà che chi mi offende scampi
Dalle punte del forcone

Poveri genitori contadini
Certo siete invecchiati e ancor temete
Il signore del cielo e gli acquitrini
Genitori che mai non capirete
Che oggi il vostro figliuolo è diventato
Il primo fra i poeti del paese
Ed ora in iscarpe verniciate
E col cilindro in testa egli cammina

Ma sopravvive in lui la frenesia
Di un vecchio mariuolo di campagna
E ad ogni insegna di macelleria
Alla vacca si inchina sua compagna
E quando incontra un vetturino
Gli torna in mente il suo concio natale
E vorrebbe la coda del ronzino
Regger come strascico nuziale

Voglio bene alla patria
Benché afflitta di tronchi rugginosi
M'è caro il grugno sporco dei suini
E i rospi all'ombra sospirosi
Son malato di infanzia e di ricordi
E di freschi crepuscoli d'aprile
Sembra quasi che l'acero si curvi
Per riscaldarsi e poi dormire

Dal nido di quell'albero le uova
Per rubare salivo fino in cima
Ma sarà la sua chioma sempre nuova
E dura la sua scorza come prima
E tu mio caro amico vecchio cane
Fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia
E giri a coda bassa nel cortile
Ignaro delle porte dei granai

Mi son cari i miei furti di monello
Quando rubavo in casa un po' di pane
E si mangiava come due fratelli
Una briciola l'uomo ed una il cane
Io non sono cambiato
Il cuore ed i pensieri son gli stessi
Sul tappeto magnifico dei versi
Voglio dirvi qualcosa che vi tocchi

Buona notte la falce della luna
Si cheta mentre l'aria si fa bruna
Dalla finestra mia voglio gridare
Contro il disco della luna
La notte è così tersa
Qui forse anche morire non fa male
Che importa se il mio spirito è perverso
E dal mio dorso penzola un fanale

O Pegaso decrepito e bonario
Il tuo galoppo è ora senza scopo
Giunsi come un maestro solitario
E non canto e non celebro che i topi
Dalla mia testa come uva matura
Gocciola il folle vino delle chiome
Voglio essere una gialla velatura
Gonfia verso un paese senza nome
CONFESSIONE D'UN MALANDRINO

Non a ciascuno è dato di cantare,
non a ciascuno è dato di cadere
come una mela ai piedi di qualcuno.

Eccovi la suprema confessione,
quella che vi può fare un malandrino.

Mi piace spettinato camminare
col capo sulle spalle come un lume,
e cosí mi diverto a rischiarare
il vostro triste autunno senza piume.

Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiuola dell'ingiuria:
mi agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura.

Ed in mente mi torna quello stagno
che le canne ed il muschio hanno sommerso,
e mio padre e mia madre che non sanno
d'avere un figlio che compone versi.

Ma mi vogliono bene come ai campi,
alla pelle e alla pioggia di stagione:
raro sarà che chi m'offende scampi
da loro e dalle punte del forcone.

Poveri genitori contadini!
Certo siete invecchiati e ancor temete
il signore del cielo e gli acquitrini...
Genitori che mai non capirete
che oggi il vostro figliolo è diventato
il primo fra i poeti del paese...

Quando correva scalzo sul bagnato
vi si copriva l'anima di brina:
ora invece in iscarpe verniciate
e col cilindro in testa egli cammina.

Ma sopravvive in lui la frenesia
d'un vecchio mariolo di campagna,
e ad ogni insegna di macelleria
alla vacca s'inchina, sua compagna.

E quando in piazza incontra un vetturino,
gli torna in mente il suo concio natale,
e vorrebbe la coda del ronzino
reggere come strascico nuziale.

Voglio bene alla patria,
l'amo senza confine,
benché afflitta di tronchi rugginosi.
M'è caro il grugno sporco dei suini
ed i rospi nell'ombra sospirosi.

Son malato d'infanzia e di ricordi
e di freschi crepuscoli d'aprile.
Sembra quasi che l'acero si curvi
per riscaldarsi al rogo e poi dormire.

Dai nidi di quell'albero le uova
per rubare salivo fino in cima.
Ma sarà la sua chioma sempre nuova
e dura la sua scorza come prima?

E tu, mio caro amico,
vecchio cane fedele?
Fioco e cieco t'ha reso la vecchiaia,
e giri a coda bassa nel cortile,
ignaro delle porte e dei granai.

Mi son cari i miei furti di monello,
quando rubavo in casa un po' di pane,
e si mangiava come due fratelli,
una briciola l'uomo ed una il cane.

Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi,
e come fiori in grano, in viso gli occhi.
Sui tappeti magnifici dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.

Buona notte!
La falce risonante della luna
si cheta mentre l'aria si fa bruna.
Dalla finestra mia voglio stasera
pisciare contro il disco della luna.

L'azzurro della notte è cosí terso:
qui forse anche morire non fa male.
Che importa se il mio spirito è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale?

O Pegaso decrepito e bonario,
il tuo galoppo è ora senza scopo.
Giunsi come un maestro solitario
e non canto e non celebro che i topi.

Dalla mia testa come uva matura
gocciola il folle vino delle chiome...
Voglio essere una gialla velatura
gonfia verso un paese senza nome.


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