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Χριστόδουλος Χάλαρης, Νίκος Ξυλούρης, Τάνια Τσανακλίδου: Ἐρωτόκριτος

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Pagina della canzone con tutte le versioni


Version française – ÉROTOCRITE – Marco Valdo M.I. – 2018
1. La ruota del Destino
Nikos Xylouris



I giri del cerchio, che salgono e scendono,
E della ruota, che ora ascendono e ora si inabissano
Con il mutar del tempo che riposo non conosce
Ma che a sventure e letizie camminano e corrono.

E delle armi i tumulti, le inimicizie, i gravami,
I poteri dell'Amore, la virtù dell'Amicizia.
Tutto ciò mi spinse, in questo giorno d'oggi
A raccontare [1] e a dire quel che passarono e fecero

Una fanciulla e un giovane, che si legarono assieme [2]
In amicizia incorrotta, senza nulla d'indecente.
Di nome, dolce nome, lei faceva Aretùsa, [3]
Molte eran le sue bellezze, esteriori e interiori. [4]

Donna colma di grazia l'aveva fatta la natura,
Eguale a lei non si trovava né a Oriente e né a Occidente.
E il nome del giovane era invece Erotòcrito, [5]
Era fonte di virtù, sorgente [6] di nobiltà.

E di tutte le grazie generate dal Cielo e dalle Stelle
Ad esse era stato destinato, di esse era stato adornato.
E quando la fresca notte a ognuno dona riposo
E ogni animale cerca un posto dove dormire,

Lui prendeva il suo liuto, e camminando in silenzio
Lo andava a suonar dolcemente davanti alla Reggia.

2. Radici
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Nei tempi andati, quando gli Elleni [7] comandavano
E la loro fede non aveva né base e né radice [8]
Comparve nel mondo un amore fedele [9]
Che fu inciso [10] nel cuore senza mai cancellarsi.

Ad Atene, che nutriva lo studio e la sapienza [11]
E che era trono di virtù e fiume di conoscenza,
Un grande Re reggeva quella degna terra,
Si chiamava Eraclio e divenne celebrato.

Da giovanissimo si sposò e visse assieme
A una compagna cui nessuno mai trovò difetto,
Artemide si chiamava quella Regina,
Di saggezza ella non ebbe mai altra uguale. [12]

E pregavano spesso il Sole e il Cielo
Che concedessero loro il figlio che desideravano; [13]
Passano gli anni e i tempi, e la Regina resta incinta,
E il Re non ebbe più a aver gravi pensieri. [14]

Ebbe [15] una figlia che fece risplendere la Reggia
Quando la balia la teneva in braccio,
Ed il suo nome, dolce nome, era Aretùsa,
Molte eran le sue bellezze, esteriori e interiori. [16]

Il Re disponeva di molti uomini ricchi e saggi,
Consiglieri che eran suoi vassalli fedeli.
Tra tutti loro, uno gli era caro e stava sempre in sua compagnia,
Uno che di nome lo chiamavano Pezòstrato. [17]

Anch'egli aveva un figlio assai adorato,
Intelligente e di gran valore, dolce come zucchero.

3. L'ora dell'amore
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



E il nome del giovane era Erotocrito,
Era fonte di virtù, sorgente di nobiltà.
E di tutte le grazie generate dal Cielo e dalle Stelle
Ad esse era stato destinato, di esse era stato adornato. [18]

Ed in quel tempo, vuole il suo amaro fato [19]
Mettergli nel pensiero l'amore per Aretusa.
E che cosa fa l'Amore, in un cuore che comanda,
Se non vincerlo in modo che non distingua il bene dal male?

Si fece sera, si fece notte, i loro cuori vengono meno,
Ecco che s'incontrano alla finestra a dirsi i loro tormenti.
Un'ora non facevan che piangere e gemere aspramente,
E poi con gran sospiri cominciavan le loro pene. [20]

4. Le tristi novelle [21]
Nikos Xylouris




Le hai udite, Aretusa mia, le tristi novelle?
Il tuo Signore mi ha mandato sulle strade dell'esilio.
Quattro giorni soltanto m'ha dato per restare,
E dopo infine partirò per andarmene lontano.

E come farò a separarmi, a allontanarmi da te?
Come potrò vivere senza di te in quel lontano esilio?
So pure che il tuo Signore ti farà sposare presto,
Cerca il figlio d'un re o d'un nobile che sia tuo pari.

E non puoi opporti al volere dei tuoi genitori,
Essi ti piegheranno [22] e muterai parere.
Ma, Signora, io ti chiedo, e questo solo io voglio,
E dopo questo con gran gioia finirò la mia vita.

Quando sarai promessa sposa, abbi per me un sospiro,
E quando ti vestiran da sposa e tu diverrai moglie,
Di' fra di te, in lacrime: Erotocrito infelice,
Ho scordato la mia promessa, quel che volevi non c'è più.

Ed una volta ogni mese, chiusa nella tua stanza,
Rammenta ciò che ho sofferto per te, soffra per me il tuo cuore.
E prendi anche il ritratto che hai trovato nell'armadio,
E i canti che composi, che ti piacquero tanto.

E leggili, e rivolgi anche a me il tuo pensiero,
A me che fui esiliato in remote terre straniere.
E io, infelice, fingerò di non averti mai vista,
Che avevo acceso una candela, ma che per me s'è spenta.

E fingerò d'esser stato preso nel laccio d'amore d'una donna,
Ma che il laccio s'è spezzato, e ho perso quel che avevo al mondo.
Dimenticami per sempre e caccia via ogni speranza,
Scordati d'avermi conosciuto, e che io ti abbia mai vista.

Ma dovunque io andrò, e fintanto che io viva,
Ti prometto che mai guarderò un'altra e che non cederò.
Te preferisco avere con la morte, che un'altra con la vita,
Per te è venuta al mondo tutta la mia persona.

5. Lamento di Aretusa
Tania Tsanaklidou



Le tue parole, Erotocrito, le tengo per veleno,
Mai avrei creduto, mai mi sarei aspettata di udirle.
E come potrei rinnegarti, volessi pure? Non mi lasciare,
Questo mio cuore tu lo hai posto sul braciere dell'amore.
E giuro innanzi al Cielo, al Sole e alla Luna
che un altro non mi prenderà mai come sua sposa.

E si toglie dal dito lo splendido anellino,
Tra lacrime e sospiri lo porge a Erotocrito.
Gli dice: “Ecco, prendilo e mettitelo alla mano destra,
Segno che, finché io viva, tu sarai il mio compagno.
E non te lo togliere mai, finché vivrai la vita,
Serbalo per ricordare sempre colei che te lo ha dato.
Preferirò morire cento volte, piuttosto che un altro
Mi prenda in sposa che non sia l'Erotocrito mio.

6. Il distacco
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou




Fino all'alba parlarono, piansero fino all'alba
E fino all'alba si dissero i loro dolori e le pene.
Lampeggiò il cielo ad oriente e tuonò a occidente,
Quando le loro labbra si aprirono all'addio.

Ed un grande prodigio avvenne alla finestra,
Le pietre e le inferriate piangono quel momento.
E se ne andò Erotocrito, ché l'ora già lo incalza,
Con un sospiro amaro che ne fu scosso il paese.

Ed i suoi tanti tormenti ai boschi li narrava,
E spesso a lui la valle o il monte rispondeva.
“Cielo, scaglia il fuoco e che il mondo ne sia preso,
E tutti ne sian presi e bruciati, eccetto Aretusa. [23]

Per l'ingiusto decreto che mi è stato applicato,
D'andarmene via esule lasciando il mio paese,
Stelle, non permettetelo! Sole, mandami un segno,
E contro quel re crudele scaglia la tua folgore.

7. L'incontro
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



E venne l'ora e il tempo, e sorge infine il giorno
Per Erotocrito, che riveli ciò che è nascosto.
Sorse gioiosa l'alba gettando la dolce rugiada,
Segno dell'allegria che quell'ora mostra.

Erbette spuntarono in terra, fiorirono gli alberelli,
E dal grembo del cielo soffiò una dolce tramontana.
Risplendevano i lidi, dormiva il mare, e s'udiva
Tra gli alberi e le acque come una dolce musica.

Ridono i valichi del paese, occhieggiano le strade,
Tutto appalesa gioie nascoste [24], tutto le manifesta;
E nella buia prigione [25] dove giaceva Aretusa
Entrarono due begli uccelli, e cantaron dolcemente.

8. Il falso racconto [26]
Nikos Xylouris



Appena che Erotocrito fu entrato nella prigione,
Con amoroso sguardo così le parla e dice:
“Rispondo a ciò che chiedi, e ascoltami bene,
Dove trovai l'anello che ti ho lasciato in cella.

Oggi fanno due mesi, io mi trovai in un bosco
Dalle parti di Ègripo [27], dove sfuggii a belve
Vogliose di sbranarmi, ma con violenta lotta
Parte scamparono, ma le più le uccisi con le mie mani.

Pericolosamente me ne sottrassi combattendo,
E mai avrei sperato di potermi salvare;
Ma mi aiutò la buona sorte; ne uccisi
E ne cacciai vita, e mi lasciaron sano e salvo.

Sentivo una gran sete dopo quella battaglia,
Cercando acqua mi avvicinai ad un leccio; [28]
Mi parve udire il gorgoglìo d'un ruscelletto,
Mi accosto e trovo l'acqua nella cavità di un pietrone.

La bevvi e mi rinfrescai, e mi passò la sete,
Ma pure [29] altri tormenti allor non mi mancavano.
Mi ero seduto a riposarmi presso il ruscelletto
Quando odo sospiri e gemiti come di un ammalato.

Mi alzo in fretta, e di corsa [30] mi affretto a andare
A veder chi sia che sta soffrendo e si lamenta terribilmente;
Ed entro nel folto delgi alberi là presso la fonte
E vedo, e trovo quel giovane che si lamenta. [31]

Trovo un leggiadro giovane, splendido come il sole,
Che giaceva insanguinato davanti a una caverna.
Capelli biondi e ricci, e nonostante avesse
L'aspetto di un morto, era palese la sua bellezza.

Accanto a lui giacevano due belve ammazzate,
E la sua spada, e le sue armi, eran tutte insanguinate.
Mi accosto e lo saluto; gli dico: “Salute a te, fratello.
Perché giaci morente, dov'è che sei ferito?”

Aveva gli occhi serrati, ma allora un po' si riprende,
Mi guardava in silenzio, e si tocca la gola.
Col dito, per due volte, in modo che io capissi,
M'indica dov'è ferito perché possa aiutarlo.

Io gli scopersi il petto togliendo l'armatura,
Gli trovo una ferita, poco sotto il palato;
Una cosa da nulla, un morso molto leggero
Ma il dente della belva doveva essere avvelenato
perché gli aveva tolto la forza ed il respiro,
Il veleno era passato e tutto lo aveva invaso.

Si spegneva come una candela che muore poco a poco,
Io molto piensi e mi afflissi per lui in quel momento.
Fratello nel mio cuore, lo piangevo e per lui soffrivo,
Ma pene, lacrime e lamenti non posson salvare un uomo.
Mi diceva agonizzando di star là e di non andar via,
Credeva che io potessi guarirlo da quella ferita.

Mi mostra allora il dito dove teneva l'anello,
Credetti che volesse darmelo in dono da amico.
A stento le mie orecchie udiron la sua voce,
E dissero le sue labbra: “Io ti ho persa, Aretusa.”
Questo disse soltanto; e finì la sua vita,
E con un triste rantolo l'anima gli uscì fuori.

Queste mani che vedi gli hanno scavato la fossa,
Queste lo han sollevato e queste lo hanno sepolto.
Com'ebbe udito questo, ristette un po' Aretusa
In silenzio, e il dolore la invase e ne fu perduta.

9. Lamentazione [32]
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Com'ebbe udito questo, ristette un po' Aretusa
In silenzio, e il dolore la invase e ne fu perduta.
L'ardire in lei s'accrebbe, e perse ogni ritegno,
Sentiva la mente volar via come un uccello che fugge.

Di nessuno ha vergogna, non teme più nessuno,
Ma tra i singhiozzi e i sospiri trabocca la sua pena.

10. Sconforto
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Erotocrito, perché dovrei voler prolungare la mia vita,
Quale speranza ormai mi resta perché voglia aspettarti?
Senza di te, come posso vivere ancora in questo mondo,
Maledetto il destino che questo m'ha riservato!

Vivevo con la tua vita, vedevo con la tua luce,
Pensando a te passavo e sopportavo ogni mia pena.
Ho rinnegato la mia ricchezza ed i miei genitori
E mai mi son pesati i castighi che m'infliggevano.

Pensando che eri tu, Erotocrito, il mio sposo,
Tu, per me, diventavi mia madre e mio padre.
Per te mi lamentai, per te soffrii dolori,
Per te son torturata ormai da cinque anni.

11. La rivelazione
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Voleva dirgli altre cose, ma le manca la voce,
E cadde a terra, bianca e fredda più della neve.
Egli non dice altro, ma si lavò e davanti a lei
Apparve com'era prima tornando al suo splendore.

Risplendeva Erotocrito senza più quel color nero,
Di nuovo il suo volto riacquista la sua bellezza,
D'oro tornan le chiome, le mani bianche come marmo
E bianco e rosso l'incarnato, il suo aspetto soave.

Lo riconosce Aretusa e ben se ne ricorda,
Ma non capisce ancora se è sveglia oppur se sta sognando.
Ancora viene meno; si volge e lo guarda con gran gioia,
Ma parlare ancora non può per la gran contentezza.

12. Il giorno splendido
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Venne quel giorno splendido, comincia il dolce tempo
in cui si assise Erotocrito in trono e prese il comando.
Non si vide mai una coppia di sposi tanto amata [33]
né mai un matrimonio tanto prospero e felice.

Ed ebbero figlioli, che divennero ricchi,
e madre ed anche nonna divenne Aretusa.
Perché l'uomo, se è saggio, nei guai non si smarrisce:
la rosa, quel bel fiore, nasce in mezzo alle spine.

Venne quel giorno splendido, comincia il dolce tempo
in cui si assise Erotocrito in trono e prese il comando.
Non si vide mai una coppia di sposi tanto amata
né mai un matrimonio tanto prospero e felice.

Ed ebbero figlioli, che divennero ricchi,
e madre ed anche nonna divenne Aretusa.
Perché l'uomo, se è saggio, nei guai non si smarrisce:
la rosa, quel bel fiore, nasce in mezzo alle spine.

Vincenzo è chi compose questo, della stirpe dei Cornaro,
E sia senza peccato quando lo coglierà Caronte.
A Sitìa egli nacque, a Sitìa è stato allevato,
e là compose e scrisse questa sua gran fatica.
A Castro ha preso moglie, come natura consiglia,
e verrà la sua fine dove Iddio vorrà.









1. La roue du Destin
Nikos Xylouris


Les tours du cerceau, qui montent et descendent,
Et de la roue, qui parfois montent et parfois s’abîment
Avec le temps qui ne s’arrête pas,
Mais marchent et courent par malheurs et joies.

Armes, tumultes, inimitiés, charges,
Les pouvoirs de l’Amour, la vertu de l’Amitié.
Tout cela me pousse, en ce jour à raconter
Et à dire ce que connurent et firent

Une fille et un garçon, qui se lièrent l’un à l’autre
D’une amitié pure, sans aucune indécence.
Son nom, son doux nom est Arétuse,
Grandes sont ses beautés, extérieures et intérieures.

La nature l’a faite femme pleine de grâce ;
Ni à l’Orient et ni à l’Occident, on ne trouve son égale
Et le nom du garçon est Érotocrite,
Un torrent de courage, un flux de noblesse.

Et toutes les grâces par le Ciel et les Étoiles engendrées
Desquelles il a été doté, lui ont été destinées,
Et dans la nuit fraîche où chacun se repose
Et tout animal cherche un endroit pour la pause,

Il prend son luth, et marchant silencieusement,
Devant le palais, il va jouer doucement.

2. Racines
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Dans le passé, du temps où commandaient les Hellènes
Et où leur foi n’avait ni base ni racine,
Parut dans le monde un amour fidèle qui fut gravé
Dans le cœur sans jamais s’effacer.

À Athènes, qui nourrissait l’étude et la sagesse,
Et qui était trône de vertu et fleuve de connaissance,
Un grand Roi régnait sur cette digne terre,
Il s’appelait Eraclio et devint célèbre.

Très jeune, il épousa et vécut avec une compagne
À laquelle on ne trouva jamais de défaut, personne ;
Artemide était le nom de cette Reine,
Pour la sagesse, elle n’eut jamais d’égale.

Et ils priaient souvent le Soleil et le Ciel afin
Qu’ils leur concèdent l’enfant tant désiré ;
Passent les mois et les ans, et la Reine fut enfin
Enceinte et le Roi ne dut plus ruminer de graves pensées.

Elle eut une fille qui illuminait le Palais
Quand la nourrice dans ses bras la montrait ;
Son nom, son doux nom était Arétuse,
Grandes ses beautés, généreuses ses muses.

Le Roi disposait de beaucoup d’hommes riches et sages,
Conseillers qui étaient ses vassaux fidèles.
Parmi eux, un lui était cher, qu’il tenait toujours en sa compagnie,
Celui-là s’appelait Pezòstrate.

Lui aussi avait un enfant adoré,
Intelligent et de grande valeur, comme le miel, sucré.

3. L’Heure de l’Amour
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Le nom de ce garçon était Érotocrite,
C’était un flux de vertu, un flux de noblesse.
Et de toutes les grâces par le Ciel et les Étoiles générées
Il avait été doté, car elles lui avaient été destinées.

Durant ce temps, le sort amer infuse
En son esprit l’amour pour Arétuse.
Et que fait l’Amour, dans un cœur qu’il commande,
Si ce n’est le vaincre pour que le bien du mal, il ne distingue ?

Il se fait soir, il se fait nuit, leurs cœurs défaillent,
Voilà la rencontre à la fenêtre et se disent leurs tourments.
Une heure durant, ils pleurent et gémissent âprement,
Puis, avec de grands soupirs, ils étreignent leurs peines.

4. Tristes Nouvelles
Nikos Xylouris


Les as-tu entendues, mon Arétuse, les tristes nouvelles ?
Ton Seigneur m’envoie sur les routes de l’exil.
Il m’a laissé, quatre jours seulement,
Et après, je partirai pour m’en aller loin, pour longtemps.

Et comment pourrai-je m’éloigner, me séparer de toi ?
Comment pourrai-je vivre en cet exil lointain sans toi ?
Je sais aussi que ton Seigneur te fera épouser, c’est normal,
Le fils d’un roi ou d’un noble qui soit ton égal.

Tu ne peux pas t’opposer à la volonté du Roi,
Il te fera plier et d’avis, tu changeras
Mais, Madame, je te demande, et je veux seulement cela,
Après quoi, je finirai ma vie avec grande joie.

Aies pour moi un soupir, quand tu seras promise épouse,
Et quand on te vêtira en mariée et tu deviendras femme,
Dis-toi par-devers toi, en larmes : malheureux Érotocrite,
Celle que tu voulais, n’est plus, j’ai oublié ma promesse,

Et une fois chaque mois, enfermée dans ta chambre,
Rappelle-toi que je souffre pour toi, combien pour moi ton cœur souffre.
Et prends le portrait que tu as trouvé dans l’armoire,
Et les chants que je composai, qui tant te plaisent.

Et lis-les, et ramène à moi ta pensée,
À moi qui suis exilé en de lointaines terres étrangères.
Et moi, malheureux, je feindrai de ne t’avoir jamais regardée,
J’avais allumé une bougie, qui pour moi s’est éteinte.

Et je feindrai d’être pris dans les lacs d’amour d’une femme,
Que les lacs se sont cassés, et que je l’ai perdue.
Oublie-moi toujours et chasse tes espérances,
Oublie de que tu m’as connu et que je t’ai jamais vue.

Mais partout où j’irai, et tant que je vivrai,
Je te promets que jamais, je ne regarderai une autre et jamais, je ne céderai.
Je préfère t’avoir avec la mort, qu’une autre avec la vie,
Toute ma personne est venue au monde pour toi, ma mie.

5. Lamentation d’Arétuse
Tania Tsanaklidou


Tes mots, Érotocrite, c’est du poison pour moi,
Jamais je n’aurais cru, jamais je ne me serais attendue à les entendre.
Et comment je pourrais te renier, le voudrais-je même ? Ne me laisse pas,
Tu as peint mon cœur comme un arc-en-ciel
Et je jure au Soleil, à la Lune et au Ciel,
Que je ne serai jamais l’épouse d’un autre.

Elle ôte de son doigt la superbe bague,
Entre les larmes et les soupirs, elle le tend à Érotocrite.
Et lui dit : « Voilà, prends-le et mets-le à ta main droite,
Signe que, tant que je vivrai, je serai ta compagne.
Et ne l’enlève jamais, tant que tu vivras ta vie, mon aimé,
Garde-le pour te rappeler toujours celle qu’il te l’a donné.

Je préférerais mourir cent fois, plutôt que d’être
L’épouse de quelqu’un qui ne serait pas mon Érotocrite.

6. La Séparation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Jusqu’à l’aube, ils parlent ; ils pleurent jusqu’à l’aube
Et jusqu’à l’aube, ils se dirent leurs douleurs et leurs peines.
Le ciel s’éclaire à l’orient et il tonne à l’occident,
Quand leurs lèvres s’ouvrent à leur adieu déchirant.

Et un grand prodige advient à la fenêtre,
Les pierres et les grilles pleurent cet instant.
Érotocrite s’en va, car déjà le presse le moment,
Avec un soupir amer qui ébranle le royaume.

Il raconte ses tourments aux bois et aux arbres,
Et souvent lui répond la vallée ou la montagne.
« Ciel, jette le feu et qu’il détruise le monde,
Que tous soient touchés et brûlés, sauf Arétuse.

Pour l’injuste décret qui m’a été appliqué,
Laissant mon pays, en exil, je dois m’en aller.
Étoiles, ne le permettez-pas ! Soleil, envoie-moi un signe,
Et contre ce roi cruel, lance ta foudre.

7. La Rencontre
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Viennent le temps et l’heure, et sourd enfin le jour
Pour Érotocrite, qui révèle ce qui est caché.
L’aube fuse joyeuse dissipant la douce rosée,
Signe de la joie de cette heure d’amour.

Les petites herbes sortent de terre, fleurissent les arbrisseaux,
Et du fond du ciel souffle une douce tramontane.
Resplendissent les rivages, la mer dort et on entend
Entre les arbres et les eaux comme une douce sardane.

Les vals du pays rient, les routes sourient,
Tout révèle des joies cachées, tout les manifeste ;
Et dans la sombre prison où gît Arétuse
Entrent deux beaux oiseaux qui doucement chantent.

8. Le faux Récit
Nikos Xylouris


À peine entré dans la prison, Érotocrite
Lance un regard amoureux et lui parle :
« Je réponds à ce que tu demandes, écoute
Où j’ai trouvé l’anneau que je t’ai laissé en cellule.

Il y a aujourd’hui deux mois, je me trouvais dans une forêt
Du côté d’Ègripo, où je fuyais des fauves
Désireux de me dévorer ; après une lutte violente,
Une partie s’échappe ; de mes mains, je tue ceux qui restaient.

Dangereusement, je m’en tire en combattant.
Je n’aurais jamais espéré pouvoir me sauver,
Mais ma bonne étoile m’aida ; j’en tuai
Et j’en chassai et je restai sauf finalement.

Une grande soif me prend après cette bataille,
En cherchant de l’eau, je m’approche d’une yeuse ;
Il me semble entendre le gargouillis d’un ruisseau,
Je m’arrête et dans le creux d’un rocher, je trouve l’eau.

Je la bois, je me rafraîchis, et ma soif passe ,
Mais même alors, mes autres tourments ne m’abandonnent pas.
Pour me reposer près du ruisselet, je m’assois
Quand j’entends les soupirs et les gémissements d’un malade.

Je me lève en vitesse, et je me hâte d’aller
Voir qui souffre, qui est si désespéré ;
J’entre dans le taillis près de la fontaine
Et je trouve ce jeune gars qui se lamente.

C’est un jeune noble, splendide comme le Soleil,
Aux cheveux blonds et frisés, à Apollon pareil,
Qui gît ensanglanté devant une caverne.
Bien qu’il semble mort, sa beauté est manifeste.

Auprès de lui gisent deux fauves tués,
Et son glaive et ses armes sont tout ensanglantés.
Je m’approche, je le salue ; je lui dis : « Salut à toi, étranger.
Te voilà mourant, où es-tu blessé ? »

Il avait les yeux clos, mais alors il se reprend un peu ,
Il me regarde en silence et se touche la gorge.
Avec le doigt, deux fois, afin que je comprenne,
Il m’indique où il est blessé pour que je le puisse aider.

Je découvre sa poitrine en enlevant l’armure,
Un peu sous la gorge, je trouve une blessure,
Une chose de rien, une très légère morsure,
Mais la dent du fauve devait être impure,
Le poison était entré et l’avait tout envahi,
Car sa force et son souffle étaient partis.

Il s’éteignait comme une bougie qui meurt lentement,
J’ai pleuré beaucoup et me suis tourmenté pour lui à ce moment.
Frère dans mon cœur, il me vint de pleurer et pour lui, de souffrir,
Mais peines, larmes et lamentations ne peuvent sauver un homme.
Agonisant, il me disait de rester là et de ne pas partir,
Il croyait que de cette blessure, je pouvais le guérir sur le champ.

Il me montre alors l’anneau qu’il a au doigt,
Je crois qu’il veut me le donner en cadeau d’ami.
Avec peine, mes oreilles entendent sa voix,
Et ses lèvres disent : « Je t’ai perdue, Arétuse. »
Il dit seulement ça ; et sa vie finit ainsi,
Et avec un triste râle, son âme se diffuse.

Ces mains que tu vois creusent sa fosse,
Le portent à la tombe et l’enterrent.
Quand elle entend ça, Arétuse s’enfonce
Dans le silence, la douleur l’envahit et l’atterre.

9. Lamentation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Quand elle entend ça, Arétuse s’enfonce
Dans sa douleur et se perd dans le silence.
La fièvre croît et elle perd toute retenue,
Elle sent son esprit s’envoler comme un oiseau qui fugue.

Elle n’a honte de rien, elle ne craint plus personne,
Entre les hoquets et les soupirs, déborde sa peine.

10. Désolation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Érotocrite, pourquoi devrais-je prolonger ma vie,
Quel espoir me reste-t-il pour patienter ?
Sans toi, comment puis-je vivre encore en ce monde ?
Maudit destin que celui qui m’est réservé !

Je vis avec ta vie, je vois avec ta lumière,
En pensant à toi, je surmonte et supporte toutes mes misères.
J’ai renié mes parents, je renie ma richesse
Et jamais ne me pèsent les châtiments qui m’agressent.

Pensant que tu es, Érotocrite, mon époux aimant,
Toi, pour moi, tu es devenu ma mère et mon père.
Pour toi, je me lamente, pour toi, mille douleurs, je souffre,
Pour toi, je me torture depuis cinq ans.

11. La Révélation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Elle veut lui dire d’autres choses, mais lui faut la voix,
Et elle tombe à terre, blanche et se glace plus que le gel.
Il ne dit rien, mais il se lave et devant elle,
Il apparaît éblouissant comme autrefois.

Érotocrite resplendit sans plus cette noirceur,
De nouveau, son visage retrouve sa splendeur,
Ses boucles d’or, ses mains blanches comme le marbre
Et son incarnat blanc et rouge, et sa beauté suave.

Arétuse le reconnaît et elle se le remémore,
Mais elle ne saisit pas si elle est en éveil ou si elle rêve encore .
Elle défaille soudain ; elle se tourne et le regarde en grande joie,
Mais parler déjà, de grand contentement, elle ne le peut pas.

12. Le Jour splendide
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Arrive ce jour splendide, commence le doux temps
Où Érotocrite accède au trône et prend la relève.
Jamais, on ne vit un couple d’époux s’aimer tant,
Jamais un mariage si heureux et si prospère.

Ils ont des enfants, qui sont riches,
Et Arétuse est mère et même, grand-mère.
L’homme, s’il est sage, ne s’égare pas, dans les sentines
Et la rose, belle fleur, naît au milieu des épines.

Arrive ce jour splendide, commence le doux temps
Où Érotocrite accède au trône et prend la relève.
Jamais, on ne vit un couple d’époux s’aimer tant,
Jamais un mariage si heureux et si prospère.

Ils ont des enfants, qui sont riches,
Et Arétuse est mère et même, grand-mère.
L’homme, s’il est sage, ne s’égare pas, dans les sentines
Et la rose, belle fleur, naît au milieu des épines.

Vincenzo, de la lignée des Cornaro, est celui qui composa
Et qu’il soit sans péché quand Charon le cueillera.
À Sitìa, il est né ; il a été élevé à Sitìa,
Et il composa et écrivit sa grande œuvre, là-bas.
À Castro [1], il a pris femme, comme nature conseilla,
Et il connaîtra sa fin où Dieu le voudra.
[1] Dialettale: ἀναθιβάνω o ἀθιβάλλω “raccontare, narrare” (in ultima analisi dal classico ἀντιβάλλω, ma con probabile influsso anche di ἀμφιβάλλω).

[2] Più che il significato standard di “confondere, ingarbugliare, invischiare”, qui μπερδεύω ha il valore dialettale di “legare, avviluppare”, che è molto antico (gr. a. περιδέω o ἐμπεριδέω “legare tutto attorno, aggrovigliare”).

[3] Come specificato nell'introduzione, il nome significa “Virtuosa” (< ἀρετή) e deve pronunciarsi “Aretùsa” anche per non confonderlo con Arètusa (gr. Ἀρέθουσα), la figlia di Nereo e Doride di cui si innamorò il dio Alfeo, figlio del dio Oceano. La leggenda ha dato, come è noto, il nome alla celebre Fonte Arètusa dell'isola di Ortigia, a Siracusa.

[4] In questo modo ho tentato di rendere la differenza di fondo tra ὀμορφιές “bellezze esteriori” (pl. di ὀμορφιά “avvenenza”, gr.a. εὐμορφία “bellezza di forme”) e κάλλη “bellezze interiori” (pl. di κάλλος “bellezza” in senso astratto).

[5] Come specificato nell'introduzione, nei versi del poema il personaggio è costantemente nominato nella sua forma dialettale, o popolare, Ῥωτόκριτος (probabilmente anche perche Ἐρωτόκριτος avrebbe comportato una sillaba in più, decisiva ai fini metrici). Nel poema, qualora la metrica lo esiga, si trova non di rado un'ulteriore abbreviazione in Ῥώκριτος. Usata spesso anche la forma più specificamente dialettale Ῥετόκριτος.

[6] Dialettale: il cretese φλέγα è si il corrispondente del neogreco standard φλέβα “vena” (gr.a. φλέψ, φλεβός), ma ha esclusivamente il valore di “sorgente, fonte”.

[7] Si noti l'uso del termine classico Ἕλληνες. La denominazione classica serve naturalmente a riportare la vicenda in una presupposta e gloriosa antica Grecia; ma il termine non apparteneva più da secoli alla cultura popolare nel senso di “Greci” (che, fino all'indipendenza del 1821, si sono chiamati Γραικοί o Ῥωμαίοι “greci, romei”, così come la lingua volgare era la ῥωμαιϊκὴ γλώσσα “lingua romèica”). Nella cultura popolare, il termine ἕλλην era passato ad indicare una figura fiabesca e mostruosa, un “gigante” o addirittura un “orco”. Dopo l'indipendenza fu ripristinato il termine Ἑλλάς per la nazione greca, ma passò del tempo prima che i greci si riabituassero a denominarsi Ἕλληνες.

[8] Vale a dire la “falsa fede” pagana, a' tempi de gli dei falsi e bugiardi.

[9] Il termine μπιστικός (prob. dall'ampliamento *ἐμ-πιστικός) ha ancora qui il significato originario di “fedele, fidato”. Nella lingua moderna standard, πιστικός si è specializzato in un'accezione particolare, quella del “pastore salariato” dipendente da un padrone.

[10] Propriamente “fu scritto” (ἐγράφτη); ma il comune verbo greco per scrivere, γράφω, proviene dalla radice indoeuropea dello “scavare” e dell' “incidere” (cfr. il ted. Grab “fossa, tomba”, graben “scavare”, ingl. grave “tomba”).

[11] Naturalmente si ha qui l'eco immortale di Atene come “nutrimento” (βρώσις, dalla radice dell'antico verbo con presente a raddoppiamento βιβρώσκω “mangiare”; nella lingua standard moderna, βρώση indica piuttosto il “mangiare”, l' “atto del mangiare”) della sapienza e della saggezza.

[12] Alla lettera, “nessun'altra le divenne [fu] uguale in saggezza”.

[13] Come si può vedere, il paganesimo raffigurato per l' “antica Atene” dell'opera è di maniera e non ha assolutamente nulla di quello classico coi suoi dèi. Qui si è tornati a una sorta di paganesimo primitivo dove si adorano il Sole e il Cielo.

[14] Alla lettera, “fu liberato [salvato, ἐλυτρώθη, con la forma classica dell'aoristo passivo ancora comune all'epoca nella lingua popolare] dal pensiero e dal peso”.

[15] Nel testo si dice proprio “fece una figlia”, ἤκαμε. Il comune verbo per “fare”, κάνω (forma standard moderna) / κάμω / κάμνω presenta qui un aumento in η- assai più diffuso all'epoca, e presente ovunque nel testo dell'Erotocrito. Nella lingua standard moderna ha lasciato comunque tracce comuni (si pensi a ἤπια, ἤθελα).

[16] Si noti qui un procedimento comunissimo nell'Erotocrito: la ripetizione continua di interi versi, sorta di “formulari” che debbono ovviamente molto alla poesia popolare (si pensi ai ballad commonplaces britannici). Tali ripetizioni, essendo per natura un ausilio alla recitazione, dimostrano anche senz'ombra di dubbio che l'Erotocrito, composto su una forma popolare tradizionale cretese, era sin dall'inizio inteso per il canto.

[17] Il nome, come anche specificato nell'introduzione, significa “Soldato di fanteria, fante”.

[18] Intera ripetizione di quattro versi già presenti.

[19] Tipico composto formato da aggettivo e sostantivo, formato da πρικο-, dialettale (con metatesi) per πικρός “amaro” e ῥιζικό “destino, sorte, fato” (dall'italiano risico “rischio”).

[20] Nei due versi, i verbi (κλάψασιν, ἐλουχτοκήσα, ἀρχίσα) sono tutti all'aoristo; nella traduzione si è preferito l'imperfetto narrativo.

[21] Come accennato nell'introduzione, Τὰ θλιβερὰ μαντάτα è di gran lunga il brano più famoso di tutto l'album. "In proprio" è stato interpretato, dopo Nikos Xylouris, da numerosissimi artisti greci. Si ricorda particolarmente la versione di Giannis Charoulis:



[22] Alla lettera, "Vinceranno il tuo volere".

[23] Nell'originale qui indicata come Ἀρετή, quindi semplicemente "Virtù".

[24] Per “nascoste” è presente nel testo originale il dialettismo κουρφές (per κρυφές). Si tratta di un fenomeno metafonetico comunissimo nel cretese e in altri dialetti greci.

[25] Il dialettismo φλακή (per φυλακή) è anch'esso comunissimo in cretese.

[26] Così traduco il titolo, Τὸ παραμύθι. Alla lettera sarebbe “La fiaba, la favola”; ma poiché si tratta del racconto inventato da Erotocrito a Aretusa (i versi 936-1016 del Libro V del poema originale, l'unico brano continuativo dell'album e non frutto di un assemblaggio di distici), ho preferito renderlo con “Il falso racconto”.

[27] Ègripo (Ἔγριπος) è un nome medievale dell'isola di Eubea, detta anche Negroponte.

[28] Il cretese mantiene qui il termine nella forma identica al greco classico, πρίνος. Il greco standard ha, per “leccio”, πουρνάρι (da *πρινάριον). Il termine è probabilmente connesso con il latino prūnus.

[29] Nell'originale, μὰ πούρι, che sono le parole italiane (o venete) ma pure. Le ho volute qui mantenere nella traduzione.

[30] Nell'originale, τὸ ζάλο μου σπουδάζει “la mia corsa mi affretta”; ma ζάλο (gr. cl. σάλος) è propriamente un “passo di danza”.

[31] Dialettismo cretese: μύσσω, μύζω “mi lamento, gemo”.

[32] Θρῆνος è propriamente, e come si addice perfettamente a questo brano, la “lamentazione funebre”, il “canto di lutto”.

[33] Ma anche "innamorata", "che si ama".
[1] Candia, Heraklion


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