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Der Untergang der Titanic (Fünfter Gesang)

Hans Magnus Enzensberger
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OriginaleTraduzione italiana di Vittoria Alliata, da “La fine del Titanic”,...
DER UNTERGANG DER TITANIC (FÜNFTER GESANG)


Raubt, was man euch geraubt hat,
nehmt endlich, was euch gehört,
rief er, frierend, die Jacke war ihm zu klein,
sein Haar züngelte unter den Kränen,
er rief: Ich bin einer von euch,
worauf wartet ihr noch?

Jetzt ist es zeit,
reißt die Barrieren ein,
schmeißt das Geschmeiß ins Wasser
mitsamt seinen Koffern, Hunden, Lakeien
die Frauen auch
und sogar die Kinder,
mit Gewalt, mit Messern mit bloßen Händen!

Und er zeigte ihnen das Messer
und er zeigte ihnen die bloße Hand

Aber die leute vom Zwischendeck,
Auswanderer waren es,
standen da in der dunkelheit,
nahmen ruhig ihre Mützen ab
und hörten ihm zu.

Wann wollt ihr endlich Rache nehmen,
wenn ihr euch jetzt nicht rührt?

Oder könnt ihr kein blut sehn,
außer dem eurer kinder, und eurem eigenen?
und er zerkratzte sich das gesicht
und zerschnitt sich die hände
und er zeigte ihnen sein blut.

Aber die leute vom zwischendeck
hörten ihm zu und schwiegen.
nicht, weil er kein litauisch sprach
(er sprach kein litauisch)
nicht weil sie betrunken gewesen wären
(ihre altertümlichen Flaschen,
eingewickelt in grobe tücher
waren schon lange leergetrunken
nicht weil sie kein hunger hatten
(hunger hatten sie auch):
das alles war es nicht.
Es war nicht so leicht zu erklären.

Sie verstanden wohl, was er sagte,
aber sie verstanden ihn nicht

Seine worte waren nicht
ihre Worte

Sie waren von anderen Ängsten zerfressen
als er, und von anderen Hoffnungen.
Sie standen geduldig da
mit ihren Felleisen, ihren Rosenkränzen,
ihren rachitischen Kindern an den Barrieren,
sie machten Platz,
sie hörten ihm zu, respektvoll,
und warteten, bis sie ertrunken waren.

LA FINE DEL TITANIC (CANTO QUINTO)

Rubate ciò che vi è stato rubato,
prendetevi finalmente quel che è vostro, gridava,
intirizzito, la giacca gli andava stretta,
i suoi capelli guizzavano sotto le gru
e lui gridava: io sono uno di voi,
cosa state ancora ad aspettare? Adesso
è ora, sfondate le barriere,
gettate la gentaglia a mare,
comprese le valigie, i cani, i lacché,
le donne anch’esse e persino i bambini,
con violenza, coi coltelli, con le nude mani!
E mostrava loro il coltello,
mostrava loro la nuda mano.

Ma quelli della terza classe,
emigranti tutti, stavano lì fermi
nell’oscurità, si toglievano tranquillamente
il berretto e restavano ad ascoltarlo.

Ma quando vi deciderete a prendere vendetta,
se non vi muovete subito?
O forse non siete capaci di vedere del sangue
che non sia quello dei vostri figli e il vostro?
E si graffiava il viso
e si feriva le mani
e mostrava loro il suo sangue.

Ma quelli della terza classe
lo ascoltavano e tacevano.
Non perché non parlasse lituano
(non parlava lituano);
non perché fossero ubriachi
(le loro antiquate bottiglie,
avvolte in panni grossolani,
erano state da tempo scolate);
non perché avessero fame
(avevano anche fame):

non era per via di tutto ciò. Non era
così facile da spiegare.
Capivano, certo, quel che diceva,
ma non capivano lui.
Le sue parole non erano le loro.
Erano rosi da paure diverse
dalle sue, e da altre speranze.
Rimasero lì in piedi, pazienti,
con i loro zaini, i loro rosari,
i loro bambini rachitici,
dietro alle barriere, gli fecero largo,
lo ascoltavano, rispettosamente,
e attesero, finché non affondarono.


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