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Linea 30

Lo Stato Sociale
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OriginalUn testo più completo del recitativo, tratto (in forma di post) ...
LINEA 30

Il turno chiamato corta e quello più estremo della cortissima sono due turni molto adatti a chi, come il babbo, preferisce alzarsi presto, lavorare e staccare presto.
Dice che così ha la giornata libera anche se, poi, alle 10 di sera si addormenta.

L'Azienda, chiamata così senza mai davvero nominarla, è uno di quei posti dove lavorare è quasi un piacere.
Sicuramente quasi un titolo per gente che, sicuramente di titoli non ne ha.

Durante tutti gli anni '70 i dipendenti dei servizi dei trasporti pubblici bolognesi sono stati vestiti con uno stile invidiabile: camicie azzurre, pantaloni a zampa, mocassini e libertà di barba, baffi e capelli, tipo George Harrison e Gianni Rivera.

Il babbo di storie sulla guida te ne potrebbe raccontare per ore.
Per 30 anni ha portato a spasso l'unità più varia con il solo obbiettivo di finire il turno puntuale; perché se sei puntuale finisci il turno in orario.

L'Azienda era una roba fresca, giovane.
Gli autisti avevano fatto un bel ricambio e non c'erano più quelli del tramvai, malgrado le rotaie di via Rizzoli ti facciano ricordare di un'urbanistica di tempi andati.

La linea 30 tagliava Bologna in direzione Nord-Sud,
da San Michele in Bosco alla Bolognina.
Portava in centro gli impiegati degli uffici e gli operai della Casaralta alla Casaralta.

E non è un caso che la squadra del quartiere si chiamasse Bo.CA con il puntino fra Bo e Ca.
Lo leggi come Bocajuniors, ma in realtà significa Bolognina-Casaralta.

Un giorno in via Marconi il babbo fa fermata,
dalla porta anteriore si affaccia uno tutto di corsa e chiede: "Questo va in stazione?"
Scoprì poi di aver imbarcato un giornalista dell'odiatissimo Resto del Carlino.

Il babbo è sempre stato uno di molte parole e buoni sentimenti, ma con una freddezza che in molti punti della mia vita ho scambiato per menefreghismo.

Anche quel giorno aveva il solito obbiettivo di staccare il turno in orario, andare a prendere mio fratello all'asilo e ritornare a casa da mia mamma.

Il 2 Agosto 1980 la Linea 30, come al solito, scendeva da via Marconi verso Piazza dei Martiri, dritto in via Amendola e poi a destra, davanti alla stazione dei treni.

Sembra distantissimo, ma se la fai a piedi in 5 minuti sei arrivato.
Il tipo di corsa dice:
"È scoppiata una bomba."

Uno,
due,
tre,
10, 20,
50, 76 alla prima conta,
85 al definitivo.
Centinaia i feriti.
Eppure la Linea 30 alle 10 e mezza passò per viale Pietramellara non sospettando nulla del genere.

La stazione dei treni non era più una stazione dei treni.
Era una cosa, una roba senza senso o forma.
Polvere e macerie, gente ferita e grida.
Le ambulanze per prime, la polizia.

Una bomba in stazione il 2 di agosto.
Chi ci avrebbe mai pensato?
Chi è stato?

Mambro e Fioravanti, la P2, sicuramente lo Stato lo sa.
Non lo sanno gli autisti degli autobus tra cui il babbo.
Non lo sanno gli autisti dei taxi,
i dipendenti della ferrovia, i lavoratori della CIGAR,
chi passava per caso, chi andava via, tornava,
se ne stava nella sala d'aspetto della seconda classe.

Non lo so io, nato nel 1985.
Non lo sai tu.
Non lo sanno i vigili del fuoco, i medici.
Non lo sa ancora nemmeno l'autobus 37 con Agide Melloni che per 16 ore prestò servizio come soccorritore.

La linea 30 oggi passa ancora dalla stazione dei treni di Bologna.
Fa ancora quel percorso.
In verità, chiunque passi dalla stazione fa ancora quel percorso.
LINEA 30

Il turno chiamato corta, e quello più estremo della cortissima, sono due turni molto adatti a chi -come il babbo- preferisce alzarsi presto, lavorare e staccare presto. Dice che ha la giornata libera anche se poi alle 10 di sera si addormenta e comunque alle 4 suona la sveglia. L'azienda, chiamata così senza mai davvero nominarla per nome, è uno di quei posti in cui lavorare è quasi un piacere, sicuramente è quasi un titolo, per gente che seduta sul seggiolino di guida, di titoli sicuramente non ne ha. Non si è mai visto in anni di carriera un avvocato attaccare il turno delle 4.30 e cominciare il giro uscendo dal deposito della Zucca, niente di male in questo, si finisce solo per somigliarsi di più dentro quelle divise che erano di un certo tono d'azzurro, di buona fattura, con uno stile invidiabile che lungo gli anni settanta ha vestito gli autisti del servizio di trasporti pubblici bolognese con mocassini e pantaloni a zampa, camicie impeccabili e -imprevedibili Gianni Rivera o George Harrison- lasciando libertà di barba, baffi e capelli.

Il babbo di storie sulla guida te ne potrebbe raccontare per giornate intere, per trent'anni ha portato a spasso l'umanità più varia con il solo obiettivo di essere puntuale: "perchè se sei puntuale, finisci il turno in orario". E questa cosa me l'ha passata, sul lavoro ci si impegna per avere poi la libertà di godere tutto ciò che non è lavoro. A 33 anni era quasi uno dei più anziani, in termini di anni di servizio, essendo ormai al suo dodicesimo giro di pista. Entrato in un 1968 di grandi rivoluzioni, tra cui appunto il lavoro che l'accompagnerà fino alla pensione. L'azienda era una roba fresca, giovane, gli autisti avevano fatto un bel ricambio e non c'erano più quelli del tramway malgrado le rotaie di via Rizzoli ti ricordino un'urbanistica di tempi andati.

La Linea 30 tagliava Bologna in direzione nord-sud, da San Michele in Bosco alla Bolognina, portava gli impiegati degli uffici del centro e gli operai della Casaralta, beh alla Casaralta. E non è un caso che la squadra di calcio del quartiere si chiamasse BOCA. Con il puntino tra BO e CA, lo leggi come il Boca Juniors ma sta semplicemente per Bolognina-Casaralta. Un giorno in via Marconi il babbo fa fermata, dalla porta anteriore si affaccia un tipo tutto di corsa che fa "questo va in stazione?".

Il 2 agosto 1980 la linea 30 guidata dal babbo, come ogni giorno da anni prima e per anni poi, scendeva da via Marconi verso piazza dei Martiri, dritto in via Amendola e poi a destra, davanti alla stazione dei treni. Sembra distantissimo, ma se la fai a piedi in cinque minuti sei arrivato.
Fa "è scoppiata una bomba".

Il babbo è sempre stato uno di molte parole e buoni sentimenti ma dotato di una freddezza che in molti punti della mia vita ho scambiato per menefreghismo. Il 33enne alla guida degli undici metri con l'obiettivo giornaliero di staccare il turno in orario, andare a prendere mio fratello all'asilo e ritornare a casa da mia mamma, imbarcò quello che poi scoprì essere un giornalista dell'odiatissimo Resto del Carlino e portò il 30 lungo via Marconi, via Amendola, a destra verso la stazione dei treni.
A destra.
La stazione dei treni.

Uno, due, tre, dieci, venti, cinquanta, settantasei alla prima conta. Ottantacinque al definitivo. Centinaia i feriti. Ma la linea 30, segnata alle 10.30 in transito per viale Pietramellara, guidata dal babbo non sospettava nulla del genere e con puntualità girò a destra. La stazione dei treni non era più una stazione dei treni, era una cosa, una roba, senza senso o forma, polvere e macerie, gente ferita e grida, le ambulanze, le prime. La polizia.

Una bomba in stazione il due di agosto, chi ci avrebbe mai pensato. Mambro e Fioravanti, la p2, lo stato. Sicuramente lo stato lo sa. Non lo sanno gli autisti degli autobus tra cui il babbo, non lo sanno gli autisti dei taxi, i dipendenti della ferrovia, i lavoratori della Cigar, chi passava per caso, chi andava via, tornava, aspettava nella sala d'aspetto della seconda classe. Non lo so io nato nel 1985. Non lo sai tu. Non lo sanno i vigili del fuoco, i medici, non lo sa ancora nemmeno l'autobus 37 con Agide Melloni e 16 ore di servizio come soccorritore.

Le linee 30 e 37 passano ancora dalla stazione dei treni di Bologna, fanno da anni quel percorso, quasi tutte le linee che passano per la stazione dei treni di Bologna fanno ancora lo stesso percorse. In verità chiunque passi per la stazione dei treni di Bologna, fa quel percorso.


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