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Bella 'ca partenza

Cantannu Cuntu
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OriginalTraduzione in italiano corrente di Cataldo Antonio Amoruso
BELLA 'CA PARTENZABELLA CHE LA PARTENZA
  
Bella ca a partenza è certa e chiaraBella che 1 la partenza è certa e chiara
E ni partiri nua e venuta d’uraE 2 di andar via è venuta l’ora
Na neava mmienzu u meari si priparaUna nave 3 in mezzo al mare si prepara
Pensa a su cori mia na doluruPensa al cuore mio che si addolora 4
Pensa a su cori mia na doluruPensa al cuore mio che si addolora
  
E vua staviti buoni amici e freati cariE voi restate buoni amici e fratelli 5 cari
Ca partu duvu vo’ la mia sventuraChé vado dove vuole la mia sventura 6
Ca pu mi vuatu e dicu mamma caraChé poi ritorno e dico 7 mamma cara
Benedicemi i mumenti e d′uraBenedicimi i momenti e l’ora 8
Benedicemi i mumenti e d′uraBenedicimi i momenti e l’ora
  
Ca partu supra mearu e jaccu dunnaChé parto sopra mare e fendo l’onda 9
Ca fazzu a mia partenza dacrimannuE affronto 10 la partenza lacrimando 11
Ca appena arrivu a chillu mearu funnuE appena arrivo a quel mare profondo
Subitu scrivu e dittara ti mannuSubito scrivo e nuove mie ti mando
Subitu scrivu e dittara ti mannuSubito scrivo e nuove mie ti mando
  
Si viu a ′ncunu de lu tua paisuSe vedo qualcuno del paese tuo 12
Cu lli lacrimi all′uocchi l′addimmannuCon le lacrime agli occhi gli domando 13
Si unn′e′ amicu mi lu fazzu amicuSe non è amico me lo faccio amico
Gioia ppe ti mannari salutannuGioia per mandarlo a salutarti 14
Gioia ppe ti mannari salutannuGioia per mandarlo a salutarti
  
Si giuvani tu vidi cumi e mmiaSe giovani tu vedi come me 15
Tu vascia l'uocchi e u llu guardariTu abbassa gli occhi e non guardarlo
Ca si Gesù Cristu mi nni fa veniriChé se Gesù Cristo mi fa tornare
Ugne gustu chi vu te aju e cacciariOgni tuo piacere ti devo soddisfare 16
Ugne gustu chi vu te aju e cacciari.Ogni tuo piacere ti devo soddisfare.
NOTE ALLA TRADUZIONE

di Cataldo Antonio Amoruso


[1] L’incipit ‘bella che…’ sembra la ripresa di un discorso che ‘l’anima poetante’ sta intrattenendo con l’amata, una attitudine normalissima dalle mie parti.

[2] Nel testo ‘’E’’, secondo me andrebbe preceduto da un apostrofo, poiché ritengo che significhi ‘di’, che si pronuncia esattamente come ‘’e’’ congiunzione, ché, se tale fosse, necessiterebbe di un ‘de’ che completerebbe il significato che ho appena espresso.

[3] L’esito linguistico ‘neava’ da nave, ‘meari’ da mare, mi ha stupito, credo che farebbe (e magari l’ha fatta) la felicità di Gerhard Rohlfs, il grandissimo filologo e glottologo studioso dei dialetti italiani, calabresi e salentini in particolare.

[4] Traduco a senso, perché la costruzione non mi è chiara, o è diversa da quella che mi aspettavo: presumevo di trovarmi di fronte un ‘pensa a su cori mia ca n’ha doluru’, ma trovo senz’altro stimolanti queste differenze tra dialetti (Cirò, il mio paese, è un po’ distante da Acri).

[5] Per ‘freati’, fratelli, vale quanto detto sopra, ma al di là di questo dato, siamo ad una svolta, nel testo: nella prima strofa è stata espressa quella inevitabile ‘condanna’ alla partenza, ora è il momento di raccomandare a chi rimane, fratelli ed amici, le cure verso l’amata.

[6] Sventura, sua accettazione, e un filo di speranza, un empito fugace: parto verso l’ignoto, ma poi torno; tu intanto benedicimi, mamma.

[7] Forse c'è una separazione, ineliminabile per motivi ritmici, tra 'dicu' e 'mamma cara', nel senso che 'dicu' significa 'vi racconto', 'vi informo', al mio ritorno, ma quel 'dicu' si lega al vocativo seguente 'mamma cara': se fosse in fine di verso si potrebbe leggere come un enjambement, almeno credo. Diversamente avrebbe poco senso chiedere la benedizione dopo il ritorno, dal momento che quella benedizione deve il viatico per la partenza.

[8] Qui e nel verso seguente, nel testo calabrese si riporta 'l'ura', a differenza di 'd'ura' come nel 2° verso della 1a strofa; non so se sia casuale o dovuto al fatto che la 'l' è preceduta da una 'e' che le impedisce di trasformarsi in 'd'.
Ma si veda qui al punto 1

[9] ‘E benedicimi per ogni istante, per ogni ora’, perché il mio viaggio è fitto di insidie: parto ‘sopra mare’ (che Acri si trovi parecchio all’interno ha un suo significato: il mare fa ancor più paura), e ‘jaccu’, cioè letteralmente ‘spacco’ (come direbbe esattamente e giustamente un boscaiolo silano; questo mi ricorda il moto di speranza richiamato alla nota precedente) l’onda. Credo che ‘dunna’ potrebbe scriversi pure staccato, anche se mi piace leggere questa fusione dell’articolo col sostantivo: la ‘elle ’ di ‘la’ con l’elisione è diventata una ‘d’: ‘l’onda’ diventa ‘d’unna’; questo fenomeno della trasformazione della ‘l’ in d è molto diffuso in provincia di Cosenza, come pure la trasformazione di ‘l’, ‘ll’, in ‘u’, ad esempio in Rogliano (lampadina, uampadina; gallina, gauina, con una ‘u’ più marcata).

[10] ‘Fazzu’ sarebbe ‘faccio’.

[11] E infatti, ‘lacrimando’diventa ‘dacrimannu’ e poco oltre ‘lettere’ produce ‘dìttara’.

[12] L’innamorato si rivolge all’amata promettendole che appena arriva, manderà notizie di sé, e appena incontrerà qualcuno del paese di lei, evidentemente diverso, se lo renderà amico, se già non lo fosse, per farne un messaggero d’amore e latore di saluti… altro che sms!

[13] ‘L’addimmannu’ è costrutto tipico: lo domando, nel senso di ‘gli domando’, con una soluzione semplicissima: in questo dialetto ‘addimmannar’, in questa accezione, è un verbo transitivo, tutto qui, con buona pace di chi storce il naso di fronte a un ‘t’u ‘mparu iju’, ‘te lo insegno io’ , dove basterebbe dire che ‘insegnare’ si traduce ‘mparare’… i false friends esistono anche tra italiano e dialetti…

[14] Anche questa è una costruzione idiomatica: ‘ti mannar a salutar’, che letteralmente sarebbe ‘mandare te a salutare’…

[15] Qui il discorso si fa per così dire più intimo, sanguigno: finora si è parlato di distanza, solitudine, amore materno, tentativi di stabilire un contatto ‘alto’, ma poi la carne, la gelosia e il desiderio intervengono: se vedi qualche (bel) giovane come me, abbassa gli occhi e non guardarlo, che se Dio mi concede la grazia, torno e… ogni tua voglia la soddisfo io. La traduzione letterale sarebbe ‘che se Gesù Cristo me ne fa venire a casa, ogni desiderio che vuoi te lo devo cacciare’.

[16] Nel testo in dialetto aggiungerei l’apostrofo dopo vu (vu’) e prima di e (‘e cacciari).


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