Language   

Le pressoir

Eugène Pottier
Back to the song page with all the versions


Versione metrica di Salvo Lo Galbo
IL TORCHIO A VINO

In un ciel di burrasca autunnale
la feccia ha imbrattato l'azzurro.
Gerla in spalla, la vendemmiatrice
porta l'uva matura a fermentare.
Ribollendo il grappolo cade,
poi la vite gira con sforzo :
La si direbbe la grande ecatombe
di martiri agonizzanti a morte.

Cantiamo il martirio estasiato !
Cantiamo vendemmia e speranza !
Cantiamo i grappoli schiacciati,
gli acini sanguinanti nel torchio.

Dove i miei grappoli ? Cola il lor sangue,
dicono i pàmpini che stan sul poggio.
Li si tortura, un piede li calpesta,
il Torchio li tiene nella morsa !
Li credi morti, tu povera foglia,
eppur son più vivi ad ogni giro :
il buon vignaiolo li raccoglie
in liquido di giovinezza e d'amore.

Questo succo d'inebriante agonia
bevuto dai popoli in marcia,
questo vino ubriacante del genio
monta alla testa del genere umano.
In noi questa folla immolata
trova un Pantheon che sempre cresce :
Socrate, Jan Hus, Galileo
vivon passati dentro al nostro sangue.

Il martire, all'estrema sua ora
muore tra gli spasmi dell'amante ;
questi bevitor di cicuta
se ne vanno ebbri di devozione ;
questi semidei, assieme ai poeti
per il patibolo non ha che disprezzo,
quando la gloria sgrana le lor teste
ad un banchetto di Girondini.

Che vi sostenga un canto di speranza,
o nazioni, vinacce pressate !
Voi che l'esilio getta alla Cajenna,
carne da torchio, acini torturati.
E se il presente non ha memoria,
dentro al calice dell'avvenire
versate, versate la vostra anima da bere.
La grande sete ritornerà.

Quando verrà il buon Vendemmiaio
saranno visti dei torchi sacrati
e il vino, e la luce, e l'amore
colar per tutti gli ubriacati ;
della forca lasciando le insegne
Gesù, schiodando le sue braccia stanche
sul Calvario piantato di vigne
metterà la sua croce come sostegno.
IL TORCHIO

Il cielo d’autunno è in burrasca.
La feccia ha macchiato il suo blu.
Dai tralci, ogni grappolo casca;
in massa, ne buttano giù
i vendemmiai in fondo alla gerla.
E con impotente pietà
la vite si torce a vederla,
la Strage che se ne farà.

Il sangue dai pampini cola;
i figli, non ci sono più.
Li si trucida, li si immola
a un torchio che gli passa su.
Ma non muoiono, o meste foglie!
Son vivi a ogni giro di più;
e il liquido che se ne coglie
è d’amore e di gioventù.

Il pantheon di questa genia
in noi, cresce sempre di più.
Succo d’inebriante agonia
che attraverso i secoli fu
bevuto dai popoli in marcia.
È nelle ferite, nel pus,
nel sangue che l’acino squarcia,
il sangue di Ipazia e Jan Hus.

Divinità in terra caduta,
ebbro di devozione, va,
questo bevitor di cicuta
sprezzando il patibolo, ed ha
sguardo che lo stomaco buca
quando in un bagno di ragù
si serve, fumante alla nuca,
a un banchetto di Ghepeù.

Tu, martire della Caienna,
tu, popolo pressato, tu,
carne da torchio che cempenna
di torture, di schiavitù,
se il presente ti può tradire,
versa la tua anima già
al calice dell’avvenire:
la grande sete tornerà.

Quando verrà il Vendemmiatore
il Torchio, lo benedirà;
e al vino, alla luce, all’amore
la Terra ubriaca berrà.
E con l’egual rosso all’addome,
pianterà la sua croce su
un Golgota di vigne, come
sostegno di tutte, Gesù.


Back to the song page with all the versions

Main Page

Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.




hosted by inventati.org