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El equipaje del destierro

Patricio Manns
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Resa, o versione ritmica di Riccardo Venturi
IL BAGAGLIO DELL'ESILIATO

Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi
e m'infili la lingua nella testa, nei pensieri, in qualche cosa.

Bene. Ti lascerò supporre che abbandonai il mio popolo, fuggii,
e che varcai alla rotta la crudele soglia come un puma atterrito.
Però ti garantisco che non mi han levato nulla
perché da questa terra non mi potranno separare.

Rubarmi, a me, il vulcano e la sua vulcanessa?
O deviarmi dall'anima la foce del rio e la sua ria?
Segarmi nel paesaggio l'albero e la sua alberatura?
Schiacciarmi il duro tarlo via dal capo, e la tarlessa?
Col solito cerino bruciarmi il libro e la sua livrea?
C'entra la loro spada col mio dolore e la sua dolenza?
Nella tempesta imbarcarmi acqua in stiva coi loro stivali?
O eliminare il mio scongiuro con la loro congiura?

Farmi vibrar le corde solfeggiate
solfàndomi di legnate.

Come sia stato quel tormento che ho subito, me lo chiedi
poi mi occhieggi con l'occhio nella stazione della memoria.

Bene. Ammetto che alla fine hanno vinto la battaglia
e che ancora non si sa il risultato della guerra.
Però confesso che non ho perso un grano di polline
perché da questa terra non mi potranno separare.

A me ed alla mia sorte scacciarmi con la loro caccia?
O saccheggiarmi quel che dai compagni ho nel sacco?
Incatenarmi il canto universale del grillo al loro grilletto?
Svuotare dal di dentro l'araucano e la sua araucaria?
Infilarmi le ossa con funebre mossa nella loro fossa?
Calmar la turbolenza delle mia gesta col loro gesto?
L'urto tra chi vive di speranza con la loro disperanza?

Il corredo dell'esilio è la mia valigia di fumo,
però che non c'è fuoco senza fumo, lo si sa.

IL BAGAGLIO D'ESILIO

Come fu quel tormento che ho subito tu mi chiedi,
m'infili lingua in testa, nei pensieri, in qualche cosa.

Bene, supponi che il mio popolo lasciai varcando
la dura soglia come fossi un puma spaventato.
Però ti garantisco che non mi han levato nulla,
da questa terra io non sarò allontanato mai.

Rubare a me il vulcano assieme alla vulcanessa?
Deviarmi dentro la foce del rio e la sua ria?
Segarmi nel paesaggio l'albero e l'alberatura?
Schiacciarmi via dal capo il tarlo e la sua tarlessa?
Con un cerino ardermi il libro e la sua livrea?
La loro spada c'entra col dolore e la dolenza?
Allagarmi in tempesta la stiva con gli stivali?
Far fuori il mio scongiuro con quella loro congiura?

Le corde solfeggiandomi fino a vibrare
di legnate

Come fu quel tormento che ho subito tu mi chiedi,
mi occhieggi, gli occhi dentro la stazione del ricordo.

Bene, lo ammetto sí che l'hanno vinta la battaglia
però non si sa ancora il risultato della guerra
però di polline non ne ho perso manco un granello,
da questa terra io non sarò allontanato mai.

Cacciarmi via con la mia sorte dandomi la caccia?
O saccheggiare quel che dai compagni ho nel sacco?
Incatenare il grillo universale ad un grilletto?
O svacantar di senso l'araucano e l'araucaria?
Con gusto funebre infilarmi le ossa in una fossa?
Placar la turbolenza delle gesta con un gesto?
L'urto di chi ha speranza con la loro disperanza?
Il bagaglio d'esilio è la mia valigia di fumo
però che non c'è fuoco senza fumo, lo si sa.


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