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Grido a Roma

Angelo Branduardi
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OriginaleTraduzione della poesia originale di Carlo Bo
GRIDO A ROMA

Perché non c'è più chi divida il pane e il vino,
Né chi coltivi erbe in bocca al morto,
Né chi sappia aprire i lini del riposo,
Né chi pianga per le ferite degli elefanti.

Non c'è che un milione di fabbri
Che forgiano catene per i bambini del futuro.
Non c'è che un milione di carpentieri
Che fanno bare senza croce.
Non c'è che una folla di lamenti,
Le vesti aperte alla pallottola.

Ma il vecchio dalle mani trasparenti
Dirà: amore, amore,
Acclamato da milioni di moribondi;
Dirà: amore, amore, amore,
Nel tessuto tremante di tenerezza;
Dirà: pace, pace, pace,
Fra brividi di coltelli.

Perché vogliamo il pane di ogni giorno,
Fiore d'ontano ed eterna tenerezza sgranata.
Perché vogliamo che si compia la volontà della Terra
Che per noi tutti ha frutti da donare.
GRIDO A ROMA

GRIDO A ROMA
(DALLA TORRE DEL CHRYSLER BUILDING)

Mele leggermente ferite
da sottili spadini d'argento,
nuvole lacerate da una mano di corallo
che porta sul dorso una mandorla di fuoco,
pesci d'arsenico come pescecani,
pescecani come gocce di pianto per accecare la folla,
rose che feriscono,
e aghi installati nei tubi del sangue,
mondi nemici e amori coperti di vermi
cadranno su di te. Cadranno sulla gran cupola
che ungono d'olio le lingue militari
dove un uomo orina in una splendente colomba
e sputa carbone masticato
circondato da mille campanelli.

Perché non v'è più chi divida il pane e il vino
né chi coltivi erbe in bocca al morto
né chi apra i lini del riposo
né chi pianga per le ferite degli elefanti.
Non c'è che un milione di fabbri
che fabbricano catene per i bambini del futuro.
Non c'è che un milione di carpentieri
che fanno bare senza croce.
Non c'è che una folla di lamenti
che aprono le vesti in attesa della pallottola.
L'uomo che disprezza la colomba doveva parlare,
doveva gridare nudo fra le colonne
e farsi un'iniezione per prendere la lebbra
e piangere un pianto così terribile
da fondere i suoi anelli e i telefoni di diamante.
Ma l'uomo vestito di bianco
ignora il mistero della spiga,
ignora il gemito della partoriente,
ignora che Cristo può dare ancora acqua,
ignora che la moneta brucia il bacio prodigioso
e dà il sangue dell'agnello al becco idiota del fagiano.

I maestri mostrano ai bambini
una luce meravigliosa che viene dal monte;
ma ciò che giunge è un insieme di cloache
dove gridano le oscure ninfe del colera.
I maestri indicano con devozione le enormi cupole profumate
ma sotto le statue non c'è amore,
non c'è amore sotto gli occhi di cristallo definitivo.
L'amore vive nelle carni lacerate dalla sete,
nella minuscola capanna che lotta con l'inondazione;
l'amore vive nei fossi dove lottano le serpi della fame
nel triste mare che dondola i cadaveri dei gabbiani
e nell'oscurissimo bacio pungente sotto i guanciali.
Ma il vecchio dalle mani trasparenti
dirà: amore, amore, amore,
acclamato da milioni di moribondi;
dirà: amore, amore, amore,
nel tessuto tremante di tenerezza;
dirà: pace, pace, pace,
fra brividi di coltelli e meloni di dinamite;
dirà: amore, amore, amore,
finché le labbra non gli diventeranno d'argento.

Intanto, intanto, ahi! intanto
i negri che portano via le sputacchiere,
i bambini che tremano sotto il pallido terrore dei direttori,
le donne affogate in olii minerali,
la folla di martello, di violino o di nube,
deve gridare finché le rompano la testa nel muro,
deve gridare di fronte alle cupole,
deve gridare pazza di fuoco,
deve gridare pazza di neve,
deve gridare con la testa piena di escremento,
deve gridare come tutte le notti insieme,
deve gridare con voce così lacerata
finché le città non tremino come bambine
e rompano le prigioni dell'olio e della musica,
perché vogliamo il nostro pane quotidiano,
fiore d'ontano e perenne tenerezza sgranata,
perché vogliamo che si compia la volontà della Terra
che dà i suoi frutti per tutti.



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