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(זינג מײַן פֿידעלע (בערלין 1990

Mishke Alpert [Michael Alpert] / מישקע אַלפערט
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Versione italiana di Francesco Spagnolo da dust.it
SING, MY FIDDLE (BERLIN 1990)

I've played here in Germany many's the time,
He who divides the sacred from the worldly,
But I swear by my muse, mark well what I sing,
That not once has it been easy to be here.
I see you at night in smoky hangouts,
Talking youthful talk of today
I'm proud of my heritage, yet I envy you,
today's children of yesterday's enemy,
Because yours is the future, one land and one language,
while we are left here, speechless...

... Yesterday's echo forever at hand,
Of blessed memory at every turn.
Yet something still draws together, our two peoples;
A forbidden love, disrupted by evildoers,
Be it love or hate, it is as if fated,
Cursed by human beings and the Creator.

So sing, my fiddle, Play, my fiddle,
Like no one who has played before.
And play me a sweet Diaspora song,
With a longing that's pure.

My own heritage is ever on my mind
Even as I traverse the bright present,
Because if not for the wars, Pogroms, slaughter,
I too would have been Europe's progeny.
Our world has already gone done in flames here,
Branches severed from the Jewish tree,
Yet again walls and fences are being built,
And you persecute those poor souls seeking a home.
You drive them anew from your gates,
Hunting them through nights of broken glass.
What chutzpa you have to act like that --
Are we supposed to forgive you?

Again you devour your own children,
Turning them into murderers, bloodthirsty dogs.
Then turning a blind eye to their crimes
Until all of Europe has been laid waste. . .

So sing, my fiddle, Play, my fiddle,
Like no one who has played before.
And play me a sweet Diaspora song,
With a longing that's pure.
CANTA, VIOLINO MIO (Berlino 1990)

Vago per il Polenmarkt,
scuro è il cielo su Berlino.
Un ebreo fra turchi, polacchi e zingari,
un ebreo d’America, giunto sin qui.
Vi sono angeli caduti, poveretti,
vi sono oggi profughi d’un tipo nuovo.
Comprano e vendono –
non gli importa chi io sia.
Perché i venditori di ieri
sono gli acquirenti di domani.
Ma anche noi eravamo qui
nemmeno troppo tempo fa,
a offrire la stessa merce.

E allora canta, violino mio,
suona, violino mio,
come mai ha suonato nessuno.
E suonami una dolce canzone della diaspora,
con nostalgia, ma che sia pura.

Ho suonato tante volte, qui in Germania –
hamavdil, hamavdil beyn keydesh lekhol
Ma vi giuro sulla mia Musa,
e sentite bene come canto,
mai mi è stato facile d’essere qui.
Vi vedo nella notte dei locali fumosi,
parlate la giovane lingua dell’oggi.
Sono fiero della mia stirpe,
eppure v’invidio,
voi figli d’oggi del nemico di ieri.
Perché vostro è il futuro,
una terra e una lingua,
mentre noi stiamo qui, senza parole…

… L’eco di ieri è sempre vicina,
zikhroyne livrukheh a ogni angolo.
Eppure qualcosa ancora avvicina
i nostri popoli;
un amore proibito, dilaniato dai malvagi.
Che sia amore, che sia odio,
è come predestinato,
maledetto dagli uomini e da Dio.

E allora canta, violino mio,
suona, violino mio,
come mai ha suonato nessuno.
E suonami una dolce canzone della diaspora,
con nostalgia, ma che sia pura.

La mia stirpe mi è sempre dinnanzi,
anche quando solco il presente luminoso,
perché senza le guerre,
i pogrom, i massacri,
sarei stato anch’io un figlio d’Europa.
Svanito è il nostro mondo,
scomparso nelle fiamme,
strappati i rami dall’albero ebraico.
Ma di nuovo si erigono muri e steccati,
e voi perseguitate chi cerca una patria.
Ancora li cacciate dai vostri portali,
inseguendoli nelle notti di cristallo.
Con che faccia agite così –
e noi dovremmo perdonarvi?

E ancora una volta divorate i vostri figli,
ne fate assassini, cani assetati di sangue,
e allontanate i vostri occhi ciechi dai loro crimini,
affinché l’Europa sia dispersa nel vento.


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