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6 dicembre 1990

Tj DJ
Lingua: Italiano


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Sulle note di 4 maggio 1944 - In memoria dei Gang.

Le canzoni a volte fanno dei grandi giri.
Marino Severini sulla pagina Fb Gang Communia citava questo vecchio post di Riccardo sulla tragedia di Casalecchio di Reno, che osservava l'assenza di una canzone a riguardo. Ora la canzone c'è, sulla falsariga e sulle note proprio di una canzone dei Gang


Per dodici ragazzi senza una canzone


Salvemini


Sarebbe inutile cercare, anche tra le quasi venticinquemila canzoni di questo sito, qualcosa che parli della strage dell’Istituto Salvemini di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna. Nulla. Perché, in realtà, pare non sia successo nulla. Il sei dicembre millenovecentonovanta, a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, non è successo nulla. Alle ore dieci e trentasei di quel giorno, a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, non è successo assolutamente nulla. Un semplice guasto di un aviogetto di addestramento Aermacchi eccetera (anzi, Aermacchi MB-326 MM54386/65), un guasto, un’avaria. Un aeroplanino da guerra ? Ma quale guerra, su, dai. La guerra è una cosa seria, quella sulla quale poi si fanno le canzoni, pro, contro, come si vuole. Give Peace a Chance e il Piave mormorava. Quell’aeroplanino là guastatosi a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, la mattina del sei dicembre millenovecentonovanta, serviva solo all’addestramento. Non è successo nulla, anzi nulla erano e nulla rimarranno, Deborah Alutto. Laura Armaroli. Sara Baroncini. Laura Corazza. Tiziana De Leo. Antonella Ferrari. Alessandra Gennari. Dario Lucchini. Elisabetta Patrizi. Elena Righetti. Carmen Schirinzi. Alessandra Venturi. L’appello della morte, che termina col mio stesso cognome. Anche io ero sempre l’ultimo, in classe.

Non è successo nulla, come hanno stabilito inchieste su inchieste su inchieste. Un guasto tecnico. Un nulla di fatto. Quindi un guasto tecnico, sotto forma di aviogetto Aermacchi di addestramento, alle dieci e trentasei del sei dicembre millenovecentonovanta, venticique anni fa, è piombato dentro la classe 2a A dell’Istituto Salvemini, Gaetano Salvemini, mentre si stava svolgendo una lezione di lingua tedesca tenuta da una professoressa che, nomen omen, si chiamava Germani. Cristina Germani. Lei non morì, per fortuna ; toccò, alle ore dieci e trentasei, a dodici studenti di quindici anni, qualcuno forse sarà andato per i sedici, quindici anni, sedici anni, io quasi i miei non me li ricordo più. Undici ragazze e un ragazzo, uno solo. Chissà, forse prendendolo in giro qualcuno gli diceva che era beato fra le donne. Sono battute che si fanno nelle scuole. Le scuole. La mattina a scuola. La lezione di tedesco, ich bin, du bist. La professoressa Germani. Il guasto. Le fiamme. Lo squarcio. I ragazzi che si gettano impazziti dalle finestre. I pompieri. Bologna Soccorso. Dodici morti e ottantotto feriti, ma non è mai successo nulla.

A addestrarsi sull’aviogetto Aermacchi eccetera, un tenente dall’età di ventiquattro anni. Otto anni più grande della classe 2a A. Sarà, magari, stato anche lui in una 2a A di qualche scuola di chissà dove. Magari avrà già avuto il sogno del volo. Parecchi esseri umani, e non di rado in giovane età, sono sedotti da ‘sta storia del volo. Poi ci sono anche le pubblicità, i cartelloni, l’Aeronautica Militare, il fàscino, la Patria, la divisa, tutto. E gli addestramenti. E i guasti. Specie i guasti quando, si sa, i velivoli militari possono sorvolare tutto quello che gli pare, città, paesi, centri abitati, funivie, scuole Salvemini. Nessuno glielo può impedire, neppure se si guastano. E neppure se il giovine pilota, in un impeto oltremodo umano, non si preoccupa minimamente se il suo aviogetto guasto possa, che so io, piombare su una scuola mentre la classe 2a A stava, chissà, studiando i verbi forti tedeschi o le preposizioni col dativo.

Non si può mica biasimarlo troppo, del resto, il giovine tenente. Non si è tutti eroi. Non si può sempre decidere di morire a ventiquattro anni per cercare di pilotare l’aviogetto fuori da un centro abitato dove stai precipitando. E via col seggiolino eiettabile, sblòpp! Salvare la pelle, per quel maledetto guasto, alle ore dieci e trentasei a Casalecchio di Reno, provincia di Bologna. Fu mandato a processo, il giovine tenente, ben difeso dall’Avvocatura dello Stato mentre le undici ragazze e il ragazzo della 2a A si trovavano in un edificio scolastico di proprietà, toh, dello Stato. Però il Ministero della Pubblica Istruzione non richiese nessun patrocinio dell’Avvocatura. Primo grado: due anni e sei mesi di reclusione per disastro aviatorio colposo e lesioni. Imputati al Ministero della Difesa i danni per responsabilità civile.

Secondo grado. Secondo, come la Seconda A sterminata alle ore dieci e trentasei, ich bin, du bist. Tutti assolti. 26 gennaio 1998, Quarta A. Non è un’altra classe. E’ la 4a Sezione della Corte di Cassazione la quale, appunto, cassa tutto. Rigettati i ricorsi dei familiari delle vittime. Assoluzione per tutti perché il fatto non costituisce reato. Come si suole dire, una tragica fatalità.

E forse sarà stato anche così. Si guasta l’aviogetto come si guasta la Fiat 500 o la lavastoviglie. Eppure c’è qualcosa che, venticinque anni dopo, continua a non tornarmi. Continua a non tornarmi l’uomo militare, ecco cosa continua a non tornarmi. Continua a non tornarmi “volare” per addestrarsi a “difese” che non mi difendono affatto, da niente. Continuano a non tornarmi i miti costruiti, foraggiati, propagandati. Continua a non tornarmi l’intruppamento sotto qualche divisa più o meno affascinante. Continua a non tornarmi lo Stato militare che piomba dentro lo Stato scolastico. Continuano a non tornarmi i seggiolini eiettabili, perché non ci sarebbe nulla da eiettare se non esistessero quelle costosissime macchinette di morte, quei giocattolini inutili, quegli addestramenti al nulla. Continua a non tornarmi tutto questo, e continuerà a non tornarmi mai; poi, certo, c’è stato un semplice guasto meccanico. Non è successo nulla, a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, alle ore dieci e trentasei del sei dicembre millenovecentonovanta. Un buco in una classe, la 2a A, durante una lezione di tedesco. Ce ne sono tanti di buchi nelle classi. Crollano persino i soffitti. Batte un terremotino sega e l’unica cosa che crolla è la scuola, seppellendo trenta ragazzini.

E così, poiché non è successo nulla, sarebbe inutile cercare una canzone. Una canzoncina. Una filastrocca. Non è mica passata la guerra, a Casalecchio di Reno, il sei dicembre millenovecentonovanta alle ore dieci e trentasei; è passata un’avaria. Undici ragazze ed un ragazzo senza nulla, e senza nemmeno una canzone che li ricordi. Nessuno che abbia mai pensato di scrivercene sopra non dico una intera, ma nemmeno una strofa, un ritornello. Naturalmente non servirebbe bellamente a nulla, era solo così per dire; forse soltanto a dire che non si è nemmeno trattato di una strage di Stato, ché quelle di canzoni ne hanno fin troppe; è stata, invece, ed unica, una strage di Non-Stato. O, forse ancora, la strage di tutti gli Stati che ammazzano coi propri giochini (che a volte si guastano).

Ma almeno, venticinque anni dopo, se non possono e non potranno mai avere neppure una canzone che li ricordi interrotti a quindici o sedici anni, una mattina a scuola, che abbiano questo piccolo omaggio, una non-canzone per la loro non-morte, un abbraccio . [RV]
Alle dieci del 6 di Dicembre
precipitò l'Aermacchi assassino
In Emilia a Casalecchio di Reno
Sopra una scuola in pieno mattino

Lo guidava un tenentino
addestramento andato malino
Un guasto, un'avaria
e il tenente saltò via

E di mattina quassù sopra il monte
A scuola erano entrati
quando a lezione di tedesco
Il tetto piombò sulla testa

ed entrò così l'inferno
l'inferno qui sulla terra
l'inferno quello dei vivi
l'inferno che chiamano guerra

E pietà, pietà gridammo
fra le lacrime e i lamenti
Lì tra i banchi e le mura
poi noi cademmo innocenti

Alutto Deborah presente
Armaroli Laura presente
Baroncini Sara presente,
Corazza Laura presente,
De Leo Tiziana presente,
Ferrari Antonella presente

Alle dieci del 6 di Dicembre
ci tolsero il nostro domani
perché nostra colpa era quella
Di studiare tedesco nella 2A

Ma il sangue nostro versato
è quello che inizia la terra
ditemi che cosa volate
Per giocare alla guerra

Gennari Alessandra presente,
Patrizi Elisabetta presente,
Righetti Elena presente,
Schirinzi Carmen presente,
Venturi Alessandra presente
Lucchini Dario, unico maschio
Presente

Eran le dieci del 6 di Dicembre
per sempre ne avremo memoria
perché è l'alba di un giorno
che fa nostra la storia

Perché mai più ritorni
l'inferno qui sulla terra
l'inferno quello dei vivi
l'inferno che si chiama guerra

Alutto Deborah presente
Armaroli Laura presente
Baroncini Sara presente,
Corazza Laura presente,
De Leo Tiziana presente,
Ferrari Antonella presente
Gennari Alessandra presente,
Patrizi Elisabetta presente,
Righetti Elena presente,
Schirinzi Carmen presente,
Venturi Alessandra presente
Lucchini Dario, unico maschio
Presente

inviata da Tj Dj - 7/12/2016 - 00:10


Grazie TjDj.
Non so dirti altro.

Riccardo Venturi - 7/12/2016 - 23:07



Lingua: Tedesco

Deutsche Übersetzung von Riccardo Venturi
Traduzione tedesca di Riccardo Venturi
8 Dezember / 8 dicembre 2016

salvem3


Elf Mädchen und einem Junge, denen es nicht erlaubt wurde, die deutsche Sprache oder andere Sprachen zu lernen, gewidmet. Sie alle wurden ihrer Sprache, und ihres Lebens, beraubt.

A undici ragazze e un ragazzo cui non è stato permesso di imparare né la lingua tedesca, né nessun altra. E che sono stati derubati anche della propria, assieme alla vita.
6 DEZEMBER 1990

Um 10 Uhr, am 6 Dezember
in Emilia bei Casalecchio di Reno
stürzte das Mörder-Aermacchi
auf eine Schule, mitten im Morgen, ab.

Es steuerte ein junger Oberleutnant,
seine Ausbildung ging aber nicht so wohl.
Ein Schaden, ein Defekt,
und der Oberleutnant sprang herab.

Am Morgen, hier oben im Bergland
waren alle schon in ihrer Klasse
als während der Deutschstunde
das Dach auf ihre Köpfe herabfiel.

Und so trat die Hölle ein,
die Hölle hier auf Erde
die Hölle, die der Lebenden
die Hölle, die man Krieg heißt

Mitleid, Mitleid, schrien wir
mit Tränen, mit Wehklagen
zwischen Bänken und Mauern,
da fielen wir unschuldig.

Alutto Deborah, hier
Armaroli Laura, hier
Baroncini Sara, hier
Corazza Laura, hier
De Leo Tiziana, hier
Ferrari Antonella, hier

Um 10 Uhr am 6 Dezember
wurden wir unsrer Zukunft beraubt.
Unsere Schuld war das, dass wir hatten
Deutschunterricht in der Klasse 2A.

Aber das Blut, das wir gegossen haben
ist das Blut, mit dem die Erde entsteht.
Sagt mir, warum fliegt ihr
um den Krieg zu spielen

Gennari Alessandra, hier
Patrizi Elisabetta, hier
Righetti Elena, hier
Schirinzi Carmen, hier
Venturi Alessandra, hier
Lucchini Dario, einziger Junge,
Alle hier.

Es geschah am 6 Dezember, um 10 Uhr,
auf immer werden wir uns daran erinnern.
Das ist der Anbruch eines Tages
der unsere Geschichte macht.

Möge nie wieder kommen
die Hölle hier auf Erde,
die Hölle, die der Lebenden,
die Hölle, die man Krieg heißt.

Alutto Deborah, hier
Armaroli Laura, hier
Baroncini Sara, hier
Corazza Laura, hier
De Leo Tiziana, hier
Ferrari Antonella, hier
Gennari Alessandra, hier
Patrizi Elisabetta, hier
Righetti Elena, hier
Schirinzi Carmen, hier
Venturi Alessandra, hier
Lucchini Dario, einziger Junge,
alle hier.

8/12/2016 - 01:34


CLASSE II/A, ITCS ISTITUTO "GAETANO SALVEMINI"
CASALECCHIO DI RENO (BOLOGNA)
6 DICEMBRE 1990, ORE 10,36


salvem1

salvem2

Riccardo Venturi - 7/12/2016 - 23:43


LA LOTTERIA DEL DOLORE
di Michele Smargiassi

Ma se “il fatto non costituisce reato” (tutti assolti in Cassazione, nel ’98), cos’è stato allora quel massacro fuori da ogni grazia di Dio? Un “incidente”, oh sì, questo sì, una cosa che incide come un bisturi l’anima di chi ce l’ha. La cicatrice duole ancora. Dodici ragazzini falciati via mentre erano seduti, lezione di lingue, nel posto che dovrebbe essere il più sicuro del mondo, un’aula scolastica, il vivaio del loro e del nostro futuro: una “fatalità”, come se fosse un vento soprannaturale e non una scelta umana far volare in un cielo senza guerre degli aerei militari, che poi magari si guastano.

Quell’aereo non era un terremoto, un fulmine divino, quell’aereo apparteneva a qualcuno: era dello Stato. Anzi, era lo Stato, perché la Repubblica Italiana decise che, di fronte ai giudici, solo quell’aereo era suo, solo quell’aereo ovvero chi lo governava da vicino e da lontano doveva essere assistito al processo dall’Avvocatura dello Stato, mentre il Salvemini, scuola statale, no. I dirigenti d’istituto furono perfino indagati per inosservanza delle norme di sicurezza. A ripensarci, venticinque anni dopo, viene ancora la nausea. Al funerale, comunque, le divise dell’Aeronautica Militare erano in prima fila. Guidate da due altissime uniformi che in queste occasioni non mancano mai: il generale Cordoglio e il maggiore Impegno.

Ma nella memoria del cronista di allora lo sdegno civile passa sullo sfondo, travolto da immagini che non si cancellano. Che tornano alla mente con una nettezza quasi digitale, ad alta definizione.
Il volto dolcissimo di bambina di Federica, una dei quattro studenti superstiti della seconda A, fasciata nel letto d’ospedale, bionda o bruna chissà, l’incendio le ha bruciato i capelli. Federica che racconta senza quasi crederci di quell’aereo che si avvicinava, si avvicinava, perfettamente inquadrato dallo schermo cinemascope della finestra: ascoltarla con il nodo alla gola di sapere quello che lei non sa ancora, e che ho giurato a suo padre di non dirle, e cioè che non ha più dodici amici ed amiche. La rivedrò tempo dopo, ancora dolcissima. Non ricorderà più molto di quel giorno. Per fortuna.

Poi, il buco. Quell’occhio di drago nero fumante. L’edificio ancora in piedi, praticamente intatto e sano, tranne quella voragine enorme, ritagliata con nettezza nella parete della scuola, al primo piano, dove c’era la finestra della classe. Un centro perfetto. Un bombardamento chirurgico. Un kamikaze fatto e rifinito non avrebbe saputo fare di più.

Poi, da quel ventre osceno, un vigile del fuoco che porta fuori, in braccio, il corpo esile di una ragazzina, una ragazzina con la faccia da bambina e il maglioncino nero, come l’ostetrico di un secondo parto, verso una seconda vita. Attorno, nel prato, un picnic surreale di coperte stese sull’erba resa fradicia dagli estintori, di ragazzini sotto choc, di facce nerofumo, di professori tremanti che abbracciano i loro studenti, di pettorine arancioni.

Poi, la lotteria del dolore. Al piano terra dell’Ospedale Maggiore allestiscono un’aula, grande, l’aula magna, purtroppo deve essere grande per ospitare tutti i parenti gli amici i fidanzati dei ragazzini di cui non si sa nulla, cosa gli sia successo, dove siano finiti, se siano vivi, se siano feriti. Due lavagne luminose proiettano su una parete i nomi dei ragazzi già identificati e i reparti dove sono ricoverati. Una mano aggiorna via via il foglio di plastica lucido con altri nomi e numeri di reparto, una voce chiama i salvati, e i genitori fratelli amici fidanzati il cui numero fortunato esce corrono via fra angoscia e sollievo per salire ai piani, mentre gli altri aspettano, aspettano, sempre più soli, nell’aula sempre meno affollata ma che non si svuota come sarebbe bello fosse, aspettano ancora quel biglietto vincente che per dodici famiglie non uscirà.

Poi la foto di classe, il giorno dopo, a tutta pagina sul nostro giornale, tutti sorridenti, in piedi, in ginocchio, felici, come se la memoria elettronica del tempo fosse tornata indietro, all’ultimo backup dei dati. E il nostro titolo dove proprio la parola “morti” non c’è voluta entrare, “Addio ragazzi della II A”.

Addio, ciao, ragazzi. Sareste adulti, oggi, e non potete, ma il fatto non costituisce reato. Costituisce solo vergogna.

Riccardo Venturi - 8/12/2016 - 00:54




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