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الوداع

Mariem Hassan / مريم حسا ن
Language: Arabic (Ḥassāniyya)


Mariem Hassan / مريم حسا ن

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Alwadae
[2015]
النص والموسيقى / Letras y musica / Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel:
Mariem Hassan / مريم حسن

Campo profughi Saharawi di Tindouf - autore: Riccardo Gullotta
Campo profughi Saharawi di Tindouf - autore: Riccardo Gullotta


نشرت ” شبكة المقاومة ” العالمية شريطا غنائيا قصيرا للفنانة الصحراوية مريم الحسان تم تسجيله بتاريخ 06 اوت 2015 في مخيمات اللاجئين الصحراويين وحمل عنوان ” الوداع ” .

وتضمن الشريط كلمات مؤثرة للفنانة الصحراوية القديرة التي توجد في وضع صحي صعب إلى الشعب الصحراوي.

وتوصي الفنانة الصحراوية في هذا الشريط الشعب الصحراوي على الصمود والمحافظة على التراث ، وتعبر عن ثقتها الكبيرة في مواصلة الأجيال الصاعدة على للنضال وايصال صوت الشعب الصحراوي الى ابعد الحدود.

للإشارة اثار الشريط الذي سجل من داخل خيمتها بولاية السمارة إعجاب الكثير من رواد شبكات التواصل الاجتماعي الذين عبروا عن شديد التأثر متمنيين الشفاء العاجل للفنانة الصحراوية.

وأبرزت شبكة المقاومة التي تضم مئات المنخرطين عبر العالم الذين يدافعون عن السلام والحرية ان مريم الحسان كرست حياتها للنضال من حق الشعب الصحراوي في تقرير المصير. - sumoudsh.net

Il “Global Resistance Network” ha pubblicato un breve nastro dell'artista sahrawi Mariem Hassan, registrato il 6 agosto 2015 nei campi profughi sahrawi e intitolato Alwadae (“Addio, Il congedo”).

Il nastro includeva parole toccanti dell'abile artista per il popolo sahrawi, che si trovava in una situazione di salute molto difficile.

In questo video, l'artista raccomanda al popolo sahrawi di resistere e di preservare la propria eredità, ed esprime la sua grande fiducia affinché le generazioni emergenti continuino a lottare e portino la voce del popolo sahrawi fino ai limiti più lontani.

Il nastro, che è stato registrato all'interno della sua tenda nello stato di Smara, ha impressionato molti dei pionieri dei social network, che hanno espresso una grande emozione, augurando una pronta guarigione all'artista sahrawi.

La rete di resistenza, comprendente centinaia di persone in tutto il mondo che stanno difendendo la pace e la libertà, ha sottolineato che Mariem Hassan ha dedicato la sua vita alla lotta del diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi. [trad. CCG/AWS Staff]


Saharawi: un popolo dimenticato
La lingua parlata dai Saharawi è Ḥassāniyya / الحسانية : un dialetto arabo, della famiglia arabo-magrebina, con contaminazioni berbere ( ma distinto dal berbero che, pur essendo flessiva, non è lingua semitica), diffuso nel Sahara Occidentale, in Mauritania, in parte dell’Algeria sud-occidentale e in parte del Senegal.

Il Sahara Occidentale fu una colonia spagnola dal 1884 al 1975. Nel 1960 l’Onu riconobbe il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi. Nel 1973 si costituì il Fronte Polisario, movimento indipendentista per la liberazione dalle forze di occupazione, spagnole sino al 1975 e poi marocchine. Nel 1976 il Fronte Polisario proclamò la RADS, Repubblica Araba democratica dei Saharawi. A seguito dell’invasione marocchina circa 100.000 saharawi fuggirono verso l’Algeria lasciando tutto ciò che avevano, case, animali e cose. La guerriglia contro il Marocco cessò nel 1991 dietro l’impegno dell’Onu a celebrare un referendum sullo statuto del territorio.
Da allora è presente una missione di pace Onu, ma il referendum non si è mai tenuto per l’opposizione del Marocco. Il Marocco accampa la sovranità sul Sahara Occidentale prendendo a pretesto i periodi di stretta alleanza tra le tribù saharawi e la dinastia marocchina. L’Onu non ha avallato tale presupposto giuridico.

La situazione è in stallo. Oggi il Fronte Polisario controlla appena il 20% del territorio, la parte orientale. Per mantenere il controllo militare il Marocco ha costruito un muro di 2.700 km, costituito da pietre o terrapieni da 2 a 3 metri. Il muro insiste su un campo minato, pressoché ininterrotto, che ha il triste primato di essere il più lungo del mondo. Un autorevole reportage, le fléau des mines, dà come quantità di mine posate la cifra da 200.000 a 10 milioni, di 35 tipi diversi, fabbricate in Spagna, Italia, Russia, Israele. Un’altra fonte, Chad McCoull ” Journal of Conventional Weapons Destruction, The Journal of Mine Action, Morocco and Western Sahara” riporta che il Marocco acquistò mine per 6,5 milioni di dollari. Considerato il costo unitario di circa 10 $ per una mina anti-uomo, a fronte della somma indicata, si avrebbe una cifra prossima a 600.000 mine. Naturalmente la vera spesa complessiva la conoscono solo i vertici marocchini. Sono in corso campagne di sminamento, ma il costo è molto elevato ed il territorio molto vasto , circa 100.000 kmq.

L’Unione Africana ha riconosciuto la RASD, la Lega Araba no. Circa 80 paesi hanno rapporti diplomatici, ma una trentina li hanno congelati o interrotti. Il governo in esilio si trova a Tindouf, in Algeria.

Ai campi profughi hanno dato gli stessi nomi dei villaggi della loro terra: El Aaiun, Smara, Auserd, Bojador, Rabouni, Dakhla. Un popolo splendido nella sua coscienza e dignità.
[Riccardo Gullotta]

Mariem Hassan, La Voz del Sahara
Questa canzone fu l’ultimo messaggio di Mariem Hassan nell’agosto 2015. Segnata da un male incurabile volle tornare nel campo profughi di Smara dove aveva vissuto in esilio con migliaia di profughi saharawi dal 1975 per tanti anni. Una donna ed una resistente di grande spessore ancora prima che artista. Ci piace ricordarla con queste sue parole pronunciate tre anni prima:

Le nostre donne sono forti, sono pronte a lottare. Io sono come loro e ci riesco con le mie armi, la musica e le canzoni. Quello che faccio è per il mio popolo. Le persone passano, le canzoni restano e saranno ascoltate dalle nuove generazioni, rimanendo per sempre, di tutti.


Nota testuale. Dell'originale in arabo Ḥassāniyya è stato reperito soltanto il titolo, con il quale questa pagina viene registrata. I tentativi per reperire il testo sono stati per ora infruttuosi; chiunque lo avesse disponibile, o fosse in grado di trascriverlo all'ascolto, è pregato di intervenire su questa pagina. Le traduzioni in inglese e spagnolo (e quella italiana di Riccardo Gullotta) sono riportate separatamente e non più in sostituzione del testo originale. [CCG/AWS Staff]
[Testo originale per ora non disponibile
Original lyrics unavailable
Paroles originales non disponibles
Letra original no disponible]

Contributed by Riccardo Gullotta - 2020/1/6 - 00:45




Language: English

English translation / Traduzione inglese / Traduction anglaise / Englanninkielinen käännös



The “Global Resistance Network” published a short singing tape of the Sahrawi artist Mariam Al-Hassan, recorded on August 06, 2015 in the Sahrawi refugee camps and titled Alwadae (“Farewell”)

The tape included touching words the skilled artist, who is in a difficult health situation, addresses to the Sahrawi people.

In this video, the Sahrawi artist recommends the Sahrawi people to withstand and preserve all its heritage, and expresses her great confidence that the rising generations keep on struggling and bringing the voice of the Sahrawi people beyond the borders.

For reference, the tape, which was recorded from inside her tent in the state of Smara, impressed many of the pioneers of social networks, who expressed a great emotion, wishing a speedy recovery to the Sahrawi artist.

The resistance network, which includes hundreds of people around the world who are defending peace and freedom, highlighted that Maryam El Hassan devoted her life to the struggle of the Sahrawi people's right to self-determination.
FAREWELL

How hard to say goodbye!
It is painful,
but sometimes life drags you
in deep helplessness.
Art today has an easy game with a downhearted mind
and steals all my attention though my being opposes.
Sow art and catch up
with the harvest for the children
of a people who have planted honor, dignity
and hope for their descendants.

Contributed by Riccardo Venturi - 2020/1/6 - 07:07




Language: Spanish

Traducción al español / Traduzione spagnola / Spanish translation / Traduction espagnole / Espanjankielinen käännös



La “Red de Resistencia Global” publicó una breve cinta de canto de la artista saharaui Mariam Al-Hassan, grabada el 6 de agosto de 2015 en los campos de refugiados saharauis y titulada Alwadae (“Adios”, “Despedida”).

La cinta incluía palabras conmovedoras que la hábil artista saharaui, encontrándose en una situación de salud muy difícil, ha dirigido al pueblo saharaui.

En este video, la artista recomienda al pueblo saharaui que resista y conserve su patrimonio, y expresa su gran confianza en que las generaciones en ascenso sigan luchando y llevando la voz del pueblo saharaui a los límites más lejanos.

Como referencia, la cinta, que fue grabada desde el interior de su tienda en la gobernación de Smara, impresionó a muchos de los pioneros de las redes sociales, que expresaron su afecto y desearon una pronta recuperación para el artista saharaui.

La red de resistencia, que incluye a cientos de personas en todo el mundo que defienden la paz y la libertad, destacó que Maryam El Hassan dedicó su vida a la lucha por el derecho del pueblo saharaui a la autodeterminación.
DESPEDIDA

Qué difícil es la despedida
¡qué le vamos a hacer!
Es triste, pero la vida a veces te arrastra;
sumida en el desamparo.
El arte juguetea hoy con un espíritu aturdido
y roba toda mi atención, aunque mi ser se resista.
Sembrar arte y recoger la cosecha.
dejándola en manos de los hijos.
Este pueblo ha cultivado gloria,
dignidad y esperanza para sus descendientes.

Contributed by Riccardo Gullotta - 2020/1/6 - 07:10




Language: Italian

Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Gullotta

Profughi Saharawi – Scuola elementare di Auserd (Tindouf) - autore: Riccardo Gullotta
Profughi Saharawi – Scuola elementare di Auserd (Tindouf) - autore: Riccardo Gullotta
ADDIO

Quanto è difficile l'addio,
Che possiamo farci !
È triste, ma la vita a volte ti trascina;
impantanata nell'impotenza.
L'arte gioca oggi con uno spirito attonito
e sottrae tutta la mia attenzione, anche se il mio essere si oppone.
Semina arte e raccoglie vendemmia.
lasciandola nelle mani dei bimbi.
Questo popolo ha coltivato gloria,
dignità e speranza per i suoi discendenti.

Contributed by Riccardo Gullotta - 2020/1/6 - 00:48




Language: Greek (Modern)

Μετέφρασε στα ελληνικά / Traduzione greca / Greek translation / Traduction grecque / Kreikankielinen käännös:
Riccardo Venturi (Ρικάρντος Βεντούρης), 06-01-2020 07:46
ΑΝΤΙΟ

Πόσο δύσκολο να πω αντίο!
Είναι πολύ οδυνηρό,
αλλά μερικές φορές η ζωή σέρνει σε
σε βαθιά αδυναμία.
Η τέχνη σήμερα έχει εύκολο παιχνίδι με μία απελπισμένη ψυχή
και κλέβει όλη μου την προσοχή αν και δεν είμαι πρόθυμη.
Σποράστε την τέχνη και κατεβείτε
με τη συγκομιδή για τα παιδιά
ενός λαού που έχει φυτέψει τιμή, αξιοπρέπεια
και ελπίδα για τους απογόνους τους.

2020/1/6 - 07:46


OMBRE SCURE SUL FRONTE POLISARIO
Gianni Sartori

Sicuramente Hadj Ahmed Barrikallah, ex dirigente del Polisario divenuto ormai un oppositore (in quanto dirigente del Movimento Sahrawi per la Pace, da lui fondato nel 2020), avrà le sue ragioni. Non si può restare eternamente sulla breccia mentre intorno mutano gli scenari mondiali. E probabilmente, dato che vive attualmente in Spagna, quando propone un’analogia con l’Irlanda (“il Polisario finirà come l’IRA”) magari sta pensando ai Paesi Baschi. Conoscendo sicuramente il profondo, pluridecennale rapporto tra la sinistra basca abertzale e la resistenza della popolazione dell’ex Sahara spagnolo. Era infatti abituale incontrare, magari sulla spiaggia di Donosti, gruppi numerosi, intere scolaresche di bambini saharawi ospiti da qualche organizzazione basca come espressione di solidarietà internazionalista. Per non parlare dell’impegno di alcuni esponenti di Herri Batasuna - come Gorka Martinez - a sostegno dei rifugiati sahrawi in Algeria. Altri tempi, sicuramente.

A differenza (non da poco) di altri ex esponenti, dopo aver lasciato il Polisario, Hadj Ahmed Barrikallah non si è trasferito in Marocco (da dove le sue critiche agli ex compagni potrebbero risultare sospette), ma appunto in Spagna.

La sua militanza è di antica data. Dal 1980 questo giornalista aveva assunto un ruolo particolare come ambasciatore della Repubblica araba saharawi democratica (RASD), raggiungendo in breve posizioni di grande responsabilità, anche di potere diciamo, nella direzione della stessa. Ma dovendo nel contempo, stando alle sue recenti dichiarazioni, constatare amaramente derive e contraddizioni del movimento di liberazione.

Per esempio aver toccato con mano come- nonostante il sostegno anche economico della solidarietà internazionale - la situazione nei campi profughi rimanesse sostanzialmente la stessa dal 1975. Ossia precaria, con i rifugiati ridotti in miseria.

Se non addirittura, si spinge a dire “presi in ostaggio”.

Così come il potere politico sarebbe rimasto stabilmente in mano a una cerchia ristretta di dirigenti.

Coincidenza, ancora in ottobre, in vista del 16° congresso del Fronte Polisario (dicembre) Brahim Ghali aveva parlato di “riconciliazione” tra il Fronte e la popolazione sahrawi.In particolare con i rifugiati del campo di Tindouf.

Ossia di voler “avviare un processo di riparazione per le vittime degli errori commessi nei loro confronti nelle ultime fasi della nostra lotta di liberazione nazionale”. Per questo il Polisario intende “voltare questa pagina dolorosa per impegnare l’intero organismo nazionale e mobilitarlo in questa fase decisiva della nostra marcia vittoriosa”.

Un evidente riferimento, un’ammissione di colpa, per le violazioni dei diritti umani commesse dai guerriglieri nel campo di Tindouf dove molti dissidenti erano stati imprigionati nel carcere di Errachid e talvolta anche torturati e assassinati.

C’era un precedente, risalente al 2019 quando un altro esponente del Polisario, Bachir Mustapha Sayed, aveva riconosciuto che nei confronti dei ribelli dell’ottobre 1988 (una rivolta interna repressa duramente) erano stati commessi abusi. Soprattutto nei confronti delle tribù Oulad Dlim, Tekna e Ait Oussa, fino ad allora sottoposte all’egemonia della tribù Reguibat.

Più recentemente a Ginevra (Consiglio per i diritti umani, dal 12 settembre al 7 ottobre 2022), altri due dissidenti, Fadel Breika e Mahmoud Zeidan, avevano denunciato il Fronte Polisario come responsabile della loro carcerazione, durata alcuni mesi, nel 2019. Con accuse simili era intervenuto alle Nazioni Unite M’Rabih Ahmed Mahmoud Adda che attualmente vive in Marocco.

Tali circostanze potrebbero aver determinato l’ulteriore presa di posizione di Hadj Ahmed Barrikallah che recentemente (vedi un’intervista a Jeune Afrique) arriva asostenere non solo il “dialogo costruttivo” con il Marocco ma anche la positività, il valore delle recenti proposte di “autonomia” provenienti da Rabat. 

Visto e considerato che ormai “la vittoria militare è impossibile”(e qui torna l’analogia con l’Irlanda degli anni novanta) sarebbe giunto il tempo di “esplorare nuove vie”.

Sostanzialmente quelle, se non della resa, perlomeno del compromesso.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2022/12/15 - 19:14


Tra matrimoni di minori, stupri praticamente impuniti, aborti clandestini, matrimoni "riparatori"…la situazione delle donne in Marocco ha ben poco di “roseo”…

IL MAROCCO NON E’ UN PAESE PER DONNE ?

Gianni Sartori

Soltanto un paio di mesi fa (marzo 2023) il Consiglio nazionale dei diritti dell’Uomo (CNDH) presentava a Rabat un rapporto rivelatore sulla reale portata delle violenze subite dalle donne e dalle ragazze in Marocco. E sulla sostanziale impunità per aggressori e violentatori. Nel suo intervento Amina Bouayach, presidente di CNDH, si era appellata, oltre che al ruolo e ai doveri della giustizia, anche a quelli dei media. Raccomandando l’adesione alla legislazione internazionale, in particolare alla Convenzione n° 190 (per la prevenzione delle violenza sulle donne nei posti di lavoro) adottata dall’organizzazione internazionale del lavoro e alla Convenzione del Consiglio d’Europa (per la prevenzione della violenza domestica).

Riformando, aggiornando le norme giuridiche del Codice penale in materia di stupro, molestie sessuale e discriminazione. Suggerendo inoltre che per quanto riguarda la tratta degli esseri umani, le vittime di tale reato non siano ritenute responsabili delle azioni illegali, dei crimini che sono state costrette a commettere.

Purtroppo anche recentemente la situazione in Marocco è sembrata peggiorare e le associazioni femministe sono scese in strada in varie occasioni per denunciare la carenza di tutela per i diritti delle donne. Nell’ottobre 2022 le proteste riguardarono il caso di una quattordicenne violentata, rimasta incinta e poi deceduta per aborto clandestino.

Il mese scorso invece a far indignare non solo le femministe, ma gran parte dell'opinione pubblica (in breve tempo sono state raccolte oltre 30mila firme per inasprire la condanna), è stata la lieve pena inflitta (nemmeno due anni di carcere) a tre uomini che avevano sequestrato e violentato una bambina di undici anni.

Sui social in questi giorni viene lanciata una campagna di denuncia degli innumerevoli abusi a cui le donne sono sottoposte sia in casa che sul lavoro, nella quotidianità. Tra i promotori, la scrittrice marocchina Sonia Terrab.

Altra questione irrisolta, quella dei matrimoni di bambine e ragazze, comunque di minorenni. In un’altro studio del CNDH (in collaborazione con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione del Marocco, UNFPA) risalente alla fine dell’anno scorso si denunciava come fossero in crescita. In quanto sono aumentate le autorizzazioni concesse dai tribunali che utilizzano ogni possibile eccezione e giustificazione concessa dagli articoli del Codice della famiglia.

Stando a quanto dichiarato da un relatore del CNDH “i matrimoni di ragazze minorenni (ossia con meno di sedici anni), da un’eccezione, è ormai diventato una regola”.

Tra i motivi (alcuni francamente incomprensibili per chi scrive nda) utilizzati dai magistrati (nel 90% dei casi considerati i giudici erano maschi, una buona percentuale con diploma in sharia) per giustificarli, ci sarebbero, oltre alle usanze e tradizioni, la protezione delle ragazze orfane, i legami familiari con il marito (?!?), la mancata scolarizzazione, le condizioni economiche e il miglioramento del livello di vita (?), la reale capacità delle ragazze di assumersi le responsabilità del matrimonio, l’intenzione di evitare matrimoni illegali e i rapporti prematrimoniali. Infine, immancabilmente, la secolare tradizione del “matrimonio riparatore” in caso di stupro.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2023/5/6 - 14:23


I molteplici riconoscimenti della sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale a garanzia di una "soluzione politica" o di ulteriore sfruttamento e repressione ?

Gianni Sartori

Il riconoscimento da parte di Israele della sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale potrebbe rappresentare l’ennesima pietra tombale sull’autodeterminazione del popolo saharawi. O anche esasperare il conflitto. Dipende da come reagiranno - oltre alla comunità internazionale, al momento sostanzialmente allineata con Rabat - il Fronte Polisario e l’Algeria.

Diciamo che non me l’aspettavo. Non da Tahar ben Jelloun. Nel suo “Il razzismo spiegato a mia figlia” (Bompiani 1998), rispondendo a una sua domanda, scriveva:

“Il colonialista è razzista e dominatore. Quando si è dominati da un altro paese non si è più liberi, si perde l’indipendenza. Così l’Algeria, fino al 1962, era considerata come una parte della Francia. Le sue ricchezze sono state sfruttate e i suoi abitanti privati della libertà (…). Coloro che non accettavano quella dominazione venivano perseguitati, messi in prigione e persino uccisi. Il colonialismo è razzismo alla scala degli Stati”.





Parole sante. Ma non sembra averne tenuto conto nel suo recente articolo su la Repubblica del 19 luglio.





Non nomina nemmeno il popolo saharawi e cita il Polisario soltanto come un’emanazione di Algeri. Riducendo tutta la questione dell’autodeterminazione del popolo sahrawi (e la sua lunga llotta di liberazione) ad un contenzioso tra Marocco e Algeria. Sorvolando poco elegantemente sul fatto che il Fronte Polisario aveva proclamato la Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi già il 27 febbraio 1976, alcune ora prima del ritiro delle truppe spagnole. Oltre a ignorare che le popolazione autoctone del Sāqiyat al-ḥamrāʾ e del Wādī al-dhahab (Rio de Oro) fin dagli anni trenta rivendicavano l’indipendenza dalla Spagna.

Lo scrittore nato a Fès nel 1944, sembra dare un giudizio sostanzialmente favorevole sia degli accordi di Abramo tra Stati Uniti, Israele e Marocco del dicembre 2020 (firmati da Trump e mai rimessi in discussione da Biden, sancivano la sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale), sia del recente riconoscimento ufficiale da parte di Israele. Riconoscimento che va a sovrapporsi a quello di numerosi Stati, sia arabi che africani e anche una quindicina di europei (Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Emirati, Qatar,Oman, Austria, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Spagna…).

Anche il ministro degli esteri italiano ha definito “seri e credibili gli sforzi compiuti dal Marocco” in merito al futuro del Sahara Occidentale, nonostante l’attuale capo del governo in gioventù avesse espresso simpatia per la lotta dei saharawi visitando anche i campi dei rifugiati.
Almeno stando a quanto mi raccontava Luciano Ardesi (Lega per i diritti e la liberazione dei popoli), non propriamente entusiasta di tale partecipazione.


Se gli accordi di Abramo avevano rappresentato la ripresa delle relazioni tra i paesi firmatari, il riconoscimento ufficiale da parte di Israele (con una lettera di Benjamin Netanyahu, indirizzata al re Mohammed VI e ripresa da un comunicato del gabinetto reale) della sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale rappresenta sicuramente il preludio per “l’apertura di un consolato nella città di Dakhla” (città del Sahara Occidentale che sorge in territorio sotto occupazione marocchina) dove sono già stati aperti una trentina di consolati. Non solo. Il riconoscimento alimenterà ulteriormente gli investimenti israeliani (minerari, industriali, turistici…) nelle cosiddette “province meridionali”. Dove da anni si perpetua uno sfruttamento intensivo (con l’estrazione dei minerali soprattutto - fosfati in particolare - ma anche in altri settori, come per esempio nella pesca) da parte del Marocco. Sfruttamento giudicato illegale dal fronte Polisario (definendolo semplicemente “un furto sistematico delle risorse”).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2023/7/21 - 16:49


Gianni Sartori - 2023/11/16 - 19:44


NIENTE DI BUONO PER I SAHARAWI NEL 2004

Gianni Sartori

Per ora l’ultima notizia riguarda gli attacchi dell’aviazione marocchina del 2 gennaio 2024 alla frontiera tra Sahara Occidentale e Mauritania. I droni avrebbero colpito alcuni veicoli che trasportavano civili. Il primo attacco era avvenuto nei pressi della città di Mijek dove - in una miniera aurifera - lavorano centinaia di persone (sia saharawi che mauritani).

Sia in questo che nel secondo episodio, due ore dopo e nella stessa località, non ci sarebbero state vittime, ma soltanto danni materiali.

Attualmente il Marocco dispone di centinaia di droni di fabbricazione sia statunitense (Sea Gardian, Predator) che israeliana (Theron Harfang, Hermes), cinese (Wing Loon) e turca (Bayraktar).

Ormai sommerso dalle sabbie l’accordo di pace (promosso dall’ONU e all’epoca considerato “storico”) del 30 ottobre 1988 tra Rabat e Polisario. Propedeutico, almeno in teoria, a un referendum sull’autodeterminazione. Approvato definitivamente in sede onusiana nel 1991, consentiva nel settembre dello stesso anno - con l’invio dei caschi blu - di approdare a un - per quanto precario - “cessate il fuoco”.

Ma - come ricordava meno di un anno fa su “Nigrizia” Francesco Bastagli (Senior Advisor, ISPI e Assistente del Segretario Generale dell'ONU nel 2005-2006): “Nonostante il piano che prevede il referendum per l’autodeterminazione risalga al 1988, il Consiglio di sicurezza non ha mai voluto obbligare il Marocco a indirlo. In seno al Consiglio ci sono membri come Francia e Usa che non vogliono premere su Rabat”.

In compenso, mentre i saharawi venivano abbandonati a se stessi, miglioravano sensibilmente i rapporti tra Marocco e Israele. Risaliva all’estate scorsa la prima visita ufficiale di un presidente della Knesset (Amir Ohana, membro del Likud) a Rabat, invitato dal suo omologo Rachid Talbi El Alami. Visita che faceva seguito quella del ministro israeliano dei trasporti Miri Regev.

Un processo di normalizzazione quello tra Rabat e Tel Aviv fortemente auspicato dagli USA nel quadro degli accordi di Abramo (con la contropartita del riconoscimento da parte di Washington della sovranità marocchina sul Sahara occidentale).

A rischiare di interrompere l’idillio era però intervenuta la crisi dell’ottobre 2023. Con l’attacco brutale (criminale, indecente per un movimento che si definisce di liberazione) portato dalle milizie palestinesi (Hamas, Jihad islamica…) contro la popolazione israeliana. E la successiva, devastante (e non meno indecente), operazione militare su Gaza. Ormai ampiamente oltre le ventimila vittime, in maggioranza civili (donne e bambini soprattutto).

Del resto la guerra in corso ha determinato una divisione interna anche tra i paesi del continente africano. Mentre alcuni si sono comunque schierati a fianco di Israele (Ghana, Kenya, Zambia, Repubblica Democratica del Congo…) altri sembrano propendere - con un presa di posizione anticolonialista - per i palestinesi. In particolare il Sudafrica (che accusa apertamente Israele di genocidio), l’Algeria, la Tunisia e appunto - se pur più cautamente -il Marocco. Il cui governo non può non tener conto delle simpatie per la causa palestinese diffusa nel Paese.

Nel frattempo si erano svolte (in sette regioni del Marocco: Tiznit, Agadir, Tafnit, Mahbas, Tan-tan, Kenitra e Ben Guerir) le esercitazioni militari denominate“Leone d’Africa”. Di cui la prima edizione risaliva al 2007, fino a quella del 2023, la 19°.

I circa ottomila soldati partecipanti provenivano da 18 diversi Paesi, sia africani che"occidentali". Presenti per la prima volta anche una dozzina di israeliani. Non casualmente membri del corpo di fanteria d’élite Golani Reconnaissance Battalion. In genere operativo nei territori palestinesi occupati.

Un tassello significativo è stato infine portato dal riconoscimento (già implicito negli accordi di Abramo) da parte di Israele della sovranità marocchina sui territori del Sahara Occidentale (nelle cosiddette “province meridionali”). Con l’ipotesi - addirittura - di aprire un consolato israeliano a Dakhla (città dei territori occupati dal Marocco).

Al momento i paesi europei che riconoscono la sovranità del Marocco nel Sahara Occidentale sono già una quindicina (tra cui Spagna, Paesi Bassi, Germania, Svizzera…). Una trentina quelli arabi e africani.

E pazienza per le legittime aspirazioni dei nativi.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2024/1/4 - 10:36




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