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Don' Let Yo' Watch Run Down

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Una “negro song”, un canto di lavoro.
Testo trovato nella raccolta curata da Carl Sandburg ed intitolata The American Songbag, 1927.

The American Songbag

Il lamento di un lavoratore afroamericano addetto alla costruzione e manutenzione dei binari ferroviari (“levee” è l’argine della massicciata), pagato mezzo dollaro al giorno. Il canto è rivolto – come al solito, come nelle “chain gang songs” - al “captain”, il “boss” o, più semplicemente, la guardia armata che sopravvede al lavoro. Il pensiero, invece, è rivolto a “Luluh”, la donna amata, alla quale non basta quella paga da fame, che Luluh è una donna difficile da accontentare. Il canto si chiude con un’appello alla solidarietà, se non altro emotiva, rivolto ai propri fratelli neri.

Don' let yo' watch run down, Cap'n,
Don' let yo' watch run down.
Wukhin’ on de levee, dollar 'n half a day,
Wukhin’ for my Luluh, gettin' mo' dan pay, Cap'n,
Gettin' mo' dan pay.

Don' let yo' watch run down, Cap'n,
Don' let yo' watch run down.
Wukhin’ on de railroad, mud up to my knees,
Wukhin’ for my Luluh, she's a hard ole gal to please, Cap'n,
She's a hard ole gal to please.

Don' let yo' watch run down, Cap'n,
Don' let yo' watch run down.
When you see me comin' haist yo' windo's high,
When you see me leavin' hang down yo' heads an' cry, brownskins,
Hang down yo' heads an' cry.

Contributed by Bernart Bartleby - 2015/7/22 - 10:48


E’ significativo che negli USA, quando dopo la guerra civile venne abolita la schiavitù, il lavoro semi-schiavistico venne di fatto mantenuto in due modi, sottopagando significativamente i lavoratori di colore e utilizzando i detenuti – in maggioranza afroamericani, come pure oggi – non solo per lavori di pubblica utilità ma appaltandoli ai privati, in genere grosse compagnie inciuciate con i politici locali, a costo zero o, meglio, al costo di generose mazzette o pacchetti di voti. L’universo penitenziario divenne non solo un inferno dove i prigionieri venivano sprofondati ma un anello essenziale del sistema di potere, dentro e fuori le mura delle carceri.



Poi, da una trentina d’anni a questa parte, negli USA si è sviluppata una fiorente rete di “for-profit prisons”, penitenziari appaltati a privati che utilizzano il lavoro dei detenuti e i rimborsi pubblici a proprio profitto, dove spesso gli standard di trattamento sono più bassi e soggetti a meno controlli che nelle prigioni pubbliche e che, anche in anni recenti, sono stati spesso al centro di inchieste e di scandali riguardanti abusi e corruzione.



Per esempio, nel 2008, i vertici del tribunale di Luzerne, Pennsylvania, sono stati processati, condannati e rimossi per aver ricevuto quasi 3 milioni di dollari da un’azienda che gestiva i carceri minorili della contea affinchè condannassero quanti più ragazzini possibile, destinandoli alle strutture controllate da quella società, la Mid-Atlantic Youth Services Corp. Le vittime ultime di quel raggiro sono stati oltre 2.000 minorenni buttati in carcere per reati di poco conto, come l’ingresso in edifici abbandonati o il furto di un DVD in un negozio, quando invece la legge avrebbe imposto misure assai meno stringenti. Alcuni di quei ragazzi sono rimasti segnati per tutta la vita da un’esperienza carceraria che avrebbe dovuto essere loro risparmiata, come Edward R. Kenzakoski, un ragazzone campione di wrestling alle superiori, che nel 2010 si è suicidato dopo essere passato da una prigione all’altra solo per essere stato trovato in possesso non di droga, ma di qualche attrezzo collegabile al consumo, tipo una pipetta o un bong…



I giudici di Luzerne County Mark Ciavarella, presidente del tribunale, e Michael Conahan sono stati condannati rispettivamente a 28 e 17,5 anni di carcere (più ingenti somme ad indennizzo) per il loro coinvolgimento in quello che è chiamato “kids for cash scandal”.

Bernart Bartleby - 2015/7/22 - 10:49




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