Language   

You Want It Darker

Leonard Cohen
Language: English


Leonard Cohen


If you are the dealer
I’m out of the game
If you are the healer
Means I’m broken and lame
If thine is the glory
Then mine must be the shame
You want it darker
We kill the flame

Magnified and sanctified
Be Thy Holy Name
Vilified and crucified
In the human frame
A million candles burning
For the help that never came
You want it darker (1)

Hineni Hineni (2)
I’m ready, my Lord

There’s a lover in the story
But the story’s still the same
There’s a lullaby for suffering
And a paradox to blame
But it’s written in the scriptures
And it’s not some idle claim
You want it darker
We kill the flame

They’re lining up the prisoners
And the guards are taking aim
I struggled with some demons
They were middle-class and tame
I didn’t know I had permission
To murder and to maim
You want it darker

Hineni Hineni
I’m ready, my Lord

Magnified and sanctified
Be Thy Holy Name (3)
Vilified and crucified
In the human frame
A million candles burning
For the love that never came
You want it darker
We kill the flame

If you are the dealer
let me out of the game
If you are the healer
I’m broken and lame
If thine is the glory
Mine must be the shame
You want it darker

Hineni Hineni
I’m ready, my Lord
Note alla traduzione italiana di Yuri Garrett da LeonardCohen.it

(1) ‘Darker’ è termine polisemico che è praticamente impossibile tradurre. ‘Dark’ letteralmente significa ‘scuro’ (come in ‘The Dark Side of The Moon’), ma la parola ‘dark’ viene usata con molti altri significati metaforici: come ad esempio in ‘he moved to dark side’ (‘ha abbracciato il lato oscuro’), ‘it’s a dark day’ (‘è un giorno infausto’), ‘dark age’ (‘età buia’), ‘dark humour’ (‘umore tetro’ o anche semplicemente ‘dark’, ormai acclimatato in italiano). Qui l’uso che Cohen sembra farne è simile a quello in Darkness, da Old Ideas, con un riferimento (qui più velato) alla depressione – ma anche a un mondo immorale, in sfacelo. Il tono, insomma, come da più parti già rimarcato, è quello apocalittico di The Future. Noi abbiamo scelto ‘buio’ per creare una specie di contrasto con l’immagine delle candele e della fiamma che viene spenta (evidentemente per volontà del Signore).

(2) Hineni è parola dell’ebraico biblico (הִנְנִי) che significa letteralmente ‘eccomi qui’. In ebraico sono due le parole che con cui si può rendere l’idea di ‘eccomi': פֹּה poh e per l’appunto הִנְנִי, Hineni. La prima indica la semplice presenza fisica, la seconda indica una presenza completa, emotiva e spirituale oltreché fisica, e rappresenta uno dei concetti più profondi dell’ebraismo.
La parola Hineni viene utilizzato solamente otto volte nell’Antico Testamento (sette volte in Genesi e una in Esodo) e in ogni occasione è segno di presenza assoluta al cospetto del Signore. L’episodio più noto è certamente quello di Abramo e Isacco, in cui Hineni viene utilizzata tre volte: quando Dio lo chiama per metterlo alla prova (Genesi 22,1), mentre si appresta al sacrificio del figlio (in risposta alla chiamata di questi), e da ultimo mentre sta per levare il coltello contro Isacco e Dio lo chiama per mostrargli il montone da sacrificare.
Hineni (heani mimaas) è anche il verso iniziale della preghiera che viene cantata dal cantore (hazan) durante i riti ashkenaziti di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, e, dieci giorni dopo, di Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, in entrambi i casi durante il musaf. La preghiera non viene cantata alla congrega, bensì per conto della congrega – tanto che il cantore viene elevato al ruolo di sheliach tzibbur, ossia messaggero della congregazione –e richiede al cantore umiltà e presenza assoluta. Ciascuna congregazione sceglie il proprio hazan per recitare l’Hinei heami mimaas, e tale servigio alla comunità viene ritenuto un grande onore e, allo stesso tempo, una grande responsabilità. Non è inopportuno ricordare che a quel punto il cantore avrà digiunato (niente cibo e, soprattutto, niente acqua) per circa 16 ore, cosicché il compito non è certo dei più facili.

(3) I versi sono la traduzione quasi letterale dell’inizio del kaddish, una delle preghiere ebraiche più antiche: יִתְגַּדַּל וְיִתְקַדַּשׁ שְׁמֵהּ רַבָּא, Yitgaddal veyitqaddash shmeh rabba (“sia magnificato e santificato il suo grande nome”). Si noti come, contrariamente alle sue abitudini sempre tese al femminile, Cohen abbia scelto per questa canzone un coro di voci maschili (quella della sua sinagoga d’infanzia), quasi a voler riprodurre il minian necessario per recitare il kaddish.



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