We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
Please freedom to pass
Please freedom to go
Please open the way
Please freedom to pass
Where is European Union
where are the human rights
Please freedom to go
Please freedom to pass
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
My summer is sunny
the rain is rainy
the weather is hot
the sun is sunny
Where is European Union
where are the human rights
we're living here
we're sleeping here
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
Please freedom to pass
Please freedom to go
Please open the way
Please freedom to pass
Where is European Union
where are the human rights
Please freedom to go
Please freedom to pass
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
My summer is sunny
the rain is rainy
the weather is hot
the sun is sunny
Where is European Union
where are the human rights
we're living here
we're sleeping here
We are not going back
We are not going back
We are not going back
We are not going back
inviata da dq82 - 30/11/2015 - 10:54
Artisti Vari - We are not going back (Nota, 2016)
“Musiche migranti di resistenza, orgoglio e memoria” è il sottotitolo del CD di ventiquattro tracce, curato da Alessandro Portelli, edito dall’etichetta friulana nel formato libro-CD (block-Nota) e realizzato in collaborazione con il Circolo Gianni Bosio e l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi. In realtà, “We are not going back” è la terza produzione discografica del progetto “Roma Forestiera” (dal titolo di una canzone romana che nel 1949 lamentava la fine della musica dalle strade delle città, soppiantata dalla radio e dalla popular music d’oltreoceano), iniziato nel 2009, che si prefigge di indagare le musiche di quei migranti che hanno riportato la musica nelle nostre strade. Prima ci sono stati “Istaraniyeri - Musiche migranti a Roma” e “Yo Soy El Descendiente” della coppia ecuadoriana Janeth Chiliquinga e Sergio Cadena. Scrive Sandro Portelli nella presentazione del CD: «Quando parliamo di musica popolare, parliamo sempre di “radici”, come se la musica fosse obbligata a restare sempre nello steso posto. Ma dovremmo parlare di ali, e dovremmo parlare di piedi: la musica è immateriale, non conosce confini, attraversa mari e deserti, seguendo i passi dei migranti, dei rifugiati, degli esuli, dei viaggiatori. Non sono radici del passato, sono semi del futuro portati dal vento».
Insomma, siamo al cospetto di una ricognizione antropologica dei suoni di una rinnovata Italia ibrida. Valter Colle di Nota Records, da sempre propenso a effettuare riprese sonore in funzione, a documentare tradizioni ancora vive, ad acquisire documenti, nella convinzione della necessità di raccogliere hic et nunc sulla base della “urgent anthropology”, ha riconosciuto la rilevanza culturale e sonora di queste espressioni. L’eminente africanista Alessandro Triulzi, da parte, nel suo scritto introduttivo rileva come siamo di fronte a «un tuffo salutare nell’Italia multiculturale che si sta formando sotto i nostri occhi, e che cresce, si consolida, ricorda o ammonisce, e con questo CD ci ‘ragiona e canta’, al di là e al di sopra delle cronaca appiattita riportata dai giornali e dal circuito mediatico del prime time». Tocca poi al leader dei Têtes de Bois, Andrea Satta, accompagnarci a Ventimiglia sulla soglia d’Europa per ascoltare la voce dei migranti, accampati sugli scogli della città frontaliera fino all’intervento ‘risolutore’ delle forze dell’ordine.
Seguono brani di passione, di dolcezza ardente, di resistenza, canti di esilio, di memoria e di speranza nel futuro, cantati da autori, molti dei quali sono ormai cittadini italiani come Jagjit Raj Mehta, di origine indiana, che canta “Vengo da lontano” o Steve Emejuru nigeriano, musicista e mediatore culturale, da più di tre decenni in Italia, registrato durante una cerimonia commemorativa all’Esquilino in Roma per i morti nel Mar Mediterraneo. Nel solco della grande tradizione poetica orale somala è “Istaranyieri baan ahai” di Geedi Kuule Yusuf. Si prosegue con il canto accompagnato dal damborà – un liuto a manico lungo – dell’afghano Rahullah Tahavi. Risignificando i versi patriottici hindi, la sarta sikh Daljit Kaur intona appelli contro la discriminazione. Slittamento di senso anche nel canto “Anak” del lavoratore filippino Camilio Cosmecio, intriso di nostalgia per un figlio lontano o nella struggente melopea della poetessa e attivista curda Hevi Dilara (“Dayê”), la cui voce appoggiata al timbro chiaro della baglama del fratello Idris kaya, canta del genocidio dei curdi perpetrato dall’esercito turco nel 1938.
Dall’Europa orientale la voce di Teodor Bogdan, suonatore di strada romeno ci riporta ai tempi degli haiduk, i briganti balcanici, con “Amintirer cu haiduk”, canzone proposta in medley con “Viunu Doamne”, scritta dal folksinger romeno Valeriu Sterian negli anni Settanta. A sorpresa, c’è pure “We shall overcome” nella versione bengalese di Sushmita Sultana, direttrice del coro multietnico “Romolo Balzani”. Di nuovo dal Kurdistan turco la voce di Serhat Akbal (“Adarê”)e di Abdurrahman ‘Mamoste ’Ozel che imbraccia il saz nel brano “Hernepès”. Dall’Africa subsharaiana, ecco la kora del senegalese Madya Diebate, il cui “Babalingò” (“Tra le onde”) fa parte della colonna colonna sonora del docu-film “Va’ Pensiero. Storie ambulanti”, diretto da Dagmawi Yimer. Con parole semplici e immediate, il mauritano Douaye Adallah invoca il risveglio dell’Africa, mentre un’altra kora è pizzicata dal senegalese Pape Siriman Kanouté in un canto di elogio nello stile dei jali (“Kareme Bourema”).
Non mancano nomi noti nella scena musicale world italiana, come il cantante Badarà Seck (“Respecter Italia”), collaboratore di Luigi Cinque e dell’Orchestra di Piazza Vittorio, e Gabriella Ghermandi, scrittrice e cantante, la quale presenta “Tew Belew”, il canto in amarico dei patrioti etiopi indirizzato alle truppe italiane che in epoca fascista si accingevano a occupare il paese dell’Africa Orientale, monito alle nostre nefandezze storiche che abbiamo rimosso sotto la coltre di “italiani brava gente”, e che si rinnova ad ogni ‘ingerenza umanitaria’. Suggello finale sono gli stornelli d’esilio anarchici di “Nostra patria è il mondo intero” ripresi da Sanchari Sangeetayan, maestra di danza e musica di tanti nuovi italiani a Tor Pignattara, e da Sara Modigliani alla chitarra. “Non torneremo indietro” scatta una fotografia emozionale di preziosi intrecci e di crocevia sonori di un’Italia multiculturale.
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Dq82 - 25/11/2016 - 17:40
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Satta, che cosa ha visto a Ventimiglia?
La sintesi perfetta delle contraddizioni del nostro tempo. A due passi dalla Costa Azzurra ci sono quattro ragazzi apparentemente uguali. Due di loro sono lo specchio dell’Europa del consumismo, gli altri quella dei diritti umani negati. Mentre andavamo in autostrada a Ventimiglia, ci siamo trovati in Francia senza volerlo perché abbiamo sbagliato strada; cinque chilometri prima della frontiera la mia compagnia telefonica mi ha avvertito con un sms che stavo cambiando Paese. Non è un paradosso?
Sul confine italo-francese, le due patrie dei diritti, solo ai migranti, che scappano dall’orrore della fame e della guerra, è proibito di superare quattro sassi.
We are not going back, noi non torniamo indietro. Come è nata questa canzone?
È un inno alla libertà nato da una manifestazione spontanea dei ragazzi bloccati sul confine, mi hanno fatto tornare alla mente gli schiavi americani che cantavano sperando in un giorno migliore. Le parole sono di Ibrahim, un ragazzo del Ghana che non ho conosciuto perché è riuscito a salire su un treno per Nizza. Quando siamo arrivati a Ventimiglia, con Vauro e Angelo Pelini, il tastierista della band, almeno 100 migranti l’hanno risuonata per noi. Per scandire il ritmo hanno usato i sassi battuti sulle transenne, noi abbiamo messo il megafono e la fisarmonica. Adesso il “gospel dei migranti” è diventato una canzone, abbiamo scritto la musica di getto.
L’Europa sta tornando indietro sul terreno dei diritti?
È nata per abbattere le frontiere, adesso costruisce muri. Così tradisce le sue radici, la sua vocazione per lo scambio tra culture diverse. I ragazzi che ho conosciuto a Ventimiglia sono tutti molto giovani, hanno affrontato viaggi lunghi e difficili. Mi hanno raccontato di aver patito la fame, per giorni hanno camminato scalzi. Per noi, che abitiamo il lato più ricco del mondo, è inimmaginabile arrivare in un posto e trovare una porta chiusa. Sono stati fermati a un passo dal sogno della libertà di costruirsi un futuro migliore: è come essere nel deserto e avere tanta sete; qualcuno ti soccorre con un bicchiere d’acqua, ma prima di dartelo lo vuota davanti ai tuoi occhi e ti dice che non è per te.
E l’Italia?
Il nostro ruolo in questa partita è scritto nella nostra geografia, dobbiamo farci ambasciatori in Europa e nel mondo della cultura dell’accoglienza, diventare autorità garanti del diritto di movimento.
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