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Δραπετσώνα

Mikis Theodorakis / Mίκης Θεοδωράκης


Mikis Theodorakis / Mίκης Θεοδωράκης

Lista delle versioni e commenti


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Drapetsóna
theodypografi
Στίχοι: Τάσος Λειβαδίτης
Μουσική: Μίκης Θεοδωράκης
Πρώτη εκτέλεση: Γρηγόρης Μπιθικώτσης (Πολιτεία Α', 1960)
Άλλες ερμηνείες: Πέτρος Γαϊτάνος (Πολιτεία Δ' , 1996)

Testo di Tassos Livadìtis
Musica di Mikis Theodorakis
Prima esecuzione di Grigoris Bithikotsis (Città Prima, 1960)
Altra interpretazione: Petros Gaitanos (Città Quarta, 1996)

drapetsona

Io non ho idea se e come gli admin collocheranno questa canzone: ma, se c'è una sezione greca in AWS - e mi pare proprio che ci sia - "Drapetsona" non può mancare. "Drapetsona" nella storia dei Greci tout court e in quella della loro canzone del dopoguerra è fondamentale, perché contiene se non tutto (non contiene la dimensione politica, ma quella sociale nel suo intreccio con quella affettiva dei più umili), contiene quasi tutto.

Drapetsona è ora un grande quartiere popolare del Pireo. Prima degli anni Sessanta era una grande baraccopoli. L'avevano costruita i fuggitivi (i "drapetes"), dapprima i Greci di Anatolia fuggiti già nel 1922 sotto l'incalzare dei Turchi, e poi quelli "scambiati" coi Turchi di Grecia nel quadro degli accordi tra Venizelos e l' Ataturk. Quartiere improvvisato, come molti altri, di fuggiaschi, di emarginati, di lavoratori e di "manghes". Vita grama, umiliazioni, ma anche orgoglio e senso di identità.

Finita la guerra civile, dopo qualche anno politica e affari presero di mira le aree (fabbricabili e per di più politicamente riottose) intasate dalle baracche dei profughi. Ho trovato materiale interessante su un altro quartiere del Pireo a ridosso del porto, Trumba, quartiere dei bordelli, dei "tekedes" (le fumerie di hashish), dei "rebetes" e dei marinai, che fu anch'esso trasformato dagli invasori della speculazione fondiaria: e magari ne riparleremo.

Nel 1960 fu aggredita Drapetsona. Ricorda Theodorakis che fu suo fratello Yannis, giornalista del giornale comunista (interno) "Avghì", a parlargli delle azioni di sgombero dei profughi e di distruzione delle loro baracche. Con in mente Drapetsona, Mikis stava andando con la sua prima automobile a registrare qualcosa alla Columbia, quando d'improvviso gli "arrivò" la melodia. Frenò di colpo e si mise, lì sulla strada, a fissare le note sul pentagramma. Poi telefonò al poeta Livaditis, si trovarono il giorno stesso e nacque la canzone nella quale si riconobbe e si riconosce uno sterminato numero di Greci poveri.

Una settimana dopo era già incisa su disco, per la voce di Bithikotsis. Una canzone che rilanciava nel modo migliore il languente "rebetico" originario, ritrovando in pieno non solo i suoi suoni, ma anche le sue radici sociali. Non molto dopo "Drapetsona" andò a far parte della prima delle raccolte di Theodorakis dedicate alla vita di città (le "Politìes") e, molti anni dopo, nel 1996, fu inserita nell'ultima "Politìa", la quarta, a indicare che, nonostante i molti cambiamenti della società, il nucleo fondamentale del contrasto tra i forti e i deboli era sempre lì, ineliminabile.

Tassos Livaditis (Atene 1921 - 1988) è stato un grande poeta della generazione successiva a quella di Ritsos, e un generoso combattente della sinistra greca. Conobbe i campi di Moudros e di Ai Stratis. Di lui Theodorakis musicò anche i componimenti intitolati "Ta Lyrikà", che varrà la pena di far conoscere agli affezionati di AWS. Una cosa alla volta. [gpt]
Μ' αίμα χτισμένο, κάθε πέτρα και καημός
κάθε καρφί του πίκρα και λυγμός
Μα όταν γυρίζαμε το βράδυ απ' τη δουλειά
εγώ και εκείνη όνειρα, φιλιά

Το 'δερνε αγέρας κι η βροχή
μα ήταν λιμάνι κι αγκαλιά και γλυκιά απαντοχή
Αχ, το σπιτάκι μας, κι αυτό είχε ψυχή.

Πάρ' το στεφάνι μας, πάρ' το γεράνι μας
στη Δραπετσώνα πια δεν έχουμε ζωή
Κράτα το χέρι μου και πάμε αστέρι μου
εμείς θα ζήσουμε κι ας είμαστε φτωχοί

Ένα κρεβάτι και μια κούνια στη γωνιά
στην τρύπια στέγη του άστρα και πουλιά
Κάθε του πόρτα ιδρώτας κι αναστεναγμός
κάθε παράθυρό του κι ουρανός

Μα όταν ερχόταν η βραδιά
μες στο στενό σοκάκι ξεφαντώναν τα παιδιά
Αχ, το σπιτάκι μας, κι αυτό είχε καρδιά

Πάρ' το στεφάνι μας, πάρ' το γεράνι μας
στη Δραπετσώνα πια δεν έχουμε ζωή
Κράτα το χέρι μου και πάμε αστέρι μου
εμείς θα ζήσουμε κι ας είμαστε φτωχοί

inviata da Gian Piero Testa - 12/6/2010 - 02:32



Lingua: Italiano

Gian Piero Testa.
Gian Piero Testa.

Versione italiana di Gian Piero Testa

Drapetsona, anni '30 del XX secolo.
Drapetsona, anni '30 del XX secolo.
DRAPETSONA

Tirata su col sangue, ogni pietra un dolore
ogni chiodo un singhiozzo amaro
Ma quando tornavamo la sera dal lavoro
io e lei, baci da sognare

Battuta dalla pioggia e dal vento
ma era un porto, un abbraccio una dolce attesa
Ah, la nostra casetta, aveva un'anima anche lei!

Prendi la nostra corona nuziale, prendi il nostro geranio
per noi a Drapetsona una vita non c'è più.
Tienimi per la mano e andiamo, stella mia
noi vivremo, alla faccia della povertà.

Un letto e una culla in un cantuccio
nel suo tetto sbrecciato stelle e uccelli
Ogni sua porta sudore e sospiri
e il cielo in ogni finestra.

Ma quando scendeva la sera
nel nostro vicolo stretto si divertivano i bimbi
Ah, la nostra casetta, anche lei aveva un cuore!

Prendi la nostra corona nuziale, prendi il nostro geranio
per noi a Drapetsona una vita non c'è più.
Tienimi per mano e andiamo, stella mia
noi vivremo, alla faccia della povertà.

inviata da Gian Piero Testa - 22/6/2010 - 00:56


Come collocare questa canzone? Non lo so nemmeno io. Certo è che ce l'avrei messa anch'io. Non rientra in un qualche "percorso" (come del resto altre migliaia di canzoni del sito...) ma non la definirei certo un "extra". Diciamo pure che, in questo sito, sono prese in considerazione tutte le forme di guerra possibili, persino in senso etimologico (il germanico/longobardo wërra, dal quale deriva "guerra", significa propriamente "confusione, caos" ed è imparentato ad esempio col tedesco moderno ver-wirren "scompigliare"). E, a ripensarci, episodi come quelli che nel 1960 portarono alla distruzione speculativa di Drapetsona e del suo particolare tessuto sociale somigliano da vicino, da un lato, al "sacco di Palermo" speculativo-mafioso degli anni '60 e '70 e, dall'altro, a tutte le attuali stronzate politico-mediatiche sul "degrado" e sulla "sicurezza". Più ci ripenso, e più mi viene da dire che i fautori dell' "ordine" creano in realtà un continuo scompiglio, vale a dire alimentano la wërra (uso qui, volutamente, l'antico termine germanico usato ancora dagli inglesi, war, ma non più dai tedeschi che hanno preferito lo "stridore" -Krieg-.) Drapetsona, e con lei decine e decine di quartieri in tutte le città del mondo, ha subito la violenza di chi la diceva "ghetto" e che, però, non ha inteso creare che altri ghetti facendoci però fior di soldi sopra; ed è questa la "collocazione" esatta della canzone, a mio parere. Chissà, comunque, che fine avrebbe fatto Drapetsona; magari, se non l'avessero distrutta, sarebbe diventata prima o poi un "quartierino pittoresco", con le casette ristrutturate e rivendute a caro prezzo. Naturalmente previa espulsione degli abitanti, così come, ad esempio, è avvenuto in gran parte del centro storico di Firenze. Ed è guerra, questa; perché quel che è inaccettabile è proprio che esistano tessuti sociali forti, segnati da coscienza e solidarietà di classe. E' questo che, via via, è stato distrutto in tutto il mondo. Per i soldi, sì, ma anche per creare dispersione e neutralizzazione.

Riccardo Venturi - 6/5/2012 - 11:19


E' proprio così, Riccardo: è una delle sfaccettature della solita eterna guerra. Pensa alle concatenazioni che hanno portato Drapetsona (come Kokkinià, Toumba, e tanti altri "non luoghi" della conurbazione Atene-Pireo) a diventare quel caotico ammasso di casoni e capannoni industriali abbandonati che è adesso.

Alla fine della prima guerra mondiale, i nazionalisti e i militari greci si sdegnano per la "vittoria mutilata" (già sentita, questa, nevvero?) e per la calata di brache di Lefterino Venizelos, che a Versailles quanto meno è riuscito a salvare le chiappe dei Greci d'Asia Minore, già oggetto di persecuzione turca, insieme agli Armeni, nel corso del conflitto. Non ha ottenuto, certo, la riconsegna di Costantinopoli e delle città del Ponto, ma solo un'enclave a Smirne, dove i connazionali potrebbero ripararsi, e dove la Grecia potrebbe installarsi con buone prospettive di sviluppo economico e commerciale nell'area, purché si avvii una politica di riconciliazione coi Turchi.

Ma Venizelos non solo si busca una pistolettata non letale sulla via del ritorno dalla Francia; ma di lì a poco una nuova legge elettorale gli fa perdere la maggioranza in Parlamento nonostante la vittoria numerica, e questo permette agli assatanati di muover guerra alla nuova Turchia, proprio partendo dall'enclave di Smirne. Si buscano così una batosta clamorosa, che infligge loro il nuovo capo turco, Mustafa Kemal. Ritirate in disordine le truppe, i civili restano - indifesi - a fare i conti con i Turchi sempre più inferociti. L'enclave viene perduta, le città a maggioranza greca vengono incendiate, e i Greci e gli Armeni buttati a mare.

Comincia in questo tragico modo una emigrazione che, a più riprese, raggiunge il milione di profughi sparsi tra le isole dell'arcipelago e la "madrepatria". I quali, trasformatisi d'incanto da popolo irredento in feccia pulciosa affamata e fastidiosa, vengono sistemati come capita nelle aree suburbane di Atene, del Pireo, di Salonicco: tra i canneti e gli acquitrini sorgono baracche, che un po' alla volta diventano casupole (e, tra le casupole, bordelli, bische, fumerie di hashish, caffé aman, e tanta tubercolosi).

Lì, dalla commistione, nasce un nuovo strato di popolazione, nascono nuove forme di relazione (certamente non tutte legali e accettabili dalla gente perbene...), nasce una nuova musica, una nuova lingua, una nuova cucina...eccetera eccetera. Dopo la seconda guerra e la guerra civile, l'espansione economica e demografica della Grecia mostra agli speculatori una buona occasione di rendita fondiaria nei quartieri miserevoli e riottosi. Il gioco tra i politici e gli speculatori si realizza rapidamente: la morale, l'ordine e l'igiene esigono che si faccia piazza pulita di quelle banlieues dove vige la legge della piazza e non quella dell'astinomia.

E così, negli anni Sessanta comincia il "risanamento", con la cacciata dei proletari e del sottoproletari dai quartieri che avevano lentamente costruito - ogni pietra un singhiozzo - loro e i loro padri con le loro mani. E i più vanno a sistemarsi in altre baracche, già pronte sotto i grigi cieli della Germania. Se non è guerra, questa...

Gian Piero Testa - 6/5/2012 - 15:52




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