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Ballate della violenza [Ballata della piccola e della grande violenza]

Ivan Della Mea
Lingua: Italiano


Ivan Della Mea



Ieri mio padre è morto

Ieri mio padre è morto,
solo e senza niente.
Io l’ho rivisto
nella stanza ardente.

I baffi erano tecchi,
parevano bestemmie
contro quel lezzo forte
che sapeva di morte.

"Una carcassa vuota"
ma anche così acconciato
uno potea capire
quello che era stato.

Picchiarono per terra
lacrime grosse, dure:
mio fratello piangeva,
mia sorella pure.

E là nel cimitero,
calato sottoterra, pensai:
‘‘Povero babbo,
hai perso la tua guerra".

Da tempo è finita la prima grande guerra

Da tempo è finita la prima grande guerra,
la Santa... obliati son già i morti sottoterra.
Con l’ali dipinte color di Vittoria
sorride vetusta l’Italia alla Gloria.

Ritornano l’insegne del Romano Impero;
Il fascio s’avanza col suo Duce altero:
e dietro i manipoli, le coorti, i condottieri,
nell’aere un inno di arditi guerrieri:

"Chi se ne frega
della galera
Camicia Nera
trionferà..."

Italia del Genio, Italia sì grande,
t’han tolto vestito, sottana e mutande.
Dal tuo fiacco seno invaso da mignatte
il nato fascismo vuol suggere latte...
e dopo aver bevuto fin l’ultimo gotto,
ti lascia il livore d’un grosso succhiotto.

Del gran fascismo

Del gran Fascismo
mio padre fu vero credente,
ché sotto le sue nere ali
lui si sentìa potente!...

La gente si schiaccia, si stringe contro i muri,
sul baio cavallo, altero, impotente
mio padre sorride, sorride un po’ sfottente
al vulgo che schiva gli zoccoli duri.

Dopo aver fatto
il giro del paese intero,
per farsi rimirare dalle donne,
verso i campi ora cavalca altero.

Da tempo è finita la mietitura,
nella cascina si fa una gran festa.
Il grano è per terra, la spiga è bionda e dura...
ma ecco, col baio, mio padre lo calpesta.

I contadini
stan lì come allocchi,
senza reagire
a quest’eroico atto di violenza.

Scusate signori, ancora non vi ho detto
che prima del Fascio papà era carabiniere,
ma con la camicia nera divenne brigadiere
e quindi persona di tutto rispetto...

È mezzanotte...
si leva un canto dalla strada nera,
il ritornello di "Faccetta nera"
è il babbo mio sbronzo di tre cotte,

Ora direte voi: "Che padre sciagurato",
ma io l’amavo tanto, io ne ero fiero...
Che importa se è sbronzo, se ha vomitato:
per me era sempre il babbo sul baio destriero.

Adua è liberata

«Adua è liberata,
è ritornata a noi,
Adua è conquistata:
risorgono gli Eroi
...va’, Vittoria va’,
tutto il mondo sa:
rossi nel maschio viso
con un sorriso vogliono cantar!
rossi nel maschio viso
con un sorriso vogliono cantar!»

Mio padre e l’Italia, in un mondo che varia,
sono grandi pilastri di Savoia legalitaria,
a cui il Padreterno, con il Concordato,
ha dato il divino, supremo benestato.

Italia del Genio, Italia dell’Arte,
al maschio conflitto il Fascio apre le porte:
a nulla può servire il senno di poi,
diventeremo Eroi in Patria di Eroi.

Italia del Genio Italia sì grande,
hai un nuovo vestito, con sottana e mutande;
e ora sembri proprio una grande regina:
il seno t’han gonfiato con la paraffina,
e sulla corona c’è un’aurea stella:
o Italia, Italia mia, ma quanto sei bella!

Venticinque aprile

Venticinque aprile:
è finita la guerra:
vent’anni e più di nera gloria
in pasto ai vermi, là, sotto terra...

Riprende la vita in una nuova luce,
si perde pian piano il ricordo del Duce,
ma per mio padre nulla è cambiato,
di Fascio e di vino è ormai intossicato...

Cari signori, vi prego ascoltate

Cari signori, vi prego ascoltate
questa storia che canterò.
Vi parlerò delle legnate
che mia madre sempre buscò.

In una stanza senza stagioni,
dove regnava la miseria,
la vita era cosa assai seria
con un padre re dei beoni,

il quale sbronzo, quasi ogni sera,
vagava nudo in quella stanza;
canticchiava "Faccetta nera"
e non smetteva finché la mamma:

"Bello il mi’ omo, bello il mi’ omo!
guarda in che stato ti sei ridotto;
ti sei bevuto anche il cappotto
e per tu’ figli ‘un c’è da mangiar".

"Bella mi’ donna, bella mi’ donna!,
quante volte t’ho da ridire
che questa solfa ha da finire
perché sennò si mette male!"

"Senti, il signore: senti s’è offeso.
Per chi m’hai preso, per la tu’ schiava:
quella che cuce, che stira e lava,
che obbedisce senza fiatar?".

Mio padre allora, da vero uomo,
non vuole stare più ad ascoltare:
di botto prende a bestemmiare
con quanto fiato in gola ci ha.

Poi non contento, sempre più offeso,
con un ceffone a piena mano
alza la mamma proprio di peso
e con un calcio la mette in piano.

In quella stanza senza stagioni
questa la scena di troppe sere:
babbo e Fascio, vino e bicchiere,
la mamma stanca ed i ceffoni.

Un giorno nella via

Un giorno nella via riconobbi in un barbone
l’ombra del babbo mio ormai alcolizzato:
un povero uomo, un povero disgraziato
con sessant’anni neri gravanti sul groppone,
con sessant’anni neri gravanti sul groppone.

Mi misi al suo fianco, non mi riconosceva;
gli dissi chi ero, mi biascicò in faccia:
puzzava di grappa, di rancida vinaccia;
aveva il viso giallo peggio di un limone
aveva il viso giallo peggio dì un limone.

Con lo sguardo vuoto, il volto esaltato,
parlò lungamente, ma in sostanza disse
che in tutta la sua vita, in fede, egli visse
per un ideale che era destinato
a diventare il credo di tutto il creato.

«Se avessi cento uomini, ognun come me ardito,
in quattro e quattr’otto saremmo al potere.
Io tornerei al paese, a fare il brigadiere,
andrei a cavallo guardato e riverito
andrei a cavallo guardato e riverito».

Oramai la sua memoria smarriva nel vento
alla ricerca vana di una passata gloria:
sul labbro tornò quell’alito di boria:
rividi il padre mio quand’era temuto
rividi il padre mio quand’era temuto.

Ma poi la realtà, d’un tratto lo riprese,
mi disse: «Figliolo, non hai cento lire,
ormai non mi resta altro che bere,
annego il passato e posso sognare:
li vedo i cento arditi e continuo a sperar».

S’avvia ciondolando e sembra un barbone;
lo sguardo fisso a terra e non vede niente.
Con le mie cento lire si perde tra la gente:
con cento lire un litro di illusione
con cento lire un litro di illusione.

Ieri mio padre è morto

Ieri mio padre è morto
solo e senza niente.
Io l’ho rivisto
nella stanza ardente.

I baffi erano tecchi,
parevano bestemmie
contro quel lezzo forte
che sapeva di morte.

«Una carcassa vuota»,
ma anche così acconciato
uno potea capire
quello che era stato.

Picchiarono per terra
lacrime grosse, dure:
mio fratello piangeva,
mia sorella pure.

E là nel cimitero,
calato sottoterra,
pensai "Povero babbo
hai perso la tua guerra".

Epilogo

Italia di Eroi, Italia di Gloria,
per te s’è iniziata la nuova istoria.
Non hai più quell’aria da grande puttana
perché sei la signora Italia repubblicana...
Però hai un cappello di foggia un po’ strana:
nero come nera è la lunga sottana.
Amen.



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