Otto sono i minatori
ammazzati a Gessolungo;
ora piangono i signori
e gli portano dei fiori.
Hanno fatto in Paradiso
un corteo lungo lungo;
da quel trono dov'è assiso
Gesù Cristo gli ha sorriso.
Sparala prima la mina, mezz'ora si guadagna;
me ne infischio se rischio che di sangue poi si bagna:
tu prepara la bara, minatore di zolfara
Hanno fatto un gran corteo
con i quattro evangelisti,
tutti quanti li hanno visti,
con san Marco e san Matteo,
con san Luca e san Giovanni
e i compagni che da prima,
lavorando nella mina,
sono morti in questi anni.
Sparala prima la mina, mezz'ora si guadagna;
me ne infischio se rischio che di sangue poi si bagna:
tu prepara la bara, minatore di zolfara
Dopo la dimostrazione
Gesù Cristo li ha chiamati,
con la sua benedizione
lì ha raccolti fra i beati.
Poi, levando poco poco
la sua mano giustiziera,
con un fulmine di fuoco
ha distrutto la miniera.
Sparala prima la mina, mezz'ora si guadagna;
me ne infischio se rischio che di sangue poi si bagna:
tu prepara la bara, minatore di zolfara
ammazzati a Gessolungo;
ora piangono i signori
e gli portano dei fiori.
Hanno fatto in Paradiso
un corteo lungo lungo;
da quel trono dov'è assiso
Gesù Cristo gli ha sorriso.
Sparala prima la mina, mezz'ora si guadagna;
me ne infischio se rischio che di sangue poi si bagna:
tu prepara la bara, minatore di zolfara
Hanno fatto un gran corteo
con i quattro evangelisti,
tutti quanti li hanno visti,
con san Marco e san Matteo,
con san Luca e san Giovanni
e i compagni che da prima,
lavorando nella mina,
sono morti in questi anni.
Sparala prima la mina, mezz'ora si guadagna;
me ne infischio se rischio che di sangue poi si bagna:
tu prepara la bara, minatore di zolfara
Dopo la dimostrazione
Gesù Cristo li ha chiamati,
con la sua benedizione
lì ha raccolti fra i beati.
Poi, levando poco poco
la sua mano giustiziera,
con un fulmine di fuoco
ha distrutto la miniera.
Sparala prima la mina, mezz'ora si guadagna;
me ne infischio se rischio che di sangue poi si bagna:
tu prepara la bara, minatore di zolfara
envoyé par Riccardo Venturi e Daniela k.d. - 29/12/2007 - 23:54
Salute!
Volevo segnalare che il testo è di michele straniero, mentre è la musica di amodei, avete inserito le informazioni al contrario ;)
(SErgej)
Volevo segnalare che il testo è di michele straniero, mentre è la musica di amodei, avete inserito le informazioni al contrario ;)
(SErgej)
Grazie della segnalazione! Corretto.
"La Zolfara" di Michele Straniero si riferisce in particolare agli 8 (o più, a seconda delle fonti) minatori morti a Gessolungo il 14 febbraio 1958.
La tragedia che avvenne invece il 12 novembre 1881 sempre a Gessolungo fu ancora più grave (anche se non la più sanguinosa nella storia mineraria siciliana) e fece particolare scalpore perchè vi trovarono la morte 19 bambini, carusi tra gli 8 e i 14 anni, 9 dei quali non furono mai nemmeno identificati...
Tributo ai "carusi" e ai minatori della Miniera Gessolungo di Caltanissetta.
Da Sicilia (pagina su Facebook di Armando Caltagirone)
“I carusi rappresentarono per molti anni la parte più tragica delle nostre miniere.
Figli di contadini, ma più spesso orfani, figli di ignoti o minorati mentali, con inauditi sacrifici e pochi soldi di retribuzione, procuravano guadagni e ricchezze ai concessionari ed ai picconieri.
I carusi avevano generalmente un'età oscillante fra i 7 ed i 12 anni e trasportavano pesi dai 50 agli 80 Kg. di minerale, secondo l'età e la costituzione fisica. Il caruso accettato in miniera riceveva subito dal picconiere il ‘soccorso morto’ (100 o 300 lire) che serviva a tenerlo legato alla miniera.
Tale compenso rappresentava un vero sollievo per la famiglia, che se ne serviva per il matrimonio del caruso stesso o di qual che sorella, per i bisogni di una malattia, ecc.
I carusi con il soccorso morto erano mal retribuiti, caricati più degli altri, costretti a fare un maggior numero di viaggi e non potevano allontanarsi dalla miniera perché non in grado di restituire la somma ricevuta.
I carusi erano trattati da veri schiavi, dormivano nelle stalle, mangiavano i rifiuti del vitto della famiglia del picconiere e venivano assegnati a tutti i servizi più degradanti e più pericolosi.
Per il continuo camminare traballando sotto il carico per quelle vie anguste, avevano le giubbe sbilenche, arcuate; altri, e non pochi, se avevano le gambe a posto, avevano la spina dorsale irreparabilmente curvata.
Lo strazio di quelle giovani vite si leggeva nello sguardo e nel volto.
Pallidi, emaciati, condannati alla tisi ed alla morte precoce, senza aver mai assaporato la gioia di vivere, i carusi spesso piangevano ed il pianto era forse il loro maggior conforto.
Piangevano mentre, ricurvi sotto il peso del minerale, salivano la lunga scala che sembrava non dovesse aver fine; piangevano per i maltrattamenti degli uomini, dei mastri cavatoti dei picconieri che, avendo generalmente lavoro a cottimo, ci tenevano a mandare su quanto più materiale potevano e davano quindi ceffoni ai carusi un po' lenti a scendere o a risalire.
Essi erano esposti a frequenti pericoli e qualche volta perdevano la vita per i gas irrespirabili, per i frammenti, le cadute dalla scala, i crolli, gli incendi.”
(dal blog Caltanissetta e dintorni)
La tragedia che avvenne invece il 12 novembre 1881 sempre a Gessolungo fu ancora più grave (anche se non la più sanguinosa nella storia mineraria siciliana) e fece particolare scalpore perchè vi trovarono la morte 19 bambini, carusi tra gli 8 e i 14 anni, 9 dei quali non furono mai nemmeno identificati...
Tributo ai "carusi" e ai minatori della Miniera Gessolungo di Caltanissetta.
Da Sicilia (pagina su Facebook di Armando Caltagirone)
In questa nota ricordiamo i morti della miniera di Gessolungo con essa la nostra memoria corre a tutti i carusi (bambini) sfruttati nelle miniere siciliane del secolo scorso con essi ricordiamo tutti i minatori morti a causa del disumano lavoro.
Memoriale della tragedia dei minatori "Miniera Gessolungo" Caltanissetta
Il 12 Novembre 1881 fu approntato un piccolo cimitero d'emergenza, oggi Memoriale, in aperta campagna ai lati di una strada ora molto transitata, per seppellire le vittime di quella sciagura dove trovarono la morte 65 zolfatai (lavoratori della miniera di zolfo).
Una targa posta all'ingresso del Cimitero riporta questa scritta:
“Nella Valle delle Zolfare quel mattino pioveva.
Correva l'anno 1881, erano le 6 del 12 novembre.
120 minatori che lavoravano alla miniera Gessolungo sezione “Calafato“ di contrada Juncio, si accingevano a raggiungere i propri cantieri in sotterraneo percorrendo la galleria “Piana“, quando improvvisamente furono investiti da un violento incendio causato dallo scoppio di “grisou “ prodotto dalla fiamma di una lampada ad acetilene.
55 minatori, anche se feriti, riuscirono a raggiungere l'esterno e mettersi in salvo. Per gli altri 65 fu la fine. 16 di loro feriti gravemente morirono in ospedale. Gli altri 49 recuperati dopo venti giorni sono stati sepolti in questo luogo. Tra loro ci sono 19 “carusi” di età da 8 a 14 anni. Nove sono rimasti ignoti. Viandante, ricordati per le loro sofferenze, il sagrificio e la
vita violentemente spezzata ed eleva una preghiera a Dio.”
Un'altra targa posta in mezzo alle semplici croci sopra le tombe riporta questa scritta:
“Ai 9 carusi senza nome.
Il buio e la fatica del sottosuolo hanno cancellato dai vostri cuori l'allegria, la scuola e la vita. Il vostro sacrificio sarà ricordato per sempre.”
Memoriale della tragedia dei minatori "Miniera Gessolungo" Caltanissetta
Il 12 Novembre 1881 fu approntato un piccolo cimitero d'emergenza, oggi Memoriale, in aperta campagna ai lati di una strada ora molto transitata, per seppellire le vittime di quella sciagura dove trovarono la morte 65 zolfatai (lavoratori della miniera di zolfo).
Una targa posta all'ingresso del Cimitero riporta questa scritta:
“Nella Valle delle Zolfare quel mattino pioveva.
Correva l'anno 1881, erano le 6 del 12 novembre.
120 minatori che lavoravano alla miniera Gessolungo sezione “Calafato“ di contrada Juncio, si accingevano a raggiungere i propri cantieri in sotterraneo percorrendo la galleria “Piana“, quando improvvisamente furono investiti da un violento incendio causato dallo scoppio di “grisou “ prodotto dalla fiamma di una lampada ad acetilene.
55 minatori, anche se feriti, riuscirono a raggiungere l'esterno e mettersi in salvo. Per gli altri 65 fu la fine. 16 di loro feriti gravemente morirono in ospedale. Gli altri 49 recuperati dopo venti giorni sono stati sepolti in questo luogo. Tra loro ci sono 19 “carusi” di età da 8 a 14 anni. Nove sono rimasti ignoti. Viandante, ricordati per le loro sofferenze, il sagrificio e la
vita violentemente spezzata ed eleva una preghiera a Dio.”
Un'altra targa posta in mezzo alle semplici croci sopra le tombe riporta questa scritta:
“Ai 9 carusi senza nome.
Il buio e la fatica del sottosuolo hanno cancellato dai vostri cuori l'allegria, la scuola e la vita. Il vostro sacrificio sarà ricordato per sempre.”
“I carusi rappresentarono per molti anni la parte più tragica delle nostre miniere.
Figli di contadini, ma più spesso orfani, figli di ignoti o minorati mentali, con inauditi sacrifici e pochi soldi di retribuzione, procuravano guadagni e ricchezze ai concessionari ed ai picconieri.
I carusi avevano generalmente un'età oscillante fra i 7 ed i 12 anni e trasportavano pesi dai 50 agli 80 Kg. di minerale, secondo l'età e la costituzione fisica. Il caruso accettato in miniera riceveva subito dal picconiere il ‘soccorso morto’ (100 o 300 lire) che serviva a tenerlo legato alla miniera.
Tale compenso rappresentava un vero sollievo per la famiglia, che se ne serviva per il matrimonio del caruso stesso o di qual che sorella, per i bisogni di una malattia, ecc.
I carusi con il soccorso morto erano mal retribuiti, caricati più degli altri, costretti a fare un maggior numero di viaggi e non potevano allontanarsi dalla miniera perché non in grado di restituire la somma ricevuta.
I carusi erano trattati da veri schiavi, dormivano nelle stalle, mangiavano i rifiuti del vitto della famiglia del picconiere e venivano assegnati a tutti i servizi più degradanti e più pericolosi.
Per il continuo camminare traballando sotto il carico per quelle vie anguste, avevano le giubbe sbilenche, arcuate; altri, e non pochi, se avevano le gambe a posto, avevano la spina dorsale irreparabilmente curvata.
Lo strazio di quelle giovani vite si leggeva nello sguardo e nel volto.
Pallidi, emaciati, condannati alla tisi ed alla morte precoce, senza aver mai assaporato la gioia di vivere, i carusi spesso piangevano ed il pianto era forse il loro maggior conforto.
Piangevano mentre, ricurvi sotto il peso del minerale, salivano la lunga scala che sembrava non dovesse aver fine; piangevano per i maltrattamenti degli uomini, dei mastri cavatoti dei picconieri che, avendo generalmente lavoro a cottimo, ci tenevano a mandare su quanto più materiale potevano e davano quindi ceffoni ai carusi un po' lenti a scendere o a risalire.
Essi erano esposti a frequenti pericoli e qualche volta perdevano la vita per i gas irrespirabili, per i frammenti, le cadute dalla scala, i crolli, gli incendi.”
(dal blog Caltanissetta e dintorni)
“Civiltà”
Scritta da Alfredo Rutella (1901-1957), poeta siciliano originario di Enna.
Quannu l’autri carusi ammizzigghiati
Vannu a la scola senza studiari,
iddu abbuscannu cauci e garciati
già travagghiava intra li surfari.
Ittatu sutta terra criaturi
Nun appi di lu suli la carizza,
nun canuscìu la parola amuri
e si nutrìu di pani e d’amarizza.
Ristò com’un briganti cunnannatu
ppi tantu tempu a ddra vitazza amara
finu ca vecchiu, stancu, già malatu
li so patruna lu jttaro fora.
Oggi assittatu supra lu scaluni,
davanti a ‘ na chiesa soffri ancora:
stenni la manu e fa l’addimannuni!
Traduzione italiana
“CIVILTÀ”
Quando gli altri ragazzi viziati
vanno a scuola senza studiare,
lui ricevendo calci e schiaffi
già lavorava dentro la solfara.
Buttato sotto terra poveretto
non ebbe dal sole la carezza
non conobbe la parola amore
e si è nutrito di pane e di amarezze.
Rimase come un brigante condannato
per tanto tempo in quella vita amara
fino a quando vecchio, stanco, già ammalato
i suoi padroni lo buttarono fuori.
Oggi seduto sullo scalino,
davanti ad una chiesa soffre ancora:
stende la mano e chiede l'elemosina!
Scritta da Alfredo Rutella (1901-1957), poeta siciliano originario di Enna.
Quannu l’autri carusi ammizzigghiati
Vannu a la scola senza studiari,
iddu abbuscannu cauci e garciati
già travagghiava intra li surfari.
Ittatu sutta terra criaturi
Nun appi di lu suli la carizza,
nun canuscìu la parola amuri
e si nutrìu di pani e d’amarizza.
Ristò com’un briganti cunnannatu
ppi tantu tempu a ddra vitazza amara
finu ca vecchiu, stancu, già malatu
li so patruna lu jttaro fora.
Oggi assittatu supra lu scaluni,
davanti a ‘ na chiesa soffri ancora:
stenni la manu e fa l’addimannuni!
Traduzione italiana
“CIVILTÀ”
Quando gli altri ragazzi viziati
vanno a scuola senza studiare,
lui ricevendo calci e schiaffi
già lavorava dentro la solfara.
Buttato sotto terra poveretto
non ebbe dal sole la carezza
non conobbe la parola amore
e si è nutrito di pane e di amarezze.
Rimase come un brigante condannato
per tanto tempo in quella vita amara
fino a quando vecchio, stanco, già ammalato
i suoi padroni lo buttarono fuori.
Oggi seduto sullo scalino,
davanti ad una chiesa soffre ancora:
stende la mano e chiede l'elemosina!
Bartleby - 25/5/2011 - 15:45
Un altro 12 novembre
E poiché tutti, oggi, staranno a commemorare i "caduti di Nassiriya", morti in "missione di pace" (cioè mentre stavano a fare la guerra) per difendere una raffineria dell'ENI, oggi propongo di ricordare un altro 12 novembre, ben più lontano ma sempre vicinissimo. Una strage di lavoratori, quella del 12 novembre 1881 nella miniera di Gessolungo, che si ripeté, nella medesima miniera, il 14 febbraio 1958.
E poiché tutti, oggi, staranno a commemorare i "caduti di Nassiriya", morti in "missione di pace" (cioè mentre stavano a fare la guerra) per difendere una raffineria dell'ENI, oggi propongo di ricordare un altro 12 novembre, ben più lontano ma sempre vicinissimo. Una strage di lavoratori, quella del 12 novembre 1881 nella miniera di Gessolungo, che si ripeté, nella medesima miniera, il 14 febbraio 1958.
Riccardo Venturi - 12/11/2014 - 14:36
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Testo di Michele L. Straniero
Musica di Fausto Amodei
Album: Le canzoni della malavita 2
Riprendiamo il testo da Canti di lotta, dove però la canzone è indicata erroneamente come anonima.
Premessa
"Nel giorno 12 Novembre 1881 la città di Caltanissetta venne funestata da grave disastro.
Un disastro di gas, scoppiato alle ore del 6 del mattino nella miniera di Gessolungo, cagionava la morte a 66 degli operai addetti alla estrazione dello zolfo e più che 40 ne rendeva inagibili al lavoro.
Cento e più famiglie rimasero nel letto e nella miseria."
Queste le parole di inizio della "RELAZIONE del COMITATO DI SOCCORSO pe' danneggiati di GESSOLUNGO".
Gli zolfatai convivevano con la paura della morte, con la possibilità di non ritornare a casa la sera e gli infortuni erano "messi a conto".
Talvolta gli infortuni avevano conseguenze mortali: è questo il caso della tragedia che ebbe luogo nella miniera Gessolungo degli eredi Calafato.
Per provvedere ai bisogni più urgenti delle famiglie danneggiate fu creato un Comitato di soccorso del quale fece parte in qualità di Segretario G. Mulè Bertolo.
Le richieste di sussidi
Dall'esame di alcuni documenti ritrovati nel fondo archivistico Intendenza e Prefettura, serie Miniere - Miniera Gessolungo - Disastro 1881, busta 3838 ed in particolare di una lettera inviata al Prefetto, in qualità di Presidente del Comitato sulle sventurate famiglie del disastro Gessolungo, della vedova del defunto Alberto Pompa, si evince la condizione di miseria nella quale si era ritrovata la famiglia, priva del salario percepito dallo stesso.
La vedova chiede di ricevere le "ELEMOSINE ADDETTE ALLLE SVENTURATE FAMIGLIE RIMASTE POVERE PEL DISASTRO GESSOLUNGO" e di iscrivere al "Mandato mensile" almeno una delle sue due figlie rimaste orfane.
Un secondo documento datato Caltanissetta 24 novembre 1881 riguarda la richiesta di sussidio da parte di Francesca Mastrosimone, sorella di Salvatore e Giuseppe, morti anch'essi nel disastro.
Un terzo fratello, Calogero, è ammalato a causa dell'inalazione di polvere solforosa: la situazione economica della giovane di anni 24 è quindi "infelice": rinveniamo nella relazione del Comitato di Soccorso ed in particolare dall'elenco nominativo degli operai deceduti, che il fratello Giuseppe aveva 14 anni, mentre del fratello Salvatore non si ha notizia.
In data 13 novembre 1881 viene chiesto soccorso al Sindaco di Caltanissetta da parte di Polizzi Giuseppe, padre di due figli, Luigi di anni 15 e Salvatore di anni 18, morti entrambi nel disastro.
La curiosità consiste nel rilevare che il signor Polizzi lamenta il fatto che il sussidio venga dato alla moglie e non a lui.
Infatti si appella alla "giustizia", precisando di avere lasciato la moglie perché questa aveva tenuto una condotta assai immorale.
Noi non vogliamo entrare nel merito della questione, però è pur vero che gli uomini sono molto bravi nel richiedere le "PARI OPPORTUNITÀ".
Trascorsi alcuni anni dalla data del disastro, la situazione sociale del territorio non è migliorata di molto: infatti i sussidi agli operai vengono ancora erogati.
Il titolo di un fascicoletto è indicativo del clima del tempo:crisi mineraria.
I sussidi di £. 1.000 venivano concessi agli operai rimasti senza lavoro a causa della chiusura delle zolfare. Tale notizia si ricava da un avviso di mandato di pagamento del 9 luglio 1888 il cui autore è il MINISTERO DELL'INTERNO DEL REGNO D'ITALIA, mentre il destinatario è la PREFETTURA DI CALTANISSETTA.
Un esempio dello stato di povertà nel quale si basava gran parte della popolazione è il caso del sig. Francesco Rib(b)ellino, per il quale il sindaco di Sommatino "attesta" la situazione di estremo disagio in cui vive la famiglia dell'operaio "gravemente ammalato per contusioni riportate nei lavori della miniera del Principe Trabia in Sommatino"
Applicazione ART. 1 della Legge e del Regolamento di Polizia Mineraria
Nella circolare ministeriale del 29 marzo 1896 rivolta ai Signori Prefetti ed Ingegneri Capi degli uffici distrettuali minerari si fa presente che:
"Da rapporti pervenuti a questo Ministero intorno all'applicazione della legge di polizia mineraria del 30 marzo 1893, n. 184, e del regolamento relativo approvato col regio decreto del 14 gennaio successivo, n. 19, ho rilevato che in alcuni casi la disposizione contenuta nell'articolo 1° della legge e del regolamento medesimi non ha raggiunto lo scopo cui mirava, a cagione di espedienti messi in opera da taluni esercenti per esimersi dalle responsabilità alle quali può dar luogo la coltivazione delle miniere, cave e torbiere.
È accaduto infatti non di rado che i coltivatori, per sfuggire alle responsabilità stabilite dalla legge, fanno comparire come esercente un prestanome qualsiasi. Indipendentemente quindi dallo sfregio che queste false gerenze arrecano al prestigio della legge, avviene talora che i veri esercenti trovano nella facilità, con la quale si può assumere od abbandonare, di fronte all'autorità, l'esercizio di una miniera, cava o torbiera, un mezzo assai agevole per esimersi alla esecuzione delle prescrizioni loro imposte".
Per cercare di OVVIARE a tali raggiri, si intitolarono i decreti alle miniere, anziché ai rispettivi esercenti, ma anche qui "fatta la legge" veniva subito "trovato l'inganno".
Così continua infatti il Ministro GUICCIARDINI:
"Un altro inconveniente derivante dalla stessa causa si è poi specialmente verificato in Sicilia. Quivi gli esercenti frazionano talvolta le gestioni minerarie a loro talento, nessuna legge opponendovisi, dividendole in lavorazioni separate (sezioni) che sono date o in subaffitto, o a cottimo o a partito, facendo poi eseguire le dichiarazioni di esercizio dai relativi subaffittuari, cottimisti o partitanti. In questo modo aumenta il numero delle escavazioni indipendenti, le quali invece di essere raggruppate sotto una sola gestione o direzione, vengono affidate agli stessi operai. Questi poi non hanno per lo più che contratti verbali e lavorano ad intermittenze, passandosi l'esercizio dall'uno all'altro, facendo il capo-maestro per turno; di guisa che, non solo si rende malagevole per l'Amministrazione il tener dietro a tanti mutamenti, ma si accrescono le difficoltà e i pericoli derivanti da tutte queste suddivisioni introdotte nelle lavorazioni sotterranee."
Pare quindi che gli esercenti delle miniere tendessero a non assumere alcuna responsabilità a tutto danno della "sicurezza delle lavorazioni minerarie e della vita degli operai".
Pertanto si disponeva che i Signori Sindaci:
"non accettino le denuncie di cui all'articolo 1° della legge del 30 marzo 1893, n. 184, e non firmino i verbali di cui all'articolo 1 del regolamento del 14 gennaio 1894, n. 19, se il denunziante non presenti l'atto, col quale provi essere l'esercente della miniera, cava o torbiera".
Per saperne di più siamo andati alla ricerca del testo della legge in oggetto: nel 1893 era Re d'Italia UMBERTO I "per grazia di Dio e per volontà della nazione".
L'art. 1 recita testualmente:
"Ogni esercente di miniera, cava o torbiera dovrà, mediante verbale da compilarsi presso il municipio del luogo ove esse si trovano, indicare il proprio nome, cognome e domicilio, e quello delle persone, alle quali è affidata la direzione e la sorveglianza dei lavori, con l'obbligo di avvertire il sindaco nel termine di dieci giorni, ogni qualvolta si verifichi un mutamento".
L'art. 2 fa obbligo agli esercenti di mantenere in duplice copia il piano di lavori eseguiti nelle miniere.
L'art. 3 dà il diritto di visitare (ispezionare) le miniere, le cave e le torbiere agli ingegneri o ad altri pubblici funzionari a ciò delegati dall'allora MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO.
L'art. 4 pone l'attenzione sui lavori che devono essere condotti in modo da non compromettere la sicurezza e la salute delle persone nonché degli edifici, strade e corsi d'acqua sovrastanti o prossimi alle miniere.
L'art. 11 fa obbligo agli esercenti di tenere in miniera "medicamenti e mezzi di soccorso necessari in ragione del numero degli operai" ed anche eventualmente " l'obbligo di tenere a loro spese un medico".
I 52 articoli del Regolamento recitano in modo dettagliato quanto è necessario e quindi obbligatorio fare per mettere in atto gli articoli della legge n. 184.
Nel complesso, tra legge e regolamento, 72 articoli: ma pare che non siano bastati ad evitare altri danni agli operai delle miniere, nonostante le buone intenzioni di Ingegneri minerari, Prefetti, Sottoprefetti e Sindaci.
Nomina di un Commissario per la verifica delle miniere
Tra i documenti esaminati ci ha incuriosito una deliberazione del Consiglio Comunale riunitosi in sessione ordinaria in data 13 settembre 1898 che ha come oggetto la Nomina di un Commissario per la verifica delle miniere: è sindaco di Caltanissetta Berengario Gaetani e tra i presenti ritroviamo l'avvocato Agostino Lo Piano-Pomar, Biagio Punturo ed il cavaliere Francesco Rosso di San Secondo.
Dazio sugli zolfi
Tre documenti riguardano l'abolizione del dazio sugli zolfi.
Il primo datato Roma, 29 novembre 1898, viene mandato dal Ministro dell'Interno al Prefetto di Caltanissetta: in esso si dice che il Comitato zolfataro di Caltanissetta lamenta che l'abolizione del dazio non abbia portato alcun miglioramento nella posizione degli operai addetti alla lavorazione dello zolfo.
Nel secondo datato 28 novembre 1898, il reggente Prefetto scrive al Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta comunicandogli che gli è pervenuto un "generico reclamo nel quale si afferma che nessun vantaggio sia derivato agli operai zolfatari dalla abolizione del dazio sugli zolfi, e che tutto il vantaggio ne sarebbe stato sfruttato dai proprietari".
Nonostante il reggente Prefetto sia convinto dell'importanza del citato provvedimento che a suo giudizio ha agevolato l'esportazione ed il commercio degli zolfi, assicurando lavoro agli operai, ridando vita ad imprese "LANGUENTI", tuttavia chiede al Presidente che gli si invii un rapporto sui "VANTAGGI DIRETTI ED INDIRETTI CHE DERIVANO ALLE CLASSI LAVORATRICI DALL'ABOLIZIONE DEL DAZIO SUDDETTO".
In data 1 dicembre 1898 il Presidente della CAMERA DI COMMERCIO ED ARTI di Caltanissetta risponde al Prefetto inviandogli un dettagliato rapporto in cui afferma che il reclamo non ha alcun fondamento.
Quattro i punti sui quali si fonda la sua tesi a favore dell'abolizione del dazio: tra questi l'importanza della costituzione della Società Anglo Siciliana che pare abbia determinato il risorgere dell'industria zolfifera.
Di seguito riportiamo testualmente le parole conclusive della lettera di risposta alla nota del reggente Prefetto:
"Sarebbe quindi un grande errore economico il ripristino del dazio di uscita il quale potrà dar luogo allo scioglimento della Società Anglo Siciliana unico palladio della nostra industria solfifera, né io potrei pensare diversamente, poiché quando l'industria suddetta era in massima depressione e tutti eravamo intesi a trovar mezzi di farla risorgere io convocai gli industriali in questa Camera di Commercio ed piena adunanza nella seduta del 30 maggio 1896 proposi la costituzione di una Società che comprasse gli zolfi a prezzi determinati con l'unico espediente di far cessare l'aggrovigliato monopolio dei ribassisti e di far rinascere la floridezza della nostra più ricca industria, e così è avvenuto".
Legge sul lavoro dei fanciulli
Avendo rinvenuto tra i documenti un verbale di contravvenzione ai danni del senatore Ignazio Florio, coltivatore delle Miniere Bosco e Grottarossa e di Amico Roxas esercente la miniera Apaforte, per mancato rispetto della legge 11 febbraio 1886 n° 3657 sul lavoro dei fanciulli, abbiamo ricercato il testo di legge.
L'art.1 recita: "È vietato di ammettere a lavoro, negli opifici industriali, nelle cave e nelle miniere i fanciulli dell'uno e dell'altro sesso, se non hanno compita l'età di 9 anni, o quella di 10 se si tratta di lavori sotterranei".
Sicuramente nelle miniere lavoravano fanciulli di età inferiore ai 9 anni: per noi oggi è impensabile che tutto ciò potesse accadere.
In una lettera di risposta dell'Ingegnere del Distretto di Caltanissetta al Sig. Prefetto, datata 26 novembre 1887 viene illustrato il quadro statistico riempito con le notizie in possesso del suddetto distretto. I dati sono incerti e si riferiscono al 1886: da questi si evince che i lavoranti all'interno delle miniere erano divisi per categorie e per età ("età inferiore ai 14 anni, dai 14 ai 18 e tra i 18 e i 21"). L'incertezza è dovuta al fatto che le amministrazioni non tenevano registri degli operai.
Salari
Un documento, datato 7 agosto 1896, firmato dell'Ingegnere del Distretto Luigi Dompè in cui quest'ultimo riferisce al Sig. Prefetto di Caltanissetta le cifre riguardanti i salari netti per giorno di lavoro degli operai, risulta essere molto interessante poiché si riesce a ricostruire la precaria situazione economica delle varie categorie di lavoranti.
Inoltre il Dompè nota che: "nella provincia di Caltanissetta non si hanno donne occupate in lavori di miniera".
Tratto da:
http://www.itasrusso.it