Introduzione parlata:
Questa è la storia der passato
ch'era finito ed è ricominciato
questa è la storia del presente
ché se ce guardi nun capisci niente
ma è puro la storia del futuro
chi lo capisce ce pò annà sicuro.
Un giorno Mussolini annò ar barcone
e disse che facessero attenzione
che aveva ricevuto li dispacci
che je mannava i baci la Petacci.
E poi disse: «Ho un modo novo
perché il gallo faccia l'ovo,
vittoria o fuga,
dovete adoperà er bagnasciuga».
Er re se vorse allora alla riggina
e disse: «Qui va mal, Montenegrina,
Ché se nun se combina un'altra lega,
Finisce tutti quanti che ce frega».
Je rispose la riggina:
«Caro re, dindirindina,
lo sai che vojo,
che je lo metti in culo co' Badojo».
Se venne allora ar granne gazzabujo
che fu chiamato "Er venticinque lujo".
Er duce fu portato allospedale
ma er re nun volle che je facevan male.
J'anno tolto lo stipendio
ma poi tutto quell'incendio
a poco a poco
l'anno smorzato sotto ar coprifuoco.
E s'arrivenne allora ar tira e molla
c'erano i pezzi, ma nun c'era colla
li fascisti se sò convertiti
e l'itajani fecero i partiti.
Ma poi vennero i tedeschi
tutti quanti stiamo freschi;
Ma la Nazione
ci à er Comitato de Liberazione.
Er re se l'è squajata ar primo sole
ce vole la repubblica, ce vole
e chi la vole farsa e chi la vera
nessuno vole più camicia nera.
Nun importa si è lontano
er sordato ammericano;
quello che importa
che de pregione ce apreno la porta.
E quanno sorte chi in priggione è stato
l'ài da vedè che razza de bbucato
chi à fatto er male ce l'ha da pagà
chi à fatto er bene à da continuà.
Rifaremo, sacramento,
er governo e parlamento.
Rivoluzione,
n'ammazza più er cervello, che er bastone.
Ragazzi, sotto che c'è la battaja
e maledite, donne, chi se squaja.
E chi annerà pè mare e chi pè monte
chi more à da morì la palla in fronte.
Quanno soneno l'appello
ogni omo è mi fratello.
Chi more spera
che n'antro j'ariccoje la bandiera.
E la bandiera è bianca, verde e rossa
ma er fascio sta seporto nella fossa
su ce starà scritto quella data
che tutta Itaja avremo liberata.
Libertà nun mette fiore
Si sei nato servitore.
Risorgimento,
te faccelo sbocciare cir tuo vento!
Asciughete quell'occhi, mamma mia,
chè doppo er pianto viene l'allegria;
io ciò i capelli neri e tu l'ài bianchi
te vojo fà contenta finché campi.
E me vò sposà 'na Tizia
ch'è la fija de Giustizia
e dall'amore
ce nascheno du fiji: fede e onore.
Questa è la storia der passato
ch'era finito ed è ricominciato
questa è la storia del presente
ché se ce guardi nun capisci niente
ma è puro la storia del futuro
chi lo capisce ce pò annà sicuro.
Un giorno Mussolini annò ar barcone
e disse che facessero attenzione
che aveva ricevuto li dispacci
che je mannava i baci la Petacci.
E poi disse: «Ho un modo novo
perché il gallo faccia l'ovo,
vittoria o fuga,
dovete adoperà er bagnasciuga».
Er re se vorse allora alla riggina
e disse: «Qui va mal, Montenegrina,
Ché se nun se combina un'altra lega,
Finisce tutti quanti che ce frega».
Je rispose la riggina:
«Caro re, dindirindina,
lo sai che vojo,
che je lo metti in culo co' Badojo».
Se venne allora ar granne gazzabujo
che fu chiamato "Er venticinque lujo".
Er duce fu portato allospedale
ma er re nun volle che je facevan male.
J'anno tolto lo stipendio
ma poi tutto quell'incendio
a poco a poco
l'anno smorzato sotto ar coprifuoco.
E s'arrivenne allora ar tira e molla
c'erano i pezzi, ma nun c'era colla
li fascisti se sò convertiti
e l'itajani fecero i partiti.
Ma poi vennero i tedeschi
tutti quanti stiamo freschi;
Ma la Nazione
ci à er Comitato de Liberazione.
Er re se l'è squajata ar primo sole
ce vole la repubblica, ce vole
e chi la vole farsa e chi la vera
nessuno vole più camicia nera.
Nun importa si è lontano
er sordato ammericano;
quello che importa
che de pregione ce apreno la porta.
E quanno sorte chi in priggione è stato
l'ài da vedè che razza de bbucato
chi à fatto er male ce l'ha da pagà
chi à fatto er bene à da continuà.
Rifaremo, sacramento,
er governo e parlamento.
Rivoluzione,
n'ammazza più er cervello, che er bastone.
Ragazzi, sotto che c'è la battaja
e maledite, donne, chi se squaja.
E chi annerà pè mare e chi pè monte
chi more à da morì la palla in fronte.
Quanno soneno l'appello
ogni omo è mi fratello.
Chi more spera
che n'antro j'ariccoje la bandiera.
E la bandiera è bianca, verde e rossa
ma er fascio sta seporto nella fossa
su ce starà scritto quella data
che tutta Itaja avremo liberata.
Libertà nun mette fiore
Si sei nato servitore.
Risorgimento,
te faccelo sbocciare cir tuo vento!
Asciughete quell'occhi, mamma mia,
chè doppo er pianto viene l'allegria;
io ciò i capelli neri e tu l'ài bianchi
te vojo fà contenta finché campi.
E me vò sposà 'na Tizia
ch'è la fija de Giustizia
e dall'amore
ce nascheno du fiji: fede e onore.
Contributed by Riccardo Venturi
Trovo il testo degli stornelli centrali di questa canzone su “I Giorni Cantati”, Bollettino di Informazione e Ricerca sulla Cultura Contadina e Operaia, a cura del Circolo Gianni Bosio di Roma (numero 2 - gennaio 1974).
In nota viene indicato che il brano si trova nel disco “Canti dei Lager” (I Dischi del Sole, a cura di Sergio Liberovici), interpretato da Giovanna Marini.
Nessun riferimento a Franco Antonicelli.
L’unica fonte che attribuisce gli stornelli in questione a Franco Antonicelli è Claude Torres sul suo peraltro ottimo sito “Mes musiques régénérées – Jewish Music”.
Franco Antonicelli era di Voghera. A Roma ci andò dopo l’8 settembre, fu arrestato poche settimane dopo, fu sbattuto in effetti a Regina Coeli, dove però rimase pochissimo. A febbraio del 1944 fu trasferito a Castelfranco Emilia e poi liberato il 18 aprile…
Possibile che il lombardo Franco Antonicelli componesse stornelli in perfetto romanesco?!?
Secondo me l’attribuzione è sbagliata…
Probabilmente, come la maggior parte degli stornelli antifascisti di quel periodo, gli autori erano molteplici, popolari e ignoti.
In nota viene indicato che il brano si trova nel disco “Canti dei Lager” (I Dischi del Sole, a cura di Sergio Liberovici), interpretato da Giovanna Marini.
Nessun riferimento a Franco Antonicelli.
L’unica fonte che attribuisce gli stornelli in questione a Franco Antonicelli è Claude Torres sul suo peraltro ottimo sito “Mes musiques régénérées – Jewish Music”.
Franco Antonicelli era di Voghera. A Roma ci andò dopo l’8 settembre, fu arrestato poche settimane dopo, fu sbattuto in effetti a Regina Coeli, dove però rimase pochissimo. A febbraio del 1944 fu trasferito a Castelfranco Emilia e poi liberato il 18 aprile…
Possibile che il lombardo Franco Antonicelli componesse stornelli in perfetto romanesco?!?
Secondo me l’attribuzione è sbagliata…
Probabilmente, come la maggior parte degli stornelli antifascisti di quel periodo, gli autori erano molteplici, popolari e ignoti.
Bernart Bartleby - 2014/9/26 - 11:08
Aggiungo che su "I Giorni Cantati" gli stornelli vengono datati al luglio-settembre 1943, quando Antonicelli a Regina Coeli doveva ancora entrarci, visto che venne arrestato ai primi di novembre...
Bernart Bartleby - 2014/9/26 - 11:51
Scusate, potete segnalare qui i "lavori in corso"? C'è un problema di attribuzione non ancora risolto...
Bernart Bartleby - 2014/12/29 - 15:26
Un brano di 6,52 min. dal titolo "Stornelli di Regina Coeli" si trova anche nella raccolta de I Dischi del Sole intitolata "Canti e racconti di prigione", a cura di Sergio Boldini, 1969.
Si tratta di un disco contenente tre gruppi di canzoni (sulla condizione umana, criminale e politica del carcere) raccolte da Sergio Boldini (all'epoca coordinatore della sezione culturale centrale del PCI) a Roma tra il 1964 e il 1966 da informatori anonimi.
Questo rafforza ulteriormente l'ipotesi che l'autore non sia affatto Franco Antonicelli.
Si tratta di un disco contenente tre gruppi di canzoni (sulla condizione umana, criminale e politica del carcere) raccolte da Sergio Boldini (all'epoca coordinatore della sezione culturale centrale del PCI) a Roma tra il 1964 e il 1966 da informatori anonimi.
Questo rafforza ulteriormente l'ipotesi che l'autore non sia affatto Franco Antonicelli.
Bernart Bartleby - 2015/4/1 - 17:59
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