E noi tiriam la cinghia da sei mesi
Perché dalla Gardelli ci han sospesi
Abbiam sputato sangue per degli anni
Pigliando poco o niente e solo affanni.
Ora i padroni
Ci voglion licenziare
Perché tanto i milioni
Gli abbiamo già fatto fare.
Finchè la fornace tirava avanti
Facevano i quattrini a palate
Or che dovrebbero cambiar gli impianti
Ci han detto grazie tante e circolate.
Coi manifesti
Di solidarietà
No non si batte un chiodo
Non bastano per campar.
Adesso siamo noi della Gardelli
Domani è qualcun altro a digiunare
A chi fa i soldi con le nostre pelli
Leviamo il diritto di affamare.
Il padronato
Bisogna sbaraccar
Sol chi lavora mangia
E non chi sta lì a guardar.
Perché dalla Gardelli ci han sospesi
Abbiam sputato sangue per degli anni
Pigliando poco o niente e solo affanni.
Ora i padroni
Ci voglion licenziare
Perché tanto i milioni
Gli abbiamo già fatto fare.
Finchè la fornace tirava avanti
Facevano i quattrini a palate
Or che dovrebbero cambiar gli impianti
Ci han detto grazie tante e circolate.
Coi manifesti
Di solidarietà
No non si batte un chiodo
Non bastano per campar.
Adesso siamo noi della Gardelli
Domani è qualcun altro a digiunare
A chi fa i soldi con le nostre pelli
Leviamo il diritto di affamare.
Il padronato
Bisogna sbaraccar
Sol chi lavora mangia
E non chi sta lì a guardar.
Contributed by Bernart Bartleby - 2015/12/17 - 13:46
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La prima canzone scritta da Janna Carioli nel 1967 per gli operai della fornace Gardelli, il più antico stabilimento per la produzione di manufatti edili e ceramiche di Imola, che sorgeva lungo il canale dei Molini.
Canta Gianfranco Ginestri.
Testo trovato su Gli anni che cantano
Brano facente parte dello spettacolo "Canti Contro (Recital di canzoni del lavoro, della lotta e della resistenza antimperialista)” realizzato nel 1971
Poi nel disco del Canzoniere delle Lame “I canti della baracca di Piazza Maggiore. 18 canti sindacali e di protesta” (1973). (Credo che la “baracca” fosse la tenda allestita dai metalmeccanici in piazza a Bologna durante le manifestazioni del 1973)
Già nei primi anni 50, quando nelle fabbriche di tutta Italia si cercava di “estirpare il cancro comunista”, diversi lavoratori della Gardelli, così come di altre fabbriche dell’imolese, furono licenziati per rappresaglia perché iscritti alla CGIL e al PCI.
Invece nel 1966, dopo una sospensione dal lavoro di oltre 4 mesi (e non credo che allora ci fosse la cassa integrazione!), la proprietà decise di lasciare a casa tutti i 90 operai. I padroni ebbero pure l’ardire di prendere per il culo le maestranze offrendo loro l’affitto dell’azienda, se avessero voluto autogestirla, ma chiesero… 16 milioni all’anno! In realtà volevano dismettere tutto per speculare su di un progetto di trasformazione dell’area a fini abitativi. Come sia poi andata a finire non lo so, ma credo sia facile immaginarlo…