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Il cuoco di Salò

Francesco De Gregori
Lingua: Italiano


Francesco De Gregori

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Francesco De Gregori, Il cuoco di Salò


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da "Amore nel pomeriggio" (2001)
Testo e musica di Francesco De Gregori
Arrangiamento di Franco Battiato
amore nel pomeriggio

COMMENTO DI ROBERTO VECCHIONI
da Il linguaggio in canzone (ciclo di lezioni sui cantautori italiani che Vecchioni ha tenuto nelle università italiane)

Il lago di Garda a Salò
Il lago di Garda a Salò
Il cuoco di Salò (Amore nel pomeriggio, 2001) è una canzone inimmaginabile e fuori da ogni canone. Primo straordinario coup de théâtre è il corner storico da cui viene guardata la vicenda, perché di vicenda storica si tratta e così recente che la ferita fa ancora male. La trovata del corner per raccontare un grand affair non è nuova in arte. Il personaggio minore, angolare, che fa da protagonista e racconta dal suo punto di vista un evento più grande di lui c'è già in Shakespeare, c'è in molto cinema (La Tunica, Ben Hur, Il mondo nuovo, etc.), esiste in parecchie opere letterarie. Nella canzone in esame il trucco di lasciar descrivere gli ultimi giorni del fascismo da un personaggio ignaro, a digiuno di politiche e intrighi, ingenuo quel che basta, permette a De Gregori una descrizione non solo imparziale, quasi naturalistica (i fatti son desunti da rumori, voci, pettegolezzi) ma perfino più disincantata, lontana e nel contempo paradossalmente più vera e tragica. Il cuoco pensa a sé, alla sua vita, al suo lavoro: è lui nella sua piccola dimensione il centro: tutto il resto che è la storia fa da sfondo e risulta ai suoi occhi come occasionale incidente, ininfluente. Il cuoco vede soltanto i riflessi esterni del grande dramma che si sta compiendo, e in questo fiume in piena, in questo mondo che si sconvolge e cambia, continua quasi imperturbato a pensare come il giorno prima, come sempre, alla sua professione, al suo quotidiano. Ma, e qui sta la trovata, quando si spinge a giudicare oltre il suo orto non ha, non conosce pensieri di parte, torti o ragioni, e accomuna nel delirio di una sola morte tutti, anche quelli che stanno dalla parte sbagliata.

L'espediente della voce esterna narrante permette a De Gregori di fermare le bocce e provare un umana, universale pietà per tutti i nemici, rivali compresi. Quel che gli sarebbe stato più ostico in prima persona (vedi "Le storie di ieri"), in questa falsariga di svolgimento a tema gli risulta semplice, non contraddittorio e soprattutto coerente. Non è il De Gregori di Bella ciao, il ragazzo che guarda il muro e si guarda le mani a raccontare. Non è il De Gregori passionario e comunista, il populista contro ogni potere: partendo da sé e dal suo vissuto non avrebbe mai potuto scrivere una canzone simile. E allora ecco il cuoco di Salò, creatura in una tempesta più grande di lui che appena avverte e non può capire in tutte le sfumature, se non nell'unica che gli risulta leggibile: la morte, lo sfascio, la fine. L'aggiramento dello scoglio ideologico è molto più apparente che reale. De Gregori si avvale di uno schermo per permettere a se stesso uno sfogo di dolore universale che altrimenti non potrebbe esprimere in una libertà così assoluta, e non potrebbe permettersi senza suscitare contraddizioni o dover elargire spiegazioni o precisazioni al suo pensiero. Perché anzitutto Il cuoco di Salò non è una giustificazione né totale né minima al fascismo e ai suoi disastri. Non è e non vuol essere un accumunare morti di un tipo ad altri morti in una specifica contingenza storica. È semplicemente un grido muto, da espressionismo tedesco, un grido lacerante e silenzioso sull'inutilità, sull'occasione perduta, sull'insensatezza di un periodo evitabilissimo e non evitato, sull'esaltazione pilotata, ingannevole e incolpevole di alcuni, di molti giovani. E allora siamo ben oltre i primi anni quaranta: siamo in tutte le guerre, in tutte le irruzioni di morte nella storia, perché di questo si tratta, del confronto cioè tra la bellezza della vita (del sole, dei giorni, della luce) e il disfacimento della morte, una morte melliflua, ingannatrice, subdola nell'apparente meraviglia delle sue promesse di vittoria e potere. Il cuoco è ragazzo, è infante: le ballerine venute da Venezia, il frusciare dei loro vestiti, le musiche notturne, le porte che sbattono, le scale salite e ridiscese la mattina spargendo ovunque profumo, lo colpiscono molto di più degli spari che vengono da fuori. Quando le ragazze scendono a far colazione il primo pensiero è alla vita che va, che continua (se quest acqua di lago fosse acqua di mare, quanti pesci potrei cucinare). Il primo pensiero è quello di aggrapparsi ai giorni, alle abitudini e di sentirsi in qualche modo importante: anche un cuoco può essere utile e anche in mezzo a un naufragio si deve mangiare. Ma il secondo pensiero, oppressivo, alto e incombente come un nuvolone è la morte, quel che sta accadendo fuori: Che qui si fa l'Italia e si muore, dalla parte sbagliata, in una grande giornata si muore. Non è un approccio critico, né di parte, è solo come un titolone letto su un giornale al bar o dal barbiere. Così lo prende, così lo fa suo il cuoco, che neppure sa se sian banditi, eroi o americani quelli che stan sparando sui monti. È la disinformazione tipica dell'uomo di tutti i giorni, che ha un solo attimo di apparente dolore nella riflessione davanti alle ballerine sculettanti: quante storie potrei raccontare stasera, quindicenni sbranati dalla primavera. Ma attenzione, non è pietà vera e propria, bensì una sorta di fatalismo, di impotenza, di cosa ci posso fare io di fronte a cose così imponenti. E infatti prevale nel suo piccolo modo di ragionare da Abbondio coraggioso un sense of humor perfino irresponsabile: Io mi chiedo che faccia faranno (I PARTIGIANI) a trovarmi in cucina e se vorranno qualcosa per cena . Attraverso questo magistrale fool, cui tutto nella sua astoricità è permesso, De Gregori dice il non detto, molto più che se lo dicesse espressamente. E lui sì, lui dalla sua anima con la sua voce, distinto se pur ben mascherato nella inattualità del cuoco, piazza quella stridente contraddizione tra illusione e realtà, errore e verità, sole o morte, che sono pianto per l'inspiegabile catastrofe del destino umano dove colpe e torti per una volta tanto non entrano in scena.
Alla sera vedo donne bellissime
da Venezia arrivare fin qua
e salire le scale e frusciare
come mazzi di rose
Il profumo rimane nell'aria
quando la porta si chiude
ed allora le immagino nude a aspettare
sono attrici scappate da Roma
o cantanti non ancora famose
che si fermano per una notte
o per una stagione
al mattino non hanno pudore
quando scendono per colazione
puoi sentirle cantare.

Se quest'acqua di lago fosse acqua di mare
quanti pesci potrei cucinare stasera
anche un cuoco può essere utile in una bufera,
anche in mezzo a un naufragio si deve mangiare.

Che qui si fa l'Italia e si muore
dalla parte sbagliata
in una grande giornata si muore
in una bella giornata di sole
dalla parte sbagliata si muore.

E alla sera da dietro a quei monti
si sentono colpi non troppo lontani
c'è chi dice che sono banditi
e chi dice americani
io mi chiedo che faccia faranno
a trovarmi in cucina
e se vorranno qualcosa per cena.

Se quest'acqua di lago potesse ascoltare
quante storie potrei raccontare stasera
quindicenni sbranati dalla primavera,
scarpe rotte che pure li tocca di andare.

Che qui si fa l'Italia e si muore
dalla parte sbagliata
in una grande giornata si muore
in una bella giornata di sole
dalla parte sbagliata si muore
in una grande giornata si muore
dalla parte sbagliata
in una bella giornata di sole
qui si fa l'Italia e si muore.



Lingua: Francese

Version française – Le Cuisinier de Salò – Marco Valdo M.I. – 2008
Chanson italienne – Il cuoco di Salò – Francesco De Gregori – 2001

Quelques mots pour situer cette histoire; un point de vue de traducteur, un point de vue d'ailleurs.
Elle se passe dans la tête d'un cuisinier qui opère dans les cuisines de Salò, c'est-à-dire dans les cuisines de la Républiquette de Salò, sur les rives du lac de Garde, dernière capitale et dernier refuge du fascisme, planté là sous la protection des « merveilleuses forces armées allemandes », ainsi que les appelait la « Mâchoire » quand il déclara la guerre en 1940.
La scène aurait pu se dérouler à Siegmaringen, si ce cuisinier avait été français et avait participé à la retraite de Vichy dans les bagages allemands. On y voit passer les mêmes demi-mondaines et leurs parfums de fin de règne. On pense à Louis Ferdinand Céline lui qui disait aussi s'être trompé de fuite, de s'être en quelque sorte – par bêtise, par idéal, par ignorance, par conviction ? - retrouvé du mauvais côté. Simplement, Céline n'était pas cuisinier et lui, il n'avait pas fini du mauvais côté par un quelconque hasard de l'existence. Céline avait choisi en toute lucidité; il fuyait pour échapper à ses justiciers.
Pour Céline, on sait tout ou presque; pour ce cuisinier, rien. Faisait-il partie des bagages fascistes ou bien, exerçait-il là, sur les rives du lac, depuis toujours ? Est-il cuisinier d'un grand hôtel touristique ou cuisinier attitré du régime ? On ne sait pas ; la chose n'est pas dite.
Une seule chose est certaine, ce cuisinier est du mauvais côté, dans le camp des vaincus du petit lendemain... On entend déjà les tirs des Américains....
LE CUISINIER DE SALÒ

Le soir, je vois de belles femmes
arriver de Venise jusqu'ici
et monter les escaliers et bruire
comme des bouquets de roses.
Leur parfum reste dans l'air
quand la porte se ferme
et alors, je les imagine nues qui attendent
Ce sont des actrices rescapées de Rome
ou des chanteuses pas encore fameuses
qui s'arrêtent pour une nuit
ou pour une saison.
Au matin, elles n'ont plus de pudeur
quand elles descendent au déjeuner
Tu peux les entendre chanter.

Si cette eau du lac était de l'eau de mer
quels poissons, je pourrais cuire ce soir...
même un cuisinier peut être utile dans une tempête,
même au milieu d'un naufrage, il faut manger.

C'est qu'ici, se fait l'Italie et on meurt
du mauvais côté
en une grande journée, on meurt
en un beau jour ensoleillé
du mauvais côté, on meurt.

Et le soir, derrière les montagnes
on entend des tirs pas trop lointains.
Il y en a qui disent que ce sont des bandits
et des qui disent que ce sont les Américains.
Moi, je me demande quelle tête ils feront
quand ils me trouveront dans ma cuisine
et s'ils voudront quelque chose pour dîner.

Si cette eau du lac pouvait écouter
combien d'histoires, je pourrais lui raconter ce soir
de mes quinze ans déchiquetés au printemps,
de tes chaussures foutues alors que tu veux partir.

C'est qu'ici, se fait l'Italie et on meurt
du mauvais côté.
En une grande journée, on meurt
du mauvais côté;
en un beau jour ensoleillé, on meurt
du mauvais côté
en une grande journée, on meurt
du mauvais côté
en un beau jour ensoleillé
l'Italie se fait ici et on meurt.

inviata da Marco Valdo M.I. - 25/8/2008 - 15:58




Lingua: Inglese

English Version by Andrea Fedi
SALO'S COOK

At night I see very beautiful women,
who come up here from Venice,
and climb, rustling up, the stairs
like bundles of roses,
and their perfume hangs in the air
when the door closes,
and so I imagine them naked, waiting.
They are actresses who've fled from Rome,
or not-yet-famous singers,
who stay for a night,
for a season.
In the morning, they don't have any modesty,
when they come down for breakfast
you can hear them sing.

If the water of this lake was sea water,
how many fish I could cook tonight.
Even a cook can be useful during a storm,
even in the midst of a shipwreck one needs to eat.
Because here we make Italy and we die,
on the wrong side,
on a great day we die,
on a beautiful sunny day,
on the wrong side we die.

And at night, from behind those mountains,
we can hear shots, not too far away.
Some say it's the bandits,
and some say it's the Americans.
I wonder what expression they will show on their faces,
when they will find me in the kitchen,
and whether they will want something for dinner.

If the water of this lake could hear me,
how many stories I could tell, tonight:
fifteen-year-olds torn to pieces by this springtime,
forced to go on, even with their broken shoes.
Because here we make Italy and we die,
on the wrong side,
on a great day we die,
on a beautiful sunny day,
on the wrong side we die.

On a great day we die,
on the wrong side,
on a beautiful sunny day,
here we make Italy and we die.

19/11/2012 - 10:59


Apprezzo molto il De Gregori uomo come il De Gregori pensatore... sia pur da un punto di vista critico, in quanto non mi ritengo affine politicamente a lui... quello che non comprendo a pieno è perchè sia necessario un commento da parte di un Vecchioni fazioso che cerca comunque di tirare il lenzuolo della storia dalla sua parte commentando inutilmente una bella canzone e iniziando quei distinguo sui morti di una o un'altra parte che De Gregori invece, nella sua finezza e intelligenza, era riuscito ad evitare. Perchè i morti sono morti, e secondo me, in totale disaccordo con Vecchioni, da parte sua non credo ci sia voglia di distinguere, tra morti che comunque si battevano per una loro idea, quelli belli e bravi, da quelli brutti e cattivi... non si potrebbe per una volta evitare di buttarla in politica (tristemente) e considerare "la parte sbagliata" della canzone da un punto di vista puramente umano (ovvero la parte sbagliata perchè è quella che soccombe)? Secondo me sarebbe un bel modo di di non rovinare una canzone che analizza una vicenda storica da un punto di vista puramente umano, nonchè un modo per dare pace ai morti (di ambo le parti caro Vecchioni!), che ancora troppo spesso vengono nominati oggi e giudicati solo perchè sono morti per una idea, cosa che invece dovrebbe comunque meritare rispetto, a prescindere se tale idea sia condivisa o meno!

ElRouge


Leggo tardi questo commento e devo necessariamente difendere Vecchioni dalle false accuse di faziosità. Riporto, quindi, le dichiarazioni di De Gregori stesso su "Il cuoco di Salò", che chiariscono la sua volontà di non giustificare assolutamente chi è morto dalla parte dei nazifascisti:

"Sono loro stessi che in questo canto dicono di stare dalla parte sbagliata. Credo che questo fosse un sentimento abbastanza diffuso, forse in maniera più o meno conscia fra coloro che avevano scelto di militare nella Repubblica Sociale. Sicuramente sapevano di andare incontro ad una sconfitta storica, non solo ad una sconfitta militare"
(dall’intervento di Francesco De Gregori nel Convegno “Comunicare storia. Un seminario a più voci”, tenutosi ad Arezzo il 22 e il 23 febbraio 2001 e organizzato dall’Assessorato ai Beni e Attività culturali della Provincia di Arezzo e dalla rivista “Storia e problemi contemporanei”.)

Antonio Piccolo - 30/3/2007 - 12:59


A prescindere dalla faziosità di questo (Vecchioni) o di quel (De Gregori) musicista, faziosità che io riterrei comunque più opportuno definire coscienza politica e della quale anche il commentatore che si avventa contro Vecchioni dimostra di non essere privo, credo che la bellezza di una canzone non possa mai essere scissa dal suo contenuto, dal suo messaggio.
Certamente De Gregori è un autore "schierato", ma non trovo che questo sia un limite, anzi, semmai è un pregio, quello di avere delle idee e di saperle cantare.
La ferita della guerra civile è ancora aperta, questo è indubbio. Tuttavia, affermare che ai morti spetta pari dignità è un discorso un po' demagogico: io non metterei sullo stesso piano Stalin e Gandhi, solo per il fatto di essere entrambi morti.
Le idee non hanno tutte pari dignità e nobiltà.
Credo sia questo il motivo per cui le persone, prima ancora che farsi la guerra, semplicemente discutono ed, eventualmente, litigano.

Paolo Andretta - 20/9/2007 - 16:19


Due note:
1.la traduzione francese ha qualche imperfezione:
de mes quinze ans déchiquetés au printemps,
de tes chaussures foutues alors que tu veux partir.
Il cuoco potrebbe raccontare dei quindicenni (soldati) e delle loro scarpe rotte.
2. De Gregori dichiara piu' volte che "la parte giusta" era sicuramente quella della Resistenza, ma in questa canzone pensa soprattutto a coloro che non avevano i mezzi per scegliere da che parte stare, a quei quindicenni sbranati dalla primavera, appunto.

7/12/2012 - 00:52


Come da lui stesso ammesso alla presentazione del libro di Battista 'Mio padre era fascista' non era convinto nel mettere nel testo dalla parte sbagliata ma per il politicamente corretto lo inserì. De Gregori ha una storia familiare scissa tra le due parti uno zio nella Rsi e uno con i partigiani della Osoppo di cui era alla guida che come sappiamo bene fu infoibato insieme al fratello di Pasolini perché non voleva piegarsi ai partigiani comunisti. Quindi nessuno meglio di lui poteva questo testo che rende benissimo il senso di quella immane tragedia cosa che ai più sfugge!

Teodora - 25/9/2020 - 19:58


De Gregori sempre triste e ripetitivo, un cantautore che non si rinnova e non si è rinnovato neppure nel passato. Eppure è attraente,fa piacere sentirlo quasi fosse un bimbo dell'asilo che intona la sua prima canzone ...e noi i suoi genitori.

Giuliano - 2/11/2022 - 20:33




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