Giorgio Strehler ovvero il Regista, pensa al Teatro come a una sfida iperbolica, a un palcoscenico in cui si concretizza l'immagine del mondo dove i grandi signori della scena possono dialogare con il popolo dei personaggi e, attraverso di loro, con gli spettatori. Accanto a questo modo "regale" di intendere il teatro, che fa di lui il vero erede di Max Reinhardt , Strehler ne ha sempre avvicinato un altro più severo che si era incarnato nella tradizione di Copeau e di Jouvet, dove il regista parte dal presupposto che tutto è nel testo e che quanto è già stato detto e scritto può essere mediato, incarnato, dall'Attore. Questi due modi di intendere la regia si rendono evidenti esemplarmente in due fra i suoi ultimi spettacoli - Faust frammenti, al quale lavora ininterrottamente dal 1988 al 1991, recitando anche nel ruolo del titolo, e Elvira o la passione teatrale (1987) - e hanno trovato la possibilità di svilupparsi anche grazie alle sue ascendenze familiari. Strehler nasce a Barcola, un paesino vicino a Trieste, il 14 agosto del 1921, in una famiglia dove si intrecciano lingue e culture. Suo nonno è musicista (anche Giorgio studierà musica e direzione d'orchestra) e di cognome fa Lovric; sua nonna è francese e si chiama Firmy, cognome che il nipote prenderà quando firmerà le prime regie durante l'esilio svizzero. Suo padre, Bruno, muore giovanissimo, quando il figlio ha poco più di due anni; la madre, Alberta, è un'apprezzata violinista.
Il giovane Strehler cresce così in un'atmosfera artisticamente "predestinata", e in un ambiente a forte matrice femminile. Questa immersione nel femminile gli sarà utile per disegnare le sue protagoniste. Da ragazzino Strehler si trasferisce con la madre a Milano, dove compie gli studi prima al convitto Longone e poi al liceo Parini, fino a frequentare l'Università, facoltà di legge; ma fin da adolescente, accanto allo studio, coltiva l'amore per il teatro. Si iscrive all'Accademia dei Filodrammatici di Milano, dove trova il suo maestro di elezione in Gualtiero Tumiati.
Le sue prime prove fuori dalla scuola sono da attore, nel gruppo Palcoscenico di Posizione a Novara e anche alla Triennale, in un testo di Ernesto Treccani. Ma già qui, a soli ventidue anni, pensa che il teatro italiano abbia bisogno della scossa salutare e demiurgica della regia. In quegli anni che precedono la guerra, Strehler, legato da un'amicizia fortissima a Paolo Grassi, fa la fronda nei Guf e morde il freno. L'entrata in guerra dell'Italia lo trova militare e poi rifugiato in Svizzera nel campo di Murren, dove stringerà amicizia, fra gli altri, con il commediografo e regista Franco Brusati. Qui, poverissimo, riesce, con il nome di Georges Firmy, a trovare i soldi per mettere in scena, fra il 1942 e il 1945, Assassinio nella cattedrale di Eliot, Caligola di Camus e Piccola città di Wilder. La fine della guerra lo vede però di ritorno in Italia, ormai deciso a fare il regista. Il suo primo spettacolo, dopo la "regia" del gruppo di cammelli alla festa per la Liberazione al Castello Sforzesco, è Il lutto si addice a Elettra di O'Neill, con Memo Benassi e Diana Torrieri. Firma anche tutta una serie di regie d'occasione per compagnie famose, senza crederci troppo, e torna a recitare in Caligola di Camus (che ha spesso fra i suoi spettatori un altro signore della scena, Luchino Visconti), dove dirige Renzo Ricci e riserva a se stesso il ruolo di Scipione.
Nel frattempo è stato anche critico teatrale per "Momento sera", senza mai rinunciare però al sogno, condiviso con Paolo Grassi, di costruire dal nulla un teatro diverso. L'occasione sarà la fondazione nel 1947 del Piccolo Teatro della Città di Milano: primo stabile pubblico italiano, che aprirà i suoi battenti il 14 maggio, con l'andata in scena di L'albergo dei poveri di Gor'kij dove Strehler riserva a sé il ruolo del ciabattino Alijosa. Questo spettacolo, che riesce a coagulare buona parte della compagnia che per alcuni anni sarà stabile al Piccolo e che avrà le sue punte in Gianni Santuccio, Lilla Brignone e Marcello Moretti, ha avuto un anno prima un'"anticipazione" in Piccoli borghesi di Gor'kij, andato in scena con la regia di Strehler e l'organizzazione di Paolo Grassi all'Excelsior. Alla fondazione del Piccolo corrisponde anche la prima regia operistica di Strehler, una Traviata alla Scala destinata a lasciare il segno. Dal 1947, però, gli sforzi maggiori di Strehler (prima regista stabile, poi direttore artistico, poi direttore unico) sono essenzialmente per il Piccolo Teatro, dove dirige spettacoli che appartengono alla storia del teatro e della regia. Si può tuttavia rintracciare una costante: l'interesse per l'uomo in tutte le sue azioni. Questa scelta, che Strehler perseguirà per tutta la vita, è un atto di fedeltà alle ragioni profonde dell'esistenza. E, in questo suo porre l'uomo sotto la lente d'ingrandimento del suo teatro, ecco venire alla luce alcuni rapporti che gli interessano: l'uomo e la società, l'uomo e se stesso, l'uomo e la storia, l'uomo e la politica. Scelte che si riflettono a loro volta nella predilezione per alcuni autori chiave, veri e propri compagni di strada nel lavoro teatrale del grande maestro: Shakespeare soprattutto, ma anche Goldoni, Pirandello, la drammaturgia borghese, il teatro nazional popolare di Bertolazzi, Cecov e, nei primi anni, la drammaturgia contemporanea; Brecht gli rivela un diverso approccio al teatro, alla recitazione, una "via italiana" all'effetto di straniamento. All'interno di questi autori, pur non potendo entrare nel merito delle più di duecento regie da lui firmate, sono enucleabili alcuni spettacoli guida: Riccardo II (1948), Giulio Cesare (1953), Coriolano (1957), Il gioco dei potenti (1965), Re Lear (1972), La tempesta (1978) per Shakespeare; Arlecchino, in tutte le sue versioni (a partire dal 1947) lo spettacolo italiano più visto nel mondo e quello di più lunga vita, La trilogia della villeggiatura (1954), Le baruffe chiozzotte (1964) e Il campiello (1975) per Goldoni; Platonov (1959) e Il giardino dei ciliegi (1955 e 1974) per Cecov; le diverse edizioni de I giganti della montagna (1947, 1966, 1994) e Come tu mi vuoi (1988) per Pirandello; El nost Milan (1955 e 1979) e L'egoista (1960) per Bertolazzi; La casa di Bernarda Alba di García Lorca (1955) e, soprattutto, Temporale di Strindberg (1980) per la drammaturgia borghese; La visita della vecchia signora di Dürrenmatt (1960), La grande magia di Eduardo De Filippo (1985) per la drammaturgia contemporanea; L'opera da tre soldi (1956), L'anima buona di Sezuan (1958, 1981 e 1996), Santa Giovanna dei macelli (1970) e soprattutto Vita di Galileo (1963) per Brecht. Ma, all'interno di una produzione stupefacente, a venire in primo piano è il lavoro sui segni del teatro (le scene, le atmosfere, le sue inimitabili luci) e lo scavo sulla recitazione che trova il suo vertice nel vero e proprio corpo a corpo che egli instaura con gli attori. La storia di Strehler si svolge eminentemente al Piccolo Teatro, ma non solo: nel 1968 abbandona via Rovello per fondare un suo gruppo, il Teatro Azione, su basi cooperativistiche; con questo gruppo presenta La cantata del mostro lusitano di Weiss (1969), spettacolo anticipatore di un teatro concettualmente "povero", e Santa Giovanna dei macelli (1970) che sigla il suo ritorno "a casa". Ma Strehler ha anche diretto il neonato Teatro d'Europa, voluto da Jack Lang e da François Mitterrand a Parigi.
È morto nella notte di Natale del 1997; le sue ceneri riposano a Trieste, nel cimitero di Sant' Anna, nella semplicissima tomba di famiglia. Notevole l'apporto registico di Strehler all'opera lirica; delle tantissime regie, da ricordare le partecipazioni al Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia (Lulu di Berg, 1949; La favola del figlio cambiato di Malipiero, 1952; L'angelo di fuoco di Prokof'ev, 1955), al Maggio Musicale Fiorentino (Fidelio di Beethoven, 1969), al Teatro alla Scala (fin dalla primavera del 1946 con Giovanna d'Arco al rogo di Honegger, con Sarah Ferrati), almeno per il Verdi, oltre che della già citata Traviata, del Simon Boccanegra (1971), del Macbeth (1975) e del Falstaff (1980); e di Mascagni, della lodatissima Cavalleria rusticana diretta da Karajan (1966); alla Piccola Scala per L'histoire du soldat di I. Stravinskij (1957), Un cappello di paglia di Firenze di Rota (1958) e Ascesa e caduta della città di Mahagonny di Weill (1964); oltre al lavoro sul prediletto Mozart, condotto attraverso Il ratto dal serraglio (1965) e Il flauto magico (1974) al Festival di Salisburgo, Le nozze di Figaro a Parigi (1973), Don Giovanni alla Scala (1987) e la soave leggerezza di Così fan tutte, inno all'amore e alla giovinezza: più che un testamento, un ponte gettato fra il lavoro di cinquant'anni e il nuovo secolo.
(Dal Dizionario dello spettacolo del '900, Ed. Baldini & Castoldi, Milano 1998).