Tommaso Carturan

Canzoni contro la guerra di Tommaso Carturan
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Tommaso CarturanTommaso Carturan, 34 anni, single, ha dato vita ad una famiglia grandissima che parte da Bologna, abbraccia l’Italia e arriva in Colorado. Sono in tanti a farne parte: africani, europei, gente dell’Est, studenti universitari e anziani di Bologna , dove ha sede la sua associazione «Arte Migrante», disoccupati, lavoratori, senzatetto, richiedenti asilo, famiglie. Da Trento a Palermo, da Cipro a Marsiglia si ritrovano per gruppi di cinquanta, cento persone, due, tre volte al mese. Si confidano, cantano, ballano, suonano, recitano, per raccontarsi e così non perdersi nella desolazione della solitudine. Sorrisi, volti gioiosi: anche in questo tempo di isolamento forzato non rinunciano a vedersi, lo fanno online (dato che tutti hanno almeno un telefonino). «Che cosa ci accomuna? L’arte, perché crea amicizia immediata. Il linguaggio universale della musica, del teatro, della danza, infrange le barriere, avvicina, scalda i cuori, dà fiducia».

Carturan, cantautore e antropologo
Tommaso, che è antropologo e cantautore, e lavora come coordinatore dei Laboratori Migranti di Antoniano Onlus, ne è convinto, ci crede al punto da dedicare la vita a costruire relazioni con l’arte. «Cantai con i carcerati e capii cosa dovevo fare». La folgorazione otto anni fa in visita al carcere di Eboli con il missionario comboniano padre Alex Zanotelli e la Carovana della Pace: «Alcuni carcerati stavano preparando uno spettacolo, intonai una mia canzone e loro si misero a cantare con me, fu subito intesa, per me un’illuminazione». Originario di Latina, da quando ha deciso di dar forma a quell’intuizione vive a Bologna (in una comunità interculturale): «Insieme ad amici organizzavamo serate di musica e condivisione presso la parrocchia di Sant’Antonio di Savena coinvolgendo le persone più sole, profughi, senza fissa dimora, via via si sono aggregati giovani, anziani, gente comune».

Creare legami
Quelle serate sono diventate l’appuntamento fisso in spazi messi a disposizione dal Comune: «Cerchiamo di creare legami fortificati dalla voglia di stare insieme, di incontrare e scoprire l’altro. Ci riuniamo settimanalmente, tutti in cerchio, alla pari, senza pregiudizi né stereotipi, stando attenti all’altro e ascoltandolo per cogliere la bellezza della diversità come valore e ricchezza. Ci si presenta, si condividono brani musicali, poesie, qualsiasi cosa anche giochi e barzellette: ciascuno con il suo talento e la sua bellezza si esprime come vuole, racconta la sua storia. Quando era possibile vedersi di persona ognuno portava anche qualcosa per cenare». Non solo calore umano: «Chi è in cerca di un lavoro, di una sistemazione dignitosa, attraverso di noi può entrare in contatto con i Servizi Territoriali, si aprono opportunità».

L’hastag #unuccellinomihadetto
Un’idea che piace e si propaga. «Attenzione qui non c’è chi dona e chi riceve. Lo scambio è reciproco. Diventiamo famiglia per chi una famiglia non ce l’ha. I primi a esserne contenti sono gli italiani che si sentono arricchiti dall’incontro con tante diversità. Ricordo Franco, un attivista di Bologna, il nonno del gruppo: qui ha trovato un sacco di amici. Due cugini di Modena sono stati così bene da voler creare un gruppo anche nella loro città, lo stesso ha fatto un giovane americano una volta tornato a casa a Denver. Potrei fare decine di esempi». Tante le iniziative socioculturali in atto anche contro l’indifferenza. In pieno lockdown l’onda solidale di «Arte Migrante» ha spaziato tra Europa e Africa in un volo virtuale con l’hashtag “unuccellinomihadetto” per porsi in ascolto dei più disperati «persone che sono state emarginate socialmente dal disordine generale», come ad esempio i senzatetto di Rimini che domandano: «Ma cosa sta succedendo nel mondo? Da giorni non possiamo stare da nessuna parte, ci cacciano anche dai parchi; in stazione ci puoi stare solo se mostri un biglietto del treno e se piove non possiamo ripararci nemmeno sotto i portici».

Cantastorie in teatro a Parma
A Parma «Arte Migrante» si è anche fatta teatro con giovani del posto, e con loro nigeriani, camerunensi, cileni…che recitano per le strade raccontandone la storia e i personaggi, Maria Luigia, Verdi, Guareschi. Prima li studiano con l’ausilio di esperti e poi li portano tra la gente. Si definiscono «spacciatori culturali». Tra loro Emanuela Mastroprimiano, 27 anni, attrice e logopedista, entusiasta di questo modo di fare integrazione recitando: «Chiunque per strada può aggregarsi, entrare in scena, è qualcosa di magico».