Vladimir Semënovič Vysotskij / Владимир Семёнович Высоцкий

Antiwar songs by Vladimir Semënovič Vysotskij / Владимир Семёнович Высоцкий
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Vladimir Semënovič Vysotskij / Владимир Семёнович ВысоцкийVladimir Vysotskij (Vysockij nell'esatta traslitterazione dall'alfabeto cirillico) era nato il 25 gennaio 1938 nel centro di Mosca, figlio di un sottotenente di carriera e di una interprete di tedesco. E’ un periodo terribile nella storia Sovietica, il momento delle grandi "purghe" staliniane. Nel 1946 i genitori divorziano, e l’anno seguente il padre viene trasferito in Germania Est, dove conduce il piccolo Vladimir insieme alla sua nuova compagna, una donna armena. Nel 1949 tornano a Mosca. Gli anni scolastici scorrono tranquilli, finché nell’ultimo anno di liceo comincia a frequentare un circolo di teatranti. Vorrebbe continuare, ma suo padre si oppone e lui si iscrive ad un corso di ingegneria.
Viene spedito in campagna. Nel 1956 viene subito bocciato al primo esame, e lì capisce che è inutile sforzarsi. Studia per entrare nell’istituto di teatro e nulla lo distoglie da questo, neanche i tragici fatti del 1956. Una volta entrato studia accanitamente l’uso della voce, anche se all’epoca viene ritenuto assolutamente inadatto al canto. Il 1960 è un anno importante. Si sposa con Iza, una compagna di corso, dalla quale divorzia l’anno seguente; incontra Aleksandr Galich, il poeta chansonnier che, con Bulat Okudzhava, ha lanciato in Unione Sovietica la poesia popolare cantata. "Grattando" la sua chitarra a sette corde, Vysotskij inizia così a cantare canti di prigione e di malavita. E nello stesso anno debutta in ruoli minori sia al teatro che al cinema. Nel 1961 scrive la sua prima canzone, intitolata "Il Tatuaggio". Già in queste prime fasi, quasi per gioco, un suo amico registra le sue canzoni e gradualmente inizia una sorta di distribuzione "porta a porta" che contraddistinguerà tutta la sua vita.
Le sue canzoni cominciano a circolare, anche se il suo nome è ancora sconosciuto. Già nel 1963, a Vysotsky capita di sentire alcune sue canzoni rimanipolare e cambiate nelle strade di Mosca. In quello stesso anno si sposa per la seconda volta, con Ljud’mila Abramova, conosciuta sul set di un film a Leningrado, ma soprattutto inizia quella specie di "fuoco sacro" che lo porta a produrre e scrivere instancabilmente.
Nel 1964 un provino per Ljubimov, direttore del prestigioso teatro Taganka. Curiosamente, Ljubimov non è convinto delle sue doti di attore, ma lo prende con sé perché affascinato dalle sue canzoni che cominciavano ad essere già note. Ma già nel 1965 è a pieno titolo uno degli attori principali del Taganka, dove svolgerà ruoli memorabili: Kerenskij nei "Dieci giorni che sconvolsero il mondo", e poi soprattutto "Galileo" di Brecht. Esce il suo primo disco, colonna sonora del film "Verticale". Nel 1967 interpreta il ruolo di Majakovskij in una pièce intitolata "Ascoltate Majakovskij", e poi il Pugachëv di Esenin. E’ il suo trionfo come attore. Marina Vlady descrive così la scoperta di questo attore: "Sul palcoscenico si dibatte e urla un uomo a torso nudo, con le braccia e il petto stretti dalle catene. L’impressione è terrificante. Sul piano inclinato del palco altri quattro uomini tendono le catene che hanno la duplice funzione di rete e di lacci...Come tutti gli spettatori, anch’io sono scossa dalla forza dell’attore, dalla sua disperazione e dalla sua voce incredibile. La sua presenza sulla scena getta nell’ombra tutti gli altri: solo lui sembra captare la luce. Il pubblico, in piedi, applaude calorosamente." Vysotsky diventa un idolo, un attore leggendario.
L’anno seguente l’incontro con Marina Vlady diventa un grande amore che andrà avanti fino alla fine, in mezzo a mille difficoltà di ordine pratico e logistico. Per Vysotskij è un periodo di instancabile frenesia lavorativa. Recita, scrive, compone in continuazione, giorno e notte. Nel contempo è il momento in cui in Russia si vuol dare una stretta contro gli intellettuali indisciplinati. Ci sono processi, e contro Vysotskij, in modo più o meno diretto, viene organizzata una campagna stampa contraria. Da allora in poi le autorità scelgono la strada di un sistematico boicottaggio. Gli verrà negato ogni riconoscimento; cosa che logorerà progressivamente la sua tenuta nervosa. Vysotskij diventa una specie di "uomo invisibile": non viene ammesso nell’Unione degli Scrittori, si cerca ogni espediente per annullargli i concerti e, naturalmente, niente dischi, a parte cinque 45 giri in 25 anni di attività, con le canzoni più anodine e insignificanti. Gli restano i concerti, ed era capace di farne quattro in un giorno solo, sempre a patto che qualche solerte funzionario non facesse in tempo a proibirlo. Nel contempo si susseguono delle pericolose e deliranti sbronze che ne minano fortemente la salute. E’ indisciplinato e spesso inattendibile, e questo gli crea problemi con Ljubimov. Nel 1970 inserisce in uno spettacolo la canzone "La caccia ai lupi" (Ohota na volkov), destinata a diventare uno dei suoi maggiori successi, una favola sulla libertà.
Il 1º dicembre 1970 si sposa con Marina Vlady, ma la coppia dovrà aspettare cinque anni per avere un appartamento proprio. Nel 1971, dopo aver litigato con Ljubimov e la Vlady per le sue intemperanze, si impegna a fondo per l’ "Amleto" del Taganka, e sarà uno dei suoi ruoli più memorabili. L’eterodossia era palesata già dal fatto che, nella parte di Amleto, Vysotskij imbracciava la sua chitarra. E’ un ruolo che perfezionerà fino alla fine, l’ultimo che ha recitato prima di morire. Nel 1975, grazie all’intercessione della Vlady, che nel frattempo si era iscritta al Partito Comunista Francese, ottiene un visto d’uscita e inizia un periodo di grandi viaggi. Ma proprio come Arkadij Renko, non pensa mai di fuggire. Sa bene, come dice lui stesso, di non esistere senza il suo popolo e senza il suo paese. Ma i viaggi continui e la sua sempre maggiore irregolarità lo portano lontano dalla disciplina del teatro, col quale si reincontrerà sempre in maniera travagliata. Nel 1977 recita l’Amleto in Francia, ma scompare all’improvviso e viene ritrovato all’alba completamente ubriaco. Col passare del tempo diventa sempre più ossessionato dalla mancanza di tempo, come se presagisse la fine imminente. Nel 1979 viene salvato in extremis dopo una crisi cardiaca; al bere si è aggiunta la dipendenza dalla morfina. E’ il colpo di grazia.
Il 25 luglio 1980, mentre si stanno svolgendo le Olimpiadi di Mosca, Vladimir Vysotskij muore per un arresto cardiaco. I suoi funerali diventano una spontanea manifestazione di massa, con una fila di 9 chilometri che segue il suo feretro. Da allora la tomba di Vysotsky è meta di continui pellegrinaggi.
Ma la sua biografia continua anche dopo la morte. Ripetutamente, anno dopo anno, a Jurij Ljubimov è stato proibito di organizzare delle commemorazioni fino alla fine, nel 1991, dell’Unione Sovietica.
Solo nel 1987, con la "Perestrojka" gorbacioviana, sono arrivati i primi riconoscimenti ufficiali e le sue canzoni sono state pubblicate su disco; è stato persino creato un "Museo Vysotskij", fatto singolare e forse poco adatto alla sua figura, fatto peraltro da lui già intuito nelle poesia "Il Monumento".

A Vladimir Vysotskij è stato dedicato in Italia, a cura del Premio Tenco (1993), un album collettivo intitolato "Il volo di Volodia", contenente in massima parte traduzioni di sue canzoni a cura di Sergio Secondiano Sacchi, interpretate dai maggiori cantautori italiani (tra i quali Francesco Guccini, Cristiano de André, Ligabue e Eugenio Finardi). Nell'album canta due canzoni anche Marina Vlady, una canzone in italiano e l'altra in duetto sovrapposto con Finardi (la Vlady canta il testo originale russo e Finardi la traduzione italiana).


Riccardo Venturi.

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Vladimir Vysotsky

di Gino Castaldo


1. Si potrebbe essere sopraffatti dalla cronaca‚ dalla tentazione di considerare Vladimir Vysotsky come la scoperta di un ennesimo dissidente, di un eretico cresciuto all'ombra dei divieti del regime sovietico. O peggio ancora cedere alle facili lusinghe del poeta maudit, dei predestinati al martirio poetico-musicale alla Jim Morrison. Ma non è così, o almeno non solo. Se a dodici anni dalla sua scomparsa ha senso “scoprire” questo personaggio così poco conosciuto da noi, è perché si tratta di una figura unica, che non ha equivalenti nel nostro panorama artistico.

Questo è il punto. Ed è oltretutto una chiave essenziale per capire un mondo che in gran parte ci è stato precluso. Vladimir Vysotsky era un grande, leggendario attore di teatro e in misura minore anche di cinema, ma era anche uno scrittore, uno che parlava in prima persona e non solo attraverso i personaggi che interpretava (spesso comunque aggiungendo cose di suo pugno al testo originale); scriveva di tutto, poesie, poemi, drammi, e soprattutto era un prolifico e inesauribile cantautore e per questo era amato da milioni di cittadini sovietici. Per trovare qualcosa di simile in Italia dovremmo fondere Carmelo Bene, [Francesco Guccini, Piero Ciampi e Pier Paolo Pasolini, un compito praticamente impossibile come in un certo senso impossibile‚ eppure reale‚ era Vysotsky. Una “impossibilità” che, come vedremo, ha molto a che vedere con l'unicità della situazione sovietica. Il “fenomeno” Vysotsky era di enorme rilevanza, cresciuto all'ombra della maliziosa e infida diffidenza del regime, ma reso grande dalla gente comune, e solo quella parete insormontabile che ancora una ventina di anni fa rendeva incomunicabili o quasi il mondo occidentale e il pianeta sovietico, ha potuto lasciarci nella più totale ignoranza di questa come di altre incredibili realtà culturali.


2. Per capire come i russi vedevano Vysotsky, prendiamo a prestito un romanziere occidentale. Arkady Renko è un detective russo inventato da Martin Cruz Smith, protagonista del celebre Gorkij Park. Nel seguito di questo romanzo, Stella polare, Arkady Renko, inviso all'establishment, per farsi dimenticare si trova a lavorare in una nave da pesca nel mare di Bering, al largo dell'Alaska. Ma la misteriosa morte di una lavorante a bordo della nave lo costringe suo malgrado a ridiventare detective. Renko indaga e tra le misere cose della ragazza assassinata trova una cassetta. La ascolta e sente dei versi cantati: «La caccia ai lupi! … Ai predoni grigi, vecchi e ai cuccioli. I battitori gridano, i cani corrono fino a crollare, c'è sangue sulla neve e i limiti rossi delle bandiere. Ma le nostre fauci sono forti, le nostre zampe sono veloci, e allora perché, rispondici, capobranco, perché corriamo sempre verso gli sparatori, e non cerchiamo mai di correre oltre le bandiere?». Un episodio che spiega abbastanza bene il modo in cui circolavano le canzoni di Vysotsky, definito il “poeta del magnetofono”.

Martin Cruz Smith lo definisce una specie di magnetizdat, aggiornata versione registrata dell'antico samizdat.

Tra i tanti paradossi che riguardano la sua storia, c'è quello della sua enorme popolarità in patria, ottenuta senza mai il più piccolo riconoscimento ufficiale, ma proprio per questo più solida, granitica, assolutamente indistruttibile. Tranne alcuni singoli, la Melodia, unica casa abilitata alla diffusione dei dischi in Unione Sovietica, non aveva mai voluto pubblicare le centinaia di canzoni che Vysotsky scriveva e cantava. Ma questo non fermò il processo di diffusione. Grazie all'umile e privato uso della riproduzione domestica in cassetta, limpido e folgorante esempio di uso democratico, controculturale, della tecnologia, le canzoni di Vysotsky cominciarono a girare per tutta l'Unione Sovietica a decine e decine di migliaia di copie.

Alla fine non c'era chi non le avesse mai ascoltate. Perfino i dirigenti politici che lo boicottavano ne subivano segretamente il fascino, al punto da chiedergli spesso dei concerti privati che Vysotsky puntualmente rifiutava. Era amato dagli intellettuali, dagli artisti, ma anche dal popolo, dagli operai più umili e decentrati nell'immenso territorio delle Repubbliche Sovietiche.

Lo conoscevano i minatori, i cercatori d'oro della Siberia, i cosmonauti, i marinai di qualunque rotta, e perfino le navi da pesca ai confini del mondo, come racconta Smith. Gli astronomi di Crimea hanno battezzato un planetoide Vladvysotsky. In realtà era un plebiscito, e neanche tanto silenzioso, ma comunque sotterraneo, clandestino. Dovunque andasse, nelle sue peregrinazioni da artista ambulante, veniva accolto con passione e complicità, come un eroe popolare capace di rappresentare il sentimento collettivo. Non era un dissidente nel senso a cui siamo abituati, le sue non erano canzoni politiche in senso stretto, ma nella loro rutilante, fiera umanità esprimevano forse in modo più profondo i rivolgimenti della storia e le difficoltà del popolo. E per questo nella sua vita non aveva mai smesso di pretendere, di esigere rabbiosamente che i suoi dischi fossero finalmente pubblicati. Semplicemente Vysotsky aveva il dono di saper cantare, tumultuosamente, passionalmente, coraggiosamente, quello che la gente sentiva. Eppure il potere sovietico non volle mai aiutarlo. Lo tollerava, ma negandogli sempre il permesso per qualsiasi cosa potesse apparire come un avallo ufficiale. La gente avvertiva la forza prorompente della sua parola, che attingeva dalla più alta cultura russa, ma anche dalla linfa popolare, quell'energia vibrante che trasmetteva con la sua voce magnetica, salda, incandescente di uomo che sa soffrire e impazzire per i suoi ideali. E quella forza della parola era esaltata da un assurdo divieto. In qualche modo Vysotsky riusciva ad essere allo stesso tempo organico alla cultura popolare, ma anche una sorta di avanguardia. Un suo amico ha detto una volta che se avesse voluto avrebbe potuto stimolare una piccola rivoluzione.


3. Stilisticamente Vysotsky è al centro della cultura russa. È stato forse il più grande poeta popolare russo dell'era Brezhneviana. E non è secondario che abbia usato proprio la canzone come forma privilegiata della sua espressione. Sappiamo bene come anche in occidente la musica popolare abbia riempito ed esaltato a suo modo lo spazio della poesia. Ma con delle ovvie differenze. A quello che spesso può risultare superficialmente come un impoverimento del linguaggio dei versi, fa riscontro la musica, che aggiunge significati e che crea una diversa unità linguistica. È il potere della canzone. Grazie a questo Vysotsky ha potuto comporre versi a volte semplici ma carichi di fortissime suggestioni, ha potuto usare il linguaggio più quotidiano, più comprensibile alle masse, elevandolo a livello di poesia musicale. Ma rispetto al cantautore occidentale, Vysotsky ha assolto una funzione in più, che potremmo definire da menestrello, nel senso più antico e nobile del termine. In un paese così vivo, così ricco di sentimenti e slanci culturali, ma così assurdamente imbrigliato dal potere, Vysotsky ha svolto una funzione di raccordo, di racconto, di voce popolare, dando corpo e sostanza al sentimento collettivo, e permettendo che questo sentimento circolasse liberamente nella popolazione attraverso le sue canzoni che diventavano immediatamente patrimonio di tutti. Al linguaggio burocraticamente popolare del regime opponeva l'infinita ricchezza del popolare autentico.

Scriveva seguendo una specie di tormentato lirismo, popolato di fantasmi pubblici e privati, di eroi popolari, di carcerati, di animali braccati, di prigionieri di ogni livello, ma rimanendo rigorosamente estraneo al populismo o all'eroismo enfatico del realismo socialista. Si è rivolto a enormi masse di persone che non avevano accesso all'arte.


4. Vladimir Vysotsky era nato il 25 gennaio 1938, nel centro di Mosca, figlio di un sottotenente di carriera e di una interprete di tedesco. È un periodo terribile per la storia sovietica, il momento delle grandi purghe staliniste. Nel 1946 i genitori divorziano, e l'anno seguente il padre viene trasferito in Germania dove conduce il piccolo Vladimir insieme alla sua nuova compagna, una donna armena. Nel 1949 tornano a Mosca. Gli anni scolastici scorrono tranquilli, finché nell'ultimo anno di liceo Vladimir comincia a frequentare un circolo di teatranti. Vorrebbe continuare, ma i genitori si oppongono e lui si iscrive a un corso di ingegneria.

Viene spedito in campagna. Nel 1956 viene subito bocciato al primo esame, e lì capisce che è inutile sforzarsi. Studia per entrare nell'istituto di teatro e nulla lo distoglie da questo, neanche i tragici fatti del 1956. Una volta entrato studia accanitamente l'uso della voce, anche se all'epoca viene ritenuto assolutamente inadatto al canto. Il 1960 è un anno importante. Si sposa con Iza, una compagna di corso, dalla quale divorzia l'anno seguente; incontra Aleksandr Galič, il poeta chansonnier che con Bulat Okudžava ha lanciato in Unione Sovietica la poesia popolare cantata. “Grattando” la sua chitarra a sette corde, Vysotsky comincia così a cantare canti di prigione e di malavita. E nello stesso anno debutta in ruoli minori sia al teatro che al cinema. Nel 1961 scrive la sua prima canzone, intitolata “Il tatuaggio”. Già in queste prime fasi, quasi per gioco, un suo amico registra le sue canzoni, e gradualmente Vladimir inizia il gioco della diffusione porta a porta che contraddistinguerà tutta la sua vita.

Le sue canzoni cominciano a circolare anche se il suo nome è ancora sconosciuto. Già nel 1963 a Vysotsky capita di sentire alcune sue canzoni rimanipolate e cambiate nelle strade di Mosca. In quello stesso anno si sposa la seconda volta con Ljudmila Abramova, conosciuta sul set di un film a Leningrado, ma soprattutto inizia quella specie di fuoco sacro che lo porta a produrre e scrivere instancabilmente.

Nel 1964 un provino per Ljubimov, direttore del prestigioso teatro Taganka. Curiosamente Ljubimov non è convinto delle sue doti di attore, ma lo prende con sé perché affascinato dalle sue canzoni che cominciavano a essere già note. Ma già nel 1965 è a pieno titolo uno degli attori principali del Taganka, dove svolgerà ruoli memorabili: Kerenskij, nei Dieci giorni che sconvolsero il mondo, e poi soprattutto Galileo di Brecht. Esce il suo primo disco, colonna sonora del film Verticale. Nel 1967 interpreta il ruolo di Majakovskij in una pièce intitolata Ascoltate Majakovskij, e poi il Pugačëv di Esenin. È il suo trionfo come attore. Marina Vlady descrive così la scoperta di quest'attore: «Sul palcoscenico si dibatte e urla un uomo a torso nudo, con le braccia e il petto stretti dalle catene. L'impressione è terrificante. Sul piano inclinato del palco altri quattro uomini tendono le catene che hanno la duplice funzione di rete e di lacci. … Come tutti gli spettatori, anch'io sono scossa dalla forza dell'attore, dalla sua disperazione e dalla sua voce incredibile. La sua presenza sulla scena getta nell'ombra tutti gli altri: solo lui sembra captare la luce. Il pubblico, in piedi, applaude calorosamente». Diventa un idolo, un attore leggendario. L'anno seguente, l'incontro con Marina Vlady diventa un grande amore che andrà avanti fino alla fine, in mezzo a mille difficoltà di ordine pratico e logistico. Per Vysotsky è un periodo di instancabile frenesia lavorativa. Recita, scrive, compone in continuazione, giorno e notte. Nel contempo è il momento in cui in Russia si vuole dare una stretta contro gli intellettuali indisciplinati. Ci sono processi ai dissidenti. Contro Vysotsky, in modo più o meno diretto, viene organizzata una campagna stampa contraria. Da allora in poi le autorità scelgono la strada di un sistematico boicottaggio. Gli verrà negato ogni riconoscimento; cosa che logorerà progressivamente la sua tenuta nervosa. Vysotsky diventa una specie di “uomo invisibile”. Non viene ammesso all'Unione degli scrittori, si cerca ogni espediente per annullare concerti, e naturalmente niente dischi, a parte cinque singoli (45 giri) in 25 anni di attività, con le canzoni più anodine e insignificanti. Gli restavano i concerti, ed era capace di farne quattro in un giorno solo, sempre a patto che qualche solerte funzionario non facesse in tempo a proibirlo. Nel contempo si susseguono delle pericolose e deliranti sbronze che ne minano fortemente la salute. È indisciplinato e spesso inattendibile e questo gli crea problemi con Ljubimov. Nel 1970 inserisce in uno spettacolo la canzone “La caccia ai lupi”, destinata a diventare uno dei suoi maggiori successi, una favola sulla libertà.

Il 1º dicembre del 1970 si sposa con Marina Vlady, ma i due sposini dovranno aspettare cinque anni per avere un appartamento tutto loro. Nel 1971, dopo aver litigato con Ljubimov e la Vlady per le sue intemperanze, si impegna a fondo per l'Amleto del Taganka, e sarà uno dei suoi ruoli più memorabili. L'eterodossia era palesata già dal fatto che, nella parte di Amleto, Vysotsky imbracciava la sua chitarra. È un ruolo che perfezionerà fino alla fine, l'ultimo che ha recitato prima di morire. Nel 1975 grazie all'intercessione della Vlady, che nel frattempo si era iscritta al Partito Comunista Francese, ottiene un visto d'uscita, e inizia un periodo di grandi viaggi. Ma proprio come Arkady Renko, non pensa mai di fuggire. Sa bene, come dice lui stesso, di non esistere senza il suo popolo, senza il suo paese. Ma i viaggi continui e la sua sempre maggiore irregolarità lo portano lontano dalla disciplina del teatro col quale si rincontrerà sempre in maniera travagliata. Nel 1977 recita l'Amleto in Francia, ma scompare all'improvviso e viene ritrovato all'alba completamente ubriaco. Col passare del tempo diventa sempre più ossessionato dalla mancanza di tempo, come se presagisse la fine imminente. Nel 1979 viene salvato in extremis dopo una crisi cardiaca. Vive in modo estremo e pericoloso. Al bere si è aggiunta la dipendenza dalla morfina. È il colpo di grazia. E il 25 luglio 1980 Vladimir Vysotsky muore per arresto cardiaco. I suoi funerali furono una spontanea manifestazione di massa, con una fila di nove chilometri. Da allora la tomba di Vysotsky è meta di continui pellegrinaggi. Ci sono sempre fiori freschi. Ma la biografia continua anche dopo la morte. Ripetutamente, anno dopo anno, a Jurij Ljubimov è stato proibito di organizzare al Taganka delle commemorazioni.

Solo nel 1987 sono arrivati i riconoscimenti. Le sue canzoni sono state pubblicate su disco. È stato perfino creato un museo Vysotsky, fatto singolare e forse poco adatto alla sua figura, fatto peraltro da lui intuito nella poesia “Il monumento”.