Giorgio Gaber

Antiwar songs by Giorgio Gaber
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Giorgio Gaber
La storia di Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, comincia il 25 gennaio 1939 in via Londonio 28, a Milano.
Inizia a comporre, quando è ancora studente.
Chitarrista, autore e interprete della prima canzone rock in italiano (1958). L'esordio discografico avviene con "Ciao ti dirò", scritta con Luigi Tenco e incisa dalla casa Ricordi; legata a questa canzone è la prima apparizione televisiva di Gaber al programma "Il Musichiere" di Mario Riva, nel 1959.
In un noto locale milanese, il Santa Tecla, quasi una "cave" parigina, nel 1959 conosce Sandro Luporini che sarà il coautore di tutta la sua produzione discografica e teatrale più significativa.

Negli anni '60 la stesura di alcuni testi di maggior successo di Gaber è a cura dello scrittore Umberto Simonetta: sono ballate ispirate al repertorio popolare milanese ("Porta Romana"; "Trani a gogò"; "La ballata del Cerutti"; "Le nostre serate", che piacque molto a Eugenio Montale, come ricorda lo stesso Simonetta nel libro "Il signor Gaber" di Michele L. Straniero del 1979; "Il Riccardo"; "Una fetta di limone", cantata insieme a Jannacci nella versione duo "I corsari").
Quando Gaber inizia a cantare, Milano è in una fase di originale crescita culturale: ci sono Dario Fo, Paolo Grassi, Giorgio Strehler, Franco Parenti. Nasce proprio in questi anni la definizione di 'cantautore', nell'ottica della rivalutazione del testo della canzone, in antagonismo con la musica leggera della tradizione italiana melodica e sull'onda delle risonanze della canzone francese.

Dopo gli inizi brucianti, Gaber amplia i suoi interessi artistici; diventa molto popolare: partecipa a quattro edizioni di Sanremo (1961 "Benzina e cerini"; 1964 "Così felice"; 1966 "Mai, mai, mai Valentina"; 1967 "... e allora dai!"); nell'estate 1966 ottiene il secondo posto al Festival di Napoli con "'A Pizza". Il pubblico televisivo lo scopre e lo apprezza in rubriche musicali e spettacoli di cui è ideatore-cantante-conduttore, come Canzoni di mezza sera (1962); Teatrino all'italiana (1963); Canzoniere minimo (1963), una delle prime trasmissioni dedicate alla musica popolare e d'autore; Milano cantata (1964); Questo e quello (1964); Le nostre serate (1965); Diamoci del tu (1967); Giochiamo agli anni trenta (1968); E noi qui (1970), varietà del sabato sera sulla prima rete, dove propone alcuni pezzi scritti con Sandro Luporini che troveranno poi un ambito più congeniale nel teatro, con "Il signor G.".
Nella vita personale di questi anni: nel 1965 si sposa con Ombretta Colli; nel 1966 nasce la figlia, Dalia. Nel '68 Gaber è un cantante affermato. Fa centinaia di serate ogni anno, molta televisione, rilascia interviste.
Nel biennio 1969-70 è protagonista di una tournée teatrale con Mina.
Ha inizio la svolta artistica: l'impegno teatrale, la rinuncia cosciente, oltre che alla televisione anche all'attività discografica, e la scelta del teatro, appunto, come luogo di espressione diretta senza condizionamenti e filtri tra l'artista e il suo pubblico. Da questo momento, il percorso artistico di Gaber è lineare e conseguente: fare della canzone non più un fine, ma un mezzo da adattare alla forma di comunicazione teatrale.
L'originale percorso artistico della "canzone a teatro" prende il via dallo spettacolo "Il signor G." che debutta il 22 ottobre 1970 al Teatro San Rocco di Seregno, nell'ambito del decentramento regionale del Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Giuseppe Recchia e la direzione musicale di Giorgio Casellato (amico di Gaber fin dai tempi delle prime esibizioni nei dancing di Milano e dintorni e arrangiatore musicale di tutti i suoi primi spettacoli teatrali). Il successo del Signor G è qualitativo ma non quantitativo. Evidentemente il pubblico del Gaber televisivo non è lo stesso che frequenta i teatri, ma alla fine delle rappresentazioni gli applausi sono calorosi e il pubblico presente si passa la voce. Il successo comincia ad assumere dimensioni tangibili fino a che, con il Dialogo tra un impegnato e un non so ('72-'73), inizia la lunga stagione del "tutto esaurito", che durerà, senza eccezioni, fino all'ultimo spettacolo. (Con "Il signor G.", ebbe 18.000 spettatori; con "Dialogo tra un impegnato e un non so" toccò le 166 recite con 130.000 presenze; "Far finta di essere sani" in 182 recite raggiunse i 186.000 spettatori).
Da ora in avanti, ogni spettacolo di Gaber rappresenta una tappa del suo processo evolutivo individuale di presa di coscienza e di approfondimento della realtà, personale e sociale. Un processo di progressivo approfondimento del mezzo e delle possibilità espressive che vengono strutturalmente supportate da percorsi di scrittura sempre più articolati e complessi: macro-canzoni e interventi recitativi, dove anche il momento della composizione musicale si adatta, con uno stile eclettico difficilmente catalogabile, ai diversi registri interpretativi richiesti dall'attore-cantante: dall'ironico al tragico, dal sentimentale all'elegìaco, dall'introspezione all'invettiva.
Si delinea una strada, un genere di rappresentazione composito, l'inizio di un progetto e di un lungo discorso: un "teatro d'intervento" sull'oggi, dove ogni spettacolo contiene temi diversi e in qualche modo ricorrenti per tutto il ciclo teatrale; la scelta del linguaggio autonomo della canzone a teatro.
Il "Teatro Canzone" è il genere più rappresentativo e assolutamente originale nel percorso artistico di Giorgio Gaber: la canzone – così intesa – è in realtà l'unione tra un testo un testo che ha in sé un suo racconto preciso e una musica che ne amplifica il fatto emotivo. Il teatro è un ulteriore mezzo per aumentare la resa emotiva del concetto: il testo, la musica, le luci, il palcoscenico, tutto è in qualche modo in funzione di un allargamento emotivo.
Negli spettacoli dei primi anni '70, i monologhi erano ancora solamente dei raccordi recitati tra le canzoni. La crescita e l'affinamento del mezzo espressivo modifica la scrittura dei pezzi in prosa, che assumono nel tempo una dignità autonoma parallela alle canzoni, dando vita ad una forma di recital che, attraverso il corpo scenico di Gaber, dà ancora maggiori possibilità espressive della commedia o del grande monologo.
Mediante questa formula di spettacolo, di cui, come si diceva, Gaber ha la paternità, i monologhi e le canzoni, sono come tanti spunti collegati emotivamente tra loro che affrontano le tematiche più rilevanti, i problemi sociali più 'urgenti' di un certo periodo: Gaber analizza di volta in volta le istanze più sensibili, propone degli interrogativi, smaschera le contraddizioni, denuncia i disagi dell'individuo facendosene carico e raccontando (da diverse angolazioni e spesso attraverso la chiave dell'ironia) quello che accade, dentro e fuori di noi, nel sociale e nel politico.

Nel novembre del 1980 Gaber pubblica con una piccola etichetta indipendente e dopo lunghe vicissitudini, "Io se fossi Dio", un 'singolo' di 14 minuti. La canzone, scritta in seguito all'uccisione di Aldo Moro e pubblicata più tardi per ragioni di censura, è concepita come un violento esplicito pamphlet contro il grigiore della scena italiana di quegli anni e va considerata come il momento culminante di un'intera fase del lavoro di Gaber e Luporini. La canzone viene inserita in "Anni affollati" nella stagione teatrale successiva (1981-82), spettacolo che chiude una prima parabola di intervento sul sociale del "Teatro Canzone". Parole come "morale" e "fede", intesa come tensione, movimento, spinta verso nuove possibilità evolutive, risuonano gravi nell'aspirazione alla verità e nella ricerca di riscatto della dignità dell'uomo.
Infatti, con gli spettacoli degli ultimi anni '80, Gaber e Luporini cambiano registro, spostano il piano dell'analisi dei malesseri collettivi a quello più intimo dei sentimenti. È un "Teatro d'evocazione" dove l'attore, solo in scena, fa rivivere attraverso il monologo personaggi e situazioni che sono nella sua memoria.
Attraverso il personaggio solista che riflette e comunica i propri pensieri, il dialogo è sintetizzato all'essenziale, si ricostruisce un percorso più letterario. Non è il monologo del teatro classico: è l'io interiore che parla.
"Parlami d'amore Mariù" (1986-88) è un racconto a struttura aperta con brevi atti unici in forma monologica e canzoni che costituiscono un'ampia indagine sulla tematica dello spettacolo; "Il Grigio" (1988-91), un vero e proprio racconto in prosa (con il quale, nel 1989, vince il premio teatrale Curcio).

Nel 1989-90, una parentesi: "Apettando Godot" con Enzo Jannacci, dopo trent'anni dal duo "I corsari" (rivisitati un po' per gioco nel 1983 come "Ja-Ga Brothers").

Nel 1991, lo spettacolo antologico "Il Teatro Canzone", presentato al Festival estivo "La Versiliana" (che verrà poi tradotto e pubblicato in quattro home video, "Storie del signor G".), ripropone parte del repertorio precedente, col desiderio esplicito di verificare a distanza di anni l'attualità dei temi via via svolti, in considerazione anche del fatto che molte composizioni erano state eseguite in spettacolo una sola volta e quindi con una possibilità di espansione chiaramente limitata. Il recital offre una magnifica attualità, scandisce l'ineluttabilità delle passate e odierne incertezze, forse perché la cifra fondamentale delle canzoni e dei monologhi di Gaber-Luporini è in definitiva sempre stata di tipo esistenziale, ovvero non ha mai creduto ad una netta distinzione tra l'uomo e le sue vicende socio-politiche.
Un Gaber perfetto che dimostra di avere ragione: l'ironia, la possibilità di "saltare il piano" e indagare sulla realtà da diverse angolature, è la chiave necessaria per mettere a nudo le contraddizioni e i disagi dell'uomo e insieme un tentativo di esorcizzarli. Un umorismo da situazione, o un genere di intervento dove si mette in gioco se stessi in modo tutt'altro che gratuito. Il lavoro di Gaber e Luporini, sia per il linguaggio sia per i contenuti, non solo mantiene un valore inalterato nel tempo ma anticipa concetti e idee destinate ad entrare nel patrimonio collettivo.

C'è anche un nuovo brano denso di rigore e tensione morale che, da solo, si fa manifesto del sentire taciuto da molti, "Qualcuno era comunista". La sensazione che ne scaturisce è che ora l'individuo subisca, senza avere più una possibilità di riscatto. "Qualcuno era comunista" non è una "canzone politica", ma un brano su un movimento politico, sulle motivazioni individuali di fondo del comunismo, che risiedevano – nell'idea di Gaber-Luporini – nella voglia del cambiamento, del miglioramento, nello slancio verso l'utopia.

Nel 1993 mette in scena "Il Dio bambino", una sorta di "romanzo teatrale" dove il monologo interiore sostituisce il dialogo e l'azione della prosa classica. Nel 1994 pubblica il libro "Gaber in prosa - Il teatro d'evocazione di Giorgio Gaber e Sandro Luporini" che raccoglie i testi di "Parlami d'amore Mariù" (compresi alcuni brani non rappresentati a teatro), "Il Grigio" e "Il Dio bambino".
Dalla stagione 1995-96 riprende il Teatro Canzone. I testi degli spettacoli, dal 1996 al 2000, vertono via via sempre più sull'indagine e l'approfondimento del discorso sull'individuo: lo smascheramento delle contraddizioni che vive con se stesso e in rapporto alla società che lo induce a gesti omologati o comunque non antagonistici, oltre le apparenze, alla logica della produzione e del mercato. Solamente un'onesta presa di coscienza della realtà può far intravedere la possibilità di un cambiamento. Nel continuo tentativo di ritrovare un'autenticità all'interno delle sue istanze, l'uomo Gaber "somatizza" le idee e allontana le ideologie, tendendo ad una visione filosofica "antropocentrica" e anche provocatoriamente umanistica, del mondo.
"Un'idiozia conquistata a fatica", lo spettacolo ripreso in questi anni in diverse stagioni ha un riferimento preciso e molti legami con "Libertà obbligatoria". Con esso non condivide solo certi temi (come per esempio la "teoria del mercato" di Pasolini) ma sembra portare a termine il percorso iniziato nel 1976. Se "Libertà obbligatoria" era una risposta amara alle domande del signor G, "Un'idiozia conquistata a fatica" porta alle estreme conseguenze il discorso iniziato più di vent'anni prima.

"La mia generazione ha perso", nel 2001 segna l'eccezionale ritorno al disco di un artista che negli ultimi trent'anni si è dedicato esclusivamente all'attività teatrale (disco che arriva in testa alle classifiche discografiche) e, come un richiamo alle origini, la partecipazione allo show televisivo di Adriano Celentano (insieme a Dario Fo, Enzo Jannacci e Antonio Albanese) che rimane l'ultima apparizione di Giorgio Gaber sul piccolo schermo. Gaber si produce, nel frattempo, in una anomala tournée (per quanto non priva di precedenti): tiene conferenze nelle università e nei teatri: canta e parla del suo nuovo lavoro e, retrospettivamente, del suo percorso artistico. "La razza in estinzione" – canzone contenuta nel nuovo album –, come sottolinea Michele Serra in una recensione al disco, "è, certamente, anche l'appassionato epitaffio di una generazione, quella sessantottina, della quale Gaber è stato lungamente compagno di strada. Tra i primi a dirne i vizi e le magagne modaiole, oggi Gaber è orgogliosamente in anticipo anche nel rivalutare il coraggio di quegli anni, e nel rivendicare quanto meno il valore della scommessa perduta (...)".

Nel 2002 esce il volume "La libertà non è star sopra un albero" insieme a una video cassetta, per l'editrice Einaudi. Il libro è insieme canzoniere e scelta ragionata dei monologhi teatrali, testi selezionati da parte dello stesso Gaber nel suo vastissimo repertorio artistico di oltre 40 anni.

1° gennaio 2003: "ultima ricorrenza"... il signor G. muore, nella sua casa di Montemagno in Versilia. Gaber non stava bene da tempo: la stagione teatrale "Gaber 1999-2000" era stata sospesa più volte; ultima replica dello spettacolo il 15 febbraio a San Marino.
Il percorso di vita di Gaber-uomo termina prematuramente, lasciando, ben oltre l'immediato shock emotivo, un enorme senso di vuoto e di sgomento. Resta la sua avventura esemplare, unica nel suo genere, di uomo 'tutto intero' nel mondo della cultura, del teatro e dello spettacolo.

24 giorni dopo... il 24 gennaio esce l'ultimo lavoro: un album dal titolo "Io non mi sento italiano", per il quale Gaber si era impiegato con grande determinazione nella seconda parte dell'anno precedente.