Un giornalista che si fermava a chiacchierare nei caffé, tra la gente, versatile nei rapporti umani e immerso completamente, anima e cuore, nella sua Rovigo. una città che aveva fatto sua da quando vi era giunto con la famiglia spostatasi in Polesine da chiappano (Vicenza) in seguito a varie traversie, mentre ancora rombavano i cannoni della prima guerra mondiale. Questo era Gigi Fossati, nato a Lonigo il 3 febbraio 1900 e vissuto nel capoluogo polesano fino alla morte giunta il 12 luglio 1986. Fossati era autodidatta, ma la sua passione era scrivere. era arguto, spiritoso, erano davvero splendidi i suoi racconti e gli articoli che dipingono ancor oggi la vecchia Rovigo, il volto della città oggi ormai scomparso.
Al caffé Lodi sotto i portici di palazzo Roncale, negli anni venti, si scrivevano poesie ai tavolini di marmo. “all’anagrafe fossati era il più vecchio dei cronisti veneti, ma nella vitalità ancora il più giovane - racconta Gianantonio Cibotto -. la sua carica sanguigna e l’essere scettico lo proteggeva da scossoni fatali. prima fattorino, poi impiegato comunale; all’ufficio del mercato annonario di giorno e poi, di notte, a scrivere per Carlino e per il Gazzettino, Fossati non trascurava le partite nottambule a scopone, al Caffé Nazionale. nelle sue poesie emerge, garbo, finezza, ironica malinconia”.
Nemo Cuoghi ricorda il cassetto personale del giornalista, in redazione: dentro, un asciugamano, una saponetta e acqua di colonia perché “il sudore non è una buona compagnia”, diceva ai colleghi.
Concorda con Cuoghi, Lucio Rizzi rievocando le strane trovate pubblicitarie di Fossati, per rilanciare esercizi commerciali in crisi o particolari prodotti poco venduti: “a chi acquista una lapide da adulto ne regaliamo una da bambino” aveva scritto per Beppe Valente, quando in città sembrava non morire più nessuno; mentre, per un prodotto farmaceutico, fossati aveva osato: “piace, purga e non disturba”.
Sembra ancora di vederlo, passeggiando per le vie del centro, seduto a un tavolino all’aperto, sul tavolo la tazzina di caffé e le mani che stringono il taccuino, la penna, gli occhi fissi sul foglio che si riempiva lentamente di parole; o davanti alla propria macchina da scrivere con i tasti rumorosi e l’odore di inchiostro. e’ difficile non immaginarlo ancora tra noi, quando la nebbia confonde i contorni della città, donandole un aspetto misterioso, una dimensione più umana, che ha il sapore di tempi lontani.

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