Recensione di Giorgio Maimone (Leon Ravasi)
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Non ho dubbi: è un grande disco. Uno dei migliori sentiti quest'anno. Disco intenso, d'atmosfera e di passione. Disco ottimamente scritto e ancora meglio eseguito. E se vi sembra che Stefano Saletti e la Piccola Banda Ikona escano un po' dal nulla, forse andando a leggere i nomi di chi vi fa parte e risalendo un po' per la loro storia si avranno una serie di sorprese. Stefano Saletti, il band leader, è stato per anni spina dorsale dei Novalia (sedici, per l'esattezza), condivendo la "militanza" e ben 10 dischi con quel Raffaello Simeoni che quest'anno ci ha deliziato con "Controentu". Ebbene sì: gli ex Novalia, separatamente, ci hanno dato due dei dischi più belli dell'anno!
Ma con i nomi conosciuti non ci fermiamo qui: Giovanni Lo Cascio (percussioni in genere, per farla breve) è originario sempre dai Novalia, Mario Rivera, che contribuisce alla produzione e all'arrangiamento, oltre a suonare il basso nel disco, fa parte dagli Agricantus, H.E.R., la misteriosa violinista è in realtà (o era?) Ermanno Castriota, già violinista dei Nidi d'Arac, Carlo Cossu viene dagli Acustimantico, Teresa De Sio e Nando Citarella. Le due voci femminili sono Ramya (che viene dai Nuklearte, gruppo che seguiva derive simili) ed Elivra Impagnatiello che non viene da nessuna parte (tranne Novalia, Agricantus e Boom Boom Language!), ma che ha una purezza di voce e una presenza scenica tali da stendere. Per finire: Leo Cesari viene dai Klezroym e tra gli ospiti troviamo Umberto Sangiovanni (quello dell'altrettanto bello "Controra"), Gabriel Zagni (cantautore del giro Lucio Dalla) e Alessandro Mancuso dei Beati Paoli. ,
Ma tutto questo sono solo i credits. E qui c'è invece di parlare di un disco che è pura emozione. Il tema di fondo lo si enuncia in due parole, neanche mie. Prendo quelle di Saletti stesso: "In questo Cd ho cercato un linguaggio musicale e lirico "che unisse tanti popoli diversi che si affacciano sullo stesso mare", per citare Predrag Matvejevic lo scrittore croato che con le sue parole ha ispirato molte parti del lavoro. Ci sono il bouzouki greco, l'oud arabo, la darbouka, insieme a strumenti della tradizione occidentale. C'è il siciliano, l'ebraico, il serbo-croato, l'arabo, il francese, il lingala portato in Europa dai tanti immigrati dell'Africa profonda e c'è il greco antico che avevamo usato con Renato Giordano nella colonna sonora delle "Vespe" di Aristofane. Ma soprattutto c'è la voglia di ricostruire il ponte del dialogo e della comprensione tra Occidente e Oriente".
E Stari Most, il ponte di Mostar a schiena d'asino, crocevia e punto di incontro tra Oriente e Occidente, distrutto durante l'ultima guerra dei Balcani, proprio questo stava a testimoniare. L'album suona compatto e duttile, come un macigno di pietra friabile, dove ogni canzone è un grano di riso, un chicco di sabbia, una sorpresa musicale, un merletto vocale. Non c'è una sola nota fuori posto e non ci sarebbe spazio nemmeno per una nota in più, ma non perché il disco sia lungo, anzi, spiace quando finisce e non si può fare a meno di rimetterlo da capo. Perché è un lavoro denso. Come miele da prendere con cautela e da far colare per accostarlo al gusto dei formaggi o all'acido dello yogurt, perché si sa che troverà la sua armonia. E' una musica dai colori di miele e dal gusto di miele, anche se parla di argomenti, accenna ad argomenti che fanno parte dell'epica dell'uomo e che trovano la propria origine in brani di Aristofane ("Le vespe", segnatamente), in frammenti di Archiloco o nei versi di Predrag Matvejevic o Izet Sarajlic o Saffo.
Poteva essere la solita opera di musica di fusione o di confine o di intrecci, sviluppatesi sulla scia ormai lontana lasciata da Mauro Pagani e Fabrizio De André con "Creuza de ma", ma invece diventa un'opera che trova una sua necessità, utilizzando decine di strumenti etnici, ma anche una solida base d'appoggio drum 'n bass, Musica acustica che non rifiuta l'elettronica, musica ibrida, ma scorrevole e fluida come latte che si mescola col miele di sopra, per formare un tutt'uno di meravigliosa nostalgia e di straordinaria lontananza nella pregnanza dei temi trattati. Che sono guerre, nostalgie, solitudini, mari, soldati e affetti perduti. Per ora o per sempre.
"Stari Most" è opera unitaria, da suonare tutta in fila, senza salti e senza ritorni a capo. Tanto non c'è una sola canzone da saltare: né gli 1'58" di "Atelà", né i 5'57" di "Amuri". Tuttavia "Na potò makambo ebele" (E' duro vivere in Europa, lamento africano) e "Thalatta" si staccano verso l'alto. Ma sono sensazioni destinate a mutare. Perché infatti non preferire "Stari most" o ?"Amuri" Questione di sfumature in un disco che stacca le mitiche cinque stelle dal primo ascolto e che non smette di piacere nemmeno dopo due settimane di continuati ascolti pluriquotidiani. Ho almeno 30 ore di Stari Most nelle orecchie e non desidero smettere. Con Capone & Bung Bangt e Massimo Larocca questo è il terzo disco che mi rende memorabile la stagione. E non è poco!
Stefano Saletti e Piccola Banda Ikona
"Stari Most"
CNI - 2005
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