La Barunissa di Carini
Gigi ProiettiOriginal | |
LA BARUNISSA DI CARINI Chianci Palermu, chianci Siracusa, a Carini c'è lu luttu d'ogni casa. Attorno a lu Casteddu de Carini, ci passa e spassa u beddu cavaleri, lu Vernagallu di sangu gintili ca di la giuvintù l'onuri teni. "Amuri chi mi teni a tu' cumanni, unni mi porti, duci amuri, unni?" Vidu viniri 'na cavallaria. Chistu è me patri chi veni pi mmia, tuttu vistutu alla cavallarizza. Chistu è me patri chi mi veni a mmazzà. Signuri patri, chi vinisti a fari? Signora figghia, vi vegnu a mmazzari! Lu primu corpu la donna carìu, l'appressu corpu la donna murìu. Nu corpu a lu cori, nu corpu 'ntra li rini, povera Barunissa di Carini! | LA BARUNISSA DI CARINI Da : “LA BARONESSA DI CARINI” di Aurelio Rigoli Editore FLACCOVIO A - Base : 392 – ‘La barunissa di Carini’ - versi 1-250 Maria Agnese Attardi, Palermo, 1908 raccolta da Salomone Marino “Questa vecchiarella, che vive tranquilli giorni in casa della nuora, la ricamatrice Concetta di Cristina, seguì da piccola il patrigno Vito La Fauci, cantastorie di professione peregrinante di continuo da paese a paese della Sicilia. Il La Fauci, cieco di un’occhio e claudicante, godeva molta popolarità per la sua sonora e chiara voce e per il ricchissimo repertorio, che teneva in mente, di canzoni e di storie, di queste specialmente. Cantava Orlannu, Conti Ruggeri, La presa di la gran Surdana, La rigina di li Fati, La Pesti di Palermu, Lu casu di Sciacca ed altre molte storie, che la Attardi ricorda appena frammentariamente o solo pel contenuto. Quella della Barunissa, che era delle più ricercate, ma che ordinariamente mai si cantava in pubblico, bensì in private riunioni e a pagamento prestabilito, la Attardi imparò e ha poi sempre ritenuto con vera passione. Ella ritiene che esatta e intera nessuno la sapesse, altro che il suo patrigno, ma conviene che altri pur la cantavano, con precauzione, perhè era proibita dal re. La Attardi ammette, senza esitazione, che la baronessa si persi e che al castello faceva vita galanti, pigliandosi tutti I possibili spassi e piaciri, ammette che il Vernagallo stava con essa al castello quella fatale mattina, ma che si salvò saltando da una finestra. Però non pensò e non seppe che il padre ammazzasse la figlia, e perchè ne era pazzamente innamorato, tentò di tornare a lei di notte, non osando avventurardi di giornp per paura del padre che certamente lo avrebbe ammazzato. Quando seppe la crudele fine della sua innamorata, scappò dal regno vestito da monaco, e da monaco morì pentito e penitente in un bosco lontano dall’umano consorzio. Quanto al parricida, egli andò vagando come pazzo e scansato da tutti per molti anni, e morì disperato in un burrone, ove i lupi e i corvi si lu quartiaru” ---------------- B : Interpolazione da : 72 – ‘La principissa di Carini’ - versi 43-52 Vincenzo Troja, Torretta, 1868 raccolta da Salomone Marino ---------------- C : Interpolazione da : 145 – ‘La barunissa di Carini’ – versi 121-124 Marianna Lo Vasco, Valguarnera di Ràgali, 1893 raccolta da Salomone Marino “Come commento alla storia la massaia Lo Vasco dice che la baronessa passava la vita dando comtinuamente feste e balli nel castello, ove accorrevano tutti i cavalieri di Palermo. Usava grazia e gentilezza a tutti, e fu così che si pirsi col giovane cavaliere Vernagallo. Della tresca si accorse un monaco carmelitano, che era amico della casa e beneficiato dalla baronessa e questi, da vero Giuda, corse a rivelare ogni cosa al padre in Palermo, una notte che era certo che il Vernagallo dormiva al castello. Il padre corse subito e la catastrofe avvenne. Ma anche il padre cani la pagò cara la sua feroce crudeltà; che la giustizia di Dio non manca mai e scende fatale!” ---------------- D : Interpolazione da : 300 – ‘La barunissa di Carini ‘ - v. 103-120 Giovanni Di Paola, Vergine Maria, 1893 raccolta da Salomone Marino “Il pescatore Di Paola. Facendosi forte del testo che egli sa e della tradizione che da diversi gli è pervenuta, sostiene che la baronessa faceva del bene, si, ai Carinesi, ma lo faceva perchè chiudessero gli occhi su la vita sfrenata a cui si abbandonava col giovane cavaliere Vernagallo; e in questo modo il padre di essa, che abitava a Palermo, ignorò per molti anni la tresca della figlia. Quandoi poi la conobbe mercè il tradimento del monaco (che era familiare e forse confessore della baronessa), non indugiò un momento e corse ad ammazzare la colpevole, che sorprese appunto con l’amante. La figlia l’ammazzò egli stesso; l’amante fece scannare da un suo bravaccio che aveva in compagnia, con una pugnalata alle reni: ciò in segno di dispregio, considerando come vile e indegno chi abusa della famigliarità e parentela per tradire l’onore di una famiglia. Il Vernagallo era infatti un congiunto della baronessa ed aveva perciò libero accesso al castello. Aggiunge il Di Paola di aver sentito anche che la baronessa, dal clandestino amore col Vernagallo, aveva avuto tre figli, che teneva seco al castello, sicuro che il barone padre non poteva lasciare Palermo ove occupava alte cariche di stato. Questi tre bambini, dopo uccisa la figlia, il barone ordinò che fossero portati e lasciati nel bosco vicino, per esservi divorati dai lupi, ma li salvò una povera vedova che, passando per caso, li sentì piangere e n’ebbe pietò, ma nascose a tutti questo suo nobile atto, per paura del barone. Dopo molri anni però questi, già pentito del sacrilego delitto, ebbe notizia della cosa, ritirò presso di se al castello queui disgraziati, già diventati aitanti giovanotti, e preniò degnamente la filantropia della buona donna. ” ---------------- E : Interpolazione da : 326 – “La barunissa di Carini” - versi 17-24 Giacinta Marino, Porticello di Solanto, 1877 e 1901 raccolta da Salomone Marino 1877 : “Questa vecchia massaia imparò da giovanetta la storia di nascosto dalla madre, la quale ripetevale che cadeva in peccato e nella scomunica chi osasse cantarla, massime in quella parte ove si prega il diavolo e si fa patto con esso; parte che la Marino dice di avere scordata o (com’io dubito), si fa scrupolo a ripetermi essendo essa religiosissima. A chiarimento e chiosa di alcuni versi, dice: - Che li frunni in mezzo a cui stava lu ciuriddu indicano I figlioletti che la baronessa aveva, perchè ella era maritata e no schetta; - che al castello la fatale mattina, al giungere del padre essa trovavasi cu lo so amuri col quale s’era spassata la notte; - che esso innamorato tentò di fuggire, ma il barone lo fece scannare da uno scherano suo con una pugnalata a li rini; - che il monaco, che fece da Giuda alla baronessa, era familiare a questa e n’aveva ricevuto assai benefici, e perciò e detto ingratu; - che all’apparenza parea un sant’uomo perché leggeva sempre un libro di devozioni; - che indine l’imprecazione ultima della dannata baronessa è rivolta al padre proprio, come quello che spense lei e l’amante e la precipitò nell’infernale martirio per non averle consentito che si confessasse e salvare l’anima almeno. Del padre 8dice testualemtne la Marino), contano anche che dopo il sacrilego delitto uscì pazzo; ma che dopo lunghi anni di aspra penitenza, Dio misericordioso lo perdonò!. 1906 : “La vecchierella Marino conviene che al principio e alla fine della ‘storia’ mancano più d’una ‘canzuna’, che ella più non ricorda. Quella della fine, che narravano I rimorsi e le paure del barone parrcida, erano veramente ‘tirrurusi’. Come commento al verso: ‘Senza la cruci, a lu scuru, a la notti’ dice testualmente: - Il padre, scannata la figlia, ordinò (pena la vita) che il cadavere fosse lasciato su la via, pasto ai cani. Ma il sagrestano, anima pietosa, trasporò nella notte e calò nella fossa comune (zùbbiu) della parrocchia quel misero corpo, che così non ebbe il solito accompagnamento di un prete con la croce e un lume, che hanno sempre fino i più poveri morti. E il buon sagrestano fece ancora di più: accese per tre giorni una lampada sopra la fossa; peò a chiesa chiusa, di nascosto a tutti, e dopo che il barone, chiuso e incgiodato il castelklo, , partì la notte stessa per Palermo. La baronessa (secondo sa la Marino per la tradizione) era giovane e bellissima, ma non nubile; era madre di figli e forse vedova, giacchè di marito non si parla ed è il padre che corre a rompere la turpe tresca e ad ammazzarla. Si dice anche che era incinta, quando fu uccisa. A ogni modo il padre la sorprese dopo una notte di orgia con l’amante Vernagallo, che al momento tragico era pur esso al castello; e qui esso pure trovò morte, o scannato, o per fame lasciato chiuso in qualche sotterraneo, perchè nessuno mai più lo vide o ne seppe niente. La storia della baronessa era accetta e ricercatissima nel passato, ma era proibito cantarla in pubblico. Si cantava nella case private; ma anche qui, a seconda della qualità degli ascoltatori, si andava cauti per recitare I versi di invocazione al diavolo, essendo questi considerati come ereticali”. 392 Vogghiu cantari cu vuci gintili, gintili cci cantu a gintili signuri: ‘un si trova un cantaturi cchiù fidili fidili comi mia sutta lu suli. I. 5 Chianci Palermi, chianci Siragusa, chianci Carini chist’amaru casu, ca fu ‘na petra di l’ariu dulurusa ca fu ‘na dragunara impia e marvasa. A mia la menti mia mi si cunfusa, 10 lu cori m’abbunna e lu sangu stravasa, ca la storia sintiti rispittusa e cu’ la senti resta l’arma ‘nvasa; e resta un gruppu, e resta ‘na rancura oh Diu, comu si spesi sta signura! 15 Stidda lucenti, com’appi sta fini? Povira barunissa di Carini Povira barunissa di Carini, ca la chiàncinu li luntani e li vicini! A – Interpolazione da 72 – Versi 43-52 Poviru ‘ngegnu miu, mettiti l’ali dipincimi stu niuru duluri; 45 pi sti lacrimi scriviri e nutari vurria la menti di re Salamuni. E comu Salamuni la vurria ca a funnu mi purtau la sorti mia; la me varcuzza fora portu resta 50 senza pilotu ‘mmenzu a la timpesta; mala timpesta fora di lu portu la vila rutta e lu pilotu mortu. O casteddu ca lu nomu l’ha pirdutu, Ti viju d’arrassu e fuju spavintatu; 55 si’ misu a lista di capu sbannutu ca cci vennu li spirdi e si muratu! Chiancinu li to mura e fannu vutu e chianci puru ddu turcu spiatatu! Ddu turcu spiatatu’un dormi un’ura 60 e gastima lu celu e la natura: - Grapiti, celu, e aggiùttimi, terra e un fulmini chi m’avvampa e chi m’atterra A – da 72 II. Lu casu anaru successi a Carini. 20 ‘Ntra ddu casteddu so cci stava beni la barunissa, ch’era un ciuri d’aprili chi lu spannia l’uduri e lu meli. Lu Vernagallu, di sangu gintili, chi di la giuvintù l’onuri teni, 25 cci va d’attornu galanu e gintili comu la lapa abbramata di meli. E meli cci surbi, ‘mmenzu li so’ frunni pirchì prontu lu ciuri cci rispunni: e sira e matina cci va puntuali 30 c’un cavadduzzu chi vola senz’ali; cci va sicuru cu tantu d’arduri ca tuttu vinci e domina l’amuri. Amuri domina e lu tuttu vinci: vinci li cori e l’attacca a la so rota 35 cu ‘na catinedda chi li ‘ngrana e strinci e battiri li fa supra ‘na mota. Oh chi vita duci, ca nudda la vinci! Ca cu raj di suli la vista nni abbota! Ca di filicità nni vesti e pinci, 40 cu stidduzzi d’oru e scocchi di rosa! Ma l’oru, lu ‘nvidianu li mali genti, la rosa, sicca ‘ntra picca mumenti; l’oru vi squàgghia comu scuma a mari, la rosa sfogghia e la spina cci pari; 45 sfoggia la rosa e cci pari la spina, li cori trapassa e porta la ruina. E – Interpolazione da 326 – Versi 17-24 Cci curpa amuri a purtari la sditta, cci curpa amuri, ca li cori appretta: la vita cci la faci duci e giujtta 20 e dipo’ feli e vilenu cci jetta. Chidda filicità è na saitta ca mancu la stiss’ùmmira nni resta! Resta lu sangu chi grida vinnitta, Vinnitta grida a la donna chi pecca! E – da 326 Lu baruni a la sira riuturnava stancu di la caccia e riposu vulia, quannu a la porta si cci ha prisintatu 50 un munacheddu di mala ginia; tri uri in cunfidenza cci ha ristatu sulu suliddu cu so signuria e quannu a menzanotti si nn’ha andatu lu munacheddu ‘nfamazzu ridia! 55 Ma lu celu di bottu si turbau, lu jacobbu ddà ‘mpressu cucullau! Lu baruni l’afferra la spata e l’ermu: - Vola, cavaddu, for a di Palermu! E vui, fidili, vulati cu mia, 60 a la me spadda tutta la cumpagnia! - III. ‘Ncarnatedda la prim’arbura lucia e l’Ustrica affacciava di lu mari; la lònira massara ziulia e s’ausa, lu suli a salutari; 65 ma scoppa un spriveri e cci rumpi la via, cu l’ugna forti la veni a ‘ggranfari, tempu ‘un cci duna ca si agnunia, tempu ‘un cci duna di ajutu chiamari; cci lu rumpi lu so filici cantu 70 e si la porta cu tirruri e scantu. Simili scantu e simili tirruri appi la barunissa di Carini. La barunissa era a lu so barcuni la facci stanca di spassi e piaciri 75 guardava ‘n celu la stidda d’amuri ca sempri cu l’amuri so vulia gudiri; vulia gudiri cu lo so amuri ‘ntra ddu casteddu di spassi piaciri. Vidi viniri ‘na cavallaria: 80 Ivì, chistu è me patri, amara mia! Ivì, me patri e la cavallaria! Me patri veni pr’ammazzari a mia!... - Signuri patri, chi vinistu a fari? - - Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari. - - ‘Na grazia vi cheju, patri e signuri, ca mi cunfessu a lu me cunfissuri… - - Chista ‘unn è ura di cunfissioni nè nancu è ura d’assurvizioni: l’arma, tu, limpia l’avivi a sarvari! 90 Grazia è lu sangu, ca l’onuri lava! - E subitu ca dici sti palori, mina la spata e càssaci lu cori. A primu corpu la donna cadiu, guardau a so patri e la vita finiu; 95 a primu corpu la donna appi fini, chiudiu la scena di cecu gudiri. Curriti tutti, genti di Carini, ora ch’è morta la vostra signura; mortu lu bellu ciuri di Carini 100 pri curpanza d’un’arma traditura. Curriti tutti, monaci e parrini, e daticci a lu mancu sepultura, ca quannu gridau ajutu a lu muriri nuddu curristivu e ristatu sula! 105 Sula ristau, nun si truvau amici, cci fustivu cani tutti li Carinisi! Cani cci fustivu a l’amara domma, la lassastu ‘ntra lu sangu a la virgogna! Tinta la donna ca lu nidu sconza 110 e a lu dicembru timpistusu ‘un penza! Tintu lu cori, ch’è comu ‘na sicca sponza e assuppa ogni acqua e mai ‘stuta l’ardenza! Ma cc’è Cu’ vìgghia, Cu’ dirigi e conza, li torti cosi li rimetti a lenza; 115 supra li torti di lu munnu riu camina la giustizia di Diu: firma camina cu li passi eguali, ‘nfallatimenti ripara lu mali. IV. La mala nova allura batti l’ali, 120 la porta l’aceddu a tutti li pirsuni, e tutti li pirsuni univirsali restanu spanti di pena e tirruri. E subitu chi a lu palazzu cci arrivau, la mamma cadiu ‘nterra e strangusciau; 125 li suruzzi, li capiddi si tiraru; baggi e criati, li vuci jisaru Siccaru li garofali a li grasti e si chiusiru tutti li finestri; cci vinni lu silenziu e la scuria 130 ‘ntra chidda strata ca prima chiaria! Li finestri su’ chiusi, amaru mia! Pirchì ‘un m’affaccia la me amanti amata? Ca quann’affacciava, ogni cosa chiaria e ora cc’è lu scuru nni la strata! 135 E ‘ntra l’arma ‘na vuci piulia: - La bella, chi tu cerchi, è trapassata! E’ trapassata, appi mala sorti, senza la cruci, a lu scuru, a la notti! - B – Interpolazione da 300 – Versi 103-120 Vaju di notti comu va la luna vìdiri vogghiu a sta galanti dia; 105 pri strata mi scuntrau la morti bruna, senz’occhi e bucca parrava e vidia e mi dissi: - Unni vai, currennu, a st’ura? - - Cercu la donna chi grazii spannia, la bella donna di tutti adurata… - 110 - Nun la circari cchù, ch’è suttirrata! E si ‘un mi cridi, a la matrici vai, dintra dda fossa, ddà la truvirai; china di vermi la gula sciacquata dunni luceva la ricca cinnaca; 115 nidu di surci la so capiddera ca oru e perni cungignata era; e rusicati li so’ nichi manu, sfunnatu l’occhiu gazzu juculanu! La bella donna cchiù ‘un si raffigura, 120 la bella donna, ora, fa paura! - D – da 300 E gràpimi li porti di la cura, 140 bon sagristanu ca l’hai ‘urvicata. e tu accordamìllu un quartu d’ura quantu la vju sta me signura amata chi si scantava di dòrmiri sula e or’è cu tanti morti, scunsulata! 145 Spinci la cciappa di la sepultura ca cci la calu ‘na torcia addumata D – Interpolazione da 145 – Versi 121-124 e si la torcia idda mi la ‘stuta chissu è lu signu ca idda è pirduta; chissu lu signi ca l’arma pinia lu diavulu l’avi in signuria D – da 145 Comu la frasca a li venti purtata java sbattennu pri li rampi rampi; fcia ‘na vita pinata e scantata 150 ca li livreri l’aveva a li cianchi. Caru patruni, mutati cuntrata, ca già li gammi su’ laceri e stanchi, ca già la vista a lu ‘ntuttu è canciata e annuricaru li nuvuli bianche. 155 ‘Cussì si annuricau l’arma mia, chiudiu lu virdi di la spranza mia! Diavulu, ca teni signuria, fammi sta grazia chi ti dumannu: fammi parrari a la galanti me dia 160 e l’arma mia ti cedu a to cumannu. Lu serpi, prontu: - Lu pattu è pri mia! Cavarcami, e ti portu ddà vulannu. – E com’un fulmini tagghia la via, pri l’ariu scuru mi porta cantannu. 165 ca sicuru l’avia lu guvernu ddu putenti patruni di lu ‘nfernu. Jivi a lu ‘nfernu, a lu ‘nfilici statu quant’era chinu, mancu cci capia! Viu a lu Giuda munacheddu ‘ngratu, 170 liggia lu libbru e tradimenti urdia… Ma, tornu tornu, gran focu sbampatu, e ‘mmenzu, l’amanti mia chi s’ardia ca di cuntinu cci mina lu ciatu criscennu vampi a la so vampa ria. 175 Idda mi dissi: - Cori scilliratu, st’orrenni peni li patu pri tia! Ca si la porta t’avissi firmatu, sti anari frutti nun li cugghiria! - Iu cci rispusi_ Si ‘un t’avissi amatu 180 ccà puru a stu ‘nfernu certu ‘un cci vinia; persi lu munnu e lu filici statu pri lu cecu amuri fidili cu tia. Ma cu’ cci curpa… Sta lingua ‘un si stanca e ccà l’aspettu, a sta ‘nfucata vanca! 185 Lu tempu veni, ca rota è lu munnu, lu gran mari sicca e assurgi lu funnu!.... V. Gran guaj cci sunnu, e lu tempu è curtu; tempu chi aspetti? Vòtati cu Cristu; Cristu diligi lu bonu e lu bruttu, 190 Cristu pirduna anchi lu cani tristu. Li sònnira, ca scòprinu lu tuttu, chiddu ch’avi a succediri hannu dittu; e lu Vernagallu scunsulatu e struttu, ‘ntra ‘n’agnuni di crèsia l’aju vistu. 195 L’aju vistu cu ‘na tonaca ‘nfilici ca scippa l’arma li cosi chi dici; palori dici di pena e lamentu, continuu chianci senza mai riventu; ca senza Diu, ch’è Nacheri spertu, 200 la morti è ‘mpressu, lu dannari è certu. O Diu, iu mi ritiru ‘ntra un disertu a mangiar’erba cu li bruti armali, spini puncenti lu misaru lettu e pri capizzu ‘na petra puntali; 205 po’ cu ‘na cuti mi battu lu pettu fina chi l’occhi mia fannu ciumari, fina chi ti cummovi, o Diu Dilettu, e mi fai grazia di lu pirdunari! Ma cu’ fa mali, lu celu l’arriva 210 tintu cu’ a malu caminu si trova! ca lu so cori mai paci lu civa e un minutu d’abbentu mai lu prova, Mai prova abbentu ddu cani spiatatu, mai trova abbentu ddu patri sciliratu; 215 ca di la terra, lagrimusu e ‘nquittu junci un lamentu a li pedi di Cristu; e a lu casteddu ch’ha chiusi li porti, lu sangi grida vinnitta e morti; a lu casteddu, di spirti ‘nvasatu, 220 vinnitta e morti grida dispiratu. E - Morti! - scrami tu, sènziu smaniatu; la morti fuj, pri nun ti dari ajutu. D’amici e di parenti abbandunatu peju di l’appistatu e lu sbannutu, 225 tampasiannu cu l’occhiu scasatu pari un malunbra di la fossa ‘sciutu; un spirdu niuru hai sempri a lu latu chi dici: - ‘Un cc’è cchiu sprànza! Si’ pirdutu! E’ ‘nautru spirdu, senza riventu: 230 - Pirdutu si’!... Turmentu! Turmentu! - E chidda morti, di li funni rua l’eccu cci fa cu li scàccani sua. Vota la prua, ca l’unna è in fururi e la to varca ‘un cci po’ cuntrastarti, 234 ca lu marusu la batti a tutt’uri e lu fragellu cci scinni firali. Chistu casu ruinu d’attirruri chi mai si ‘ntisi ‘ntra li cristiani è sacrilegiu chi, senza pirduni 240 lu chiancirannu lu zuccu e li rami: lu zuccu e li rami lu chiancirannu cu tanta di pena e eternu malannu. Lu chiancirannu! Pinzati, pinzati, cu’ fa lu mali cu l’occhi cicati; 245 cu fa lu mali e a lu dumani ‘un penza, ca cc’è Diu chi giustizia dispenza; e caru teni l’onuri fallenti e la manu di Diu calcula nenti! Oh gran manu di Diu, ca tantu pisi, 250 cala, manu di Diu, fatti palisi |