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Revolution

Helly Luv
Lingua: Inglese


Helly Luv

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(2015)

 Helly Luv


Canta tra i peshmerga per incitarli a combattere contro lo Stato Islamico (Is). E' la pop star curda Helly Luv, che ha diffuso un nuovo video del suo ultimo brano, 'Revolution', dove canta armata di fucile dall'alto del suo tacco 12 dorato. Il filmato, dedicato ''alle vittime della violenza e del terrorismo'', si apre con il dolore della perdita, con lo stravolgimento della vita quotidiana dovuto alla guerra, all'avanzata dei jihadisti nel nord dell'Iraq. Ci sono bambini che piangono, spaventati e disperati, e madri che tentano invano di riportare in vita i figli. In campo, tra i peshmerga e con il volto coperto da una keffiyeh, appare la stessa Helly Luv. ''Alzatevi in piedi, noi siamo uniti, insieme possiamo sopravvivere'', canta la pop star curda. ''E' una rivoluzione. Andiamo avanti a lottare. Non bisogna aver paura nel mondo. Uniamoci per far sapere loro che noi siamo qui'', aggiunge rivolta ad attori travestiti da jihadisti dell'Is.

Obiettivo del suo ultimo brano, racconta Luv al sito di Rudaw, è quello di incoraggiare i curdi a continuare a combattere contro l'Is. ''Avevo bisogno di dare al popolo una canzone che narra ciò che sta succedendo e come i peshmerga stanno combattendo. La storia del popolo'', spiega Luv. Girato in prima linea vicino al villaggio di Khazar a sud di Erbil, Luv racconta di essere stata a pochi chilometri dallo Stato Islamico e che la sua troupe è stata costretta a fuggire diverse volte per i combattimenti. ''Non eravamo lì solo per girare un video. Pensavamo, torneremo vivi?'', racconta.
adn kronos
United,united we're marching there
United,united we're marching there

Stand up we are united
Together we can survive it
Darkness will never take us
Long live to every nation
Rise up cause we are so much stronger as one
Breaking the silence as loud as a gun
Brothers and sisters we all come from one
Different religions we share the same blood

Oooh breaking free
Oooh all for peace
Oooh serbesti
Oooh azadi

Marching as one
Justice for us
We won't give up

It's a revolution
We gon' keep on fighting
People all around the world,all around the world
Don't be scared come together
Let 'em know let 'em know
We're right here

Burning, we got the fire
Power, you can't deny us
Darkness will never take us
Long live to every nation
Rise up cause we are so much stronger as one
Breaking the silence as loud as a gun
Brothers and sisters we all come from one
Different religions we share the same blood

Oooh breaking free
Oooh all for peace
Oooh serbesti
Oooh azadi

Marching as one
Justice for us
We won't give up

It's a revolution
We gon' keep on fighting
People all around the world,all around the world
Don't be scared come together
Let 'em know let 'em know
We're right here

We're marching there
United,united we're marching there
United,united we're marching there

It's a revolution
We gon' keep on fighting
People all around the world,all around the world
Don't be scared come together
Let 'em know let 'em know
We're right here

United,united we're marching there
United,united we're marching there

4/2/2016 - 23:48


SEQUESTRI DI PERSONA IN BASHUR E CONDANNE IN ROJHILAT NON PIEGANO LA RESISTENZA CURDA

Gianni Sartori

Sembrerebbe proprio che il Bashur (il Kurdistan del Sud, entro i confini iracheni), oltre a venir periodicamente invaso e occupato dai militari di Ankara, sia divenuto anche “terreno di caccia” per le spie e i servizi segreti turchi (e presumibilmente anche per quelli iraniani) che sequestrano, torturano e talvolta eliminano impunemente militanti curdi.

Naturalmente non sono i soli. In materia di sequestri di persona anche l’esercito regolare turco non va tanto per il sottile.

In questi giorni altri due giovani curdi sono stati arrestati nei pressi di Sîdekan (governatorato di Erbil) e portati - ci si chiede con quale parvenza di legalità - in territorio turco. Accusati di essersi trovati “senza autorizzazione in una zona militare”, in realtà i due cugini stavano semplicemente portando al pascolo i loro cavalli. Almeno per ora nessun commento, tantomeno obiezioni, da parte del Governo regionale del Kurdistan (KRG). Inquietante sapere che probabilmente i due si trovano ora nella base militare di Derecik per essere “interrogati”.

Soprattutto pensando a quanto, quasi contemporaneamente, accadeva - sempre nel Bashur - a un militante curdo originario di Serdeşt (città del Rojhilat, il Kurdistan dell’Est, entro i confini iraniani), Ehmed Bêxem. Conosciuto anche come Heval Kejwan, aveva combattuto con le Unità di difesa del popolo (YPG) contro l’Isis a Kobanê. Il suo cadavere è stato rinvenuto il 31 dicembre a Hewler (Erbil) con evidenti segni di tortura a due giorni di distanza dalla sparizione.

Stando a quanto dichiarato a un'agenzia curda da una fonte che per ragioni di sicurezza personale vuole restare anonima “sul corpo di Ehmed c’erano segni tortura. Tutto il corpo era ricoperto di contusioni e sembrava fosse stato torturato a morte”. Così come sembrerebbero confermare alcune immagini, due foto, scattate prima che l’uomo venisse sbrigativamente sepolto a Qeladize.

Naturalmente non si può attribuire con assoluta certezza, automaticamente, alla Turchia la responsabilità di questo delitto. In Bashur, come si diceva, operano vari soggetti più o meno coperti: servizi, spie, collaborazionisti, criminalità comune…

Per cui non si può escludere nulla. In altre analoghe sparizioni finite tragicamente si intravedeva la longa manus di Teheran. Potrebbe questo essere anche il caso di Ehmed Bêxem viste le sue origini.

Intanto il regime iraniano , forse per non sfigurare di fronte a quello turco in campo repressivo anti-curdo, ha condannato a ben cinque anni Zara Mohammadi, una insegnante volontaria di curdo. Ricordo che in Iran la lingua curda può essere parlata dai curdi, ma non insegnata.

Già perseguitata in passato dal regime e anche imprigionata (sia per aver insegnato il curdo, sia in quanto ritenuta esponente del Partito socialista) Zara era stata condannata a dieci anni dal tribunale “rivoluzionario” di Sînê (Sanandaj). La pena è stata ora ridotta a cinque anni dalla Corte d’appello.

Ma parlando di Iran e Turchia non è possibile scordare un altro dramma, quello dei rifugiati afgani che cercano di attraversare il confine tra i due stati, nonostante la zona sia alquanto impervia e ricoperta di neve. In questi primi giorni dell’anno, l’ennesimo dramma. Una donna che tentava di raggiungere la frontiera con i suoi due bambini di 8 e 9 anni è morta di freddo nei pressi di un villaggio iraniano (Belesur). La donna aveva dato i suoi calzini ai bambini per proteggerne le mani dal freddo ed è stata ritrovata con ai piedi dei sacchetti di plastica. Anche i bambini (posti in salvo da alcuni abitanti di Belesur) risultavano assiderati e con le estremità in avanzato stato di congelamento.

non credo sia il caso di chiedersi come mai siano così numerose le donne afgane in fuga dall’Afghanistan dopo la presa del poter da parte dei talebani.

Per concludere con un piccolo raggio di speranza, dopo tanta brutalità e ingiustizia, un breve aggiornamento sulla situazione politico-militare in Bashur (dove la Turchia ha cercato invano in questi ultimi mesi di eliminare il PKK).

A conti fatti, sembrerebbe che gli sia andata male.

Ricordo che qui, nel Nord dell’Iraq, Ankara aveva installato oltre una ventina di basi militari e centinaia di presidi. Ma in quest’ultimo periodo di fine anno sembrerebbe che la situazione sia andata evolvendo in tutt’altra direzione. Tra l’8 e il 9 dicembre almeno due postazioni turche sarebbero state distrutte e un’altra conquistata dai guerriglieri curdi.

Nell’ultima settimana del 2021 diverse altre postazioni nella regione di Zap erano state evacuate dai soldati turchi.

Come ritorsione la Turchia aveva intensificato i bombardamenti aerei colpendo la regione di Metîna (27 dicembre), di Candia (28 dicembre), di Hakurke di Zap (29 dicembre).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 4/1/2022 - 10:57


L’ORDINE REGNA A SHENGAL?

Gianni Sartori

Nel Bashur (Kurdistan del Sud, nord dell’Iraq) da circa una settimana si assiste all’intensificarsi delle attività dell’esercito iracheno. In particolare nella regione autonoma yazida di Shengal (Sinjar). E questo fatalmente rimescola l’animosità ealimenta le tensioni.

Il 18 gennaio Rukun Djabar, comandante delle truppe di Ninive occidentale, ha richiesto alle unità Ezidxan Asayish di abbandonare le loro postazioni nel distretto di Sinune. In caso contrario, ha minacciato, i militari iracheni agiranno con la forza.

Non è da oggi che il governo iracheno in combutta con il PDK di Barzani (e presumibilmente in accordo con la Turchia che interviene anche direttamente bombardando) tenta di esautorare l’auto-amministrazione della regione di Shengal.

Infatti la richiesta di questi giorni si giustifica e deriva direttamente dagli accordi del 9 ottobre 2020 tra il PDK e il governo iracheno.

Obiettivo principale, le forze di autodifesa Ezidxan Asayish. Appare evidente che sia il PDK che la Turchia e il governo iracheno vorrebbero vedere smobilitate.

Immediata la risposta dell’amministrazione autonoma all’ultimatum iracheno: la popolazione è stata chiamata alla vigilanza e alla mobilitazione.

Come già detto nel contenzioso su Shengal la Turchia è intervenuta militarmente anche in tempi recenti.

Il 17 agosto 2021 bombardando perfino un ospedale - per quattro volte di seguito - e provocando il decesso di otto persone e il ferimento di altre. Un ospedale scampato miracolosamente alle distruzioni operate dall’Isis nel 2014 e dove, va detto, vengono ricoverati non solo yazidi, ma anche arabi e cristiani. Tra cui molte donne con i loro bambini.

Ufficialmente si voleva colpire i combattenti feriti delle Unità di resistenza di Shengal (YBS) che qui venivano curati.

Solo 24 ore prima i droni di Ankara avevano già colpito nei pressi del vecchio mercato di Shengal uccidendo il comandante Seid Hesen e un altro combattente delle YBS, Isa Xwededa. Se pur seriamente feriti, erano invece scampati alla morte altri tre yazidi: Medya Qasim Simo, Şamir Abbas Berces e Mirza Ali.

Non può lasciare indifferenti che mentre tratta amabilmente (anche a spese degli altri curdi e della comunità yazida in particolare) sia con il governo centrale che con quello di Ankara, il PDK non riesca a gestire adeguatamente la crisi economica. Al punto di non poter nemmeno corrispondere adeguati stipendi (al momento come minimo sarebbero stati dimezzati) a funzionari e peshmerga. Per non parlare della disoccupazione in crescita esponenziale.

Ultimamente alle manifestazioni organizzate da poliziotti e insegnanti si sono uniti molti studenti che protestavano, oltre che per le mancate borse di studio, per la carenza di servizi pubblici e la scarsità di gas e carburante.

In compenso affaristi e imprenditori filogovernativi (soprattutto, ovviamente, le società per azioni in mano alla famiglia Barzani) vedono i loro già consistenti patrimoni aumentare vertiginosamente.

Un rapporto dell’anno scorso pubblicato da Bwar News aveva ben documentato il grado di corruzione raggiunto da alcuni esponenti di tale clan.

Al momento della nomina a Primo ministro del KRG (Governo regionale del Kurdistan) di Masour Barzani, molti terreni intorno a Hewlêr (Erbil) venivano acquistati dall’impresa commerciale Lalav Group per realizzarvi vasti progetti abitativi.

Un’ampia opera di speculazione gestita da Hecî Çolî di Duhok e su cui pare venisse imposto il silenzio stampa.

Godendo del favore del PDK, il gruppo Lalav avrebbe proseguito nell’opera di appropriazione - non sempre in maniera del tutto limpida e trasparente - di progetti rimasti incompiuti e di altri semplicemente abusivi. Costruendo e cementificando senza alcun criterio urbanistico e rispetto per l’ambiente.

Tra i progetti in via di realizzazione e su cui aleggia il sospetto di abusivismo, corruzione e speculazione, vanno ricordati quello di Dika Viyo (20mila metri quadrati “donati” all’impresa commerciale dal ministero dell’Urbanistica); il progetto di Var Park (circa tremila appartamenti) che dipenderebbe direttamente dall’ufficio politico del PDK; l’aeroporto di Lavav; il progetto denominato Lavav Babylon, concepito come la “più grande area commerciale del Medio-Oriente”su oltre 600 ettari di terreno; Vinos Tawer (oltre 1200 appartamenti); Lavav Star, un quartiere in prossimità dell’area ministeriale a cinque chilometri dall’aeroporto di Hewlêr e dal parco Samî Evdirehman (prezzo al metro quadro sui 1500 dollari).

Sempre l’anno scorso (grazie al giornalista investigativo Zack kopplin) era emerso un altro fatto scandaloso. L’acquisto (non del tutto limpido) da parte del solito clan Barzani di proprietà immobiliari a Miami e Beverly Hills. Uno sfregio per le crescenti ristrettezze in cui versano un sempre maggior numero di curdi in Bashur.

Altra questione vergognosa che si è trascinata per mesi, quella della mancata restituzione alle famiglie dei corpi di alcuni combattenti curdi del PKK uccisi in un’imboscata operata dai peshmerga del PDK. In particolare di Tolhildan Raman e Serdem Cudi, originari del Rojava. Nell’agosto dell’anno scorso cinque guerriglieri erano stati uccisi (e diversi altri feriti) nella regione di Khalifan (Bashur, nord dell’Iraq). Una vile aggressione che con tutta evidenza avveniva in sintonia con gli attacchi di Ankara contro le postazioni del PKK.

In questo senso era stato estremamente esplicito un comunicato di TEV-DEM (Movimento per una società democratica). Commentando il fatto aveva denunciato come “lo Stato turco vada commettendo numerosi crimini contro la popolazione del Sud-Kurdistan in cooperazione con il PDK”.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 20/1/2022 - 10:32


Rojhilat: liberata, si spera definitivamente, Zara Mohammadi, “colpevole” di aver insegnato in lingua curda.

ZARA LIBERA!

Non si può parlare sempre di catastrofe e disgrazie. Per quanto flebile e se pur per il tempo di un attimo, qualche raggio luminoso riscalda le tenebre di questa valle di lacrime.Come "una goccia di luce nel mare opaco e spettrale".

Questa la buona notizia: l’insegnante curda Zara Mohammadi, se pur tardivamente, è tornata in libertà.

La sua colpa? Aver insegnato in curdo ai bambini. Tra le sue prime dichiarazioni fuori dal carcere, quella di aver tutte le intenzione di continuare a farlo.

Cofondatrice e direttrice dell’associazione culturale Nûjîn, da anni Zara era impegnata nel promuovere le attività sociali e solidali della cittadinanza, l’educazione e la cultura tradizionale nella città di Sine (Rojhilat, Kurdistan sotto amministrazione iraniana) e nei villaggi dei dintorni.

Arrestata nel 2019 dai Guardiani della Rivoluzione, veniva portata in una prigione sotto il controllo dei servizi segreti.

Nel 2020 era stata condannata a una pena spropositata (anche per i parametri di Teheran): ben dieci anni per aver “costituito un gruppo che tentava alla sicurezza nazionale”.

Successivamente si vedeva ridurre la pena a cinque anni e infine liberata su cauzione. Ma solo per essere nuovamente incarcerata l’anno scorso. 

Ne avevamo già parlato qui: https://www.panoramakurdo.it/2022/01/0...

La sua finora imprevista liberazione anticipata rientra presumibilmente in una generale politica di ammorbidimento della repressione con cui il regime iraniano tenta di disinnescare le proteste e il rischio di una insurrezione. Proteste che comunque continuano sia nelle regioni curde che nel Belucistan.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 13/2/2023 - 18:22




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