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Ballata dell'alcoolizzato

Gianni Nebbiosi
Language: Italian


Gianni Nebbiosi

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Alessio Lega e Rocco Marchi ad Appiano Gentile, 2009 1) Ti ricordi Nina 2) Ballata dell'alcolizzato 3) Emigrato su in Germania


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Io so che un giorno
(Ivan Della Mea)
In un anno e più d'amore
(Gianni Nebbiosi)
Ti ricordi Nina
(Gianni Nebbiosi)


[1972]
E ti chiamaron Matta
etichiama
Testo e musica di Gianni Nebbiosi
Lyrics and music by Gianni Nebbiosi
EP Dischi Del Sole - DS76
Riedizione di Alessio Lega e Rocco Marchi - 2008


Gianni Nebbiosi.
Gianni Nebbiosi.
Non se ne trovano quasi, in rete, fotografie del professor Gianni Nebbiosi. È, adesso, uno stimato studioso di psicologia e frenologia a livello internazionale: basta digitare il suo nome su Google, e compaiono studi, interventi a seminari e congressi, testimonianze professionali. E anche la fotografia che qui presentiamo, che lo ritrae nel 2002, è stata presa ad un convegno internazionale tenutosi in Spagna. Digitare il suo nome su Google, dicevamo. In mezzo agli studi e agli interventi, compare però anche una cosa “strana”, a nome di Gianni Nebbiosi. Un album di canzoni. Un incredibile e dimenticato album di canzoni del 1972 intitolato E ti chiamaron matta. Un album prodotto nientemeno che da Giovanna Marini, e nella quale la stessa ebbe a accompagnare Nebbiosi agli strumenti.

Racconta Alessio Lega...ma perché Alessio Lega racconti lo diremo meglio dopo. Ora diciamo semplicemente quello che racconta durante i suoi concerti. Era il 1972, e Gianni Nebbiosi non era ancora né professore, né stimato: era un semplice studente di medicina interessato ai problemi della psichiatria e, soprattutto, della condizioni di vita nei manicomi. Nei lager chiamati manicomi. In quelle istituzioni terribili, in quei campi di concentramento in nome della “medicina” che allora non venivano messi minimamente in discussione. Gianni Nebbiosi, occupandosene e dopo una crisi personale, da studente ebbe modo, purtroppo per lui, di finirci dentro -anche se per un breve periodo. Uscitone, decise di cantare quello che aveva visto. La canzone come mezzo di diffusione di esperienze, di idee, di lotta. Ne nacquero sei canzoni pubblicate in album dai “Dischi del Sole”.

Un album che mai ebbe vita facile, che nacque introvabile. Eppure dovette circolare, in modo sotterraneo. Eppure dovette dare il suo contributo a quel movimento che, negli anni '70 in Italia, portò in pochi anni alla Legge Basaglia ed alla chiusura dei manicomi (1978). Dice ancora Alessio Lega: “Forse ad un anarchico non sta bene parlare di una legge. Ma c'è stato comunque un periodo in questo paese, in cui larghe fasce di persone lottavano, si battevano perché fossero eliminati dei lager, e in cui l'Italia era un po' meno di merda di quella di adesso.”. Il giovanissimo Alessio Lega andò a cercare questo album, arrivando a prendere l'elenco del telefono di Roma e chiamare direttamente il professor Nebbiosi. Il quale, gentile e gioviale, e con un accento romanesco da far paura, si dimostrò entusiasta che quelle sue canzoni ancora circolassero, e fossero ricercate.

Ma che cosa ha fatto, in definitiva, Alessio Lega? E' semplice. Quell'album oramai irreperibile lo ha riarrangiato, ricantato e reinciso assieme al suo polistrumentista Rocco Marchi (che io chiamo affettuosamente il “tuttista”, specie quando suona il suo xilofono portatile con canna acustica -detto familiarmente “pippofono”). Una riproposizione cui ha partecipato anche il professor Gianni Nebbiosi, in persona, mettendo a disposizione tutto il materiale che aveva. Le “sei canzoni dei matti” si possono scaricare legalmente dal blog di Alessio. E vi consigliamo di farlo.

Ve lo consigliamo perché viviamo in tempi in cui, tra le altre cose, tra le invocazioni di sicurezze, galere, linciaggi, “certezze della pena” e compagnia bella, non mancano nemmeno quelle per la riapertura dei manicomi. “Ah, quando almeno c'erano i manicomi, i matti stavano dentro!”. Chi scrive c'è entrato svariate volte, come soccorritore, nei manicomi. Quello che erano lo potete leggere qui, e non è che un episodio. A tale riguardo, abbiamo deciso anche di istituire un nuovo percorso: perché di lager si è trattato, e dei peggiori. Non a caso la “pazzia” fu largamente usata dallo stalinismo per sbarazzarsi degli oppositori. Non a caso gli infermieri dei manicomi differivano a volte assai poco dagli aguzzini di Auschwitz o di Treblinka, infierendo su esseri umani ridotti a larve incapaci di difendersi. [RV]

nebblega

”La morte non è nel non potere comunicare
Ma nel non poter più essere compresi”

Pier Paolo Pasolini

Caro Alessio, la ragione -l'emozione- che mi ha portato a scrivere canzoni all'inizio degli anni settanta sta tutta in questi versi di Pasolini. Quando ci si occupa della sofferenza psichica è importante condividerla, capire i significati affettivi e i contesti della vita che l'hanno fatta nascere. In fondo le persone che soffrono non cercano altro: vogliono parlarci (talvolta confusamente, talvolta con illuminante chiarezza) di quello che le fa soffrire, e vogliono che le comprendiamo per potere comprendersi. Purtroppo succedeva e succede troppo spesso che tra quel dolore e noi che ce ne occupiamo si frappongono un sacco di cose: la nostra “competenza” professionale che ci fa giudicare, diagnosticare, definire troppo in fretta e con poca empatia il dolore mentale dell'altro; il ruolo di chi cura, che spesso “protegge” la propria autenticità e fragilità dietro una presunta neutralità “scientifica”; le regole di istituzioni che dovrebbero curare ma che spesso sono preoccupate solo di salvare se stesse.
Caro Alessio, le cose in questi quarant'anni non sono tante cambiate, nonostante le gloriose battaglie di psichiatria democratica e l'impegno di tanti operatori. Ti ringrazio davvero di cuore di avere dato voce, attraverso le mie canzoni, a queste storie e ai loro protagonisti: persone che cercavano -e cercano- solo di essere aiutate e comprese.

Gianni Nebbiosi.
Lettera a Alessio Lega riprodotta nell'album

”La realtà manicomiale è stata superata
e non si sa quale potrà essere il passo successivo.
Come non risalire dall'escluso all'escludente?
O si è complici, o si agisce e si distrugge.”

Franco Basaglia, Ospedale Psichiatrico Provinciale di Gorizia, 1968.

Franco Basaglia.
Franco Basaglia.

E ti chiamaron matta: piccolo ma grande grande grande.
di Fabio Antonelli

C’è chi si sveglia con accanto nel letto una donna stupenda, c’è chi si sogna solamente di trascorrere una notte d’amore con una donna stupenda, c’è chi come me si sogna di aver trascorso una magnifica serata a chiacchierare con Alessio Lega in una non identificabile trattoria di Milano e di svegliarsi poi la mattina con testa la musica e le parole di “Ti ricordi Nina”.

Sinceramente non ricordo di cosa abbiamo parlato Alessio ed io in questo mio originalissimo sogno, forse di musica, forse di politica anche se qui io e lui ci troviamo su posizioni distanti o forse, più semplicemente, gli ho espresso quanto non gli avevo detto qualche giorno prima quando, appena ascoltato il suo nuovo disco, ho avvertito l’urgenza di telefonargli per esprimergli i miei apprezzamenti per il rifacimento del piccolo urgente disco capolavoro dello psichiatra/cantautore Gianni Nebbiosi che è così tornato disponibile dopo 37 anni dall’originale incisione.

A condividere questo progetto ha avuto accanto Rocco Marchi, al quale bisogna rendere merito per aver saputo dare al disco una veste musicale affascinante e tale da non renderlo tedioso perché, visto l’argomento trattato, il rischio di fare un disco pesante come un macigno ci sarebbe potuto essere.

Il disco è stato inciso in occasione dei trent’anni dalla Legge Basaglia, quella che ha cercato di superare la realtà manicomiale come si evince da una testimonianza del 1968 dello stesso Basaglia riportata nella custodia del disco “La realtà manicomiale è stata superata e non si sa quale potrà essere il passo successivo. Come non risalire dall’escluso all’escludente? O si è complici, o si agisce e si distrugge.”.

Unica pecca è forse quella della mancanza di un libretto con i testi delle canzoni, oltre al citato intervento di Basaglia troviamo, però una breve lettera in cui Gianni Nebbiosi ringrazia Alessio così: “Ti ringrazio davvero di cuore di aver dato voce, attraverso le mie canzoni, a queste storie e ai loro protagonisti: persone che cercavano - e cercano – solo di essere ascoltate e comprese” ed in cui racconta che la ragione che l’ha portato a scrivere canzoni all’inizio degli anni settanta sta tutta in questi versi di Pasolini “La morte non è nel potere comunicare ma nel non poter più essere compresi”.

Alessio Lega si rivela ancora una volta un grande interprete di canzoni di altri, sa appropriarsene e farsene carico con grande maestria per raggiungere vette di eccellenza in canzoni come quest’ultima in cui il gesto di rivolta sentito cantare da lui assume una duplice valenza umana e politica.

Rocco Marchi da par suo, più che in altre occasioni si è dimostrato capace di rendere drammaticità al cantato senza però aggiungere inutili pesantezze ed orpelli eccentrici o barocchi.

Un disco piccolo piccolo per durata ma eccezionalmente grande per intensità.
Chissà
se l'infermiere che sta qui di notte
s'è mai chiesto il perché
siamo finiti qui al reparto tre.

« Vieni qui, Mario,
prendi un bicchiere ».
« Ma cosa fai,
stai sempre a bere? »

« Sentimi Mario
non fare il cretino ».
« Io ci sto bene
con il mio vino ».

E non invidio chi s'accontenta
dopo otto ore da quasi animale
di un po' di tele,
primo canale.

« Dica Proietti
fra un paio d'ore
venga di sopra
dal direttore ».

Giunge il momento
va dal padrone
« Lei rende poco
Lei è un ubriacone.

E quel che è peggio
è che ha il coraggio
di provocare uno strano contagio
guardano lei
come babbei ».

« Dica Proietti
deve piantarla
tutte le notti
lei grida e parla.

In questa casa
c'è tanta gente,
lavoratori,
lei non fa niente.

E si permette di disturbare
chi il giorno dopo va a lavorare
quindi lo sfratto
è affare fatto ».

Chissà
se l'infermiere che sta qui di notte
s'è mai chiesto il perché
siamo finiti qui al reparto tre.

Chissà,
se ha mai pensato che i nostri cervelli
di alcool imbottiti
hanno il coraggio di essere impazziti.

Chissà
cosa ne pensa di questa pazzia
lui che è quasi un signore
con il cervello che impazzisce a ore.

Contributed by CCG/AWS Staff - 2009/2/12 - 02:56



Language: French

Version française - BALLADE DE L'ALCOOLIQUE – Marco Valdo M.I. – 2010
Chanson italienne – Ballata dell'alcoolizzato – Gianni Nebbiosi – 1972
BALLADE DE L'ALCOOLIQUE

Qui sait
Si l'infirmier qui fait la nuit
S'est jamais demandé pourquoi
Nous avons échoué là au département trois

« Viens-ici, Mario,
Prends un verre ».
« Mais qu'est-ce que tu fais
Toujours à boire ? »

« Écoute-moi Mario
Ne fais pas le crétin ».
« Moi, ici, je suis bien
Avec mon vin ».

« Et je n'envie pas celui qui se contente
Après huit heures d'une vie de quasi animal
D'un peu de télé,
Première chaîne. »

« Dites Proietti
D'ici une paire d'heures
Montez ici
Chez le directeur ».

Arrivé le moment
Il va chez le patron
« Vous avez peu de rendement
Vous êtes un ivrogne. »

Et ce qui est pire
Est que vous avez le culot
De provoquer une étrange contagion
Ils vous regardent
Avec admiration»

« Dites Proietti
Vous devez cesser
Toutes les nuits
Vous criez, vous parlez.

Dans cette maison,
Il y a du monde,
Des travailleurs,
Vous vous ne faites rien.

Et si vous vous permettez de troubler
Celui qui le jour d'après va travailler
Alors votre expulsion
Est chose faite. »

Qui sait si l'infirmier
Qui fait la nuit
S'est jamais demandé pourquoi
Nous avons échoué là au département trois

Qui sait s'il a jamais pensé
Que nos cerveaux
Embués d’alcool
Ont le courage d'être affolés.

Qui sait ce qu'il en pense
Lui qui est presque un monsieur
De cette folie
Avec le cerveau qui déraille à toute heure.

Contributed by Marco Valdo M.I. - 2010/5/30 - 19:35




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