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Lettere di soldati

Vinicio Capossela
Lingua: Italiano


Vinicio Capossela

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Lettere di soldati - Vinicio Capossela


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[17 ottobre 2008]
Album: "Da solo"
Testo e musica di Vinicio Capossela
Lyrics and music by Vinicio Capossela

(trascritto all'ascolto)

"Invece, la morte, nella guerra per esempio, non ha niente di epico. È solo un’esplosione quando non te l’aspetti e pezzi di carne e macelleria. Nient’altro. È questa crudezza la violenza, ed è impersonale perché mediata da qualche strumento, da un comando a distanza, da un radar, da un cannocchiale di precisione. Questo è la canzone Lettere di soldati, la fine di ogni epica. L’unica cosa non meccanica è quel momento più grande delle vite, quando la vita si allarga in un pensiero e cerca di raggiungere i tuoi cari e l’universo che per te non è niente, senza di te. Ed è il momento in cui si scrivono le lettere d’amore, l’unica cosa un poco grande in un mondo che ancora costringe alla meschinità di continuare a uccidersi, piccoli e armati."

*

“Ho iniziato a scrivere questa canzone al tempo della prima guerra del Golfo. Tutti noi tremavamo, era la prima volta che la guerra dava l’impressione di arrivare in casa di ognuno, in diretta, per mezzo della televisione, rendendoci partecipi come a un evento. Quella sera, al Teatro Storchi di Modena, Ivano Fossati concluse il suo concerto cantando ‘Il disertore’ di Boris Vian. Io tornai a casa e pensavo a tutta questa gente sull’orlo della catastrofe. Ognuno si sentiva impaurito qui più che al fronte. Dunque fui vittima, come tutti, della Paura, la Paura minacciata ad arte, che da sempre trova la più grande cassa di risonanza.”

(Vinicio Capossela)

Apre la strada la vita e l'amore
Chiude la strada la morte e il dolore
Limpida è l'aria la palma è tranquilla
Il fiume scorre
La luna non vede che polvere e stelle
L'alba non sente l'angoscia di noi
Piccoli soldati
Piccoli e armati
Dal coraggio d'ordinanza e dalla noia
Dalla gloria dal rancio dagli eroi e
Dalle lettere d'amore
La casa ci separa e ci avvelena
Nessuno tornerà più come prima

Filo spinato cemento armato
Occhi nascosti ovunque per terra
La radio gracchia la testa scuote
Le buche e le ruote
Il cielo è soltanto una feritoia
Un recinto blindato di un vetro di Humvee
Il deserto è tranquillo non c'è linea del fronte
Pattuglia di guardia a balia del nulla
Nulla che esplode rovente nell'aria
L'odore di gomma di carne bruciata
E pezzi di cranio cervella per terra
E pezzi di faccia e pezzi di noi
Meccanismi d'ossa e protesi in cambio
E sangue drenato e sangue versato

In sacchi di plastica torna un soldato
E lascia effetti foto e armadietti
E alcool in branda e pornografia
E giacche graduate lucenti e stemmate
E soldi e coraggio contratti di ingaggio
Lascia un alloggio e
Lascia lettere d'amore

uccidere non è peccato se non
Sei ucciso tu
Uccidere non è peccato se
È regola e lavoro


Cinquanta metri sparare al motore
A venti nel vetro a dieci nel cuore
Non hai conosciuto chi è che hai centrato
La croce nel vetro nebulizzato
Non era un soldato
Non era un soldato
Piccolo e armato

Il cielo ora è più nero
E non è fumo
Nessuno tornerà più come era


La notte è serena la palma è tranquilla
Il fiume scorre
Babilonia muta resta nel sole
E non si importa di noi
Piccoli soldati piccoli e armati
Piccoli soldati piccoli e armati

inviata da daniela -k.d.- - 20/10/2008 - 16:08


Dal blog altraVazzano

L’epica della nazione scompare del tutto, invece, in Lettere di Soldati, dove la morte sul fronte iracheno viene detta così com’è: senza eroismo, cruda, spersonalizzata. Perché il sodato che spara al nemico non sa nemmeno chi sta uccidendo. Immagina una croce sul vetro di una camionetta impolverata che si fa strada a venti metri, e la colpisce. Dentro ci sono «piccoli soldati/ piccoli e armati» come lui, ma chi spara ripete a se stesso che «non è peccato uccidere se non sei ucciso tu/ uccidere non è peccato se è regola e lavoro». Così quell’uomo assassinato venti metri più in là smette di essere umano, la sua umanità si è come «nebulizzata» nell’imperativo di una missione. E il fronte che Capossela ci consegna non è più quello de La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè, dove un soldato ammazza l’altro perché colto di sorpresa, terrorizzato, non si accorge che il nemico è pronto a risparmiarlo. Seppur nella tragedia, lì rimaneva il tempo di «vedere gli occhi di un uomo che muore». Invece qui ci sono solo «soldi e coraggio/ e contratti d’ingaggio».

daniela -k.d.- - 20/10/2008 - 18:34




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